Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey
3° esercizio - La parte superiore dell'utero della gallina o ovaio
L'asterisco
* indica che la voce è presente nel lessico
[184]
EXERCITATIO TERTIA. |
3°
esercizio |
UTERUS
gallinae a Fabricio dividitur in superiorem et, inferiorem:
superiorem, ovarium nominat. |
L'utero
della gallina da Fabrizi* viene diviso in superiore e inferiore: il
superiore lo chiama ovaio. |
Locus ovarii
positus est statim infra iecur ad spinam, supra arteriam magnam
descendentem. Quo enim loco, in maioribus animalibus sanguineis,
arteria coeliaca mesenterium ingreditur, ad exortum nempe venarum
emulgentium, vel paulo inferius; et quo loco, caeteris animalibus
sanguineis et viviparis, vasorum praeparantium, ad testiculos
tendentium, exortus est; et ubi gallus suos testiculos gerit, ibi
etiam gallinae ovarium reperitur. Quaedam enim animalia testiculos
foris, alia intus ad lumbos gerunt; media quasi ab origine
praeparantium intercapedine. Gallus vero ad ipsum eorundem exortum
suos habet: quasi ipsius genitura praeparatione nulla indigeret. |
La
sede dell'ovaio si trova subito sotto al fegato in vicinanza della
colonna vertebrale, sopra la grande arteria discendente - aorta.
Infatti in questa sede, negli animali più grandi dotati di sangue,
l'arteria celiaca entra nel mesentere, ossia in vicinanza
dell'uscita delle vene deferenti o poco più sotto, e in questa sede
negli altri animali dotati di sangue e vivipari si trova l'origine
dei vasi sanguigni che si predispongono a dirigersi verso i
testicoli; e dove il gallo ha i suoi testicoli, qui pure si trova
l'ovaio della gallina. Infatti alcuni animali hanno i testicoli
all'esterno, altri li hanno all'interno vicino ai lombi, quasi a metà
strada dall'origine dei vasi che si predispongono a dirigersi verso
i testicoli. Ma il gallo ha i suoi testicoli in vicinanza
dell'origine di tali vasi, come se il suo sperma non avesse alcun
bisogno di alcuna preparazione. |
Aristoteles
dicit[1],
ad septum transversum ovum inchoari. Nos
autem, inquit Fabricius, in
respirationis tractatu, negavimus pennata septum obtinere. Solvitur
dubium, pennata septo prorsus non destitui; quia membranam habent
tenuem loco septi [185]
positam, quam Aristoteles cinctum et septum appellavit: sed non
habent septum, quod musculus sit, et ad respirationem conferat; ut
alia animalia. Aristoteles autem musculum non agnovit. |
Aristotele
dice che l'uovo prende origine in vicinanza del setto trasverso -
del diaframma. Fabrizi dice: «Ma io, nel trattato sulla respirazione, ho negato che i pennuti
posseggono un diaframma. Il dubbio viene sciolto: i pennuti non sono
completamente privi di diaframma, in quanto posseggono una sottile
membrana là dove si trova il diaframma, che Aristotele chiamò
cintura e setto; ma non posseggono, come gli altri animali, un setto
costituito da muscolo e che serva alla respirazione. In effetti
Aristotele non era a conoscenza di un muscolo.» |
Ita eodem
halitu culpam, quam summo philosopho afflaverat, difflat: ipsemet
vero erroris haud immunis. Quippe certum est, et Aristotelem
musculos agnovisse (ut alibi a nobis observatum, et demonstratum
est); et membranas in avibus (non modo transversim positas ad
cinctum corporis, sed et secundum ventris longitudinem protensas)
vicem diaphragmatis subire, et ad respirationem conferre; ut alibi
in exercitationibus de respiratione animalium luculenter probavimus.
Et, ut alia nunc taceam, avis, prae caeteris animalibus, non modo
facillime respirat, sed vocem etiam in cantu diversimode modulatur:
cum tamen eius pulmones lateribus et costis adeo affixi sint, ut
parum admodum dilatari, assurgere, et contrahi possint. |
Così
con lo stesso soffio disperde la colpa che aveva soffiato sul sommo
filosofo: egli stesso - Fabrizi - non era immune da un errore.
Infatti è cosa certa sia che Aristotele conobbe i muscoli (come da
me in un punto è stato osservato e dimostrato), sia che negli
uccelli le membrane (non solo disposte trasversalmente a fare da
cintura al corpo, ma anche disposte secondo la lunghezza
dell'addome) fanno le veci del diaframma e contribuiscono alla
respirazione, come ho abbondantemente dimostrato in un punto degli
esercizi sulla respirazione degli animali. E, per non parlare adesso
di altre cose, l'uccello, rispetto agli altri animali, non solo
respira assai facilmente, ma modula anche la voce nel canto in modi
diversi, anche se tuttavia i suoi polmoni sono talmente attaccati ai
fianchi e alle coste da riuscire a dilatarsi, a sollevarsi e a
contrarsi assai poco. |
Quin etiam (quod
tamen a nemine hactenus observatum memini) earum bronchia, sive
asperae arteriae fines, in abdomen perforantur, aeremque inspiratum
intra cavitates illarum membranarum recondunt. Quemadmodum pisces,
et serpentes intra amplas vesicas in abdomine positas eundem
attrahunt et reservant; eoque facilius natare existimantur: et ut
ranae ac bufones, cum aestate vehementius respirant, aeris plus
solito in vesiculas numerosissimas absorbent (unde earum tam ingens
tumor) quo eundem postea in coaxatione liberaliter expirent: ita in
pennatis, pulmones potius transitus et via ad respirationem videntur,
quam huius adaequatum organum. Quod si a Fabricio observatum esset,
non negasset membranas illas (saltem cum musculorum ventris
adminiculo) respirationi inservire et diaphragmatis officium
praestare: cum hoc, non sine musculorum ventris adminiculo,
instrumentum respiratorium sit; aliudque ei munus incumbat in iis,
quibus carnosum sive musculosum contigit. Nimirum, ut ventriculum
cibo turgidum, et [186] intestina faecibus flatuque distenta
deprimat; ne cor et pulmones ab eorum ingressu patiantur angustias,
vitaeque penetralia opprimantur. Cuius periculi cum in avibus nullus
sit metus, septum membraneum iis donatum est, respirationis usibus
valde accommodum: ideoque diaphragma habere merito dicuntur.
Quinetiam licet aves diaphragmate penitus destituerentur, non
propterea tamen reprehendendus foret Aristoteles, dum ova ad septum
transversum inchoari scribit: quippe hoc nomine locum duntaxat
designat, ubi diaphragma in aliis animalibus reperiri solet.
Quemadmodum nos etiam dicimus ovarium esse ad exortum vasorum
spermaticorum praeparantium; licet gallina vasis his praeparantibus
careat. |
Ma
anzi (non ricordo che finora ciò sia stato osservato da qualcuno) i
loro bronchi, o piccole arterie rugose, trapassano nell'addome e
immagazzinano l'aria inspirata dentro alle cavità di quelle
membrane - i sacchi aerei. Allo stesso modo i pesci e i serpenti la
attraggono e la conservano dentro a grosse vesciche poste
nell'addome, e per questo si pensa che nuotano più facilmente, e
come le rane e i rospi, dal momento che in estate respirano con
maggiore energia, inghiottono più aria del solito in numerosissime
piccole vesciche (da cui deriva il loro così spiccato gonfiore) per
emetterla successivamente in abbondanza quando gracidano. Così nei
pennuti i polmoni sembrano essere più un transito e una via per la
respirazione anziché un organo adeguato per questo scopo. Se ciò
fosse stato osservato da Fabrizi, non avrebbe negato che quelle
membrane (perlomeno con l'aiuto dei muscoli dell'addome) servono
alla respirazione e svolgono il ruolo di diaframma, dal momento che
questo, non senza l'aiuto dei muscoli dell'addome, è lo strumento
della respirazione, e che a esso spetta un altro compito in quegli
animali ai quali è toccato di averlo carnoso o muscoloso. Appunto,
per spingere verso il basso lo stomaco gonfio di cibo e gli
intestini distesi dalle feci e dai gas, affinché il cuore e i
polmoni non soffrano difficoltà derivanti dal loro ingresso e le
parti vitali interne non vengano soffocate. Dal momento che negli
uccelli non esiste alcun timore di siffatto pericolo, a loro è
stato assegnato un setto membranoso, estremamente adatto agli
impieghi della respirazione, e pertanto giustamente si dice che
posseggono un diaframma. Anzi, anche se gli uccelli fossero
completamente sforniti di diaframma, tuttavia Aristotele non per
questo dovrebbe essere criticato quando scrive che le uova prendono
inizio in vicinanza del setto trasverso, siccome con questo termine
designa soltanto un punto in cui negli altri animali abitualmente si
riscontra il diaframma. Così come anche noi diciamo che l'ovaio si
trova in vicinanza del punto d'origine dei vasi spermatici, sebbene
la gallina non possegga il punto d'origine di questi vasi. |
Perforatio
pulmonum, a me inventa (cuius modo memini) haud obscura et caeca
est; sed, in pennatis praesertim, patula admodum; adeo ut in
struthiocamelo meatus plurimos repererim, qui digitorum meorum
apices facile exciperent. In gallo Indico et gallinaceo ipso,
omnibusque fere pennatis, immisso in tracheam stilo, transitus e
pulmonibus in cavitates abdominis apertos et patentes invenias. Aer,
in eorum pulmones follium opera inspiratus, non sine impetu ad
inferiora pertransit. |
La
perforazione dei polmoni da me scoperta (della quale faccio
solamente menzione) non è assolutamente tenebrosa e segreta, ma,
soprattutto nei pennuti, assai accessibile, tant'è che in uno
struzzo ho trovato moltissime aperture che facilmente accoglievano
l'apice delle mie dita. Nel tacchino e così pure nel gallo, e in
quasi tutti i pennuti, dopo aver introdotto uno stilo in trachea,
troveresti un passaggio che dai polmoni porta in cavità dell'addome
che sono evidenti e manifeste. L'aria, insufflata nei loro polmoni
servendosi di mantici, si diffonde piuttosto velocemente nelle parti
inferiori. |
Imo vero
dubitare liceat, an non in homine etiam, dum vivit, aer per dictos
meatus in thoracis cavitatem penetret. Quomodo enim aliter,
empyicorum pus, et pleuriticorum extravenatus sanguis illac effluant;
in vulneribus pectoris (illaesis etiam pulmonibus) aer per vulnus
foras erumpat; aut liquores in cavitatem pectoris iniecti, cum sputo
reddantur? Verum hac de re alibi, in exercitationibus nostris, de
respirationis causis, organis, et usu, plane pleneque dictum est. |
In
verità non converrebbe assolutamente
dubitare che anche nell'uomo, mentre vive, l'aria non penetra
attraverso le suddette aperture nella cavità toracica. Infatti in
che modo altrimenti il pus degli empiematosi e il sangue dei
pleuritici uscito dalle vene ne uscirebbero; nelle ferite del petto
(pur coi polmoni illesi) l'aria uscirebbe all'esterno attraverso la
ferita; oppure i liquidi iniettati nella cavità toracica verrebbero
restituiti con lo sputo? In verità su questo argomento si è
chiaramente ed ampiamente disquisito nei miei esercizi relativi alle
cause, agli organi e all'uso della respirazione. |
Redeo ad
ovarium, et superiorem uteri gallinae partem; in qua ovorum
rudimenta inchoantur; quae initio (secundum Aristotelem[2])
minuta sunt et candida; adaucta postea, lutea et flava conspiciuntur. |
Ritorno
all'ovaio e alla parte superiore dell'utero della gallina in cui
hanno inizio gli abbozzi delle uova, le quali inizialmente (secondo
Aristotele) sono assai piccole e bianche; successivamente, quando
sono aumentate, appaiono gialle e dorate. |
[187] Uterus
Fabricii superior revera nullus est, nisi postquam gallina concepit
et ovorum primordia in se habet; quae merito congeriem papularum
dixeris. Ideoque rectissime ait: Superior
matrix nil aliud est, quam infinita propemodum vitellorum multitudo,
quae in uno veluti acervo conglobata conspicitur, rotundae figurae,
et cuiusvis magnitudinis, in qua a minimo ad maximum ea intercedit
differentia, quae est a grano sinapis ad fructum fere nucis
iuglandis aut mespili. Haec vitellorum multitudo simul quasi
racematim apposita, collecta, et coniuncta est: ob quam causam ego
perpetuo vitellarium, aut potius vitellorum racemum appellabo; quia
uvarum racemo quam simillima est. Quod et Aristoteles de mollibus
dixit[3], cum ait: reddunturque ova eorum glutino cohaerentia ad speciem uvae.
