I promessi sposi - capitolo III

edizione riveduta e corretta del 1840-42
di Alessandro Manzoni - Milano 1785-1873


I capponi per l'Azzeccagarbugli

Lucia racconta di aver già incontrato don Rodrigo e che egli l'aveva molestata con chiacchiere. Padre Cristoforo, il suo confessore, le aveva consigliato di accelerare le nozze con Renzo. Agnese consiglia a Renzo e a Lucia di rivolgersi all'avvocato Azzeccagarbugli con queste parole.

- Sentite, figliuoli; date retta a me, - disse, dopo qualche momento, Agnese. - Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia.

- Lo conosco di vista, - disse Renzo.

- Bene, - continuò Agnese - quello è una cima d'uomo! Ho visto io più d'uno ch'era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l'ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.

Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.

Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli fu indicata, e v'andò. All'entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d'un signore e d'un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch'egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: - date qui, e andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l'accolse umanamente, con un - venite, figliuolo, - e lo fece entrar con sé nello studio.

Riassunto del capitolo III

Lucia racconta l’incontro con don Rodrigo – Lucia entrò nella stanza terrena mentre Renzo stava informando Agnese, e, con voce rotta dal pianto, raccontò come pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia di un altro signore, e aveva cercato di intrattenerla con chiacchiere non punto belle. Essa allora aveva affrettato il passo, raggiungendo le compagne; ma aveva sentito quell’altro signore ridere forte e don Rodrigo dire: «scommettiamo». Il giorno dopo coloro s’erano trovati ancora sulla strada, ma essa era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi, e l’altro signore sghignazzava e don Rodrigo diceva: «vedremo, vedremo». Per grazia del cielo, quel giorno era l’ultimo della filanda. Essa aveva taciuto ogni cosa a sua madre, per non contristare la buona donna, per non mettere a rischio di viaggiare per molte bocche una storia che doveva esser gelosamente sepolta e che le nozze avrebbero troncata. Aveva però raccontato tutto in confessione al padre Cristoforo, ed egli le aveva consigliato di affrettare le nozze il più possibile e, nel frattempo, di starsene rinchiusa e di pregare il Signore. Fu allora che essa aveva pregato Renzo di concludere prima del tempo stabilito…

Propositi di vendetta di Renzo – Le parole di Lucia furono troncate da un violento scoppio di pianto, mentre Renzo, correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il manico del suo coltello, gridava il suo proposito di volersi vendicare di don Rodrigo («Questa è l’ultima che fa quell’assassino!»). Lucia, tentando di calmare il giovane, propose di andare a stabilirsi lontano, dove colui non sentisse più parlare di loro; ma Renzo obbiettò che il curato non avrebbe dato loro la fede di stato libero, mentre, una volta maritati, tutto sarebbe stato più facile.

Il consiglio di Agnese – Dopo qualche momento Agnese prese a dire che il diavolo non è poi tanto brutto quanto si dipinge, e che il consiglio di un uomo che ha studiato avrebbe certo potuto aiutarli a trarsi d’imbarazzo. Essa propose a Renzo di recarsi a Lecco, da un certo dottore soprannominato Azzecca-garbugli (ma, per l’amor del cielo, non lo chiamasse così, ché questo era un soprannome!), una cima d’uomo, che aveva liberato molti da ben altri imbrogli. Renzo abbracciò molto volentieri questo parere, e Agnese, levati dalla stia quattro capponi, ai quali avrebbe dovuto tirare il collo per il banchetto di domenica, li consegnò al giovane perché da quei signori non bisognava mai andare con le mani vuote. Renzo uscì dalla parte dell’orto, per non essere veduto dai ragazzi, che gli sarebbero corsi dietro gridando: «Lo sposo! Lo sposo!» e, mentre attraversava i campi, ripensando alla sua disgrazia, andava agitando quelle povere bestie secondo i pensieri che gli passavano a tumulto per la mente.

