Trilussa


Er Rospo e la Gallina

Un Rospo, ner sentì che 'na Gallina
cantava come un'anima addannata,
je domannò: - Ched'è che strilli tanto?
Ho fatto un ovo fresco de giornata:
rispose la Gallina - apposta canto.
Fai male, - disse er Rospo - male assai!
Tu lavori pe' l'ommini, ma loro
come t'aricompenseno el lavoro?
Te tireranno er collo
com'hanno fatto ar pollo, lo vedrai.
Nun te fidà de 'sta canaja infame
che t'ha cotto er marito ne la pila
e un fijo ner tegame!
Nun te fidà de 'sta gentaccia ingrata
che te se pija l'ova che je dài
pe' facce la frittata!...
Pianta 'sti sfruttatori e impara a vive!
Se loro vônno l'ova de giornata
nu' je dà retta: fajele stantive!

Er bonsenso

Volevo fa' covà da la Gallina
un ovo fresco d'Aquila imperiale.
Se te viè bene, - dissi - pe' Natale
sarai trattata come una reggina.
Nun è da tutti de covà un ucello
nobbile e coraggioso come quello! -

La Gallina rispose: - Fosse vero!
Ma come fo se l'Aquila che sorte
trova un cortile invece d'una Corte
e un sottoscala invece d'un Impero?
Se prima nun pulisci er Gallinaro,
bonanotte Gesù ché l'ojo è caro!

L'ingegno

L'Aquila disse ar Gatto: - Ormai so' celebre.
Cór nome e có la fama che ciò io
me ne frego der monno: tutti l'ommini
so' ammiratori de l'ingegno mio! -

Er Gatto je rispose: - Nu' ne dubbito.
Io, però, che frequento la cucina,
te posso di' che l'Omo ammira l'Aquila,
ma in fonno preferisce la Gallina...

La Gallina lavoratora

Una Gallina disse ar Pappagallo:
― Tu forse parlerai senza rifrette,
ma oggiggiorno la bestia che sa mette
quattro parole assieme sta a cavallo;
t'abbasta d'aprì bocca e daje fiato
pe' mette sottosopra er vicinato.

Io, invece, che je caccio un ovo ar giorno
e Dio sa co' che sforzo personale,
io che tengo de dietro un capitale
nun ciò nessuno che me venga intorno,
nessuno che m'apprezza e che me loda
la mercanzia che m'esce da la coda!

Fra poco, già lo sento, farò un ovo:
ma visto che' sto popolo de matti
preferisce le chiacchiere a li fatti,
je lo vojo scoccià mentre lo covo...
Anzi, pe' fa' le cose co' giudizzio,
lo tengo in corpo e chiudo l'esercizzio!

Er Gallo e er Cane

Prima che spunti er sole
la mattina abbonora, quanno er celo
arissomija un tantinello ar mare,
quanno che l'aria pare
ch'odori de viole,
er Gallo arza la testa,
sgrulla la cresta e fa: chicchirichì.
Una matina, un Cane, ner sentì
l'aritornello solito, je disse:
Zitto! chè se er padrone te sentisse
te tirerebbe er collo! Nu' lo sai
ch'er mi' padrone è un omo ricco assai?
Nun ha bisogno mica
d'arzasse accusì presto, capirai:
È tanto stracco! È stato co' l'amica!...
Io - fece er Gallo - canto solamente
pe' svejà chi lavora, chi fatica,
chi se guadagna er pane onestamente.
Lo vedi er campagnolo,
er vignarolo, l'ortolano? Stanno
già in piedi e se ne vanno
tutti contenti a lavorà in campagna:
se questi qui nun s'arzeno, er padrone
co' tutti li quatrini mica magna!
Io canto espressamente, e Dio ne guardi
se 'sta povera gente
se svejasse più tardi!
Ahó? Nun me fa' tanto er socialista,
je disse er Cane - intanto nun m'incanti:
nun m'hai da di' che canti cór pretesto
de svejà chi fatica e chi lavora;
piuttosto di' così: - Canto abbonora
perché la sera vado a letto presto!

L'uguaglianza

Fissato ne l'idea de l'uguajanza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo 'sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch'io stia fra la monnezza d'un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-

L'Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa' amicizzia? So' disposta:
ma nun pretenne che m'abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l'ale e viettene per aria:
se nun t'abbasta l'anima de fallo
io seguito a fa' l'Aquila e tu er Gallo.

La statistica

Sai ched'è la statistica? È 'na cosa
che serve pe' fa' un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.

Ma pe' me la statistica curiosa
è dove c'entra la percentuale,
pe' via che, lì, la media è sempre eguale
puro co' la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all'anno:

e, se nun entra ne le spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perché c'è un antro che ne magna due.

Er compagno scompagno:
Io che conosco bene l'idee tue
so' certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me... Semo compagni.

No, no - rispose er Gatto senza core -
io non divido gnente co' nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so' conservatore.

Trilussa

Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (Roma, 26 ottobre 1871 – 21 dicembre 1950), è stato un poeta italiano, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco che, a un secolo di distanza da Giuseppe Gioachino Belli (Roma 1791-1863), contribuì a elevare a lingua letteraria.

Dopo un'infanzia poverissima (a tre anni era rimasto orfano del padre), compì studi irregolari e debuttò giovanissimo (1887), con poesiole romanesche, su Il Rugantino di Luigi Zanazzo; più tardi scrisse anche per il Don Chisciotte, il Capitan Fracassa, Il Messaggero e Il Travaso delle idee. Da non dimenticare la famosa "Vispa Teresa".