Etenim sicuti in racemo, uvae seu acini, sunt tum maiores, tum
minores, tum minimi, singuli suo pediolo appensi; sic in proposito
vitellorum racemo videre est. |
L'utero
superiore di Fabrizi in verità esiste solo dopo che la gallina ha
concepito e contiene dentro di sé gli abbozzi delle uova, che
giustamente potresti chiamare ammasso di pustole. Pertanto molto
giustamente dice: «L'utero superiore altro non è che una
moltitudine quasi infinita di tuorli che si presenta radunata come
in un solo cumulo, dotati di forma rotonda e di qualsiasi grandezza
che oscilla da un minimo a un massimo compreso tra un granello di
senape* e all'incirca un frutto del noce o del nespolo*. Questa
moltitudine di tuorli è disposta, raccolta e riunita quasi come un
grappolo, motivo per cui la chiamerò sempre vitellarium oppure
vitellorum racemus - grappolo di tuorli, in quanto è
estremamente simile a un grappolo d'uva. E lo disse anche Aristotele
a proposito dei molluschi quando afferma: le loro uova vengono
riunite da un legame a somiglianza dell'uva. E infatti come in un
grappolo d'uva gli acini sono talora più grandi, talora più
piccoli, talora piccolissimi, ciascuno appeso al proprio picciolo,
altrettanto è possibile vedere nel descritto grappolo di tuorli.» |
At vero in
piscibus, ranis, crustatis, et cochleis res aliter se habet. Haec
enim ova eiusdem omnia magnitudinis in se continent; quae foras
emissa, simul augentur, perficiuntur, et foetus excludunt. In
gallinae autem ovario, reliquorumque oviparorum fere omnium, varia
admodum vitellorum incrementa cernuntur, a quantitate propemodum
invisibili ad consummatam magnitudinem: licet ova gallinarum (non
aliter, quam eorum, quae ova sua omnia simul et concipiunt et
pariunt) in eodem nido foetus suos ab incubationis fotu fere simul
excludant. In columbino tamen genere (quae bina solum ova uno nido
reponunt et incubant) observavi, omnia ova in ovario congesta,
uniusmodi esse magnitudinis, praeter bina illa caeteris longe maiora,
et iam ad descensum in secundum uterum parata. Ut in his numerosi
foetus proveniant, non partus multitudine, sed frequentia; singulis
nempe mensibus. Similiter in piscibus cartilagineis; [188] ut raia,
pastinaca, canicula etc. bina duntaxat ova simul maturantur, et
utrinque a dextro et sinistro cornu descendentia, in utero inferiore
foventur, excluduntque foetus vitales (ut viviparis contingit): in
ovario tamen infinitus pene ovorum numerus, diversarumque
magnitudinum reperitur; in raia supra centum numeravi. |
Ma
in verità nei pesci, nelle rane, nei crostacei e nelle lumache le
cose stanno diversamente. Infatti questi animali contengono al loro
interno delle uova che sono tutte della stessa grandezza, le quali,
dopo essere state emesse all'esterno, contemporaneamente aumentano
di dimensioni, si perfezionano e fanno schiudere i feti. Invece
nell'ovaio della gallina e di quasi tutti gli ovipari si vedono
assai differenti aumenti dei tuorli, a partire da una dimensione
quasi invisibile fino a una grandezza definitiva. Sebbene le uova
delle galline (non diversamente da quelle degli animali che
contemporaneamente concepiscono e partoriscono tutte le loro uova)
quasi contemporaneamente facciano schiudere nello stesso nido i loro
feti grazie al riscaldamento dell'incubazione. Tuttavia nel genere
dei colombi (che depongono e covano solo due uova in un solo nido)
ho osservato che tutte le uova ammassate nell'ovaio sono di una sola
grandezza, eccetto quelle due molto più grandi delle altre e già
pronte a scendere nel secondo utero. Affinché in questi uccelli
nascano numerosi feti, la soluzione non sta nella moltitudine dei
figli partoriti, ma nella frequenza con cui vengono partoriti: cioè
ogni mese. Allo stesso modo nei pesci cartilaginei, come la razza,
la pastinaca, lo squalo etc., maturano contemporaneamente solo due
uova e, scendendo da ambo i lati dal corno uterino destro e
sinistro, vengono nutrite nell'utero inferiore e nascono dei feti
vitali (come accade nei vivipari). Tuttavia nell'ovaio si rinviene
quasi un numero infinito di uova e di grandezza diversa. Nella razza
ne ho contate più di cento. |
Caeterorum
autem oviparorum ova, foris, vel perficiuntur, ut piscium; vel
concoquuntur, ut cochlearum, crustatorum, et aranearum. Et cochleae
quidem sua ova reponunt in spuma; crustata (ut squillae, gammari,
astaci) pinnis adhaerentia circumferunt; aranea vero, tanquam in
sportula ex tela sua constructa, secum gestat et fovet. Scarabeus
ova sua fimo (pedibus posterioribus obvolvendo) circumcludit et
reponit. In iis autem omnibus, ovorum copia incredibilis cernitur.