Renzo dal dottor Azzeccagarbugli – Giunto al borgo, Renzo si fece indicare l’abitazione del dottor Azzecca-garbugli. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Essa, adocchiate le bestie, mise subito loro le mani addosso, benché Renzo si tirasse indietro, perché voleva che il dottore vedesse che egli portava qualche cosa. Questi capitò appunto mentre la donna diceva: «Date qui e andate innanzi», e con un «venite, figliolo», lo fece entrare nello studio. Renzo, ritto davanti al tavolo gremito di carte, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girare con l’altra, cominciò col chiedere se, a minacciare un curato perché non faccia un matrimonio, ci sia penale. Il dottore, credendo che la minaccia l’avesse fatta Renzo, disse che era un caso serio, contemplato in cento gride, e, cacciate le mani in quel caos di carte che aveva sul tavolo, ne prese una, la spiegò, e, tenendola sciorinata in aria, cominciò a leggere. Era una grida del 15 ottobre 1627, emessa dal governatore di don Gonzalo Fernandez de Cordova, che minacciava pene terribili contro tutti i prepotenti, compresi quelli che avessero tentato di impedire un matrimonio. Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover essere il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si meravigliava, e, ritenendo che egli fosse il colpevole, gli domandò perché si era fatto tagliare il ciuffo. Per intendere questa uscita, bisogna sapere che a quel tempo i bravi e i facinorosi d’ogni genere usavano portare un lungo ciuffo, che si tiravano poi sul volto, come una visiera, quando affrontavano qualcuno o stimavano necessario di travisarsi. Poiché Renzo, sorpreso, rispose che da povero figliuolo non aveva mai portato ciuffo in vita sua, il dottore, sempre convinto che egli fosse il colpevole, lo esortò a dire tutta la verità, poiché all’avvocato bisogna raccontare le cose chiare, a lui poi tocca imbrogliarle. Quando Renzo ebbe capito in quale equivoco era caduto il dottore, lo interruppe, dichiarando che la cosa era proprio tutta al rovescio, e che egli non aveva minacciato nessuno, ma che la bricconeria l’avevano fatta a lui e che egli era venuto per ottenere giustizia. Espose quindi il suo caso, nominando quel prepotente di don Rodrigo… Il dottore, sentendo pronunziare il nome di don Rodrigo, aggrottò le ciglia, aggrinzì il naso rosso, e, storcendo la bocca, dichiarò che non voleva sentire di quelle fandonie e che se ne lavava le mani. Poi spinse Renzo verso l’uscio, chiamò la serva e le ordinò di restituirgli i capponi. Renzo, più attonito e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate e ritornare al paese per raccontare alle donne il bel costrutto della sua spedizione.

Fra Galdino – Le donne, durante l’assenza di Renzo, dopo essersi tristemente levate il vestito delle feste, si erano messe a consultare di nuovo sul partito da prendere. Agnese parlava dei grandi effetti che si dovevano sperare dai consigli del dottore; ma Lucia diceva che bisognava aiutarsi in tutte le maniere, e che sarebbe stata una gran bella cosa far sapere a padre Cristoforo ciò che era accaduto. Mentre studiavano il modo di mettere in opera questo disegno, poiché esse in quel giorno non si sentivano il coraggio di andare al convento, distante di là forse due miglia, capitò per buona sorte fra Galdino, un laico cercatore cappuccino, che veniva alla cerca delle noci. Egli, dopo essersi lamentato per la scarsità dell’annata, prese a raccontare il gran miracolo delle noci, operato da padre Macario. Un giorno il padre Macario, passando attraverso il campo di un benefattore, lo vide intento ad abbattere un noce, che da tempo non produceva più frutti. Il buon padre esortò il benefattore a lasciare intatta la pianta, che in quell’anno medesimo avrebbe fatto più fiori che foglie. Il benefattore accondiscese e promise metà della raccolta per il convento. Infatti il noce fece in quell’anno noci a bizzeffe; ma il benefattore, prima di bacchiarle, morì, e il figlio, che era di stampo ben diverso, non solo non tenne fede alla promessa paterna, ma ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci. Un giorno, però, quello scapestrato, che si vantava coi suoi amici del suo bel gesto, volle mostrar loro quello sterminato mucchio di noci; ma ebbe l’amara sorpresa di vedere, al posto delle noci, un bel mucchio di foglie secche. Da allora il convento raccolse ogni anno noci senza fine, e ne faceva tanto olio, che ogni povero veniva a prenderne: perché i conventi dei cappuccini sono come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi. Frattanto Lucia, che era passata nell’altra stanza per prendere le noci, ritornò col grembiule così carico, che Agnese le fece un volto attonito e severo per la sua prodigalità. Quindi Lucia pregò il frate di far sapere a padre Cristoforo che aveva gran premura di parlargli. Partito fra Galdino, Agnese biasimò la figlia per aver fatto una così abbondante elemosina, ma Lucia si giustificò, rispondendo che soltanto in quel modo il frate sarebbe tornato più presto al convento; e Agnese che, coi suoi difettucci, era una gran buona donna e si sarebbe buttata nel fuoco per quell’unica figlia, l’approvò.

Ritorno di Renzo – Frattanto tornò Renzo, che, gettati i capponi sul tavolo, raccontò il suo abboccamento col dottore. Agnese, stupefatta, avrebbe voluto dimostrare che il suo parere era buono e che Renzo non doveva aver saputo fare la cosa come andava fatta; ma Lucia troncò la discussione, dicendo che sperava di aver trovato un aiuto migliore. Renzo accolse anche questa speranza, come accade a quelli che sono nella sventura o nell’impiccio; ma esclamò che, se non si fosse trovato un ripiego, avrebbe saputo farsi ragione da solo. Le donne consigliarono la pace, la pazienza, la prudenza; e, poiché incominciava a imbrunire, si separarono tristemente, augurandosi la buona notte. Renzo, col cuore in tempesta, se ne tornò verso casa, ripetendo tra sé: «A questo mondo c’è giustizia finalmente!». Tant’è vero – commenta il Manzoni – che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica.