Italia
Giudicato di Gallura
Sardegna

 

Antico stemma del Giudicato di Gallura

Il Giudicato o Regno di Gallura era uno Stato sovrano e indipendente che nel medioevo si estendeva nella parte nord-orientale della Sardegna, dal corso del fiume Coghinas al Golfo di Orosei, occupando tutte le attuali subregioni della Gallura e delle Baronie, oggi comprese nelle attuali province di Olbia-Tempio e Nuoro. Confinava a ovest con il Giudicato di Torres e a sud con il Giudicato di Cagliari.

A capo del Regno (logu) vi erano il monarca denominato Giudice (Judike) e un Consiglio (Corona de Logu). La sua capitale era ubicata a Civita (ricostruita sui ruderi dell'antica città romana di Olbia, il cui nome compare per la prima volta nel 1113) e si ipotizza che la corte giudicale itinerasse tra i maggiori centri delle Curatorie del Regno, ma la cosa non è né assodata né accertata. È stato una residenza Giudicale il castello di Baldu nei pressi di Luogosanto. Ultimo Giudice di Gallura fu Nino Visconti. Viene datata al 1296 la fine del Giudicato di Gallura, quando, morto Nino Visconti, i suoi territori vennero inglobati dal comune di Pisa. Lo stemma era costituito dall'effige di un gallo.

Attuale gallo del Giudicato di Gallura

Lo stemma visconteo di Milano

Dante Alighieri
Purgatorio – canto VIII – versi 79-81

Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com’avria fatto il gallo di Gallura».

La vipera che costituisce lo stemma dei Milanesi
non ornerà il suo sepolcro così bene,
come avrebbe fatto il gallo di Gallura».

Incontro con Nino Visconti (43-84)

Sordello invita i due poeti a scendere nella valletta tra le ombre dei principi, per parlare con loro, cosa che sarà molto gradita alle anime. I tre scendono di appena tre passi e Dante, giunto nella valle, si avvede di uno spirito che lo osserva attentamente, come se volesse riconoscerlo. È quasi buio, ma ciò non impedisce a Dante di riconoscere in quel penitente il giudice Nino Visconti, che gli si fa incontro mentre lui si avvicina (il poeta è felice di vederlo tra le anime salve). I due si salutano con affetto, poi il Visconti chiede a Dante quando sia giunto sulla spiaggia del Purgatorio con la barca dell'angelo nocchiero: il poeta risponde di essere giunto lì attraverso l'Inferno e di essere ancora vivo, poiché compie questo viaggio per ottenere la salvezza.

All'affermazione di Dante sia Sordello sia Nino si traggono indietro stupefatti, e mentre il Mantovano si rivolge a Virgilio, Nino chiama Corrado Malaspina per mostrargli ciò che la grazia divina ha concesso. Quindi il Visconti si rivolge a Dante e lo prega, in nome del privilegio datogli da Dio, di dire sulla Terra alla figlia Giovanna di pregare per la sua anima. Sua madre (Beatrice d'Este), la vedova di Nino, non lo ama più, dal momento che ha lasciato le bianche bende del lutto per risposarsi, cosa di cui dovrà dolersi. Lei è l'esempio di come l'amore delle donne finisca presto, se i sensi non lo tengono desto; ma quando sarà morta, lo stemma dei Visconti di Milano non ornerà il suo sepolcro così come avrebbe fatto il gallo, simbolo della Gallura. Nino dice queste parole mostrando con la sua espressione l'impronta di un giusto sdegno, che gli arde con misura nel cuore.