vol. 3° - XVIII.

Etologia DEL POLLO


Introduzione

Il comportamento è una caratteristica fondamentale nella vita degli animali. Qualsiasi forma di comportamento rappresenta una reazione a uno stimolo - semplice o complesso - che può essere innato, cioè programmato automaticamente, oppure può essere appreso, quindi modificato dall’ambiente. Non mancano certo le polemiche sulla distinzione tra ciò che è innato e ciò che proviene dall’ambiente. Un tempo lo studio del comportamento degli animali fu retaggio degli psicologi, mentre recentemente è diventato parte integrante della biologia. L’etologia, dal greco éthos che significa costume, è pertanto lo studio biologico del comportamento animale.

Il fondatore degli studi scientifici sul comportamento fu Darwin, le cui osservazioni sono ancor oggi attuali e significative. Il contributo maggiore lo diede con la sua teoria della selezione naturale che è servita da impalcatura su cui si è sviluppata tutta la moderna biologia. Agli inizi del XX secolo l’osservazione del comportamento animale è stata influenzata dall’americano John Watson, la cui opera fondamentale, Behaviorism, fu pubblicata nel 1924. Un’altra scuola contemporanea degna di nota fu quella europea diretta da Jakob von Uexkull.

Il fondamento dell’etologia - nata fra il 1930 e il 1950 grazie soprattutto a Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen - è rappresentato dal principio secondo cui gli adattamenti comportamentali sono di aiuto agli individui per riprodursi con successo. Questi biologi hanno potuto osservare che le varie specie di uccelli, pesci e insetti, poste nel loro ambiente naturale, posseggono ognuna un ben definito repertorio di modelli comportamentali.

Al fine di spiegare perché le specie differiscono dal punto di vista comportamentale, gli scienziati hanno tracciato due diverse linee di ricerca: per prima cosa si trattava di determinare in ciascuna specie il significato del modello comportamentale in relazione all’adattamento; il secondo traguardo consisteva nella comprensione di come i meccanismi su base genetico-fisiologica posseduti da un individuo siano in grado di generare i suoi modelli comportamentali.

Gli etologi hanno messo in evidenza che il sistema nervoso di parecchie specie è composto da parti che hanno come finalità quella di svelare e di suscitare una risposta a segnali semplici. Un pettirosso europeo aggredirà con violenza un ciuffo di piume rosse appese a un ramo di un albero presente nel suo territorio, come se si trattasse di un maschio intruso. Le piume rosse servono da stimolo-segnale che attiva un meccanismo cerebrale e fa scattare una risposta programmata.

Queste due linee di ricerca, l’una che mette a fuoco le proprietà adattative o evoluzionistiche del comportamento e l’altra che vuole mettere in luce i meccanismi che stanno alla base del comportamento, continuano a essere i due maggiori interessi dell’etologia. Siccome l’etologia è strettamente legata alla genetica, alla fisiologia, all’ecologia e alla biologia evoluzionistica, sono state migliorate le conoscenze in tutti questi campi e senza dubbio tutto ciò sarà utile per conoscere meglio il comportamento dell’uomo. Nel 1973 Konrad Lorenz, Nikolaas Tinbergen e Karl von Frisch furono insigniti del Premio Nobel per fisiologia e medicina.

1. CATEGORIE COMPORTAMENTALI

In seguito ai risultati dello studio circa le basi genetiche e fisiologiche del comportamento, parecchi scienziati sono dell’avviso che non è più tempo di suddividere i modelli comportamentali nelle due classiche categorie dell’istintualità e dell’apprendimento. I genetisti del comportamento hanno chiaramente dimostrato che il comportamento non è puramente determinato geneticamente, né che è esclusivamente determinato dall’ambiente: si tratta invece del concorso di queste due forze operanti sul soggetto e si potrebbe affermare che i tratti del comportamento sono influenzati in modo sostanziale da fattori non genetici, tanto che l’ereditarietà raramente contribuirebbe oltre il 50%. Conviene inoltre aggiungere che il comportamento e i suoi disordini sono probabilmente influenzati da molti geni, ognuno dei quali produce piccoli effetti (Plomin, 1994).

Infatti, perlomeno in campo umano, essendo il comportamento molto complesso, è errato pensare a un singolo gene per un singolo tratto, in quanto non esiste evidenza concreta per una semplice correlazione fra un gene e un tratto comportamentale. È più corretto pensare al coinvolgimento di un certo numero di geni nella suscettibilità individuale a possedere un particolare tratto.

Inoltre, una complicazione ulteriore proviene dal fatto che verosimilmente un gene o un gruppo di geni sono in grado di influenzare più di una caratteristica comportamentale.

1.1. Istinti chiusi

Una categoria comportamentale più frequente può essere definita col termine di istinti chiusi: si tratta di modelli comportamentali che vengono espressi in forma completa e funzionale la prima volta che essi vengono scatenati, e che non possono venir alterati dalle esperienze associate alla loro messa in opera. Le attività, e la sequenza secondo cui tali attività si susseguono, sono invariabili. Sembra quasi che l’animale sia dotato di un disco insensibile alle modificazioni che può essere suonato migliaia di volte.

1.2. Istinti aperti

Alcune risposte innate sono invece aperte ai cambiamenti. Gli istinti aperti possono venir alterati con una gratificazione o una punizione conseguenti a un determinato comportamento. Verosimilmente il circuito neuronale posto alla base di tutto ciò è in grado di immagazzinare le informazioni circa gli effetti del comportamento e di modificarlo di conseguenza, in modo che il soggetto, in seguito alle sue azioni, venga più spesso lodato che redarguito.

Strettamente connessi con gli istinti aperti sono i casi di apprendimento limitato. In alcuni animali un modello comportamentale può svilupparsi appieno solo se l’individuo viene esposto a un’esperienza speciale di apprendimento. Un esempio classico è costituito dall’imprinting: poco dopo la nascita gli anatroccoli seguono la madre e dimostrano un attaccamento che dura per tutto il periodo della dipendenza materna. Seguendo continuamente la madre, apprendono a riconoscere visivamente i tratti caratteristici delle femmine della loro specie e i maschi faranno uso di quest’informazione acquisita quando, parecchi mesi dopo, daranno inizio ai corteggiamenti che preludono all’accoppiamento. Se un maschio giovanissimo di anatra o di oca viene sperimentalmente allontanato dalla madre e gli si permette di seguire un pollo o un uomo, tenterà di corteggiare e di accoppiarsi con membri di queste specie quando avrà raggiunto la maturità.

Un’altra forma altamente specializzata d’apprendimento, che si verifica durante il breve ma critico periodo delle prime fasi della vita di un uccello, è l’apprendimento del canto. L’esperimento più interessante è stato condotto sul passero dalla testa bianca, che impara solamente il canto del suo territorio, caratteristico della sua specie, e può apprenderlo solo durante le prime 8 settimane di vita. Questo passero, se viene isolato dalla sua specie, non imparerà mai il canto della specie d’appartenenza.

Altri tipi di apprendimento sono ancora più aperti dell’apprendimento del linguaggio. Per esempio, un’ampia gamma di animali ha la capacità di immagazzinare informazioni su confini visivi e su altre indicazioni associate alla loro casa. Anche il condizionamento, o apprendimento del tentare e sbagliare, ricade nella categoria dell’apprendimento flessibile. Parecchi animali possono essere condizionati, attraverso la gratificazione e la punizione, ad associare certi segni con una vasta categoria di azioni. Così un piccione può essere allenato a danzare in circolo se riceve cibo solo dopo aver portato a termine le sue manovre. In campo umano con un opportuno addestramento si può far rallentare la frequenza cardiaca e si possono modificare le onde dell’elettroencefalogramma.

Le ricerche sul significato adattativo del comportamento suggeriscono che i vari tipi di comportamento, nonché i vari meccanismi neuronali e ormonali sottesi e associati, hanno potuto evolversi in quanto i diversi comportamenti sono in grado di risolvere problemi di tipo diverso.

2. GLI UCCELLI PER LO STUDIO DELL'ETOLOGIA

Gli uccelli occupano un posto importante nell'etologia poiché molte espressioni del comportamento sono state osservate per la prima volta proprio tra i volatili. Già sul finire del secolo scorso l’americano Whitman ha condotto studi comportamentali comparativi sui piccioni. Oskar Heinroth pubblicò nel 1911 le sue osservazioni sugli anseriformi. Julian Huxley, osservando l’accoppiamento dello svasso maggiore, ha descritto nel 1914 il principio della ritualizzazione. La famosa opera Uccelli dell'Europa centrale di Heinroth rappresenta ancor oggi una miniera di conoscenze sullo sviluppo giovanile e sull’etologia degli uccelli: molte future scoperte erano già state intuitivamente anticipate. Negli anni '30 del secolo scorso Konrad Lorenz proseguì sulla scia di Heinroth le indagini sugli anseriformi, ma ne intraprese anche altre sul comportamento delle taccole e di altre specie di uccelli. Nikolaas Tinbergen è diventato celebre soprattutto per le sue geniali indagini sperimentali a pieno campo sul comportamento dei gabbiani. Quali oggetti della ricerca scientifica, gli uccelli svolgono oggi un ruolo importante per esempio nella bioacustica, nella sociobiologia e nell'ecoetologia.

Perché un uccello si comporta in un certo modo e non in un altro? Questa domanda richiede una risposta sia che ci si occupi del comportamento degli uccelli, sia che li si osservi da semplici appassionati. La risposta può variare a seconda delle esigenze: circa la filogenesi le domande che possiamo porci riguardano lo sviluppo evoluzionistico del comportamento, soprattutto il suo valore di adattamento, compreso il ruolo che i comportamenti svolgono nella costituzione della specie e nella filogenesi delle caratteristiche; dal punto di vista dell'ontogenesi possiamo indagare come nello sviluppo individuale il patrimonio ereditario si trasformi nel fenotipo con la partecipazione dell'ambiente. A questo scopo l’ambiente fornisce informazioni importanti, soprattutto per quanto riguarda i processi di apprendimento.

Mentre l’etologia, cioè lo studio comparato del comportamento, attraverso una metodica comparativa e sperimentale cerca di dare una risposta sulla natura del comportamento dell’animale preso globalmente, le finalità della fisiologia comportamentale fondata da von Holst si riferiscono più alle condizioni interne che guidano il comportamento dell’organismo, per esempio delle modalità di funzionamento del sistema nervoso e ormonale. Col concetto di comportamento intendiamo tutte le manifestazioni motorie dell'organismo animale osservabili dall'esterno, comprese le espressioni sonore e le variazioni cromatiche. Da questa definizione sono quindi esclusi processi interni, come il battito cardiaco e la peristalsi intestinale.

Invece, quando nella stagione degli amori le rose poste sugli occhi dell'urogallo, Tetrao tetrix, si gonfiano per l’apporto di sangue e diventano di un rosso violento, questo fenomeno fa parte del comportamento. Quasi tutto quello che finora abbiamo detto sul comportamento è valido per tutti gli animali e non per i soli uccelli. Per la classificazione del comportamento degli uccelli esistono diverse possibilità. Perciò si tratta di inserire in un sistema di classificazione i comportamenti riconosciuti come tipici della specie. A questo scopo si sono stabiliti i cosiddetti ambiti funzionali:

·   Locomozione: per esempio camminare, arrampicarsi, volare, nuotare, tuffarsi. Questi comportamenti si trovano spesso al servizio di altri ambiti funzionali.

·   Acquisizione del cibo: ricerca del cibo, cattura della preda, rielaborazione e assunzione del cibo.

·   Riproduzione: formazione della coppia, corteggiamento, accoppiamento e cura della prole.

·   Aggressione e fuga: comportamento antagonistico.

·   Benessere personale: bagno, cura del piumaggio, movimenti stiratori.

Esistono però dei problemi nell'uso di questo schema. Per esempio, se un giovane barbagianni, Tyto alba, pulisce le piume del capo di un suo fratello, non è immediatamente chiaro se questo comportamento, oltre ad avere una funzione igienica, realizzi anche la comunicazione e il rapporto con l’altro individuo. Lo stesso comportamento negli animali adulti potrebbe servire a formare la coppia per raggiungere la riproduzione e la perpetuazione della specie.

Spesso non si può riconoscere l’appartenenza funzionale di una sequenza comportamentale, o la si può riconoscere solo dopo circostanziati lavori di ricerca sperimentale. In qualche caso una classificazione affrettata può creare dei pregiudizi nel ricercatore o distogliere la sua attenzione da questioni rilevanti.

Infine, durante la filogenesi la funzione di un comportamento ha subito spesso dei mutamenti attraverso la ritualizzazione, cioè la creazione dei segnali, fatto che può accadere perfino nell'ontogenesi. Con l’aiuto dell’analisi motivazionale classica si può stabilire l’affinità dei comportamenti. Attraverso ciò è possibile accertare in che modo si susseguano i comportamenti. Però questi dati non sono probanti della funzione svolta.

3. GENETICA DEL COMPORTAMENTO

La genetica comportamentale è lo studio degli organismi che si avvale dell’analisi sia comportamentale che genetica. L’analisi genetica descrive l’architettura genetica di ciascuna specie e viene usata per studiare le differenze individuali nell’espressione di un tratto, in questo caso il comportamento. L’analisi genetico-comportamentale è un metodo per determinare l’entità dell’influenza genetica su un particolare tratto. Non bisogna tuttavia dimenticare che nella valutazione non si deve perdere di vista l’importanza dei fattori ambientali nel modificare l’espressione fenotipica di un gene.

Qualsiasi capacità comportamentale, dall’istinto territoriale del pettirosso all’abilità umana nell’apprendere il linguaggio, dipende da fattori genetici che ne stanno alla base. Il comportamento animale non è altro che il risultato dell’attività di cellule nervose e muscolari: è più che evidente che lo sviluppo di questi tessuti dipende dai geni presenti nella cellula. I geni contengono informazioni per la sintesi di proteine chiave nella vita cellulare, cioè gli enzimi, che regolano le reazioni chimiche in seno alla cellula e ne condizionano il destino attraverso lo sviluppo.

Il grado di responsabilità da parte di geni o di batterie di geni sul controllo dei modelli comportamentali individuali è un argomento irrisolto che fa parte del campo esplorativo della genetica comportamentale. I genetisti del comportamento hanno potuto dimostrare che la manipolazione di certi geni è in grado di influenzare lo sviluppo di specifiche abilità del comportamento. Hanno scoperto che le differenze comportamentali tra alcuni individui può essere il risultato di una singola differenza genetica, cioè della differenza a carico di un solo gene.

I risultati stanno altresì a dimostrare non solo che esiste un singolo gene per ogni modello comportamentale o per una data abilità: attestano pure che i prodotti molecolari derivanti da un gene sono talmente importanti per lo sviluppo dei muscoli e delle cellule nervose che, se tale prodotto viene alterato, lo sviluppo della piattaforma per l’abilità comportamentale verrà mutata.

Anche se i geni sono importanti per lo sviluppo del comportamento, tuttavia l’ambiente gioca il suo ruolo in questo processo. Gli scienziati interessati in questa branca dell’etologia hanno inoltre dimostrato che certi tipi di esperienza non sono privi di influenze. D’altra parte è ormai noto che lo sviluppo funzionale del sistema nervoso e endocrino necessita di un’integrazione fra substrato genetico e ambiente.

I genetisti del comportamento sono appena agli inizi delle loro indagini sulle relazioni tra il gene e lo sviluppo del meccanismo fisiologico del comportamento. In passato i fisiologi avevano dimostrato il modo in cui alcuni meccanismi nervosi e ormonali controllano certi modelli comportamentali. Trovarono neuroni sensoriali specializzati in una varietà di animali che reagiscono preferenzialmente a importanti stimoli biologici. Così nella retina della rana leopardo - Rana pipiens, cioè pigolante - esistono cellule che producono impulsi in quantità maggiore quando un oggetto piccolo, scuro e rotondo attraversa in modo erratico il campo visivo della rana. Siccome la cimice - bug in inglese - è in grado di stimolare l’occhio della rana in questo modo, tali cellule retiniche sono state denominate bug detectors e sono proprio esse a dare il contributo maggiore alla sopravvivenza della rana leopardo, in quanto le cimici sono basilari nella sua dieta.

Il cervello sembra dotato di speciali batterie di cellule nervose responsabili dell’individuazione di determinati stimoli e della messa in opera di risposte biologicamente corrette. Gli animali sono inoltre in grado di decidere quale tra i loro modelli comportamentali debba essere impiegato in un certo frangente, anche se in quel momento essi stanno ricevendo informazioni sensoriali provenienti da vari oggetti che potrebbero far scattare attività contradditorie. Le reti nervose responsabili dei differenti modelli sono organizzate secondo il modello delle schede di priorità. Per esempio, il comportamento di fuga ha priorità sugli altri, per cui raramente gli animali si impegnano a compiere azioni differenti tutte in un volta.

Di speciale interesse sono i comportamenti ciclici annuali caratteristici di parecchie specie, spesso regolati dal cambiamento della situazione ormonale: la durata maggiore dell’illuminazione diurna primaverile è un importante stimolo per gli uccelli migratori; dopo la migrazione una nuova situazione ormonale determina lo sviluppo delle gonadi sopite, nei maschi si innesca la territorialità e il corteggiamento, quindi nelle femmine compare l’istinto di cova associato a quello di nutrire i neonati. Solo la fine regolazione e interazione tra ormoni e attività nervosa permette che la riproduzione abbia successo.

È interessante notare come la selezione favorisca quei tratti che aiutano un individuo ad avere più discendenti di un altro. I casi in cui un individuo commetta un suicidio pongono quesiti particolari ai teorici dell’evoluzionismo, in quanto un simile comportamento potrebbe comparire col fine di eliminare quei geni che veramente contribuiscono allo sviluppo del comportamento. Tuttavia, per fare un esempio, una formica operaia suicida è innanzitutto sterile; il suo altruismo, o comportamento di autosacrificio, aiuta in modo indiretto a propagare i geni della sua specie proteggendo i proprii compagni e quindi favorendo la riproduzione di quei soggetti che condividono gli stessi geni.

4. IL COMPORTAMENTO DEL GENERE Gallus

L’interesse dell’uomo per il comportamento del pollo è antico di millenni e la genetica del comportamento ha notevolmente influenzato l’allevamento, specie industriale, in quanto gli studi si sono essenzialmente concentrati sull’effetto dei geni relativo al consumo e all’utilizzazione della razione alimentare convertita in petti e coscette.

L’addomesticamento del pollo fu reso possibile da caratteristiche peculiari che erano favorevoli a questo processo:

·   struttura gerarchica di gruppo, in seno al quale i sessi possono essere mischiati e il numero dei soggetti può essere variato

·   comportamento sessuale caratterizzato da maschi dominanti sulle femmine, con segnali d’accoppiamento forniti dall’atteggiamento, quando cioè la femmina s’acquatta

·   vincoli precoci tra giovani e meno giovani

·   esigenze dietetiche non specifiche

·   propensione a interagire positivamente con l’uomo

·   facile adattabilità agli ambienti più disparati.

L’addomesticamento è un processo continuo che implica l’adattamento degli animali alle situazioni ambientali definite dall’uomo. Quando un animale viene trasferito da un ambiente a un’altro, il fenotipo comportamentale può presentare variazioni a carico di qualche tratto. Alcune specie, come la quaglia giapponese, in condizioni naturali sono monogame, mentre in laboratorio sono promiscue; il germano reale in ambiente selvatico ha un periodo riproduttivo e di incubazione più breve rispetto ai soggetti semiaddomesticati.

La relazione tra genetica e comportamento comprende due aspetti principali:

· analisi genetica dei tratti comportamentali

· influenze del comportamento sul patrimonio genetico delle generazioni successive.

La popolazione dei nostri polli si è sviluppata per intervento umano prima che si scoprisse la divisione cellulare e prima che le leggi mendeliane fossero recepite. Per i tratti soggetti a variazioni genetiche si sono verificate della risposte al procedimento selettivo e le mutazioni in seno a una popolazione sono diventate permanenti. Un esempio è fornito dal comportamento aggressivo e submissivo nei galli da combattimento; un altro esempio lo troviamo nella durata del canto.

L’analisi genetica del comportamento non può prescindere dal concetto che, fatto salvo l’intervento d’una mutazione, il genotipo di un individuo viene fissato al momento della fecondazione e che le variazioni genetiche vengono misurate in seno alla popolazione cui il soggetto appartiene. Al contrario del genotipo, il comportamento degli individui e delle popolazioni, quindi il fenotipo, sono variabili. Le interazioni sociali, le esperienze del passato, le interazioni tra genotipo e ambiente: sono tutti fattori che possono sommarsi per determinare una variazione a carico del fenotipo.

Talora è difficile definire e misurare il comportamento, tuttavia può essere quantificato se i tratti caratteristici sono ricorrenti, identificabili con sicurezza e classificabili. Come altri tratti caratteristici, anche l’espressione fenotipica del comportamento si basa sul patrimonio genetico globale che fa da sfondo, sull’ambiente e sulle interazioni tra ambiente e patrimonio genetico. Le procedure analitiche qualitative e quantitative utilizzabili nella genetica del comportamento non differiscono da quelle impiegate nell’analisi di caratteristiche morfologiche e fisiologiche.

Capacità depositiva, fertilità, schiudibilità, vitalità: sono alcuni fattori che contribuiscono a differenziare gli individui circa le loro capacità riproduttive. Tuttavia il comportamento sessuale, la cova e l’allevamento dei neonati hanno altrettanta importanza nel successo riproduttivo, anche se ciascuno di questi comportamenti ha un peso diverso a seconda delle situazioni.

Consideriamo il tacchino dal punto di vista commerciale: il corteggiamento e la copula non sono meno importanti dei muscoli pettorali ampi, ma proprio selezionando per un petto largo si sono create barriere anatomiche e meccaniche per un accoppiamento naturale, richiedendo così un’inseminazione artificiale. La cova, essenziale in natura, non diventa più necessaria con l’uso degli incubatoi: attraverso la selezione, l’istinto di cova del pollo è stato praticamente annullato, come nella quaglia giapponese, elevando la soglia per l’espressione del tratto comportamentale; invece l’eliminazione di questa caratteristica nel tacchino rimane ancora una sfida per gli allevatori.

Il comportamento sessuale, che coinvolge una sequenza di stimoli e risposte intercorrenti tra maschio e femmina, è stato oggetto di studi approfonditi. La stretta relazione tra comportamento aggressivo e corteggiatore, nonché le ampie differenze presentate dal dimorfismo sessuale, contribuiscono a rendere complessa la scelta del partner. Nel pollo le lievi differenze di peso corporeo non influiscono sulla scelta; quando le differenze di stazza sono notevoli, le preferenze esistono e dipendono dal tipo di dimorfismo. I maschi e le femmine dotati di mole grande, nonostante abbiano generalmente una scarsa libido, si preferiscono tra loro; i galletti spesso corteggiano femmine che sono per loro quello che per noi è la Donna Cannone, ma l’accoppiamento è raro; al contrario è infrequente l’interesse dei maschi giganti per le femmine minute quando la differenza di peso va al di là di 1/3. In una comune di maschi e femmine, un maschio castrato socialmente si accoppia con le femmine se si trova da solo senza gli altri pretendenti; ciò può riflettere una dominanza passiva dei maschi nei confronti delle femmine. In alcuni gruppi numericamente scarsi, i maschi che occupano il rango più alto spesso sciupano più energia nelle lotte coi rivali di quella dedicata al sesso.

La colorazione del piumaggio, caratteristica genetica facilmente identificabile e spesso molteplice, è stata impiegata per studiare le preferenze sessuali. Il policromatismo provoca una stratificazione nella gerarchia sociale del tacchino e del pollo Fayoumi, dove l’accoppiamento non avviene a caso. Anche la quaglia giapponese riesce a distinguere i soggetti in base alla colorazione del piumaggio e proprio in base a ciò mostra specifiche preferenze: mettendo insieme soggetti dalla colorazione selvatica con mutanti albini e gialli, le femmine albine vengono evitate sia che i maschi abbiano o non abbiano avuto precedenti contatti con soggetti albini; non esiste invece differenza di comportamento tra soggetti selvatici e gialli; al contrario, i maschi albini non mostrano preferenze particolari.

Nel pollo, la testa con le sue appendici cutanee sono importanti per il riconoscimento individuale e di gruppo: quando in un gruppo sono presenti soggetti con differenti tipi di cresta, la posizione sociale più elevata viene assunta da quelli con cresta semplice e questi maschi si accoppiano più frequentemente; il rango più elevato permette inoltre di essere privilegiati nell’accesso al cibo e all’acqua, e ciò si riflette in un incremento ponderale e in una produttività maggiori.

4.1. Loci specifici del comportamento nel genere Gallus

Gli alleli generalmente non sono dotati di un solo effetto. Quelli relativi al comportamento vengono abitualmente classificati in base all’effetto diretto o indiretto.

