Vol. 2° -  XXVIII.8.

MELANINE NATURALI E SINTETICHE

Dal punto di vista chimico le melanine sono tra le sostanze più intrattabili presenti in natura, innanzitutto per la loro elevata insolubilità che ne rende quasi impossibile l’isolamento. Sono inoltre disomogenee dal punto di vista molecolare e mancano di caratteristiche ben definite sia spettrali che fisiche. I moderni approcci strutturali attraverso le tecniche spettroscopiche, specialmente la risonanza magnetica nucleare (NMR) e l’analisi cristallografica ai raggi X - così utili per giungere a chiarire polimeri complessi come gli acidi nucleici e le proteine - non sono invece applicabili nello studio delle melanine.

Hearing & Jimenez (1987, 1989) si sono dedicati a un’ampia revisione della letteratura riguardante la natura dell’enzima coinvolto nella sintesi melanica, e affermano che la tirosinasi è una glicoproteina contenente rame, presente in un numero di forme isoenzimatiche, solubili e circondate da una membrana, designate come T1-T2-T3-T4 in base alla loro diversa mobilità elettroforetica. Queste forme diverse sono il risultato dei differenti stadi durante il processamento post-traduzionale della tirosinasi neosintetizzata che si svolge nelle vescicole dell’apparato di Golgi. Dopo essere stato glicosilato l’enzima viene impacchettato nelle vescicole e quindi consegnato ai premelanosomi, dove viene circondato da membrane e si aggrega in una forma dall’elevato peso molecolare che sembra essere attivamente coinvolta nella melanogenesi.

Nei mammiferi esistono polimeri di melanina che contengono contemporaneamente le due varietà di pigmento. Si ottengono così colorazioni intermedie e si spiega inoltre l’ampia gamma di colori dei peli e dei capelli. Pare che ciò non accada nel pollo. Nel pollo il polimero melanico contiene solo eumelanina o solo feomelanina. L’unico esempio finora noto di piume con polimeri melanici di tipo misto è fornito dalla femmina di Livorno perniciata ed è quanto riferisce Prota.

Una classificazione estremamente semplificata è quella che divide i pigmenti melanici in eumelanine e feomelanine, in quanto ciascun gruppo include pigmenti dotati di differenti proprietà fisicochimiche. In alcuni casi tali differenze sono così impercettibili da sfuggire a un’analisi diretta, per cui è necessario un lavoro impegnativo per arrivare a differenziare due pigmenti solo in apparenza identici.

Le tipiche eumelanine, come quelle dei peli, dei capelli e degli occhi, sono dei polimeri, o meglio, miscele di polimeri costituiti in prevalenza da 5,6-diidrossindolo (DHI) e in percentuale minore da acido 5,6-diidrocarbossilico (DHICA). Alcune di queste unità sono presenti sotto forma di chinone ossidato, evidenziabile dalla capacità delle melanine di andare incontro a riduzione reversibile. Contributi strutturali minori provengono dalla presenza di unità di DHI semichinone e di pirrolo carbossilato. Quest’ultimo probabilmente proviene dalla parziale fissione delle unità indoliche da parte del perossido d’idrogeno durante la melanogenesi.

Esiste un consenso unanime sul fatto che le eumelanine marroni sono chimicamente simili, ma si tratta più di una congettura che di una prova sperimentale. I melanosomi del topo marrone sono rotondeggianti anziché ovali e sono dotati di una struttura interna disordinata in modo tipico, con granuli di melanina grossolani. Alleli multipli appartenenti al locus brown permettono tutta una gamma cromatica del pelo dal marrone chiaro al marrone scuro. Esistono tuttavia opinioni divergenti sulla proteina codificata dal locus brown, circa la sua appartenenza o meno a un diverso enzima correlato con la tirosinasi, oppure se tale proteina sia una catalasi specifica del melanosoma. Nonostante quest’ultimo punto di vista sia molto attraente biochimicamente parlando, il sito e il meccanismo d’azione debbono ancora essere identificati in modo conclusivo, e il problema è attualmente ancora aperto.

Il pigmento marrone scuro che caratterizza la substantia nigra dell’uomo, cioè la neuromelanina, viene spesso incluso nel gruppo delle eumelanine. Tuttavia differisce chimicamente dalle melanine epidermiche in quanto si origina dall’ossidazione della dopamina. Nonostante un simile percorso biochimico possa in teoria generare un polimero di indolo, attualmente si sa che per la neuromelanina le cose non dovrebbero andare in questo modo.

Problemi del tutto simili si presentano per le melanine più chiare, per cui esiste un disaccordo completo circa la costituzione di una feomelanina. Questo termine venne impiegato per la prima volta da Görnitz nel 1923 - senza alcun significato chimico - per indicare pigmenti alcali solubili trovati in certi tipi di piume rossicce. Successivamente si scoprì che differivano dall’eumelanina per il loro contenuto in zolfo, oltre all’azoto, e che sono costituite prevalentemente da unità di 1,4-benzotiazina (Prota, 1972). Lo stesso tipo di unità costitutive sono presenti anche nei tricocromi , che sono molecole di dimensioni minori dotate di una struttura e di una composizione ben definita.

A complicare il tutto si aggiunge il fatto che nell’uomo e in altri mammiferi esistono pigmenti gialli e rossi privi di zolfo, il che starebbe a indicare che sono chimicamente diversi da quelli appena descritti. Si tratterebbe di pigmenti simil-feomelanici, che le indagini analitiche e degradative, anche se per ora incomplete, suggeriscono trattarsi di varianti delle eumelanine, e che derivano da scissione parziale perossidativa di unità di 5,6-diidrossindolo (Prota, 1992). Un meccanismo del genere potrebbe dipendere dall’elevata suscettibilità del polimero di eumelanina alla formazione di perossido d’idrogeno durante le ultime fasi della melanogenesi.

Pertanto, la modulazione in vivo del colore dell’eumelanina da parte del perossido d’idrogeno potrebbe fornire un meccanismo alternativo per arrivare a comprendere la policromia della pelle e dei peli, che altrimenti sarebbe arduo spiegare sulla base di soli due tipi di pigmento.

È chiaro perciò che il termine feomelanina è concettualmente ambiguo e che si rende necessaria una nuova nomenclatura. Per ora ci si deve accontentare di riservare il termine di feomelanina per quei pigmenti contenenti zolfo, e di chiamare ossimelanine quei pigmenti non scuri privi di zolfo solubili in alcali diluiti.

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