Lessico


Prospero Alpino

  

Botanico e medico italiano (Marostica, Vicenza 1553 - Padova 1616/1617). Studiò a Padova, dove conseguì la laurea nel 1578. Da medico a Camposampiero, pensò di evadere dai piccoli centri e nel 1580 seguì il console Giorgio Emo in Egitto dove soggiornò dal 1580 al 1583.

Durante questi tre anni ebbe modo di raccogliere molto materiale e nel 1592 pubblicò il De plantis Aegypti, essendo così il primo autore europeo a descrivere la pianta del caffè, da lui osservata appunto in Egitto. Richiamato in Italia nel 1584, divenne nel 1594 lettore nell’università di Padova e nel 1603 Custode dell’Orto e Ostensore dei Semplici. Linneo gli dedicò il genere Alpinia della famiglia Zingiberaceae.

Chiamato all’università di Parigi, vi ricoprì la cattedra di botanica. Fu il primo a interessarsi alla fecondazione artificiale delle piante. Scrisse altri trattati: De balsamo, De rapontico, De medicina Aegyptiorum (1591), De praesagenda vita et morte aegrotantium (1601).

Prospero Alpini

Prospero Alpini (Marostica, 23 novembre 1553 – Padova, 23 novembre 1616/6 febbraio 1617) è stato un medico, botanico e scienziato italiano. Noto anche come Prosper Alpinus, Prospero Alpino e Prosper Alpin. Nato a Marostica, nella Repubblica di Venezia, in gioventù servì le armi nell'esercito milanese, ma nel 1574 decise di studiare medicina all'Università di Padova, dove si laureò 1578.

Iniziò la professione di medico a Camposampiero, un piccolo paese del territorio padovano, ma dopo poco tempo, nel 1580, il patrizio veneto Giorgio Emo, nominato console a Il Cairo in Egitto dalla Repubblica Veneta, lo volle con sé come medico personale. In questo modo poté dedicarsi allo studio della botanica, suo interesse scientifico prevalente. Trascorse tre anni in questo paese e, dalle pratiche di coltivazione della palma da dattero, Alpini dedusse il concetto di differenza sessuale nelle piante, che in seguito fu adottato come fondamento dal sistema di classificazione scientifica di Linneo.

Egli comprese che "le palme da dattero femminili non portavano il frutto a meno che non ci fosse un mescolamento tra i rami maschili e femminili o, come generalmente avviene, a meno che la polverina prodotta dai fiori maschili non fosse cosparsa sui fiori femminili".

Nel 1584 tornò a Venezia e in seguito, risiedette per qualche tempo a Genova come medico di Andrea Doria. Nel 1590 tornò a Venezia e nel 1593 ottenne la cattedra di lettura dei semplici all'Università di Padova. Dal 1603 fu nominato prefetto dell'orto botanico e titolare anche della cattedra di ostensione dei semplici (l'odierna farmacologia).

Le opere e l'attività dell'Alpino riguardarono sia la botanica che la medicina e lo resero celebre in tutta Europa, tanto che Albrecht von Haller lo definì medicus et botanicus celeberrimus. In medicina la sua opera più celebre fu il De praesagenda vita et morte aegrotantium, il primo trattato moderno di semeiotica, che ebbe grande successo e ampia diffusione con ristampe fino al 1774.

In botanica la sua opera più famosa fu il De Plantis Aegypti, anche questa di grande successo e ampia diffusione con plurime edizioni e ristampe. Vi sono contenute le prime considerazioni sulla pianta del caffè pubblicate in Europa Famoso anche il De Medicina Aegyptiorum (Venezia, 1591). Il genere Alpinia, della famiglia Zingiberaceae, gli venne dedicato da Linneo in suo onore.

Prospero Alpini
rivelò il caffè agli Europei

di Anna Buoncristiani

Era il 1592; Prospero Alpini (o Alpino, per l'incerta italianizzazione di Prosper Alpinus) in una sua opera botanica parlava di una bevanda molto usata in Egitto, la caova, magnificandone gli usi curativi e descrivendo la pianta dai cui i semi tostati si preparava. Allora in Europa non se ne sapeva niente; forse nello stesso anno ne aveva fatto cenno un medico tedesco, Leonhard Rauwolf, che perciò contende all'Alpini il primato della notizia.

I due studiosi non potevano certo immaginare il largo uso che di quella bevanda in seguito si sarebbe fatto nel mondo: si trattava del caffè, la cui origine, pare antichissima, si perde tra storia e leggenda. Sicuramente alla metà del quindicesimo secolo si sorseggiava in Yemen: Linneo nella sua classificazione chiamò la pianta Coffea arabica proprio per la zona in cui era diffusa. L'uso trovò consensi sempre più ampi tra gli Arabi, che non potevano bere alcolici. La religione islamica apprezzava la proprietà di stimolare intelligenza, creatività e fantasia, a differenza del vino che dava sonnolenza e distrazione. L'abitudine di bere caffè arrivò poi al Cairo, dove lo conobbe l'Alpini, che visse là poco più di tre anni come medico di Giorgio Emo, console della repubblica veneta.

Nato a Marostica (Vicenza) il 23 novembre 1553, l'Alpini era stato avviato alla carriera militare, che però abbandonò ben presto. Si iscrisse così all'università di Padova, dove si laureò in medicina nel 1578. Dopo aver esercitato brevemente la professione a Camposampiero, nei dintorni di quella città, stipendiato dal governo municipale, fu voluto come medico dall'Emo che andava al Cairo. I due, partiti da Venezia nel settembre 1580, arrivarono a destinazione solo nel luglio dell'anno seguente, dopo essere stati costretti anche a una sosta ad Alessandria a causa della peste. Durante il tragitto l'Alpini approfittò di uno scalo a Creta per studiare le piante dell'isola, molte delle quali in seguito descrisse per primo.