Effetti indiretti sono quelli che, modificando la morfologia e le necessità metaboliche, sfociano in una modificazione comportamentale. Un esempio è dato dalla colorazione del piumaggio e dalle appendici del capo. Possiamo aggiungere la cecità da displasia e degenerazione retinica parziali (vedi XVII-5.4) e il diabete insipido: i maschi ciechi sono desiderosi di corteggiamento, ma vanno incontro a insuccesso quando vogliono completare l’atto sessuale; tuttavia, con la continua esposizione alla presenza femminile, alcuni di questi maschi riescono nel loro intento, frutto della pratica; i polli con diabete insipido sono handicappati a causa della loro continua necessità di bere.

Effetti diretti sono quelli che dipendono dall’influenza specifica e primaria di un allele. Molte mutazioni del comportamento riducono la capacità riproduttiva, hanno una certa percentuale di letalità, sono recessive e si trovano frequentemente sul cromosoma Z.

Le mutazioni recessive legate al sesso sono le seguenti:

ce

cerebellar hypoplasia

ipoplasia cerebellare

ga

gasper

boccheggiante

j

jittery

nervoso

px

paroxysm

parossismo

sh

shaker

agitato

xl

sex linked lethal

letale legato al sesso

Le mutazioni recessive autosomiche comprendono:

cq

congenital quiver

tremito congenito

cy

crazy

pazzo

epi

epileptiform seizures

crisi epilettiformi

fs

faded shaker

scolorito a scossoni

lo

congenital loco

loco congenito o sindrome da astronomo

pir

pirouette

piroetta

tip

tipsy

ubriaco

Nonostante parecchie mutazioni che interessano il comportamento abbiano influenza sul sistema nervoso, si conosce ben poco sul meccanismo attraverso il quale determinano le modificazioni fenotipiche. A questo proposito si rimanda alla specifica sezione dedicata alla genetica del sistema nervoso. Alcune mutazioni, come loco, sono state descritte nel pollo, nel tacchino e nella quaglia giapponese. Lo sfondo genetico e l’ambiente sono in grado di influenzare l’espressione di un gene: l’incidenza dell’atassia è stata accresciuta dalla selezione e dal ridotto apporto minerale alle fetatrici; l’esposizione a luce intensa dello spettro visibile impedisce l’espressione del bobber (muoversi di scatto), che è una mutazione recessiva legata al sesso causa di atassia del collo nel tacchino.

Differenze di comportamento secondo la razza - nonché a seconda dei ceppi in seno alle razze - sono di comune riscontro, e includono alcuni tratti come l’appollaiarsi, la durata del canto e l’immobilità tonica. Nonostante le differenze fenotipiche suggeriscano una possibile variazione su base genetica, non aiutano a spiegare la base genetica di tali comportamenti.

Un dato interessante, che forse può gettare un po’ di luce anche sull’istinto aggressivo del Combattente, già presente quando i soggetti sono ancora pulcini, è la constatazione che lo scarso desiderio sessuale non è correlabile coi tassi di testosterone circolante, per cui si deve supporre l’intervento di differenze localizzate a livello dei recettori cerebrali. Credo che ognuno di noi sia conscio di come la libido sia essenzialmente una caratteristica psichica, in quanto sono favorevoli al suo estrinsecarsi non tanto le terapie ormonali sostitutive, bensì una corretta igiene psichica quotidiana, scevra di preoccupazioni e di frustrazioni.

4.2. Stimolazione della corteccia cerebrale nel Pollo

Quando uno stimolo si presenta sempre sotto la stessa forma, molto spesso muta la frequenza e l’intensità del comportamento che ne deriva. Allo stesso modo questi fenomeni si possono riconoscere se si programmano degli stimoli cerebrali. I risultati di questo tipo d’indagine condotta sui polli domestici d’allevamento sono stati descritti nel 1960 da Holst & Saint Paul nel loro famoso lavoro Vom Wirkungsgefüge der Triebe: Sulla struttura d'azione dell'istinto.

Il pollo è stato preparato all'esperimento asportando in anestesia un frammento di volta cranica e nell'apertura così ottenuta è stato inserito un elettrodo in plexiglas. A quel punto era possibile infiggere nel cervello dei sottili filoelettrodi assolutamente indolori, che non causavano alcun danno meccanico, e ai quali era possibile applicare una debole corrente di stimolo. Quando gli uccelli si risvegliavano dall'anestesia erano tranquilli e potevano sopportare gli elettrodi per settimane senza conseguenze spiacevoli. Inoltre gli animali mostravano un comportamento normale.

Se con un debole impulso elettrico venivano stimolate solo determinate sezioni cerebrali, gli uccelli adottavano dei comportamenti del tutto tipici e specifici, come schiamazzare, accogliere i piccoli sotto l’ala, attacco e fuga, senza che però fossero presenti i rispettivi input appropriati o stimoli-chiave.

A volte è possibile indurre lo stesso comportamento, per esempio uno schiamazzo, stimolando due diversi punti del cervello. Se si fornisce in uno dei punti un debole stimolo subliminale non accade nulla. Lo stesso avviene stimolando l’altro punto. Se invece lo stesso impulso subliminale viene contemporaneamente applicato a entrambi i punti sensibili, si ottiene una reazione completa.

Due impulsi subliminali si sommano nel cervello a costituirne uno più forte: si tratta della sommazione. Un impulso protratto nel tempo perde lentamente il suo effetto, vale a dire che nel nostro caso lo schiamazzo si sopisce. Se ora però stimoliamo con l’altro elettrodo, non compare nessuna traccia di adattamento. Evidentemente l’adattamento è specifico per il punto stimolato e si trova prima del punto in cui si congiungono le informazioni dei due impulsi subliminali.

Quando lo stimolo non è molto forte, il suo effetto può rinforzarsi progressivamente. Se a ciò si aggiunge l’azione su un altro punto di stimolo, la reazione raggiungerà un’intensità piena. Il cambiamento è un processo superiore più organizzato e abbassa lentamente la soglia che scatena lo schiamazzo. Cambiamento e adattamento possono agire anche contemporaneamente quando uno stimolo è molto duraturo. In questo caso l’intensità o la frequenza del comportamento dapprima aumenta lentamente (cambiamento), ma dopo diminuisce di nuovo (adattamento). Con questi pochi esempi forse riusciamo a farci un'idea del funzionamento del sistema nervoso centrale ricorrendo a esperimenti relativamente semplici.