Pisces, duas quasi vesicas oblongas sive folliculos nacti sunt: ut
videre est in cyprino, halece, et viola[4],
quam nostrates smelt
vocant; in quibus omnibus, ut nullus cernitur uterus, praeter
ovarium; ita hoc ovis aliquando adeo refertum est, ut reliqui
corporis molem facile exsuperet. |
Invece
le uova degli altri ovipari o vengono perfezionate esternamente,
come quelle dei pesci, oppure vengono fatte maturare come quelle
delle lumache, dei crostacei e dei ragni. E le lumache depongono le
loro uova nella bava, i crostacei (come le squille, i gamberi, i
granchi) le portano in giro aderenti alle pinne, il ragno le porta
con sé e le riscalda come in una piccola cesta costruita con la sua
ragnatela. Lo scarabeo (avvolgendole con i piedi posteriori)
circonda le sue uova con il letame e le seppellisce. In tutti questi
animali si scorge un'incredibile abbondanza di uova. I pesci sono
dotati come di due vesciche oblunghe o sacchetti, come è possibile
vedere nella carpa, nell'aringa e nello sperlano, che i nostri
chiamano smelt - Osmerus eperlanus; in tutti loro,
siccome non si vede alcun utero eccetto l'ovaio, allora l'ovaio è
talora talmente ricolmo di uova da superare facilmente le dimensioni
del restante corpo. |
Ex
eiusmodi mugilum, et cyprinorum ovariis sale conditis, in massam
coactis, fumoque induratis, fit edulii genus a Graecis et Italis
magnopere expetitum (botarcha[5]
ab his appellatum, a Graecis ὠὰ
τάριχα,
id est ova salita) quale in ventre nostrorum heringorum infumatorum,
et astacorum intus granulatim compactum rubrumque reperitur. Quod ex
sturionum ovis salitis fit, caviaro dicitur, et saponem nigrum
refert; gulonum delitiae. |
Da
siffatte ovaia salate, compresse e affumicate dei muggini e delle
carpe, si prepara un tipo di cibo assai ricercato dai Greci e dagli
Italiani (da questi detto botarcha - bottarga, dai Greci øà táricha,
cioè, uova salate) come quello che si rinviene nel ventre delle
nostre aringhe affumicate e all'interno dei granchi, granuloso,
compatto e rosso. Quello che viene ottenuto dalle uova salate degli
storioni viene detto caviale e sembra un sapone nero; delizie dei
ghiottoni. |
In omnibus
piscibus (quibus numerosa proles contingit) ovorum tanta copia
generatur, ut tota ventris capacitas vix ea recenter concepta, multo
minus aucta, continere valeat. Ideoque in piscibus, praeter ovarium,
nulla alia pars generationi dicata est. Horum enim ova foris
incrementum sumunt, nec [189] utero ad hanc rem opus est. Videturque
ovarium hoc testiculis aut vesicis seminalibus analogon: non solum,
quod eo in loco reperiatur, in quo maribus testiculi nasci solent (nimirum,
testiculi in gallo siti sunt, ut diximus, iuxta ingressum arteriae
coeliacae, prope cinctum corporis; ibidemque in gallina ovarium
reperitur); sed etiam, quia, in utroque piscium sexu, generationis
tempore, duo folliculi per totum ventrem ducti, situ, figura, et
magnitudine pares insunt; qui, simul adaucti, replentur, in mare
quidem, materia similari, spermatica, lactea (unde lac piscium
dicitur); in foemina vero, granulis innumeris, prae exiguitate visum
effugientibus; adeo ut in conceptionis principio (propter arctam
eorum compaginem) corpus similare, et tanquam maris lac regulate
coagulatum, appareant: posteaque tanquam minimae arenulae invicem
intra folliculum cohaerentes videantur. |
In
tutti i pesci (che hanno una prole numerosa) si genera una così