Dopo il ritorno dall'Egitto fu assunto come medico personale da Giovanni Andrea Doria, trasferendosi a Genova, dove esercitò la professione anche privatamente con gran successo, tanto da essere considerato il miglior medico. Tornò a Venezia nel 1590 e vi rimase quattro anni, finché per i suoi studi botanici fu nominato lettore dei semplici (le erbe medicinali) all'università di Padova. Nel 1591 scrisse — in forma di dialogo con il suo maestro Melchiorre Guilandino — il De medicina Aegyptiorum, uno dei primi studi di medicina non europea, in cui parlava di malattie, igiene, profilassi e cure conosciute nel soggiorno in Egitto, dove era praticata la medicina turca. In quel paese aveva incontrato la tecnica della moxa (cauterizzazione cutanea a scopo revulsivo, effettuata per mezzo di batuffoli di sostanze combustibili), e ne fu tanto interessato da farla conoscere in Europa.

Lo stesso anno nel De balsamo dialogus accennava al balsamo e al vegetale che lo produceva (Commiphora opobalsamum oggi Commiphora gileadensis), di cui aveva portato a Venezia un esemplare vivo. Egli pensava che derivasse non dall'Egitto, ma dall'Arabia. Su quella pianta si discuteva fin dall'antichità; dopo la descrizione da lui fatta se ne continuò a parlare per quasi due secoli, finché Guglielmo Le Moine, allievo di Linneo, non dette ragione all'Alpini.

Il 1592 vide l'uscita del De plantis Aegypti, anch'esso sotto forma di dialogo con il Guilandino, in cui erano illustrati alberi e arbusti, spontanei o coltivati, usati in Egitto per curare le malattie; tra di essi, presentati per la prima volta agli Europei, il caffè, il baobab e il banano. Alcune descrizioni furono inserite un secolo e mezzo dopo negli scritti di Linneo, che omaggiò lo studioso veneto dedicandogli un genere delle Zingiberacee, l'Alpinia.

Nel 1601 uscì un lavoro strettamente medico, De praesagienda vita et morte aegrotantium, primo trattato di semeiotica dopo Ippocrate e Galeno; ebbe un tal successo che uscì in sei edizioni. Nel frattempo, l'Alpini fu nominato prefetto dell'orto botanico e ostensore dei semplici, ruoli che svolse fino alla morte, pur continuando a fare il medico. Nel 1612 pubblicò il De rhapontico, in cui illustrava una specie di rabarbaro, il rapontico appunto, arrivatagli dalla Tracia. L'Alpini l'aveva fatto attecchire, e dunque sperava che potesse sostituire il rabarbaro che veniva importato dall'Asia a caro prezzo. Intanto, forse per l'aggravarsi di una malattia renale contratta in Egitto, la morte lo colse il 23 novembre 1616/6 febbraio 1617 e fu sepolto a Padova nella basilica del Santo.

L'opera De plantis exoticis fu pubblicata postuma dal figlio Alpino, anch'egli prefetto dell'orto botanico. Vi si descrivevano specie, quasi tutte nuove per la scienza di allora, che crescevano nell'isola di Creta, ma anche in Egitto, in Francia, in Italia e nel giardino del patrizio veneto Nicolò Contarini, che a Camposampiero coltivava rarità. L'opera conteneva anche osservazioni dello stesso Alpini su piante ottenute da semi che gli erano stati inviati da vari luoghi. Postumo uscì anche Rerum Aegyptiarum libri quattuor, con informazioni zoologiche e mineralogiche, ma anche sugli usi e costumi, e sui monumenti antichi dell'Egitto, che rivelavano un autore non solo scienziato, ma anche attento osservatore di tutto ciò che lo circondava.

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Prospero Alpini

Prospero Alpini (also known as Prosper Alpinus, Prospero Alpinio and Prosper Alpin) (November 23, 1553 - Nov. 23, 1616, or Feb. 6, 1617), was an Italian physician and botanist.

Born at Marostica, in the republic of Venice, in his youth he served for a time in the Milanese army, but in 1574 he went to study medicine at Padua. After taking his doctor's degree in 1578, he settled as a physician in Campo San Pietro, a small town in the Paduan territory. But his tastes were botanical, and to extend his knowledge of exotic plants he travelled to Egypt in 1580 as physician to George Emo or Hemi, the Venetian consul in Cairo.

In Egypt he spent three years, and from a practice in the management of Date Palms, which he observed in that country, he seems to have deduced the doctrine of the sexual difference of plants, which was adopted as the foundation of the Linnaean taxonomy system. He says that "the female date-trees or palms do not bear fruit unless the branches of the male and female plants are mixed together; or, as is generally done, unless the dust found in the male sheath or male flowers is sprinkled over the female flowers".

On his return, he resided for some time at Genoa as physician to Andrea Doria, and in 1593 he was appointed professor of botany at Padua, where he died on Nov. 23, 1616, or Feb. 6, 1617. He was succeeded in the botanical chair by his son Alpino Alpini (d. 1637).

His best-known work is De Plantis Aegypti liber (Venice, 1592) which is said to contain the first account of the coffee plant published in Europe. The same work introduced the banana and baobab to Europeans. His De Medicina Aegyptiorum (Venice, 1591) is also a best-known work. The genus Alpinia, belonging to the order Zingiberaceae (Ginger Family), was named after him by Linnaeus. The standard author abbreviation Alpino is used to indicate this individual as the author when citing a botanical name

Dictionnaire historique
de la médecine ancienne et moderne

par Nicolas François Joseph Eloy
Mons – 1778



Alpinia

Alpinia is a genus of plants, with more than 230 species from the Ginger family (Zingiberaceae). DNA sequence-based methods have shown that this genus is polyphyletic. It is represented by six clades distributed across the tribe Alpinieae, that do not correspond to Smith's (1990) classification of the genus. Further research is needed to specify the taxa in this genus.

