Renato Fucini


La gallina

Io vi domando se si può trovare
un più bravo animal della gallina.
Se non avesse il vizio di raspare
ne vorrei sempre avere una vicina.
Tutti i giorni a quell'ora: - Coccodè!
Corri a guardar nell'orto e l'uovo c'è.
E quando hai l'uovo in tasca, è assicurato
che per quel giorno non si muor di fame.
Te lo puoi mangiar crudo o affrittellato,
sbattuto a torta o intero nel tegame...
C'è chi vuol gli ovi a ber, chi li vuol sodi.
Si fanno insomma in cinquecento modi.
E non c'è caso! E lei? Sì - Coccodè!
Corri a guardar nel covo e l'uovo c'è!

La chioccia e i pulcini

— Quello che piú importa, figliuolini miei... Lei si pulisca subito il becco, porcellone! Lei ha beccato qualche porcheria! Guardi come l'ha sudicio! Vergogna!...

La chioccia s'era interrotta per correggere il piú indisciplinato dei suoi pulcini. Rimase qualche momento a guardarlo, minacciosa e a ciuffo ritto, poi riprese il suo discorso.

— Quello che piú importa è che siate buoni e obbedienti. Alla vostra difesa ci penso io. Quando mi sentirete fare chiò chiò sarà segno che ho veduto il falco. Io aprirò allora le ali, voi correrete subito tutti a ripararvici sotto, e non perdete tempo. Anche se avrete trovato una spiga di grano, dell'ova di formiche, una ciocca d'uva da piluccare, un grillo, un baco o qualunque altro boccone ghiotto, piantate lí ogni cosa e fate come vi ho detto, se no son dolori. Ora smettete di bisticciarvi, e andiamo a passeggiare per i campi.

Cosí parlava ai suoi pulcini una vecchia chioccia la quale, dal gran ciuffo che aveva, pareva che, per divertire i suoi piccini, si fosse messa in capo un cappello da bersaglieri. A guardare quella mamma impettita e brontolona per amore e quel gruppetto di monelli saltare, rincorrersi e ruzzolare spensierati fra l'erba, si sentiva nel cuore un solletico di indicibile tenerezza. Ma siccome non ci deve essere mai un'ora di bene, ecco che comparisce lontano nell'aria un falco cosí smisurato che i pulcini, prendendolo per un ombrello aperto, lo guardavano sbellicandosi dalle risa.

Il falco, come tutti i traditori, mostrava di andarsene tranquillo per i fatti suoi; invece, roteando con astuzia per l'aria, si avvicinava rapido verso il punto dove erano i pulcini a pascolare. La chioccia che capí alla prima di che cosa si trattava, mandò subito il grido di sicurezza, e tutti, meno due smemorati che erano in un solco a fare tira tira con una povera cavalletta, corsero spauriti sotto le sue ali.

Il falco arriva, si tuffa rapido come una saetta, sfiora appena il terreno e riprende il largo per l'aria, stringendosi fra gli artigli i due miseri pulcini che erano stati sordi al grido della madre.

Passato il pericolo, gli altri che, dal loro nascondiglio, non avevano visto né saputo nulla dell'accaduto, ritornarono lieti alla pastura. La loro povera madre guardava piangendo nel cielo, dalla parte dove il falco era sparito veloce come il vento.

Il falco e la gallina

Non bisogna mai sgomentarsi davanti alle difficoltà, ma non bisogna neanche pretendere d'esser falchi quando siamo nati galline. Il mettersi in testa d'esser buoni a far tutto è da sciocchi, come è da poltroni il mettersi in testa di non esser buoni a far nulla. E a proposito di falchi e di galline, mi ricordo d'una storiella che cantava un cieco sulle cantonate, accompagnandosi con la chitarra:

C'era una volta un falco di cent'anni
che aveva il covo in cima a un campanile...

E la storia continua in versi, con una rima in anni, un'altra in ile, e finalmente con due rime in ere per chiudere la sestina. Ma siccome non l'ho bene nella memoria, sarà meglio raccontarla in prosa e buona notte.