5. L’AGGRESSIVITÀ

L’aggressività è un comportamento d’attacco che può essere sia autoprotettivo che autoaffermativo, oppure ostile sia verso gli altri che verso se stessi. Il comportamento aggressivo può andare da una pura autoaffermazione fino alla lesione o alla totale distruzione degli altri individui.

L’aggressività ha due aspetti principali: il proposito di compiere un atto e l’azione in sé. Le azioni che sembrano essere ostili, alla fin fine possono non essere determinate dell’intenzione di infliggere una lesione, ma solo dal desiderio di stabilire una posizione di dominio sugli altri. Il mezzo abituale cui si fa ricorso per stabilire un rapporto di dominanza consiste abitualmente nella minaccia piuttosto che in un’aggressione vera e propria. Negli animali la maggior parte dei comportamenti che sembrano aggressivi sono in realtà una minaccia.

Tra gli animali le forme di gran lunga più comuni del comportamento aggressivo non coinvolgono né il combattimento, né la violenza, né la lesione fisica, e neppure il contatto fisico. L’aggressività viene invece ritualizzata e comprende la ritirata, la fuga, come pure la minaccia. La ritualizzazione, comportamento che consiste in segnali sociali che vengono riconosciuti e che suscitano una risposta appropriata, mette al riparo dalla necessità di scendere a una lotta in campo aperto.

Gli studiosi distinguono ben 12 tipi di aggressività in accordo con gli stimoli che sono in grado di suscitarla:

1 - l’aggressione predatoria è evocata dalla presenza di un oggetto naturale da preda

2 - l’aggressione antipredatoria viene stimolata dalla presenza di un predatore

3 - l’aggressione territoriale nasce quando un intruso invade il territorio personale

4 - l’aggressione per il dominio è in grado di insorgere quando viene lanciata una sfida al rango del soggetto oppure quando insorge il desiderio di un oggetto da possedere

5 - l’aggressività materna viene stimolata dall’approssimarsi di una minaccia per la prole

6 - l’aggressività dei piccoli nasce come conseguenza di un aumentato senso d’indipendenza nei confronti dei genitori che minacciano o talora - con le dovute limitazioni - attaccano la prole

7 - l’aggressione disciplinare genitoriale viene suscitata da svariati stimoli, come può essere un piccolo non ben accetto, uno scherzare grossolano o protratto, il vagabondare della prole; talora entra in gioco anche l’antipatia personale

8 - l’aggressività sessuale viene creata dalle femmine col proposito di accoppiarsi o per stabilire un’unione prolungata col partner

9 - l’aggressività sesso-dipendente riconosce gli stessi stimoli che producono il comportamento sessuale

10 - l’aggressione che si scatena tra i maschi riconosce come causa la presenza di un maschio della stessa specie che possa mettersi in competizione

11 - l’aggressività da paura nasce in seguito al confinamento dell’individuo o dalla presenza di qualche agente minaccioso

12- l’aggressività da irritazione viene stimolata dalla presenza di qualche organismo oppure da qualche oggetto con caratteristiche tali da stimolare una risposta di attacco, come accade in presenza di particolari colori o di movimenti a scatto.

Nessun tipo tra le aggressività elencate ne esclude un’altra. D’altro canto, ciascun tipo ha delle basi nervose e endocrine peculiari. I vari tipi di aggressività non si possono applicare alla stessa maniera sia all’uomo che agli animali. Non si tratta di un fenomeno puro e semplice, in quanto il suo significato va compreso nel contesto delle caratteristiche di una specie.

Così, il comportamento predatorio negli animali non va interpretato come segno di ostilità, bensì come necessità di procurarsi il cibo. Gli psicologi e gli etologi sono dell’avviso che negli animali più evoluti, specialmente nell’uomo, l’apprendimento gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del comportamento aggressivo. Ciò sarebbe in contrapposizione con il concetto espresso da Konrad Lorenz - secondo cui gli esseri umani avrebbero tendenze omicide innate derivanti dal loro passato animalesco - e con la tesi di Freud secondo cui l’aggressività umana riconosce un’origine istintuale.

5.1. La psicochirurgia

Si dispone di un’enorme quantità di dati che riguardano gli effetti sull’emotività esplicati dalla stimolazione e dalla lesione di particolari aree del cervello. Si tratta di dati provenienti dalla sperimentazione animale, ma anche in campo umano si è fatto qualche tentativo che ha portato alla nascita della psicochirurgia. Bisogna tenere presente che il comportamento emotivo di un essere umano è talmente più complesso di quello degli altri animali che anche la più accurata diagnosi e il miglior intervento chirurgico possono determinare risultati imprevedibili.

Le tecniche psicochirurgiche sono state impiegate per eliminare il dolore nelle fasi terminali del cancro, per guarire stati d’ansia particolarmente gravi insensibili alla psicoterapia, per risolvere alcuni casi di psicosi e, per ricollegarci ai galli combattenti, in alcuni casi particolarmente gravi di comportamento violento. È ovvio che esiste il rischio di un uso improprio di questa branca chirurgica: si potrebbe giungere a trascurare la vera causa del comportamento violento, cioè le situazioni sociali, che sono le cause scatenanti.

Mark e Irwin cercarono di eliminare il comportamento violento associato all’epilessia del lobo temporale, ottenendo in vari casi un discreto successo. Sono state effettuate lesioni della regione del cingolo per eliminare comportamenti aggressivi o ossessivi. Si ritiene che le lesioni dell’ipotalamo laterale siano in grado di eliminare gli stati d’ansia e il comportamento aggressivo.

6. Genotipo e comportamento umano

Le attività mentali si esprimono nel comportamento e sono strettamente collegate all’attività del cervello e del sistema nervoso. La distruzione di piccole o grandi aree cerebrali può dar luogo a cambiamenti mentali. Alterazioni biochimiche delle cellule nervose e modificazioni delle loro interazioni sono spesso accompagnate da variazioni del comportamento. Il comportamento dipende anche dall’organizzazione degli organi di senso che convogliano al sistema nervoso segnali dal mondo esterno e interno; dipende inoltre dalle reazioni dei tessuti agli stimoli nervosi, i quali possono scatenare secrezioni ormonali e contrazioni muscolari che si esprimono negli stati mentali, nei movimenti e nel modo di parlare.

Dato che i geni svolgono la loro azione sullo sviluppo di svariate strutture biologiche e su innumerevoli processi biologici, è logico aspettarsi che influenzino anche quelle strutture e quelle funzioni da cui dipendono i caratteri psichici, e che le differenze genotipiche si manifestino attraverso differenze del comportamento. Le prove degli effetti svolti dai geni sul comportamento umano provengono da fonti diverse.