They occur in tropical and subtropical climates of Asia and the Pacific, and are in great demand as ornamentals because of their flashy flowers. These plants grow from large rhizomes. The stem consists of closely folded blades, such as in banana trees. The flowers grow on long racemes.

Alpinia galanga is a commonly used species, with similar use and flavour to Kaempferia galaga. The rhizome is used to create a tincture that is applied topically to treat fungal skin infections. The rhizome is taken orally to enhance digestion, treat intestinal infection, Type II Diabetes, bronchitis, rheumatism, and as an aphrodisiac.

Common species:

Alpinia abundiflora
Alpinia acrostachya
Alpinia caerulea - Australian Native Ginger
Alpinia conchigera - Lesser Alpinia
Alpinia emaculata
Alpinia galanga - Greater Galingal
Alpinia javanica - Javanese Alpinia
Alpinia melanocarpa - Black-fruited Alpinia
Alpinia mutica - Small Shell Ginger, Orchid Ginger, Narrow-leaved Alpinia
Alpinia nutans - Dwarf Cardamom, Ginger Lily, Shell Ginger
Alpinia officinarum - Lesser Galangal, Chinese Ginger
Alpinia petiolata - Stalked-leaved Alpinia
Alpinia purpurata - Red Ginger, Ostrich Plume, Jungle Queen, Pink Cone Ginger
Alpinia pyramidata - Java Galangal
Alpinia rafflesiana - Raffles' Alpinia
Alpinia speciosa - Shellflower, Shellplant
Alpinia striata
Alpinia zerumbet - Golden Lotus, Shell Ginger)
Alpinia zingiberina

Alpinia officinarum

La Galanga minore (Alpinia officinarum) è una pianta appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae. È una pianta nativa della Cina, in particolare delle coste del sud-est (Isola di Hainan), cresce comunque bene anche in India e in tutto il Sud-Est asiatico. Numerose piante delle stessa famiglia vengono erroneamente chiamate galanga minore, ad esempio la Kaempferia galanga o la Boesenbergia pandurata, spesso gli stessi nomi comuni sono intercambiabili. Conosciuta in Europa sin dal medio evo, viene menzionata negli scritti degli arabi Avicenna e Rhazes e descritta per la prima volta da H. F. Hance su una rivista scientifica (Journal of the Linnéan Society, 1871). Il nome si pensa derivi dall’ arabo Khanlanjan, che di rimando sembra a sua volta essere la distorsione di una parola cinese che significa “zenzero dolce”.

Pianta erbacea tropicale, molto più piccola della varietà maggiore può raggiungere raramente il metro d’altezza. Le foglie sono a forma di lancia, con venature parallele, lisce, lunghe e sottili, molto acuminate in cima. I fiori nascono da fitte spighe, formati da un calice superiore piccolo e tubulare, una corolla bianca trilobata, un largo labellum ovoidale segnato da bande rosse, un singolo stame con antera e un pistillo con ovario inferiore e uno stilo sottile. Nell’ insieme assomiglia vagamente agli iris. Rizoma dal colore arancio-marrone con un interno rosso-marrone, di consistenza fibrosa, più piccolo della varietà maggiore (2 cm.) ma sempre striati. Profuma di zenzero, di sapore pungente con note di pepe e zenzero.

Viene usata per lo più per le sue proprietà terapeutiche anche se un tempo la si ritrovava nelle ricette di cucina associata con la noce moscata e l’ aglio. Possiede proprietà simili allo zenzero: stimolante, carminativo e stomachico. Viene usata contro la nausea, flatulenza, dispepsia, reumatismi, catarro e enteriti, in omeopatia e veterinaria anche per le sue azioni antibatteriche e toniche. In India è un tradizionale deodorante corporeo e rimedio contro l’alitosi. Usati in Europa e Asia per secoli come potenti afrodisiaci.

Nomi comuni - Cinese: San bai - Italiano: Galanga minore - Francese: Galanga del la Chine, galanga vrai, petit galanga. - Inglese: Colic root, East India root, Galangal. Aromatic Ginger, China Root, Chinese Ginger, East Indian Catarrh Root, Gargaut, India Root, Siamese Ginger. - Malese: Kunchor, zedoary.

Alpinia officinarum

Lesser galangal or Alpinia officinarum (synonym Languas officinarum) is a plant in the ginger family. The rhizome was widely used in ancient and medieval Europe. The rhizome is smaller than greater galangal. The skin and the flesh are reddish brown whereas greater galangal has light yellow or white flesh. It was preferred to greater galangal because of its stronger, more sweetish taste. Its use has dramatically declined, however, and it is now only found in the cuisine of South Eastern Asia.

The word lesser galangal properly refers to Alpinia officinarum. In common usage, however, it is also applied to Kaempferia galanga, also called Sand ginger, Aromatic Ginger or Resurrection lily. Kaempferia galanga, which is grown for medicine and as a spice, is an almost stemless plant that develops its few short-lived leaves and the flower at ground level, whereas the stem of A. officinarum is two to four feet high.

Alpinia galanga

Alpinia galanga, a plant in the ginger family, is an herb used in cooking, especially in Indonesian cuisine and Thai cuisine. It is one of four plants known as galangal, and is differentiated from the others with the common name greater galangal. The galangals are also called blue ginger or Thai ginger.

