Lessico


Pietro Abelardo
ed Eloisa

Abelardo ed Eloisa
 in una miniatura contenuta nel manoscritto del Roman de la rose  
17.772 versi - intrapreso tra il 1275 e il 1280

di Jean de Meung (ca. 1240 - 1305/15)
conservato nel Musée Condé di Chantilly - dipartimento dell'Oise

Pietro Abelardo: filosofo e teologo francese (Palatium o Pallet o Palais, Bretagna 1079 – Abbazia di Saint Marcel a Cluny, Saône-et-Loire 21 aprile 1142), discendente da una nobile famiglia bretone. Il villaggio di Pallet sorgeva circa 13 km a est di Nantes. Questa città, già capitale dei Galli Namneti, divenne la romana Portus Namnetum e, unitamente a Rennes (capoluogo della Bretagna), ebbe notevole rilievo nell'ambito del ducato di Bretagna (sec. XII-XVI). Oggi Nantes è il capoluogo del dipartimento della Loire-Atlantique.

Così parla Abelardo del suo luogo di nascita: "Ego igitur, oppido quodam oriundus quod in ingressu minoris Britanniae constructum, ab urbe Namnetica versus orientem octo credo miliariis remotum, proprio vocabulo Palatium appellatur, sicut natura terre mee vel generis animo levis, ita et ingenio extiti et ad litteratoriam disciplinam facilis. (Epistola I, quae est historia calamitatum Abaelardi, ad amicum scripta) - Nel 987 Conan I, conte di Rennes, si era proclamato duca di Bretagna. Passato sotto la sovranità inglese nel 1170 grazie ad alleanze matrimoniali, all’inizio del XIII secolo il ducato ritornò a un ramo dei duchi francesi di Rennes.

Abelardo deriva dal tedesco ebar e hart e significa principe coraggioso. La sua forma latina è Abaelardus. Ma il nome Abaelardus (scritto anche Abailardus, Abaielardus e in molti altri modi) si dice essere una corruzione di Habelardus che Pietro stesso sostituì al posto del nomignolo Bajolardus ricevuto quando era studente.

Fu uno dei grandi maestri del pensiero europeo, considerato un precursore della Scolastica. Nel corso della sua vita si mosse da una città all'altra fondando scuole e dando così i primi impulsi alla diffusione del pensiero filosofico e scientifico. Conquistò masse di allievi grazie all'eccezionale abilità con cui padroneggiava la logica e all'acume critico con cui analizzava la Bibbia e i Padri della Chiesa. Ebbe come temibile avversario Bernardo di Chiaravalle, che lanciò contro di lui accuse di eresia. Fu condannato dai concili di Soisson (1121) e Sens (1140) per i suoi studi teologici sulla Trinità. Tra i suoi principali allievi, Arnaldo da Brescia, Giovanni di Salisbury, segretario dell'arcivescovo Thomas Becket, Ottone di Frisinga, zio di Federico I Barbarossa e grande letterato, e Rolando Bandinelli, il futuro Papa Alessandro III.

Abelardo fu noto anche col soprannome di Golia: durante il Medioevo tale appellativo aveva la valenza di "demoniaco". Pare che Abelardo fosse particolarmente fiero di codesto soprannome, guadagnato in relazione ai numerosi scandali di cui fu protagonista, tanto da firmare con esso alcune delle sue lettere.

Studia a Loches avendo per maestro Roscellino e poi a Parigi, dove segue le lezioni di Guglielmo di Champeaux, del quale critica la teoria degli universali, suscitando accese polemiche che lo costringono a trasferirsi prima a Melun e poi a Corbeil, dove insegna con grande successo. Torna a Parigi seguendo ancora le lezioni di Guglielmo, suscitando nuove polemiche, infine apre una sua scuola nella collina parigina di Sainte Geneviève.

Nel 1113 è a Laon, dove studia teologia sotto Anselmo di Laon e nello stesso anno torna a Parigi per insegnare dialettica e teologia nella scuola di Notre-Dame. Qui conosce la giovane Eloisa (nata nel 1099/1101), nipote di Fulberto canonico di Notre-Dame (alcuni ipotizzano che fosse sua figlia), bella, colta, sensibile e intelligente, "aveva tutto ciò che più seduce gli amanti", scrive Abelardo.