grande abbondanza di uova che tutta quanta la capienza del ventre a
stento è in grado di contenere quelle recentemente concepite, tanto
meno se si sono ingrandite. E pertanto nei pesci nessun'altra parte
oltre all'ovaio è dedicata alla generazione. Infatti le loro uova
si ingrandiscono quando sono all'esterno e a questo scopo non c'è
bisogno dell'utero. E questo ovaio sembra analogo ai testicoli o
alle vescichette seminali: non solo in quanto lo si trova in quel
punto in cui nei maschi sono soliti svilupparsi i testicoli (infatti
nel gallo i testicoli sono posizionati, come ho detto, accanto
all'ingresso dell'arteria celiaca in vicinanza della cintura
corporea, e sempre qui nella gallina si rinviene l'ovaio), ma anche
perché in ambedue i sessi dei pesci, nel periodo riproduttivo, sono
presenti due sacchetti che si estendono in lunghezza attraverso
tutto l'addome, uguali per posizione, aspetto e grandezza. I quali,
accresciutisi insieme, nel maschio si riempiono di materiale simile
allo sperma, al latte (per cui è detto latte dei pesci), invece
nella femmina si riempiono di numerosissimi granuli che a causa
della piccolezza sfuggono alla vista, tant'è che all'inizio del
concepimento (a causa della loro struttura compatta) somigliano a
una struttura simile al latte del maschio perfettamente coagulato, e
successivamente sembrano dei piccolissimi granelli di sabbia che
aderiscono tra loro all'interno del sacchetto. |
In minoribus
avibus (quae quotannis duntaxat semel, et pauciora ova pariunt) vix
ovarium reperias: sed ubi in maribus testiculi siti sunt, ibi in
foeminis, pro ovario, tres aut quatuor bullae (pro numero scilicet
ovorum, quorum sunt primordia) nec minus ipsis marium testiculis
conspicuae, inveniuntur. |
Negli
uccelli più piccoli (che depongono solo una volta all'anno e un
numero piuttosto piccolo di uova) con difficoltà troveresti
l'ovaio. Ma là dove nei maschi ci sono i testicoli, nelle femmine,
invece dell'ovaio, si rinvengono tre o quattro bolle (a seconda del
numero delle uova, delle quali sono gli abbozzi) e non più piccole
dei testicoli stessi dei maschi. |
In serpentum
uteri cornibus (quae sunt instar vasorum spermaticorum in maribus)
prima ovorum rudimenta, ceu totidem globuli filo adalligati,
apparent: ut in mulierum armillis, vel corona precaria, ex orbibus e
succino confectis, fieri solet. |
Nelle
corna dell'utero dei serpenti (che somigliano ai vasi spermatici dei
maschi) si vedono i primi rudimenti delle uova come se fossero
altrettanti globuli legati a un filo, come abitualmente accade nei
braccialetti delle donne, o nel rosario, confezionati con sfere di
ambra gialla. |
Quae
itaque in vitellario reperiuntur, non ova perfecta censenda sunt,
sed horum primordia sive rudimenta; quae in racemo, eo ordine et
magnitudine disposita sunt, ut gallinae singulis diebus ad partum
priori succedat alterum. Nullum autem ovum in ovario cinctum est
albumine, sed vitelli solum reperiuntur; qui, prout e minimorum
congerie sese extulerint, in ambitum prodeunt, ut in fusiori spatio
facilius amplientur. Ideoque [190] Fabricius vere ait[6]:
Vitelli in racemo maiores in
circuitu sunt; minores in medio, ceu a maioribus circundati; denique
minimi omnibus subiecti. Dum enim augescentes maiorem molem
acquirunt, a reliquis separantur: quod dum fit, singuli vitelli,
praeter tunicam propriam, aliam ab ovario mutuantur, quae illos
extrinsecus amplectitur, et fundamento, unde oriuntur, adnectit.