The plant grows from rhizomes in clumps of stiff stalks up to two meters in height with abundant long leaves which bears red fruit. It is native to South Asia and Indonesia. It is cultivated in Malaysia, Laos, and Thailand. A. galanga is the galangal used most often in cookery. The robust rhizome has a sharp, sweet taste and smells like a blend of black pepper and pine needles. The red fruit is used in traditional Chinese medicine and has a flavor similar to cardamom.

The rhizome is a common ingredient in Thai soups and curries, where is used fresh in chunks or thin slices, mashed and mixed into curry paste, or dried and powdered. Indonesian rendang is usually spiced with galangal. Greater galangal is used in Russia as a flavoring for beverages, including a liqueur called nastoika. A. galanga is also known as Chewing John, Little John Chew, Langkwas and galanga root. Under these names, it is used in folk medicine and in voodoo charms (see John the Conqueror for related lore).

Alpinia purpurata

Red Ginger (Alpinia purpurata), also called Ostrich Plume and Pink Cone Ginger, are native Malaysian plants with showy flowers on long brightly colored red bracts. They look like the bloom, but the true flower is the small white flower on top. Its two varieties are called Jungle King and Jungle Queen. Red Ginger grows in Hawaii, Puerto Rico, and many Central American nations, including Belize.
Red ginger can also be grown in South Florida since, in general, the region does not fall below freezing temperatures. It prefers partial shade and moist humid conditions, although it can tolerate full sun in some climates. It tends to like to be well watered and not left to dry out. Ginger can also be grown as a houseplant and its cut flowers can be used in arrangements. Ginger tends to spread
.

Alpinia zerumbet

Alpinia zerumbet (Light galangal, Pink porcelain lily, Shell flower, Shell ginger, Variegated ginger, Butterfly ginger, Japanese: getto; Chinese: pinyin: yàn shanjiang) is a Chinese perennial plant of the ginger family (Zingiberaceae). The plant can grow to a height of 1 to 3 m and bears funnel-formed flowers. Flowers have large yellow petals with red spots and stripes. There are three stamens, but only one has pollen. There is one pistil. The fruit is globose with many striations.
It's best grown in originally rich medium wet, to wet well drained soils in full sun to part shade. Afternoon shade in hot summer climates, is recommended. As a house plant, it must have bright light, and humid conditions. Prune as needed, and remember that the plants wont flower till the second year, so don't worry if your plant isn't flowering right away.

Native to eastern Asia, this plant is a rhizomatous, ever green tropical perennial that grows in upright clumps 8-10 feet tall in tropical climates. In more typical conditions, it reaches 4-8 feet tall in the green house, and 3-4 feet tall, as a house plant. It is called a sheel ginger or shell flower most commonly, because its individual pink flowers, especially when in bud, resemble sea shells. The plant's long leaf blades are still used for wrapping zongzi.

Coffea arabica

Coffea arabica is a species of coffee indigenous to Ethiopia and Yemen, family Rubiaceae. It is also known as the "coffee shrub of Arabia", "mountain coffee" or "arabica coffee". Coffea arabica is believed to be the first species of coffee to be cultivated, being grown in southwest Arabia for well over 1,000 years. It is considered to produce better coffee than the other major commercially grown coffee species, Coffea canephora (robusta). Arabica contains less caffeine than any other commercially cultivated species of coffee. Wild plants grow to between 7-12 m tall, and have an open branching system; the leaves are opposite, simple elliptic-ovate to oblong, 6-12 cm long and 4-8 cm broad, glossy dark green. The flowers are white, 10-15 mm in diameter and grow in axillary clusters. The fruit is a berry 10-15 mm in diameter, maturing bright red to purple and typically contain two seeds (the coffee 'bean').

Cultivation

Coffea arabica takes about seven years to mature fully and does best with 1-1.5 meters (about 40-59 inches) of rain, evenly distributed throughout the year. It is usually cultivated between 1,300 and 1,500 m altitude, but there are plantations as low as sea level and as high as 2,800 m. The plant can tolerate low temperatures, but not frost, and it does best when the temperature hovers around 20 °C (68 °F). Commercial cultivars mostly only grow to about 5 m, and are frequently trimmed as low as 2 m to facilitate harvesting. Unlike Coffea canephora (robusta), Coffea arabica prefers to be grown in light shade.

Two to four years after planting Coffea arabica produces small, white and highly fragrant flowers. The sweet fragrance resembles the sweet smell of jasmine flowers. When flowers open on sunny days, this results in the greatest numbers of berries. This can be a curse however as coffee plants tend to produce too many berries; this can lead to an inferior harvest and even damage yield in the following years as the plant will favor the ripening of berries to the detriment of its own health. On well kept plantations this is prevented by pruning the tree. The flowers themselves only last a few days leaving behind only the thick dark green leaves. The drupes, or berries, then begin to appear. These are as dark green as the foliage, until they begin to ripen, at first to yellow and then light red and finally darkening to a glossy deep red. At this point they are called 'cherries' and are ready for picking. The berries are oblong and about 1 cm long. Inferior coffee results from picking them too early or too late, so many are picked by hand to be able to better select them, as they do not all ripen at the same time. They are sometimes shaken off the tree onto mats, which means that ripe and unripe berries are collected together.

The trees are difficult to cultivate and each tree can produce anywhere from 0.5-5 kg of dried beans, depending on the tree's individual character and the climate that season. The real prize of this cash crop are the beans inside. Each berry holds two locules containing the beans. The coffee beans are actually two seeds within the fruit, there is sometimes a third seed or one seed, a peaberry in the fruits at tips of the branches. These seeds are covered in two membranes, the outer one is called the 'parchment' and the inner one is called the 'silver skin'.

In perfect conditions, like those of Java, trees are planted at all times of the year and are harvested year round. In less ideal conditions, like those in parts of Brazil, the trees have a season and are harvested only in winter. Gourmet coffees are almost exclusively high-quality mild varieties of coffea arabica, like Colombian coffee.

