Lessico


Augusto
Augusto Gaio Giulio Cesare Ottaviano

Imperatore romano (Roma 63 aC - Nola 14 dC). Figlio di Gaio Ottavio e di Azia, che era nipote di Cesare, cambiò il nome paterno in quello di Ottaviano dopo che fu adottato dallo stesso Cesare (45 aC).

Da Apollonia, in Grecia, dove sostava dedito agli studi in attesa di partire con una grande spedizione preparata contro i Parti, accorse a Roma all'annuncio dell'uccisione di Cesare, per vendicarlo e raccoglierne come figlio l'eredità. Aveva appena diciannove anni, ma con ferma determinazione, destreggiandosi abilmente tra Marco Antonio (che sarebbe diventato suo antagonista per oltre dieci anni) e il Senato, incoraggiato da Cicerone, sorretto dal popolo (in favore del quale, con mezzi suoi, aveva dato pronta esecuzione ai legati testamentari disposti da Cesare), reclutò forze militari proprie, imponendosi rapidamente come protagonista nella nuova grande lotta che si stava delineando in Roma per il primato politico.

Ma anche il Senato conduceva, in difesa dell'oligarchia repubblicana, un suo gioco sottile; quando Ottaviano se ne rese conto, si accordò nel 43, anno in cui fu console, con Antonio e con Lepido, costituendo insieme con essi un triunvirato, cui seguirono spietate uccisioni dei nemici personali. La confisca dei beni degli uccisi procurò ai triunviri i mezzi per sistemare, con distribuzioni di terre, i veterani di Cesare e arruolare forze militari, richieste dalla lotta da condurre a fondo contro i partigiani di Bruto e Cassio, intanto rifugiatisi in Grecia.

Filippi - in greco Phílippoi, in latino Philippi. Antica città della Tracia, 16 km a NW della città greca di Kavála. Sorgeva sul luogo di un'antica colonia di Taso, Crenide, che, minacciata dai Traci, si rivolse per aiuto a Filippo II di Macedonia. Questi sconfisse i Traci e ottenne la cessione dell'intero territorio occidentale a partire dal fiume Nesto; la città prese allora dal re il nome di Filippi (358-357 aC) e divenne il centro più importante della zona aurifera del Pangeo. Dopo la famosa battaglia la città divenne colonia romana. Nei pressi di Filippi, nell'autunno del 42 aC, si combatté in due riprese una delle più celebri battaglie dell'antichità: quella che oppose i triumviri Ottaviano e Antonio agli uccisori di Cesare, Bruto e Cassio, e si risolse con la sconfitta di questi ultimi. In riferimento alla battaglia è divenuto celebre l'ammonimento «ci rivedremo a Filippi», che, secondo il racconto di Plutarco (Bruto, 36), sarebbe stato rivolto a Bruto dal suo cattivo genio, apparsogli in sogno per preannunciargli l'imminente sconfitta. La frase è entrata poi nel linguaggio comune per alludere al momento della resa dei conti.

Dopo la comune vittoria di Filippi (42 aC), la rivalità tra Ottaviano e Antonio tornò a riaffiorare con scontri in Italia, specialmente nel 40 aC a Perugia, tra i sostenitori dell'uno e dell'altro. Nello stesso anno, a Brindisi, un nuovo accordo venne però concluso tra i triunviri: a Ottaviano toccò l'Occidente romano, ad Antonio – che sposò Ottavia, sorella di Augusto – le province greco-orientali, mentre Lepido si accontentava di un ruolo secondario in Africa. Ma dopo qualche anno di collaborazione, peraltro con effetti positivi nella lotta condotta contro Sesto Pompeo che ostacolava la navigazione sui mari, nuovi contrasti si accesero tra Ottaviano e Antonio: il primo impersonava ormai la tradizione romana, il secondo quella greco-orientale.

Dalla battaglia di Azio, nel 31 aC, uscì vittorioso Ottaviano e con la vittoria Augusto instaurò il suo definitivo primato in tutto l'Impero romano. Ottaviano, celebrato il trionfo nel 29 e onorato nel 27 aC col titolo augurale di Augusto, aveva ora davanti a sé il compito grandioso di ordinare e riorganizzare, sul piano politico, amministrativo, militare, religioso, gli immensi territori dell'impero. Da uomo positivo e prudente qual era, avendo imparato dalla lezione delle idi di marzo che gli uomini restano a lungo fedeli alle forme anche quando la realtà che sta dietro è mutata, rispettò del tutto le vecchie istituzioni, rinnovandole però nelle funzioni: creò così le condizioni per quella coesistenza tra i poteri del capo unico, principe, riunente in sé le prerogative delle antiche magistrature repubblicane, e i poteri del Senato e degli altri magistrati, che avrebbero fatto da cardini al nuovo regime del principato, destinato a durare tre secoli.

La statua di Augusto loricato – Musi Vaticani
Lorica - corazza di stoffa o cuoio, rivestita di lamine metalliche,
largamente usata dai Greci e dai Romani.