Quare a Fabricio, pediolus sive pedunculus nominatur; quod eius
opera, ut fructus ex arbore, sic vitellus e racemo nutrimentum
hauriat et crescat. Est enim
hic pediolus nexus membraneus cavatus, qui a racemi fundamento ad
vitellum producitur; quem cum contingit, dilatatur, et (perinde ac
nervus opticus in oculo amplificatus) vitellum externa tunica
obducit. Hunc forte[7]
Aristoteles στόλον
ὀμφαλώδην,
i. e. appendiculam umbilicalem, et veluti fistulam nuncupavit.
Pediolus iste secum multa vasa in vitellum deducit, per quem passim
ramificantur. |
Pertanto
quelle che vengono trovate nell'ovaio non sono da ritenere uova
ultimate, bensì i loro abbozzi o rudimenti, che nel grappolo sono
disposti con un ordine e una grandezza tali che ogni giorno nella
gallina uno fa seguito a quello precedente nell'essere partorito.
Nessun uovo nell'ovaio è circondato da albume, ma si rinvengono
solo i tuorli, i quali, non appena saranno diventati più grandi
rispetto alla congerie di quelli assi piccoli, si spingono alla
periferia, in modo da potersi più facilmente ingrandire in uno
spazio più ampio. E pertanto Fabrizi giustamente dice: «Nel
grappolo i tuorli sono più grandi alla periferia, sono più piccoli
nella parte media, ossia circondati da quelli più grandi, infine
quelli piccolissimi si trovano al di sotto di tutti.» Infatti,
mentre ingrandendosi acquisiscono una dimensione maggiore, si
separano dagli altri: mentre ciò accade, i singoli tuorli assumono
dall'ovaio, oltre a una tunica propria, un'altra tunica che li
avvolge dall'esterno e li unisce alla base da cui traggono origine.
Motivo per cui da Fabrizi viene detto picciolo o peduncolo,
in quanto grazie a esso, come un frutto da un albero, così il
tuorlo dal grappolo tragga il nutrimento e si accresca. «Infatti
questo picciolo è una connessione membranosa cava che si estende
dalla base del grappolo al tuorlo, e si dilata quando lo raggiunge,
e (come se fosse il nervo ottico che si è allargato nell'occhio)
circonda il tuorlo con una tunica esterna. Forse Aristotele
l'ha chiamato stólon omphalødën - sporgenza a forma di
ombelico, cioè, appendice ombelicale, e simile a un tubo. Questo
picciolo porta con sé molti vasi sanguigni nel tuorlo, attraverso
il quale si ramificano in tutte le direzioni.» |
Haec quidem a
Fabricio vere dicta sunt; sed fallitur dum ait: Tunica haec, non quidem totum vitellum circundat, sed paulo illum
ultra medietatem comprehendit; perinde ut in glande operculum retro
appositum, calix appellatum; quo fit, ut exterior vitelli portio, a
proposita membrana destituta, conspectui sese offerat sine venis, et
nudata appareat. Ambit enim integrum vitellum; sed in parte
vitelli exteriore, a propria eius tunica non facile distinguitur,
quod ambae tenuissimae sint. In parte autem postica, qua vitellus
racemi fundamento obvertitur, tunica haec vitello non adhaeret, nec
in eum venulas spargit; sed, sacculi instar, solum amplectitur. |
Queste
cose sono state dette da Fabrizi in modo corretto, ma sbaglia quando
dice: «Questa tunica non circonda totalmente il tuorlo, ma
lo avvolge un po' oltre la metà, così come si comporta in una
ghianda il coperchio appoggiato posteriormente, denominato calice;
per cui si verifica che la parte esterna del tuorlo, sfornita della
descritta membrana, si offre allo sguardo senza vene e appare nuda.»