Di carattere manierato, provinciale e madrigalesco è il primo volume di versi, Le Stelle de Roma (1889) che si attirò gli strali di Filippo Chiappini, vecchio amico di famiglia e poeta romanesco di un certo valore; poi la sua vena, prevalentemente satirica, andò via via affinandosi, trovando la misura più congeniale nel bozzetto di costume e nella favola moraleggiante di ascendenza esopiana: Quaranta sonetti (1895), Favole romanesche (1900), Caffè concerto (1901), Er serrajo (1903), Ommini e bestie (1908), Le storie (1915), Lupi e agnelli (1919), Le cose (1922), La gente (1927) e molte altre.

Ben presto le sue opere lo resero un personaggio popolarissimo, ma durante la sua vita fu sempre assillato da problemi economici, mantenendosi con i proventi editoriali e le collaborazioni giornalistiche; era anche un efficace dicitore dei suoi versi, e come lettore di poesia fece lunghe tournée in Italia e all'estero. Sulla scia del successo iniziò a frequentare i "salotti" nel ruolo di poeta-commentatore del fatto del giorno. Durante il Ventennio evitò di prendere la tessera del Partito Fascista, ma preferì definirsi un non fascista piuttosto che un antifascista. Pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni e improntati a reciproco rispetto.

Nel 1922 la Mondadori iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte. Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1° dicembre 1950, venti giorni prima che morisse; già da tempo malato, e presago della fine imminente, ma con immutata ironia, il poeta commentò: "M'hanno nominato senatore a morte". La raccolta di Tutte le poesie uscì postuma, nel 1951, a cura di Pietro Pancrazi, e con disegni dell'autore.

Con un linguaggio arguto, appena increspato dal dialetto borghese, Trilussa ha commentato circa cinquant'anni di cronaca romana e italiana, dall'età giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti. Ma la satira politica e sociale, condotta d'altronde con un certo scetticismo qualunquistico, non è l'unico motivo ispiratore della poesia trilussiana: frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata, qua e là corretta dai guizzi dell'ironia, sugli amori che appassiscono, sulla solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia (i modelli sono, in questo caso, Lorenzo Stecchetti e Guido Gozzano).

La chiave di accesso e di lettura della satira del Trilussa si trovò nelle favole. Come gli altri favolisti, anche lui insegnò o suggerì, ma la sua morale non fu mai generica e vaga, bensì legata ai commenti, quasi in tempo reale, dei fatti della vita. Non si accontentò della felice trovata finale, perseguì il gusto del divertimento per sè stesso già durante la stesura del testo e ovviamente anche del lettore a cui il prodotto veniva indirizzato.

Trilussa fu il terzo grande poeta dialettale romano comparso sulla scena dall'Ottocento in poi: se Belli con il suo realismo espressivo prese a piene mani la lingua degli strati più popolari per farla confluire in brevi icastici sonetti, invece Cesare Pascarella (Roma 1858-1940) propose la lingua del popolano dell'Italia Unita che aspira alla cultura e al ceto borghese inserita in un respiro narrativo più ampio. Infine Trilussa ideò un linguaggio ancora più prossimo all'italiano nel tentativo di portare il vernacolo del Belli verso l'alto. Trilussa alla Roma popolana sostituì quella borghese, alla satira storica l'umorismo della cronaca quotidiana.

Nella cultura popolare, specialmente a Roma e dintorni, le opere di Trilussa sono diventate fonti di massime e detti, ma nessuno di questi ha superato come diffusione e notorietà quello del "pollo di Trilussa", diventato celebre a livello matematico, e non solo, come la più proverbiale osservazione a proposito delle medie statistiche. Di fatto il componimento di Trilussa non fa altro che affermare che se qualcuno mangia due polli, e qualcun altro no, in media hanno mangiato un pollo a testa, anche se di fatto sappiamo che uno non l'ha mangiato. La scelta del pollo va inserita nel contesto storico, in quanto ai tempi di Trilussa mangiare pollo era considerata "una cosa da ricchi", ma anche se oggi, 2009, in Italia la situazione è diversa il significato del ragionamento umoristico non cambia. Quindi sebbene facendo la media sulla popolazione potesse risultare che ogni persona mangia un pollo (quindi abbia un certo benessere) nella realtà potrebbero essere in molti a non poterselo permettere e il dato sarebbe ingrossato dal consumo della fascia di popolazione più ricca.

Con questa poesia Trilussa anticipa un tema che è diventato assai attuale con la diffusione dell'informazione statistica per fini di promozione politica, economica e non solo. Come infatti sosteneva Darrell Huff nel suo Mentire con le statistiche (How to Lie with Statistics) spesso il numero statistico, magari privo di informazioni dettagliate, può essere interpretato in modi diverso a seconda dei dati correlati. Così la media è un dato spesso poco significativo o addirittura fuorviante se non si sa esattamente su quale base è calcolata e con quali criteri è definita: e questa imprecisione, a volte, può essere voluta, con lo scopo intenzionale di ingannare. Casi del genere hanno portato con il tempo a modifiche sull'uso di dati statistici, ad esempio per misurare il reddito medio di una certa nazione, che può risultare elevato grazie alla presenza di pochi individui multimiliardari a fronte di una massa di persone sotto la soglia di povertà.

Segnalazioni di Giulia Grazi