Dalla loro storia d’amore verso la fine del 1116 viene alla luce un figlio fatto nascere in Bretagna e che chiamano Astrolabio (Colui che afferra le stelle - come l'omonimo strumento per la determinazione delle coordinate degli astri e per la misura del tempo), il che costringe Abelardo a sposare Eloisa, ma in segreto, data la sua professione: infatti chi insegna nelle scuole gestite dalla Chiesa deve essere celibe. Nonostante tutte le precauzioni, la notizia si diffonde. Abelardo, per non intaccare la sua reputazione di docente e chierico, decide di separarsi da Eloisa e la nasconde nel convento di Argenteuil vestita da monaca.

Abelardo ed Eloisa sorpresi da Fulberto
 Jean Vignaud, 1819

Non appena lo zio e i parenti vengono a saperlo, pensano di essere stati deliberatamente ingannati e che Abelardo le avesse fatto indossare l'abito da monaca per potersene liberare. Per questo ne sono indignati e meditano la vendetta. Probabilmente siamo nel 1118.

Fu così che una notte, mentre Abelardo dormiva in una camera appartata della sua casa, grazie alla connivenza di un servo gli emissari di Fulberto entrarono nella camera e uno di essi con un colpo netto lo privò del pene e dei testicoli. Alle grida di dolore gli uomini fuggirono, ma due di essi furono catturati. Costoro furono accecati e subirono la stessa sorte di Abelardo: furono anch'essi evirati. Uno di loro era il servo di Abelardo che aveva tradito il suo padrone per avidità di denaro.

Ecco la rievocazione di quest'evento stilata da Abelardo: Quod cum ego cognovissem, transmisi eam ad abbatiam quandam sanctimonialium prope Parisius, que Argenteolum appellatur, ubi ipsa olim puellula educata fuerat atque erudita, vestesque ei religionis quae conversationi monasticae convenirent, excepto velo, aptari feci et his eam indui. Quo audito, avunculus et consanguinei seu affines eius opinati sunt me nunc sibi plurimum illusisse, et ab ea moniali facta me sic facile velle expedire. Unde vehementer indignati et adversum me coniurati, nocte quadam quiescentem me atque dormientem in secreta hospicii mei camera, quodam mihi serviente per pecuniam corrupto, crudelissima et pudentissima ultione punierunt, et quam summa ammiratione mundus excepit, eis videlicet corporis mei partibus amputatis quibus id quod plangebant commiseram. Quibus mox in fugam conversis, duo qui comprehendi potuerunt oculis et genitalibus privati sunt, quorum alter ille fuit supradictus serviens qui, cum in obsequio meo mecum maneret, cupiditate ad proditionem ductus est. (Epistola I, quae est historia calamitatum Abaelardi, ad amicum scripta)

Una vendetta, ai nostri occhi di moderni, spettacolare e odiosamente gratuita, ma a quel tempo una vendetta familiare quasi doverosa da parte dell'offeso, secondo la consuetudine della legge non scritta, non frequente ma neppure eccezionale. Il diritto consuetudinario preferiva la vivida concretezza della pena corporale a quella traslata e pecuniaria, conservando comportamenti antichi - la legge del taglione, secondo il principio dell'occhio per occhio, dente per dente, per cui il reo (in questo caso i sicari inviati da Fulberto) perdeva lo stesso arto o organo di cui aveva privato l'offeso, una legge applicata anche nell'Antico Testamento, espressa nella formula efficace dal Levitico 24,19-21 - e mantenendo nel profondo della società un sistema di rapporti che avevano lo stesso prestigio della legge scritta. Tuttavia Abelardo viveva in una posizione sociale privilegiata e, per quanto comprensibile, la vendetta di Fulberto non fu approvata: "la moltitudine dei chierici e dei maestri si lamentò; si lamentarono i cittadini giudicando questo atto come un'offesa fatta a loro". Le donne piansero perché "avevano perduto un così bel cavaliere".

Molto auspicabile - anche se talora un po' esagerata - era la legge di Dio dei tempi passati, ma spesso varrebbe la pena riesumarla se vogliamo elargire giustizia invece di un'insulsa pietà, una fatua misericordia di cui si fa paladina anche la chiesa cattolica del XXI secolo invocando un perdono che non è per nulla terapeutico, come dimostra ciò che accade dopo un semplice indulto.

