Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey
21° esercizio - Ispezione dopo il decimo giorno
L'asterisco
* indica che la voce è presente nel lessico
[271]
EXERCITATIO VIGESIMAPRIMA. |
21°
esercizio |
QUAE decimo
die conspicienda veniunt, tam accurate ab Aristotele enarrantur, ut
vix quidquam supersit quod a nobis addi possit. Sententia autem eius,
me paraphraste, est huiusmodi: Decimo
iam die pullus totus conspicuus est[1];
atque etiam pellucidus, et albus, praeter oculos, et venarum ramos. Caput
etiam toto reliquo corpore
maius est; et oculi capite grandiores haerent, seu potius
adhaerent, et quasi appenduntur, nulla
adhuc pupilla praediti
(scilicet perfecte formata, tunicas tamen iam discretas deprehendere
non est arduum); quippe tunc
si eximas, invenias fabis grandiores, et nigros. A quibus detracta
cute humor exit candidus, ac frigidus, vehementer ad lucem refulgens,
praeterea vero nihil, in toto capite nempe, praeter dictam aquam
limpidam continetur. Ita nimirum se res habet a die septimo ad
decimum usque, ut supra diximus. |
Quelle
cose che si presentano alla vista al decimo giorno vengono descritte
in modo talmente accurato da Aristotele* che a stento rimane
qualcosa che possa essere da me aggiunta. La sua affermazione, da me
parafrasata, suona così: «Già al decimo giorno tutto quanto il
pulcino è visibile» e anche splendente e bianco eccetto gli occhi
e i rami venosi. «Inoltre la testa è più grande del resto del
corpo, e gli occhi più grandi della testa le aderiscono», o
meglio, le sono uniti e quasi appesi, non ancora forniti di alcuna
pupilla (ossia, formata in modo perfetto; tuttavia non è difficile
riconoscere le tuniche già separate), «e se allora tu dovessi
asportarli, li troverai essere più grandi delle fave e neri. Dopo
aver tolto l'involucro fuoriesce un liquido bianchissimo e freddo
che splende in modo violento alla luce, ma oltre a ciò nulla» cioè
in tutta la testa è contenuto, eccetto l'anzidetta acqua limpida.
Le cose stanno appunto così a partire dal settimo giorno fino al
decimo, come ho detto in precedenza. |
Eodem
tempore, inquit, viscera
quoque iam apparent, et quae ad ventris intestinorumque pertinent
naturam: cordis nempe parenchyma, pulmones, iecur, et caetera;
omnia vero alba, mucilaginosa, et flaccida, nihilque firmitudinis in
se habentia. Venaeque etiam
quae a corde tendunt, iam umbilico applicantur. Ab umbilico autem
tenditur vena una ad membranam qua vitellus continetur: qui eo
tempore liquidior iam et fusior est, [272] quam
qui natura sua constare solet. Altera autem ad membranam, qua et
tota membrana (nempe colliquamenti tunica) foetum ambiens et vitellum, interiacensque humor continetur. Crescente enim paulatim
pullo, vitelli pars supra, pars infra est; albumen autem in medio
liquidum. Sed et sub inferiore vitelli parte illa, albumen item est;
quemadmodum et ante suberat. Hactenus Aristoteles. |
Dice:
«Nello stesso intervallo di tempo compaiono già anche i visceri e
ciò che attiene alla natura del ventre e degli intestini», cioè
il parenchima cardiaco, i polmoni, il fegato eccetera, ma tutte
strutture bianche, mucillaginose e flaccide che non posseggono
alcuna solidità. «Anche le vene che provengono dal cuore sono già
unite all'ombelico. Dall'ombelico proviene una vena diretta alla
membrana dalla quale il tuorlo è contenuto, che in questo momento
è più liquido e più sciolto di quanto è solito essere in base
alla sua natura. L'altra vena è diretta alla membrana dalla quale
è contenuta sia tutta la membrana che circonda il feto (cioè la
tunica del colliquamento) e il tuorlo nonché il liquido frapposto.