History and legend

According to legend, human cultivation of coffee began after goats in Ethiopia were seen becoming frisky after eating the leaves and fruits of the coffee tree. In reality, human consumption of coffee fruits probably began long before humans took up pastoralism. In Ethiopia there are still some locales where people drink a tisane made from the leaves of the coffee tree.

The first written record of coffee, made from roasted coffee beans, comes from Arabian scholars who wrote that it was useful in prolonging their working hours. The Arab innovation of making a brew from roasted beans, spread first among the Egyptians and Turks and later on found its way around the world.

News from current research

Brazilian biologists have found an Ethiopian Coffea arabica that naturally contains very little caffeine. Paulo Mazzafera, a researcher of Universidade Estadual de Campinas, recently published findings in the journal Nature about these strains of Coffea arabica plants. While beans of normal Coffea arabica plants contains 12 milligrams of caffeine per gram of dry mass, these newly found mutants contain only 0.76 milligrams of caffeine per gram with all the taste of normal coffee.

Caffè

Il caffè è una bevanda ottenuta dalla torrefazione e macinazione dei semi della Coffea arabica, una pianta originaria dell'Etiopia, ma esistente in varie zone del mondo in diverse tipologie quali Coffea robusta, Coffea liberica e Coffea excelsa. Il suo nome dovrebbe derivare dalla regione di Kaffa in cui il caffè è stato coltivato in origine, sebbene in Etiopia il nome del caffè sia buna.

Etimologia

La parola araba "qahwa", in origine, identificava una bevanda prodotta dal succo estratto da alcuni semi che veniva consumata come liquido rosso scuro, il quale, bevuto, provocava effetti eccitanti e stimolanti, tanto da essere utilizzato anche in qualità di medicinale. Dal termine "qahwa" si passò alla parola turca "qahvè" attraverso un progressivo restringimento di significato, parola tradotta in italiano con "caffè". Questa derivazione è contestata da quanti sostengono che il termine caffè derivi dal nome della regione in cui questa pianta cresceva spontaneamente, ossia "Caffa" in Etiopia.

Leggenda sulla scoperta

Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all'Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Pellegrino Artusi (scrittore e gastronomo italiano, Forlimpopoli 1820 - Firenze 1911), nel suo celebre manuale Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891), sostiene che il miglior caffè sia quello di Mocha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l'indizio per individuarne il luogo d'origine. Esistono molte leggende sull'origine del caffè. La più conosciuta dice che un pastore chiamato Kaldi portava a pascolare le capre in Etiopia. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè cominciarono a mangiare le bacche e a masticare le foglie. Arrivata la notte le capre anziché dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità mai espressa fino ad allora. Vedendo questo il pastore ne individuò la ragione e abbrustolì i semi della pianta mangiati dal suo gregge, li macinò e, dopo averne fatta un'infusione, scoprì il caffè. Le capacità eccitanti della bevanda furono presto sfruttate in ambito religioso per le veglie notturne e la bevanda fu grandemente apprezzata dai mistici sufi.

Diffusione in Europa

Kofetarica (la bevitrice di caffè) del 1888
di Ivana Kobilca (1861-1926) - Museo Nazionale di Lubiana

Il primo a descrivere il caffè, in un libro pubblicato nel 1583, fu il botanico tedesco Léonard Rauwolf. Venezia per i suoi rapporti commerciali in Vicino Oriente fu la prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal XVI secolo; ma le prime botteghe da caffè furono aperte solo nel 1645 e il medico e letterato Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana cantava:

« Beverei prima il veleno
Che un bicchier che fosse pieno
Dell'amaro e reo caffè »

Sempre nel XVII secolo, a Londra e a Parigi una libbra di caffè veniva pagata fino a 40 scudi. L'uso si andò poi via via generalizzando per crescere fino all'immenso consumo che se ne fa tuttora. Verso il 1650, cominciò a essere importato e consumato in Inghilterra e si aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra. I caffè divennero presto luoghi di nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici e filosofi. Nel 1670 aprì il primo caffè a Berlino e nel 1686 a Parigi.

Nel 1684 Franciszek Jerzy Kulczycki, soldato delle truppe polacche del re Jan III Sobieski, dopo la liberazione di Vienna aprì in questa città la prima Bottega del caffè, fra le prime in Europa. Nel '700 ogni città d'Europa possedeva almeno un caffè. Il caffè iniziò a essere coltivato in larga scala nelle colonie inglesi e in quelle olandesi (in Indonesia). La prima piantagione in Brasile risulta essere nel 1727, ma l'industria dipendeva esclusivamente dalla pratica della schiavitù, abolita solo, peraltro formalmente, nel 1888.

Tostatura artigianale

Bacche mature

Pellegrino Artusi dava anche alcuni consigli per effettuare una tostatura artigianale (ovvero "fatta in casa") dei chicchi di caffè. Dopo aver raccomandato la massima attenzione, in quanto da questa dipende la buona riuscita della bevanda, il primo consiglio è quello di usare legna anziché carbone, per regolare meglio il calore.
Quando il caffè comincia a crepitare e far fumo, va scosso spesso il tostino mentre si deve aver cura di levarlo appena ha preso il colore castano-bruno e prima che emetta l'olio (a Firenze, in tempi antichi, per arrestarne subito la combustione lo si distendeva all'aria aperta); pessima sarebbe invece l'usanza di chiuderlo fra due piatti, perché in questo modo potrebbe appunto diffondere l'olio essenziale, con susseguente perdita dell'aroma (va detto che il caffè perde nella tostatura il 20 per cento del suo peso, cosicché di 500 g ne rimangono circa 400
).