Facciamo una piccola digressione per leggere il misconosciuto brano del Levitico 24,10-23 in cui è contenuto il passo al quale ci ha indotti Abelardo: [10] Ora il figlio di una donna israelita e di un egiziano uscì in mezzo agli Israeliti; nell'accampamento, fra questo figlio della donna israelita e un israelita, scoppiò una lite. [11] Il figlio della Israelita bestemmiò il nome del Signore, imprecando; perciò fu condotto da Mosè. La madre di quel tale si chiamava Selòmit, figlia di Dibri, della tribù di Dan. [12] Lo misero sotto sorveglianza, finché fosse deciso che cosa fare per ordine del Signore. [13] Il Signore parlò a Mosè: [14] "Conduci quel bestemmiatore fuori dell'accampamento; quanti lo hanno udito posino le mani sul suo capo e tutta la comunità lo lapiderà. [15] Parla agli Israeliti e dì loro: Chiunque maledirà il suo Dio, porterà la pena del suo peccato. [16] Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato il nome del Signore, sarà messo a morte. [17] Chi percuote a morte un uomo dovrà essere messo a morte. [18] Chi percuote a morte un capo di bestiame lo pagherà: vita per vita. [19] Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro: [20] frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta all'altro. [21] Chi uccide un capo di bestiame lo pagherà; ma chi uccide un uomo sarà messo a morte. [22] Ci sarà per voi una sola legge per il forestiero e per il cittadino del paese; poiché io sono il Signore vostro Dio". [23] Mosè ne riferì agli Israeliti ed essi condussero quel bestemmiatore fuori dell'accampamento e lo lapidarono. Così gli Israeliti eseguirono quello che il Signore aveva ordinato a Mosè.

All'alba la notizia dell'evirazione di Abelardo si era già diffusa per tutta Parigi, e molti si erano raccolti intorno alla casa. Tra costoro molti piangevano e molti alzavano le loro grida, commuovendo lo stesso Abelardo fino alle lacrime. Più di tutti lo ferirono i lamenti dei chierici e soprattutto i pianti dei suoi discepoli. "Soffrivo più per la loro compassione che per il dolore della ferita" commenta Abelardo, che per il suo orgoglio ferito, aggiunge: "avvertivo di più la mia vergogna che la piaga che mi affliggeva …continuavo a pensare quanto la gloria mi avesse reso potente e con quale facilità fosse stata abbattuta, anzi completamente annientata, a causa di una colpa vergognosa, dal giusto giudizio di Dio che mi aveva punito proprio in quella parte del corpo con la quale avevo peccato". Ma è solo l'inizio delle sue sventure che d'ora in poi lo perseguiteranno con maggior accanimento.

Dopo l'evirazione Abelardo si rifugia nel monastero di Saint Denis (San Dionigi), vi si fa monaco all'inizio del 1118 e continua a insegnare logica e teologia in una scuola della Champagne. Pubblica il De unitate et trinitate divina che viene attaccato da Alberico e da Lotulfo, insegnanti della scuola di Reims. Condannato nel 1121 al Concilio di Soissons, è costretto a bruciare il suo libro e a chiudersi nel locale convento di San Medardo.

Autorizzato a rientrare nell'abbazia parigina di Saint Denis, entra però in contrasto con l'abate. L'oggetto del contendere è una diatriba relativa a Dionigi scatenata dagli Atti degli Apostoli XVII 33-34 in cui si legge: [33] Così Paolo uscì da quella riunione. [34] Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.

L'Areopago era quella collina ateniese situata a ovest dell'Acropoli, sede di un consiglio che da essa prese il nome e che rappresentava probabilmente la continuazione dell'antico senato regio.

Orbene, non sono riuscito a immedesimarmi nella diatriba relativa ai vari Dionigi che videro impegnati Abelardo e i monaci di Saint Denis, né ho trovato spiegazioni attendibili relative a questa diatriba che valga la pena proporre. Volentieri mi dichiaro perdente in quanto non ho tempo da perdere. Però ho trovato il tempo di offrire lo spunto a qualcuno più volenteroso di me.