Infatti avvolge tutto quanto il tuorlo, ma in corrispondenza della
parte esterna del tuorlo non si distingue facilmente dalla sua
tunica propria, in quanto ambedue sono estremamente sottili. Infatti
nella parte posteriore, dove il tuorlo è rivolto verso la base del
grappolo, questa tunica non aderisce al tuorlo, né vi invia delle
piccole vene, ma lo circonda solamente come se fosse un sacchetto. |
Singulis
vitellis totidem tunicae ab eodem fundamento desumuntur. Quare locus
iste, communis uterus censendus non est; cum nihil hic reperiatur
praeter racemum, sive acervum multorum diversae magnitudinis ovorum
ab eodem fundamento prodeuntium. |
Da
ciascun tuorlo vengono acquisite altrettante tuniche dalla base
stessa del grappolo. Per cui questa struttura non va ritenuta essere
un utero abituale, dal momento che qui non si rinviene nulla eccetto
il grappolo, o accumulo di molte uova di diversa grandezza che
sporgono dalla stessa base del grappolo. |
[191]
Fundamentum autem hoc, est corpus sui generis, ad pennati spinam
obortum; venae et arteriae magnae adnexum; laxum, porosum, et
fungosum; ut plurimos vitellos ex se producat, iisdemque tunicas
largiatur: quae postea, adauctis vitellis, distenduntur; eosque
sacculi instar, cum collo angustiore, ventre autem amplo, ambiunt:
quemadmodum a vitriarii flatu ampullae efformantur. |
In
effetti questa base è una struttura del tutto particolare che
sporge nei pressi della colonna vertebrale del pennuto, connessa con
la grande vena e la grande arteria; è morbida, porosa e spugnosa
affinché produca tantissimi tuorli a partire da se stessa e li
fornisca di tuniche, le quali successivamente, quando i tuorli si
sono ingranditi, si distendono e li avvolgono come se fossero un
sacchetto con un collo piuttosto stretto ma con un ampio ventre,
allo stesso modo in cui dal soffio di un vetraio vengono modellate
le ampolle. |
Fabricius
porro: Vitelli, sicuti a
parvulo initio incipiunt, ad milii seminis aut sinapis magnitudinem;
et minuti sunt ac candidi, ut dicit Aristoteles, sic subinde
paulatim increscunt; et, ut ait Aristoteles, lutei ac flavi
efficiuntur, quousque ad iustam magnitudinem omnibus notam
perveniant. Ego vero milii semine longe minores observavi; qui
nempe instar papularum, aut sudaminum, arenularum (quales in piscium
ovariis reperiri diximus), prope visum effugerent; et illius loci
membranarum veluti scabrities viderentur. |
Inoltre
Fabrizi: «I tuorli, così come partono da una struttura iniziale
molto piccola, della grandezza di un grano di miglio* o di senape*,
e sono piccoli e bianchi, come dice Aristotele, altrettanto
successivamente aumentano poco a poco, e, come dice Aristotele,
diventano gialli e dorati fino a raggiungere la giusta dimensione a
tutti nota.» A dire il vero io li ho visti che erano molto più
piccoli di un seme di miglio, che appunto come pustole, o gocce di
sudore, o granelli di sabbia (come ho detto trovarsi nelle ovaie dei
pesci) sfuggivano quasi alla vista, e al loro posto si vedevano come
delle rugosità delle membrane. |
[1]
Hist. an. lib, vi. cap. 2.
[2]
Hist. an. lib. vi. cap. 2.
[3]
De gen. an. lib. iii. cap. 8.
[4]
Sperlano: pesce (Osmerus eperlanus) della famiglia Osmeridi,
lungo circa 25 cm, dal corpo slanciato, vagamente simile a quello di
un'acciuga. La testa è piccola, con occhi grandi e bocca ampia. La
colorazione è argentea sui fianchi, verdastra sul dorso. Vive lungo le
coste dell'Atlantico settentrionale, spesso in branchi molto numerosi.
Nel periodo della riproduzione penetra spesso nelle acque salmastre o
dolci.
[5]
Bottarga: dall'arabo batarikh o butārikh, a sua volta
derivato dal greco tárichos = carne sotto sale, pesce sotto
sale. Preparazione a base di uova di pesce compresse, seccate, salate e
stagionate. La bottarga più diffusa è quella di tonno, ma è
apprezzata anche quella di muggine, di gusto più delicato. A
stagionatura terminata si presenta come un salame compresso; si serve
come antipasto, tagliata a fettine sottili e generalmente condita con
olio e limone. In molti luoghi, per esempio in Sardegna, la bottarga si
consuma cotta in vari modi.
[6]
Pag. 3.
[7]
De gen. anim. lib. iii. cap.
2.