Qualità di caffè

Secondo Artusi, così come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, così da diverse qualità di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma più grato. Per Artusi, la miscela ideale dovrebbe essere composta da 250 g di Porto Rico, 100 di Santo Domingo e 150 di Moka. Anche 300 g di Portorico con 200 di moka darebbero un ottimo risultato. Con 15 g di questa polvere si può fare una tazza di caffè abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare 10 g a testa per una piccola tazza usuale. Il caffè più pregiato del mondo, il "Kopi Luwac", si produce in Indonesia. La produzione è dell'ordine dei 50 kg l'anno, e costa all'incirca 500€ al kg. La particolarità del Kopi Luwac risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffè mangiati e digeriti dal furetto delle palme (luwac), raccolti poi a mano e tostati normalmente.

Conservazione

Artusi consigliava di tostarne poco per volta e conservarlo in vaso di metallo ben chiuso, macinando sul momento solo quello che necessita, perché perde facilmente il proprio profumo. Una permanenza dei chicchi per 2 o 3 settimane a temperatura ambiente e a contatto dell'aria, è sufficiente per alterare fortemente il gusto della bevanda, dovuto al processo di irrancidimento dell'olio contenuto, e nel caso dell'espresso, la quasi assenza in tazzina, della crema in superficie. Attualmente, i materiali usati dall'industria per la confezione del caffè in chicchi, sono sufficientemente impermeabili all'aria da permetterne una buona conservazione anche nel proprio barattolo o busta.

Proprietà del caffè

Chicchi di caffè appena tostati

A coloro ai quali l'uso del caffè provoca troppo eccitamento - può provocare in soggetti predisposti episodi di tachicardia sinusale, quindi cardiopalmo, oppure insonnia - viene consigliato di astenersene o di usarlo con moderazione; l'effetto potrebbe anche essere corretto mescolandovi un po' di cicoria oppure orzo tostato. L'uso costante potrebbe neutralizzare gli effetti negativi del caffè su molte persone, ma potrebbe anche nuocere, essendovi dei temperamenti tanto eccitabili da non essere correggibili. Pellegrino Artusi sosteneva che l'uso del caffè dovesse essere proibito ai più giovani.

Secondo una diceria ottocentesca, il caffè eserciterebbe un'azione meno eccitante nei luoghi umidi e paludosi e si riteneva che questa fosse la ragione per cui i paesi in cui se ne fa maggior consumo in Europa sono il Belgio e l'Olanda. In Medio Oriente, ove si usa di ridurlo in polvere finissima e farlo all'antica per berlo ancora torbido, il bricco, nelle case private, è sempre sul fuoco.

Secondo il medico Paolo Manterazzi, patologo e igienista, il caffè - contrariamente a quello che comunemente si pensa - non favorisce in alcun modo la digestione; tuttavia può essere fatta una distinzione: il criterio può essere riferito a coloro ai quali il caffè non provoca eccitazione particolare, mentre per coloro sensibili alla bevanda, può portare la sua azione anche sul nervo pneumogastrico; ed è un dato di fatto innegabile che possano digerire meglio (e l'uso invalso di prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto pranzo ne è una testimonianza, neppure troppo indiretta).

Preso alla mattina a digiuno pare che il caffè sbarazzi lo stomaco dai residui di una imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa; va precisato a ogni modo che una tazzina di caffè, cioè 10 cl di caffè, e un cucchiaino di zucchero, apportano all'organismo solo 45 calorie in totale, contro le 400 indicativamente raccomandate dai dietologi per una colazione bilanciata, una che cioè fornisca il 29% delle calorie consumate nelle 24 ore successive: è fortemente sbagliato, pertanto, sostituire la colazione con una semplice tazzina di caffè, aggiungendo a ciò che, contrariamente al pensiero comune, trascurare la colazione espone gravemente all'obesità gli individui predisposti a ingrassare. Resta inoltre valida la raccomandazione della Food and Drug Adminstration di “evitare se possibile i cibi, le bevande e i medicinali che contengono caffeina, o comunque consumarli solo raramente”. Molti ricercatori sconsigliano il caffè decaffeinato, cioè quello contenente meno del 0.1% di caffeina, rimarcando l'uso di solvente tossico per eliminare la caffeina, del quale rimarrebbero tracce, che tuttavia per legge dovrebbero non essere sopra una soglia minima, comunque considerata dai medesimi detrattori troppo alta (es. etilmetilchetone: 20 mg/kg; se subisce reazioni di condensazione, forma dei veleni). In realtà molte aziende utilizzano dei metodi di produzione del decaffeinato che non necessitano di alcun solvente realmente tossico, e che quindi si possono considerare sicuri.

Prima di mettersi in viaggio il caffè non è consigliato, se non dopo aver mangiato. Infatti è uno stimolante e facilita l'attenzione, ma favorisce anche un'ipersecrezione gastrica fastidiosa, soprattutto a stomaco vuoto.

Il caffè mescolato al latte bollente (il famoso cappuccino) ha la proprietà di bloccare l'appetito ed è comunemente pensato essere un sostitutivo del pranzo anche se impropriamente. Questo perché, con la temperatura, l'acido tannico del caffè si combina con la caseina del latte, dando luogo al tannato di caseina, composto difficile da vomitare.

Il caffè e la macroeconomia

A livello macroeconomico, il caffè è un prodotto che può fornire riflessioni interessanti. Ad esempio, dal 1980 al 2002 il prezzo del caffè crudo è diminuito del 70%. Nel 2003, il prezzo della qualità arabica sul mercato internazionale era di 40 dollari per cento libbre, meno della metà dei costi medi di produzione (circa 90 dollari). Il Commercio equo-solidale nello stesso anno lo pagava più di tre volte tanto, 141 dollari per 100 libbre.