Dionigi l'Areopagita (I secolo), santo, membro dell'areopago di Atene, convertitosi al cristianesimo per la predicazione di san Paolo, come riportano gli Atti 17:34. Di lui non si possiedono ulteriori notizie certe; è ritenuto il primo vescovo di Atene, dove fu martirizzato durante il regno dell'imperatore romano Domiziano. La sua festa ricorre il 3 ottobre.

Dionigi di Corinto, santo, vescovo di Corinto dal 166 al 174.

Dionigi (Roma ? - Parigi 258 ca.), santo, patrono di Francia e primo vescovo di Parigi. Fondò l'abbazia di Saint-Denis. Questo Dionigi viene talvolta identificato con Dionigi l'Areopagita. Festa il 9 ottobre.

L'unico sforzo richiesto al volenteroso lettore che vorrà chiarirci l'arcano, consiste nel tradurre questa lettera di Abelardo:


Per evitare altre pericolose conseguenze dovute alla diatriba, Abelardo abbandona il convento parigino e ripara prima nella sua scuola di Champagne e poi a Provins, in un convento il cui priore era suo amico.

Successivamente, con un discepolo, fonda nell'Aube, a Quincey, un oratorio che chiama Paraclito - il consolatore o lo Spirito Santo - fatto solo di canne e paglia, dove apre una scuola per gli studenti che lo avevano già seguito nei suoi precedenti insegnamenti. I molti studenti che accorrono alla nuova scuola ricostruiscono volontariamente l'edificio in pietra.

Verso il 1127 lascia anche il Paraclito per diventare abate di Saint Gildas, in Bretagna, in riva all'oceano, dove i monaci del convento sono ignoranti, rozzi, hanno figli, mantengono amanti e rubano quanto possono. Non accettando la disciplina che lui vuole imporre, cercano di ucciderlo, ma ottengono solo di avvelenare un loro ignaro confratello.

Abelardo ed Eloisa
di Edmund Blair Leighton

Ripresi i contatti con Eloisa, ora priora del convento di Argenteuil, saputo che lei e le sue monache sarebbero state mandate via per far posto ai monaci, dona alle monache il Paraclito, invitandole a stabilirvisi. Il vescovo e il papa Innocenzo II danno il loro assenso alla donazione. Eloisa viene eletta badessa.

Nel 1136 ritorna a insegnare con gran successo nella scuola di Sainte Geneviève, dove annovera tra i suoi discepoli Arnaldo da Brescia e Giovanni di Salisbury. Ma Guglielmo di Saint-Thierry, Norberto di Magdeburgo e Bernardo di Chiaravalle attaccano le sue dottrine. Abelardo viene convocato da Bernardo perché esponga le sue ragioni. Il 3 giugno 1140, nella cattedrale di Sens, dinnanzi ad alti ecclesiastici e allo stesso re di Francia, Bernardo legge la lista delle proposizioni che, temendo un diretto confronto dialettico con Abelardo, aveva fatto precedentemente condannare dai vescovi e gli chiede se le ammette come proprie. Abelardo risponde solo di volersi appellare al papa e abbandona il concilio. Bernardo sollecita la ratifica papale della condanna di Abelardo, che viene emessa il 16 luglio.

Abelardo, nel suo viaggio a Roma, sosta nel convento di Cluny ed è convinto a rimanervi dall'abate Pietro di Montboiser, detto Pietro il Venerabile, che ottiene poi l'annullamento della sua condanna. Qui passa i suoi due ultimi anni di vita, studiando, insegnando e, secondo la testimonianza di Pietro, vivendo in umiltà e povertà. La morte lo coglie il 21 aprile 1142.

Dopo la sua morte, i suoi resti e poi quelli di Eloisa (morta nel 1164) vennero traslati più volte, fino a essere definitivamente ricomposti uno vicino all'altra nel 1817 in una cappella del cimitero del Père Lachaise a Parigi.

Opere principali: Dialectica (1121), Sic et non (1121), Theologia (1123), Scito te ipsum (1129). Importanti per la sua biografia sono la Historia calamitatum mearum (1136) e le bellissime lettere scambiate con Eloisa.

La loro corrispondenza ispirò numerosi poeti, da Hofmann von Hofmannswaldau (Heldenbriefe, 1673; Lettere di eroi) ad Alexander Pope (Eloise to Abelard, 1717) e a Rousseau, che chiamò “nuova Eloisa” la protagonista del suo romanzo (Julie, ou la nouvelle Héloïse, 1761).