Mongolismo

Che il genotipo possa influenzare la psiche e il comportamento è dimostrato dal mongolismo: è dovuto a una trisomia del cromosoma 21, che è di piccola taglia, acrocentrico, a forma di lettera V, e che in uno dei due genitori non si è separato dal cromosoma gemello durante la formazione del gamete [1] . Talora non si tratta di una trisomia, in quanto il corredo cromosomico è numericamente normale. Si tratta invece di una traslocazione sbilanciata del cromosoma 21 su uno dei seguenti cromosomi acrocentrici: 13, 14, 15, 22, o addirittura su un altro cromosoma 21. Lo sviluppo e le funzioni di un organismo diploide sono basati sul bilanciamento dell’azione dei geni, in maniera tale che la normalità è determinata dall’attività di due alleli per molti loci; invece, essendo la maggioranza dei geni presente due volte, se alcuni lo sono una volta sola oppure tre volte, allora l’azione complessiva dei geni è sbilanciata e nascono fenotipi anormali.

I soggetti affetti da mongolismo hanno un cervello piccolo, con certe parti - quali i lobi frontali, il tronco cerebrale e il cervelletto - sproporzionatamente ridotti. Secondo Penrose, tipici individui affetti da sindrome di Down hanno una personalità allegra e amichevole. Non solo: i mongoloidi hanno una loro particolare intelligenza, insomma, non sono assolutamente dei fessi come farebbe intendere l’uso corrente del termine; soprattutto sono dei micioni, sono degli affettivi che ti si strofinano addosso come i gatti quando fanno le fusa. Nel 50% dei mongoloidi sono presenti malformazioni cardiache congenite, con una maggior incidenza di mancanza del setto interventricolare, da cui derivano situazioni patologiche che compromettono molto presto l’esistenza dei bimbi.

Sono affetti da mongolismo 1 su 600 neonati; 1,3 su 1.000 nati vivi presenta una trisomia 21. Se la madre ha un’età inferiore a 20 anni, il rischio di generare un bimbo anormale è di 1:1.800, mentre se la madre ha un’età ³ a 45 anni l’incidenza è di 1:25 in quanto il fenomeno della non disgiunzione meiotica si verifica con frequenza elevata nel tessuto ovarico delle donne in età avanzata.

Sindrome del cri du chat

La mancanza di circa la metà del braccio corto del cromosoma 5 è responsabile della cosiddetta sindrome del cri du chat, cioè del grido del gatto: i bambini, oltre a un grave ritardo mentale, presentano anche un pianto lamentoso simile al miagolio del gatto, che pare venga generato da meccanismi neurologici piuttosto che da anormalità anatomiche della laringe.

A parte le aberrazioni cromosomiche, anche gli effetti di singoli geni sono responsabili di alterazioni del comportamento.

Malattia di Tay-Sachs

La malattia di Tay-Sachs è frequente tra gli ebrei Askenazi [2] - come nell’area urbana di New York e tra i canadesi di ceppo francese - a causa dei dettami religiosi che impongono da molte generazioni il matrimonio tra individui di una popolazione relativamente ristretta. Dipende dall’omozigosi di un gene recessivo che causa nelle cellule cerebrali un anormale metabolismo degli sfingolipidi, necessari a una corretta funzione nervosa, per mancanza della esosaminidasi A, e che si esprime in una degenerazione mentale dei bimbi, che alla nascita sembrano normali.

Corea di Huntington

Il gene autosomico dominante responsabile della corea di Huntington comporta processi degenerativi del sistema nervoso per cui si va incontro alla perdita di cellule in quell’area cerebrale rappresentata dai gangli della base, in particolare a carico dello striato. Questo danno anatomico coinvolge le capacità cognitive (pensiero, giudizio, memoria), il controllo emotivo e il movimento, rappresentato dai cosiddetti movimenti coreici che vanno sotto il nome di ballo di San Vito. Per lo più i sintomi compaiono gradualmente fra i 30 e i 50 anni d’età, anche se talora la malattia può manifestarsi sia a 2 come a 90 anni.

Sindrome di Lesch-Nyhan

Esiste un gene recessivo legato al sesso e localizzato sul braccio lungo del cromosoma X che condanna i suoi portatori - quasi tutti maschi omozigoti - a una grave paralisi cerebrale, a deficienze mentali e a un innato comportamento aggressivo diretto sia contro se stessi che contro gli altri; inoltre conduce generalmente a morte precoce. I bambini affetti si mutilano mangiandosi le labbra e le dita, e il comportamento verso gli altri include lo sputare, il mordere e il picchiare. La sindrome di Lesch-Nyhan risulta dalla mancanza genetica dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HPRT) necessario per un normale metabolismo delle purine. Di conseguenza i bambini hanno un eccesso di acido urico nel sangue, che causa pure una grave sindrome gottosa. Non è conosciuta la relazione esistente fra l’anormalità biochimica e il comportamento. Questo esempio estremo di un comportamento antisociale dipendente da un gene potrebbe suggerire che altri genotipi siano magari la causa di gradi minori e di tipi diversi di comportamento anormale.

Sindrome dell’X fragile - Fra-X

Questa sindrome è la causa di ritardo mentale ereditario più frequente: circa 1:4.000 maschi della popolazione generale ne è affetto. Il nome X fragile deriva dal fatto che la mutazione del DNA provoca una modificazione della struttura del cromosoma X che, visto al microscopio, presenta una strozzatura, dove è situato il gene FMR1. Nella maggior parte dei casi l’alterazione responsabile della sindrome è l’espansione di una sequenza ripetuta di 3 basi nucleotidiche - e precisamente della tripletta Citosina - Guanina - Guanina, o tripletta CGG - a livello del gene FMR1. Tale sequenza è particolarmente instabile durante il passaggio da una generazione all’altra.

Nelle persone normali la tripletta CGG è ripetuta un numero variabile di volte - da 6 a 55 - e viene trasmessa stabilmente attraverso le generazioni. Quando il numero di triplette CGG supera le 55 ripetizioni, la sequenza di DNA diventa instabile e durante il passaggio alle generazioni successive si espande il numero di ripetizioni della tripletta.