Lo stesso Ottaviano, ormai Augusto, ha definito nelle Res gestae l'essenza del nuovo regime: «in autorità, vi si legge, cioè in prestigio (e in concreto vuol dire potenza) superò tutti i magistrati, ma li pareggiò in potestà» (cioè nel potere specifico delle cariche). Su tale sottigliezza legale si appoggiò il suo principato che fu repubblica in apparenza ma monarchia di fatto. Illustrano bene la posizione assunta da Augusto nello Stato le misure e gli atteggiamenti presi nei quasi cinque decenni in cui esercitò il primato.

Dopo che nel 40 aC aveva ricevuto il titolo di imperator, col comando di coorti pretoriane a difesa della sua persona, e nel 36 aC la sacrosanctitas, cioè l'inviolabilità propria dei tribuni della plebe, dal 31 al 23 aC, di seguito, e poi più volte ancora, rivestì il consolato. Il potere militare gli veniva dall'imperio proconsolare permanente, cioè dal comando delle forze dislocate nelle province. Nel 29 aC gli fu conferita la dignità di princeps senatus; nel 27 aC, come si è detto, il titolo di Augustus; nel 23 aC la tribunicia potestas, cioè l'essenza del potere tribunizio col diritto di veto che esso comportava; nel 12 aC, alla morte di Lepido, la carica di pontefice massimo; nel 2 aC il titolo di pater patriae.

Vasta e molteplice fu l'attività che egli svolse in ogni campo. Nel 20 aC riprese ai Parti le insegne perdute da Crasso; l'anno dopo rappacificò l'inquieta Spagna e successivamente le zone alpine, occupando nel 9 aC la sponda meridionale del Danubio. Annetté anche la Galazia e la Giudea, impose il protettorato romano sull'Armenia, fondò 28 nuove colonie, creò le province del Norico e della Rezia. Sul piano amministrativo, circondato da esperti consiglieri, tra i quali i fedelissimi Agrippa e Mecenate, rafforzò il Senato, valorizzò l'ordine equestre reclutandovi gli alti funzionari dell'amministrazione (prefetti del pretorio, dei vigili, dell'annona, procuratori, ecc.); riorganizzò le finanze, creando, accanto all'aerarium statale, una sua cassa personale, il fiscus; istituì 9 coorti pretorie, ingrandì l'esercito portando a 25 le legioni di 6000 uomini, che schierò a difesa dei confini; creò giurie permanenti per i tribunali; stimolò le attività economiche costruendo strade, creando il cursus publicus (servizio postale); istituì il censo provinciale; riformò i costumi rafforzando l'istituto familiare; ripristinò templi e riti; abbellì di nuovi splendidi edifici Roma; favorì la cultura e le arti; protesse i poeti, che lo glorificarono come colui che aveva riportato la pace nel mondo dopo i tempi duri delle guerre civili.

da Illustrium imagines (1517)
di Andrea FULVIO (Palestrina sec. XV-XVI)

Ebbe tre mogli, Clodia, Scribonia, e, dal 38 aC, Livia Drusilla. I suoi ultimi anni furono rattristati dalla sconfitta che Varo subì in Germania nel 9 dC, nella selva di Teutoburgo, e da scandali e dolorose vicende familiari (quanto era stato duro e crudele con i nemici nella lotta per il primato, tanto fu poi aperto ai moti degli affetti con i familiari e gli amici).

Alla morte, il Senato gli decretò l'apoteosi, rendendo alla sua persona, vissuta sempre in semplicità e schiva di pompa, quel culto che, associato al culto della dea Roma, era destinato a diventare un potente elemento di coesione per le varie parti dell'impero. Fu sepolto in Roma nel mausoleo omonimo. Il titolo onorifico che gli fu dato di Augusto, tratto dalla scienza augurale, richiamava, nella pregnanza religiosa, l'idea dell'accrescimento e della prosperità e come tale fu portato anche dai successori proprio per il prestigio grande di cui la sua persona fu circondata in vita ed esaltata dopo la morte.

Educato dai retori Marco Epidio e Apollodoro di Pergamo, Augusto si dedicò a studi di eloquenza, valendosene nella preparazione dei suoi discorsi politici. I frammenti di epistole che ci sono pervenuti rivelano in Augusto uno scrittore sollecito della purezza della lingua e alieno da ogni forma di arcaismo e di preziosismo.

Tra i suoi scritti si ricordano i Commentarii de vita sua, in 13 libri, una Descriptio Italiae, il poemetto Sicilia, in esametri, una Vita di Druso, epigrammi e saggi filosofici. Tutte queste opere sono andate perdute; rimangono invece le Res gestae divi Augusti, la monumentale iscrizione cui lo stesso principe affidò nel 14 dC, per i contemporanei e i posteri, il racconto autobiografico delle proprie imprese.

Opera senza precedenti formali nelle letterature classiche, le Res gestae sono il capolavoro della diplomazia affascinante e mistificatrice di Augusto. Si avviava, infatti, con esse quell'interpretazione mitico-religiosa del principato che, oltre a giustificare provvidenzialmente la conquista del potere da parte di Ottaviano, avrebbe fornito una base ideologica costante all'assolutismo degli imperatori seguenti.