Nei primi anni Novanta, il valore commerciale globale del caffè era di circa 30 miliardi di dollari, di cui 12 miliardi rimanevano ai paesi d'origine; tra il 2000 e il 2001 era arrivato a 65 miliardi, di cui solo 5,5 miliardi restavano ai paesi produttori. Per porre rimedio a questa situazione, Oxfam International ha avviato una campagna di informazione.

Il mercato del caffè

Il mercato globale di settore consta di circa 90.000 milioni di dollari. Il Brasile, da solo, produce quasi un terzo del caffè nel mondo. Nelle ultime tre stagioni il suo raccolto medio, si è aggirato sui 32 milioni di sacchi (un sacco equivale a 60 kg) con esportazioni intorno ai 27 milioni. Al Salone Internazionale del caffè sono presenti tutti i settori merceologici più importanti con un +12,4% di espositori rispetto alla passata edizione. Il Salone offre a 360° un panorama dei comparti legati alla lavorazione del caffè includendo liofilizzazione e decaffeinizzazione, aziende di imballaggio e confezionamento, enti portuali e spedizionieri, associazioni e agenzie di promozioni. In percentuale, spicca il comparto bar, gelateria e pasticceria (45 %); ristoratori (36%), torrefattori (14%), produttori di caffè (3%) e broker del caffè (2%).

A livello mondiale, non mancano le voci preoccupate per quella che è una delle merci più scambiate insieme a petrolio e acciaio. A lanciare l'allarme, il direttore esecutivo dell'Organizzazione Internazionale del Caffè (OIC), Nestor Osorio, durante la seconda Conferenza mondiale del Caffè, svoltasi nel settembre scorso a Salvador de Bahia. In occasione del raccolto di aprile 2006, proprio il Brasile raggiungerà il più basso livello di scorte degli ultimi decenni, ovvero 40 milioni di sacchi. Tra i produttori, al secondo posto troviamo il Vietnam, che ha superato in pochi anni la Colombia, ora al terzo posto, grazie alla sua vicinanza geografica con il mercato cinese che ha visto aumentare notevolmente i consumi. Altri grandi produttori mondiali sono Indonesia, Messico, India ed Etiopia.

Operatori commerciali

Il commercio del caffè è dominato da poche grandi multinazionali. Una élite di 20 grandi società, di cui una sola proviene da un grande paese produttore, controlla più di tre quarti del mercato del caffè. Gli operatori commerciali più grandi sono: Neumann Kaffee (Germania), Volcafè (Svizzera), Cargill (Stati Uniti), Esteve (Brasile/Svizzera), Aron ( Stati Uniti), ED&F Man (Regno Unito), Dreyfus (Francia), Mitsuibishi (Giappone). Inoltre, certi grossi distributori di caffè come, Sara Lee/De e Nestlé, possiedono società d'importazione proprie, le quali controllano l'intera filiera del caffè, dal raccolto al consumatore. Grazie alla leadership che si sono assicurate spesso pagano ai produttori un prezzo più basso di quello del mercato mondiale, dal momento che riescono a negoziare i prezzi facendo leva sulla base dei grandi acquisti.

Le oscillazioni del mercato del caffè

Il mercato del caffè è un mercato endemicamente instabile, questa mancanza di stabilità si esprime in primo luogo attraverso le fluttuazione del prezzo. La misura della volatilità del prezzo del caffè si basa sulla percentuale di variazione giorno per giorno dei prezzi. Da un punto di vista storico, casi di incremento delle fluttuazioni del prezzo del caffè, affondano le loro radici principalmente in eventi meteorologici negativi che hanno un effetto immediato sulla situazione dei rifornimenti e creano un profondo disequilibrio tra disponibilità e domanda del mercato. Tuttavia, il mercato del caffè, fino al 1989, è rimasto relativamente stabile anche a dispetto degli eventi atmosferici e delle loro ripercussioni sulle piantagioni, e ciò grazie fondamentalmente ai vari Accordi Internazionali sul Caffè che hanno garantito una sorta di stabilità del mercato attraverso il sistema delle quote. Tale sistema prevedeva che, nel momento in cui i prezzi sul mercato mondiali scendevano sotto un certo livello, gli accordi disciplinavano delle quote massime che i vari paesi produttori potevano immettere nel marcato stesso, garantendo in questo modo una sorta di protezione. Il 4 Luglio del 1989 questi accordi fallirono e da allora si parla di liberalizzazione del mercato del caffè.

L’inizio della deregolamentazione, dopo 27 anni di accordi tra produttori, ha avuto ripercussioni di vasta scala sul mercato del caffè che, per la prima volta, è stato controllato dalle forze della domanda e dell’offerta. Nella fattispecie, in questa circostanza i paesi produttori riversarono sul mercato tutte le scorte accumulate, causando, ovviamente, il crollo dei prezzi.

In sostanza, il meccanismo diventa il seguente: le fluttuazioni, come abbiamo citato prima, sono intrinseche al mercato del caffè, i prezzi alti diventano un incentivo, per i produttori di caffè, a prendersi maggior cura delle piante o a piantarne di nuove, la conseguenza di ciò, tuttavia, molto spesso implica, in una fase avanzata delle nuove coltivazioni, una maggiore e miglior produzione che comporta l’abbassamento dei prezzi. I prezzi bassi, a loro volta, inducono ad una minor attenzione per le piantagioni da cui la minor produzione e il rialzo dei prezzi, così il procedimento si ripete.