Infatti mentre il pulcino pian piano cresce, una parte del tuorlo si
trova in alto e una parte in basso, mentre l'albume liquido si trova
nel mezzo. Ma al di sotto di quella parte inferiore del tuorlo
esiste pure dell'albume, allo stesso modo in cui anche prima si
trovava sotto.» Sin qui Aristotele. |
Venas autem
iam perspicue videre est arterias comitari; tam has, quae ad
albumina tendunt; quam illas, quae vitellum. Vitellus etiam hoc
tempore liquescit et fusior est; non totus quidem, sed is qui
supernatat, ut pridem diximus; neque etiam venarum ramuli in totum
vitellum excurrunt; sed in partem illam duntaxat, quam liquatae
cerae instar fusam diximus. Similiter venae, quae ad albumen tendunt,
arterias sibi comites habent. Ipsaque albuminis maior pars in
humorem candidum, colliquamentum scilicet, abit, qui pullum
innatantem amplectitur; interiacetque utramque vitelli portionem,
superiorem nempe inferiorem; cui in imo (angulo nempe acuto) pars
albuminis crassior et viscidior subiacet. Vitelli pars superior,
liquidior iam et fusior apparet, quam inferior; quocunque enim
venarum fibrae diffunduntur, partes illae subito intumescunt et
liquidiores fiunt. |
È
già possibile vedere chiaramente le vene accompagnarsi con le
arterie, sia queste dirette verso gli albumi, sia quelle dirette al
tuorlo. In questo momento anche il tuorlo si liquefa ed è più
sciolto, però non tutto, ma quello che galleggia, come ho detto in
precedenza, e neppure le venuzze scorrono attraverso tutto il
tuorlo, ma solamente in quella parte che ho detto essere fusa come
cera liquida. Allo stesso modo le vene che si dirigono verso
l'albume hanno come loro compagne le arterie. E la stessa maggior
parte dell'albume si trasforma in un liquido candido, cioè il
colliquamento, che abbraccia il pulcino che vi galleggia, e si
frappone ad ambedue le parti del tuorlo, cioè la superiore e
l'inferiore, sotto il cui fondo (cioè dal lato acuto) giace la
parte di albume più densa e viscida. La parte superiore del tuorlo
appare ormai più liquida e più sciolta di quella inferiore;
infatti dovunque le fibre venose si diffondono, quelle parti subito
si gonfiano e diventano più liquide. |
Decimo
vero die, inquit, albumen
subsidit, exiguum iam, viscidum, crassum, et subluteum. Quod
nimirum in colliquamentum non abiit. |
Dice:
«Ma al decimo giorno l'albume si abbassa, già scarso, viscido,
denso e giallognolo.» Che appunto non si è trasformato in
colliquamento. |
Iam maxima
albuminis pars in colliquamentum, indeque in foetum absumpta est;
totum nempe albumen tenuius; crassiorisque pars maior. Vitellus
autem amplior, quam initio erat, conspicitur. Unde manifeste constat,
vitellum nondum nutritioni inservire, sed postea huic officio
dicatum esse. Et, quantum ex venarum ductu ac distributione
coniectura consequi potui, foetus ab initio statim ex colliquamento
nutritur; quippe in [273] ipsum duntaxat venae primum disseminantur;
deinde in tenuioris albuminis membranam; posteaque in crassius
albumen, et vitellum. Similiter et crassius mox albumen pro
nutricatu est; ultimoque tandem vitellus. |
Ormai
la massima parte dell'albume è passata nel colliquamento e da qui
nel feto, cioè tutto l'albume più tenue e la maggior parte di
quello più denso. Il tuorlo appare più largo di quanto fosse
all'inizio. Per cui risulta chiaramente che il tuorlo non serve
ancora per la nutrizione, ma che è destinato a questo compito
successivamente. E, per quanto ho potuto capire per congettura dal
decorso e dalla distribuzione delle vene, il feto sin dall'inizio
viene subito nutrito dal colliquamento, in quanto inizialmente le
vene si disseminano solo in esso, quindi nella membrana dell'albume
più tenue, e successivamente nell'albume più denso e nel tuorlo.