Le persone dotate di un numero di ripetizioni comprese fra 56 e 200 vengono definite portatori sani e l’espansione della tripletta consente al gene FRM1 di funzionare ancora in modo corretto, senza cioè provocare alcun sintomo clinico.

Nelle persone affette da sintomi clinici il numero di ripetizioni CGG supera il valore di 200 e comporta il mancato funzionamento del gene FRM1. Tutti i maschi sono affetti dalla sindrome clinica, mentre ne sono affette solo circa la metà delle femmine.

Il primo segno della malattia è il ritardo dello sviluppo psicomotorio, in particolare dell’apprendimento del linguaggio. Il ritardo mentale è di grado variabile e spesso si associa ad anomalie comportamentali come irrequietezza, instabilità psicomotoria e incapacità a fissare l'attenzione. Queste caratteristiche persistono con l'avanzare dell'età.

Il comportamento delle persone affette da FraX può andare da un carattere estroverso e sociale a comportamenti simili all'autismo (iperattività, incapacità di fissare negli occhi gli altri, avversione all'essere toccati, comportamento stereotipato). A volte possono manifestarsi episodi convulsivi.

Molte persone affette da FraX hanno tratti somatici tipici: viso stretto e allungato con fronte e mandibola prominenti, orecchie più grandi e più basse della media e, nei maschi, ingrossamento dei testicoli (macrorchidismo). Le persone affette da FraX possono presentare anche altri sintomi, come l'iperestensibilità delle articolazioni, il piede piatto e il prolasso della valvola mitrale.

Mongolismo e sindrome dell’X fragile non sono paragonabili dal punto di vista genetico e cromosomico. Tuttavia non può non saltare all’occhio che, come nel mongolismo, nella sindrome dell’X fragile non è compromessa solamente la quota comportamentale del soggetto, ma sono alterati altri tratti somatici che non hanno apparente relazione con il sistema nervoso: cuore, volto, articolazioni.

Per contro, visto che il soggetto affetto da Fra-X può presentare comportamenti simili all’autismo, pare che nel caso dell’autismo puro sia sempre più probabile che le anormalità del patrimonio genetico giochino un ruolo centrale.

Gay gene

Nel luglio 1993 la rivista Science pubblicò uno studio di Dean Hamer secondo il quale esisterebbe una preponderanza di parenti gay da parte materna per i maschi gay, i quali presenterebbero certi markers a livello della regione Xq28 del cromosoma X, più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da una semplice casualità. Si concluse che il frammento cromosomico deve contenere un gene in grado di predisporre i maschi all’omosessualità. Alla stessa conclusione condusse un secondo studio pubblicato nel 1995 da Hamer e la sua équipe. Un successivo studio di George Rice e George Ebers giunse a conclusioni opposte. La diatriba non è ancora approdata a una soluzione. A questo proposito bisogna rammentare quanto abbiamo già affermato, e cioè che l’ambiente partecipa in larga misura all’espressione di un tratto comportamentale. Bisogna inoltre sottolineare che ereditabile non significa ereditato. Infatti ereditato significa che un tratto viene direttamente e completamente determinato da un gene, senza possibilità di una sua modificazione agendo sull’ambiente.

Si tratta di esempi estremi, ma possiamo pensare che esista tutta una serie di influenze genetiche attive sul comportamento, passando da casi estremi di comportamento abnorme a tutte le possibili varianti classificabili nell’ambito della normalità.

Maschi aventi l’inusuale assortimento di cromosomi sessuali XYY sono molto rari nella popolazione generale, ma si riscontrò che essi costituivano una percentuale discreta tra gli internati di un ospedale britannico per criminali molto pericolosi. In media sono individui molto alti, alcuni straordinariamente aggressivi, e si pensò che fosse la loro costituzione XYY che li rendeva particolarmente aggressivi, e che questa fosse quindi l’origine della loro condotta antisociale. Dal momento della pubblicazione dei primi lavori sulla sospetta tendenza verso attività criminali di individui XYY, sono sorti parecchi dubbi sulla validità di questa presunta associazione. I primi studi furono svolti su popolazioni preselezionate, e sembrerebbe necessario studiare dei campioni di grandi dimensioni scelti a caso sia di adulti che di neonati per ottenere dati validi sulla frequenza degli adulti XYY e sullo sviluppo sociale dei neonati XYY. Dai dati disponibili nel 1971 non vi sono prove sufficienti con le quali si possa decidere pro o contro l’ipotesi che maschi XYY siano predisposti allo sviluppo di una personalità psicopatica e di un conseguente comportamento aberrante e di una condotta antisociale (Court Brown).

 

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[1] Il 2000 ha violato la privacy anche del cromosoma 21, quello implicato nella sindrome di Down. 18 maggio 2000: il braccio lungo del cromosoma 21 contiene 33.546.361 bp; il braccio corto 281.116 bp, in totale vi sono allocati 127 geni noti, 98 geni previsti e 58 pseudogèni.

[2] Gli Ashkenazim rappresentano uno dei due maggiori gruppi in cui vengono suddivisi gli Ebrei, essendo l’altro gruppo rappresentato dei Sefardim. Questa suddivisione si basa su differenze geografiche, linguistiche e culturali. Il termine Ashkenazim deriva da Ashkenaz, pronipote di Noè. Infatti la Genesi, 10-1, dice “Discendenti di Sem, Cam e Jafet figli di Noè. Essi ebbero dei figli dopo il diluvio. I figli di Jafet sono: Gomer, Magog, Madai, Javan, Tubal, Mosoc e Tiras. I figli di Gomer sono: Ashkenaz, Rifat e Togorma.” Ashkenaz secondo la Bibbia indica una nazione discendente da Jafet stanziata a nord della Siria, forse gli Ascani di Frigia. I Rabbini medievali, per spiegare l’insediamento ebraico nell’area renana antecedente l’Impero Romano, hanno affermato che Ashkenaz era immigrato in Germania dopo il diluvio universale. La cultura Ashkenazim si identifica con la lingua Yiddish, un misto di tedesco antico, laaz, slavo ed ebraico, che viene scritta con caratteri ebraici. Attualmente sono detti Ashkenazim quegli ebrei i cui antenati vivevano in Germania, mentre i Sefardim sono quelli i cui ascendenti risiedevano nella penisola iberica. Gli Askenazi costituiscono più dell’80% della popolazione ebraica mondiale. In ebraico il termine laaz indica tutte le lingue non ebraiche e in particolar modo quelle di origine latina.