Non è, comunque, corretto intendere le fluttuazioni del mercato del caffè esclusivamente nell’ottica della domanda e dell’offerta. Se è vero che ogni fluttuazione ha una causa di origine fisica è altrettanto dimostrabile che l’influenza dei grandi investitori finanziari ha avuto un ruolo crescente a partire dalla liberalizzazione del mercato nel 1989. Questo è in sintesi l’andamento tipico del gioco dell’investimento e della speculazione nel mercato del caffè: quando i prezzi del caffè grezzo sono bassi, oppure quando si possono prevedere annate con produzioni scarseggianti gli investitori si immettono nel mercato operando grandi investimenti. Ovviamente questi acquisti sono di natura speculativa, poiché l’obiettivo è quello di rivendere il prodotto con ampi margini di profitto, nel breve termine. Nel mercato mondiale, questa improvvisa domanda porta automaticamente al rialzo dei prezzi, questo meccanismo prosegue fintantoché gli investitori decidono di vendere a loro volta, per appropriarsi del profitto, causando un crollo altrettanto improvviso dei prezzi sempre su scala mondiale. Oltre alle cause fisiche dunque, il ruolo della speculazione acuisce le fluttuazioni dei prezzi sia verso l’alto che verso il basso.

Il ruolo del caffè nei Paesi in via di sviluppo

Il caffè rappresenta la coltivazione più importante nei Paesi in Via di Sviluppo: per oltre 20 milioni di coltivatori e le loro famiglie costituisce l'unica fonte reale di reddito. Una dozzina di piccoli paesi dell'Africa orientale, come ad esempio Uganda, Ruanda ed Etiopia, vedono proprio il caffè come principale prodotto di esportazione, più precisamente si può constatare come dipendano dal caffè per oltre metà delle loro esportazioni. Anche nel Centro America il caffè resta la principale fonte dell'economia.

Questa situazione non è positiva, soprattutto se consideriamo l'instabilità connaturata a questo mercato. Alcuni dei più grandi produttori di caffè del mondo, Brasile e Colombia, non sono totalmente dipendenti dal caffè, nel senso che meno del 10% dei redditi da esportazione derivano dal chicco verde. Ovviamente, i produttori traggono beneficio dai prezzi più elevati, ma chi si riserva i più grandi vantaggi dall'improvviso aumento dei prezzi sono gli esportatori e gli speculatori. Questi ultimi, infatti, possiedono le disponibilità delle scorte, sia fisicamente che sulla carta.

La situazione dei piccoli coltivatori è molto diversa: dato il loro continuo e pesante bisogno di liquidità, in genere vendono il caffè appena possono, talvolta quando i chicchi stanno ancora sulle piante. Con questa necessità di liquidità finanziaria non si trovano sicuramente nella posizione idonea per negoziare il prezzo migliore. Dunque, quando i prezzi sono alti i piccoli produttori tendono a vendere i propri raccolti ad acquirenti individuali, che pagano in contanti e subito, piuttosto che alla loro cooperativa che li pagherebbe con prezzo più alto ma più tardi. Al contrario, quando il prezzo si abbassa i coltivatori tendono a rivolgersi alle cooperative.

Il caso Etiopia

L'Etiopia produce tre prestigiose qualità di caffè: Sidamo, Harar e Yirgacheffe. Il paese tenta di far registrare i nomi di queste tre varietà presso l'USPTO, ossia l'ufficio americano dei brevetti. Il Presidente etiope ha presentato la domanda nel 2005 ma tale richiesta è bloccata da una fazione consistente della National Coffee Association che preme affinché l'utilizzo dei chicchi e dei nomi resti libero dal copyright.

Se la registrazione fosse approvata le implicazioni sarebbero assai rilevanti per l'Etiopia, uno dei paesi più poveri del mondo, con un PIL pro capite di 160 dollari all'anno e aspettativa di vita media pari a 47 anni. In sostanza, in caso di vittoria legale del governo di Abeba, chiunque utilizzasse i chicchi delle tre qualità, si troverebbe a dover pagare un diritto di sfruttamento del marchio all'Etiopia. Tutto ciò potrebbe far incassare a questo paese 88 milioni di dollari in più all'anno, con incremento sostanziale se raffrontato ai 156 milioni (2002) ricavati in toto dall'esportazione del caffè. Questo caso ha suscitato molto scalpore dal momento che vede implicate una grande multinazionale della ristorazione (Starbucks Cafe) ed una delle più consolidate e potenti ONG del mondo (OXFAM).

Nello specifico OXFAM accusa Starbucks di aver ostacolato e bloccato la registrazione delle tre varietà etiopi, mascherandosi dietro la National Coffee Association, di cui la multinazionale è uno dei membri più influenti. Starbucks, che da anni usa come strategia commerciale il corretto rapporto con i coltivatori, nega di avere un ruolo nella regia di questo impasse, difendendosi attraverso la pubblicizzazione della propria politica commerciale più recente, in base alla quale il gruppo ha incrementato gli acquisti dal governo Abeba del 400% negli ultimi quattro anni, portando un conseguente beneficio dei coltivatori etiopi a cui sarebbero stati pagati prezzi del 23% maggiori rispetto a quelli del listino medio internazionale per le stesse qualità di chicchi di caffè.

Queste spiegazioni non sono bastate ad OXFAM, che nel 2004 ha collaborato proprio con Starbucks intorno a progetti di sviluppo rivolti all'Etiopia. I responsabili di OXFAM hanno dato voce a Tadesse Maskela, il giorno di avvio della loro campagna. Takela, capo di una cooperativa di produttori di caffè etiope, ha esplicato la rabbia di 15 milioni di agricoltori che sopravvivono solo in base alla vendita del caffè. Tekela spiega che Starbucks offre le qualità di Sidamo e Harar al prezzo di 26.29 Dollari alla libbra, ma i contadini etiopi arrivano a guadagnare una cifra compresa tra 30 e 59 centesimi per la medesima quantità.