C'era, dunque, questo falco che tutte le mattine, per guadagnarsi onoratamente da vivere, spiccava il volo dal suo campanile e si metteva, per delle ore, a girare in tondo nell'aria, tenendo fissi alla terra gli occhi acutissimi per guardare se scopriva una lucertola, una serpe o qualche povero uccellino da mangiare.

In un pollaio lí vicino le galline facevano un gran ragionare di questo falco. La rapidità, la leggerezza e specialmente la resistenza del suo volo senza rumore e senza che mai apparisse stanco, empivano di maraviglia e d'invidia quelle stupide bestiole le quali, benché provviste come lui degli arnesi per volare, possono a stento sollevarsi quattro palmi appena sopra il terreno. Chi ne diceva una, chi ne diceva un'altra, ma nessuna sapeva trovare la ragione di tanta differenza tra loro e quel birbante di falco.

— Ora vi dimostrerò io come stanno le cose! — crocchiò una gallina bigia di cima al campanile, dove era montata avendo trovato aperto l'uscio delle scale. — Ora vi dimostrerò io in che consiste la gran bravura del falco. Bella forza a fare i bravacci volando di quassú! Lo vorrei vedere quel brutto rapinoso, lo vorrei vedere che cosa saprebbe fare quel mangiatutti sornione, se fosse obbligato a spiccare il volo, invece che di quassú, dal fondo d'un pollaio o dallo sterrato d'un cortile! Attente perché ora piglio lo slancio verso il cielo. Volete nulla? avete commissioni da darmi per quelle nuvole bianche che passano lassú alte alte?... Uno! due! e tre!...

Precipitando per l'aria a svoltoloni come un pallone sgonfiato e schiamazzando disperata, venne di sotto sbacchiando prima in un cornicione del campanile, poi sui rami d'un fico, e finalmente sopra un monte di paglia che doveva essere stato messo lí dalla provvidenza. Le sue compagne corsero spaventate da lei e la trovarono che boccheggiava mezza svenuta, e si dibatteva e stralunava gli occhi accennando a un grande indolimento in tutti gli ossi e specialmente in quello del petto, che usciva fuori dalla carne ammaccato e sanguinante.

Il falco, rotando tranquillo in mezzo alle nuvole, guardava ridendo il branco delle galline che si affaccendavano intorno alla loro compagna, empiendola di fasce, di cannucce, di cerotti e di cotone fenicato.

Renato Fucini

Narratore e poeta italiano (Monterotondo Marittimo, Grosseto 1843 – Empoli, Firenze 1921). Compiuti gli studi d'agraria, si impiegò presso il municipio di Firenze come assistente a lavori d'ingegneria; in seguito fu insegnante, poi ispettore didattico. Legato nella vita e nell'arte agli umori della sua terra, esordì nel 1872 coi Cento sonetti in vernacolo pisano: la raccolta, pubblicata con lo pseudonimo di Neri Tanfucio, si compone in gran parte di brevi dialoghi tra tipi e personaggi dell'ambiente pisano sui più disparati argomenti (politica, filosofia spicciola, pettegolezzi cittadini). A essa si aggiunsero nel 1877 Cinquanta nuovi sonetti in vernacolo pisano che tradiscono, sotto l'apparente immediatezza, l'intento letterario dell'autore. A un vivace e arguto bozzettismo sono improntate le opere in prosa: le lettere di Napoli a occhio nudo (1878), impressioni di un suo viaggio nel Mezzogiorno; le due raccolte di novelle Le veglie di Neri (1884) e All'aria aperta (1887) che, nella rappresentazione limpida e immediata della terra toscana, evocata con un gusto pittorico vicino all'impressionismo dei macchiaioli, segnano il risultato più alto della narrativa di Fucini. Dalla stessa vena, ma più stanca, nascono i racconti di Nella campagna toscana (1908) e le note autobiografiche, postume, Acqua passata (1921) e Foglie al vento (1922). Dopo aver lavorato alla biblioteca Riccardiana di Firenze dal 1901 al 1907, trascorse i suoi ultimi anni di vita tra Castiglioncello (Livorno) e Dianella, dove morì nel 1921.

Segnalazioni di Giulia Grazi