Allo stesso modo anche l'albume più denso serve subito da
nutrimento, e finalmente il tuorlo lo fa per ultimo. |
Ita nempe
tenerrimus foetus, dum adhuc vermiculus est, tenuissimo optimeque
cocto victu alitur; colliquamento, inquam, et albumine tenuiore.
Postquam autem adolevit, cibo utitur aetati viribusque suis
consentaneo. |
Così
appunto il giovanissimo feto, quando è ancora un vermicello, si
nutre con un cibo assai poco denso e ottimamente digerito; cioè con
il colliquamento e con l'albume meno denso. Ma dopo che è cresciuto
si serve di cibo confacente alla sua età e alle sue forze. |
Proximis
verbis Aristoteles singulorum in ovo situm describit: Prima postremaque parte membrana ovi sub cortice, non corticis
membrana sed sub ea; atque in hac liquor inest candidus (colliquamentum
scilicet): deinde pullus et
eum continens membrana; atque ita separans, ut ne in liquore illo
sit foetus ipse. |
Con
le seguenti parole Aristotele descrive la collocazione nell'uovo
delle singole strutture: «Nella parte iniziale e finale la membrana
dell'uovo si trova sotto al guscio, non la membrana del guscio ma
quella che le sta sotto, e in questa è presente un liquido candido
(cioè il colliquamento): quindi il pulcino e la membrana che lo
contiene; e separando in modo tale che il feto stesso non si trovi
dentro a quel liquido.» |
Ubi mendum in
textu esse suspicor. Nam, ut res ipsa indicat, ita potius dicendum
foret: deinde pullus membrana
obvolutus, in eo candido liquore manet sive natat: quae quidem
membrana, non est exterior illa totam testam immediate succingens,
sed altera huic subiecta; quae, absumpto iam primo albumine
exteriore, reliquoque albumine crasso in acutum angulum depresso, ex
duabus membranis (nimirum albuminis tenuioris, et colliquamenti
propria), una tunica sit, quae tanquam secundina[2]
chorion dicta, iam apparere incipit. Apteque ait Aristoteles, liquor
in ea candidus inest; quibus verbis, albumen non intelligit, sed
factum ex albumine colliquamentum, in quo foetus natat; albumen enim,
quod superest, in acutum angulum subsidit. |
Dove
sospetto esista un errore nel testo. Infatti, come indica
l'argomento stesso, bisognerebbe invece dire nel seguente modo: «quindi
il pulcino, avvolto dalla membrana, rimane in quel liquido candido
ossia galleggia»; ma questa membrana non è quella esterna che
direttamente circonda tutto il guscio, ma l'altra che le sta al di
sotto, la quale, quando ormai il primo albume esterno è stato
consumato e il rimanente albume denso si è spostato nell'angolo
acuto, è un'unica tunica costituita da due membrane (cioè quella
dell'albume meno denso e quella propria del colliquamento), la
quale, detta anche secondina del corion, già comincia ad apparire.
Aristotele dice esattamente «al suo interno si trova un liquido
candido», e con queste parole non indica l'albume, ma il
colliquamento derivato dall'albume nel quale il feto galleggia;
infatti l'albume che residua si sposta verso l'angolo acuto. |
[1]
De hist. anim. lib. vi. cap. 3.
[2]
Secundae (membranae), (membrane) che escono per seconde, cioè dopo il
feto. La placenta e gli altri annessi fetali. In campo umano il
secondamento è l'ultima fase del parto caratterizzata dall'espulsione
della placenta e delle membrane annessiali. Il secondamento segue, dopo
una pausa di circa 10 minuti, la nascita del feto, quando riprendono le
contrazioni dell'utero, determinando il distacco della placenta dalla
parete uterina, per lo più nella sua parte centrale.