Lessico


Natrix natrix e biló

La biscia d'acqua dal collare
e il pene di Valenza (AL)

ricerca di Elio Corti
revisione di Fernando Civardi

In breve
per chi non ha tempo o voglia
di perdersi in intriganti lungaggini

Secondo Elio Corti il termine miló o milò dell'Oltrepò pavese, che identifica la biscia dal collare Natrix natrix, o meglio, il suo simile, il biacco Coluber viridiflavus, si è trasformato a Valenza (AL) in biló. Puri motivi di risonanza nasale hanno probabilmente fatto intendere ai nostri antenati una lettera b al posto della m. Così come deve essere capitato a Fernando Civardi che, sfollato nel 1943 da Milano a Gropello Cairoli in provincia di Pavia, apprese casualmente - e senza motivazioni sessuali - che la grossa biscia a Gropello era chiamata biló, non miló. I Valenzani potrebbero aver adottato questo nasale biló per identificare il pene, così come già nel II secolo aC il poeta latino Lucilio usò il termine natrix, la biscia natante o nuotatrice o natrice che dir si voglia, come metafora dell'organo sessuale maschile.

Adesso armiamoci di pazienza

Il verbo latino no, io nuoto, il cui infinito presente è nare, è stato progressivamente sostituito da nato, il cui infinito presente è natare. In greco abbiamo il verbo néø da cui deriva nëchø. Questi verbi significano io nuoto.

Natrix è un sostantivo latino per lo più femminile che deriva da natum, supino attivo di no, un supino attivo mai utilizzato in letteratura. Natrix ha come primo significato quello di natrice, cioè, serpente acquatico, biscia d'acqua, biscia che nuota. Per antonomasia questa biscia è la Natrix natrix, della famiglia Colubridi, detta anche natrice dal collare o biscia dal collare. Comune in tutta Europa, nuota nelle raccolte d'acqua dolce di ogni tipo con un rapido e sinuoso movimento, mantenendo la testa leggermente sollevata dalla superficie; è altresì in grado di rimanere a lungo immersa in prossimità del fondo. Tuttavia la natrice trascorre la maggior parte del tempo sulla terraferma. Si ciba di pesciolini e rane ed è del tutto inoffensiva per l'uomo, malgrado la sua saliva sia tossica per alcuni piccoli animali. La lunghezza totale è di 1 metro nei maschi, nelle femmine di alcune sottospecie può raggiungere i 2 metri.

Ma il latino natrix ha anche un senso traslato. Il poeta satirico Gaio Lucilio (Sessa Aurunca CE ca. 180 - Napoli ca. 102 aC) usò natrix col significato di membro virile o pene che dir si voglia:

Si natibus natricem impressit crassam et capitatam.
Se conficcò nelle natiche una natrice grossa e dalla grande testa.

Questa citazione corrisponde al frammento 9 del II libro delle Satire di Lucilio. Dei 30 libri di satire ci rimangono circa 1000 frammenti, per un totale di quasi 1370 versi.

Non è difficile capire perché Lucilio abbia adottato natrix - una biscia, che è una serpe non velenosa - per esprimere il pene. Noi oggi lo chiamiamo più volentieri uccello, in quanto andando in erezione vola in alto. Ercole Scerbo in Il nome della cosa (1991) così afferma:

La genesi delle metafore, degli eufemismi e dei nomignoli relativi agli organi sessuali è quasi sempre connessa con una delle seguenti motivazioni:

a) la forma e le caratteristiche di alcuni oggetti (bastone, manico, verga, candela, pistola e simili per il genitale maschile; vaso, astuccio, tegame e simili per quello femminile);

b) la forma e le caratteristiche di alcuni animali (biscia, anguilla, uccello, pesce eccetera per il sesso maschile; passera, piccione eccetera per quello femminile).

Ercole Scerbo aggiunge:

Nell’area italiana, specialmente in Toscana, si registra il nome allusivo biscia (dal latino tardo bistia per il classico bestia, bestia, passato poi a indicare il serpente). Giambattista Casti (abate inquieto e gaudente, Acquapendente VT 1724 – Parigi 1803) ci ha lasciato, fra l’altro, i seguenti versi:

Slaccia la veste, e perché la camiscia
fatta è da mano avara, esce la biscia.

Altro nome allusivo del pene è serpente, dal latino serpens, participio presente del verbo serpere, strisciare, insinuarsi, penetrare. Ricordiamo che presso i Gondi dell’India (minoranza etnica che abita principalmente la zona del Madhya Pradesh) il serpente stava alla base del culto fallico. Fra le poesie di stampo goliardico leggiamo:

Nessun dal capo mi leva
che il frutto proibito fosse la fica di Eva
e che il serpente disceso dal ramo
non fosse null’altro che il cazzo d’Adamo.

Emmanuelle Arsan (all'anagrafe Marayat Bibidh (Bangkok, 1932), scrittrice e regista tailandese naturalizzata francese) in un suo romanzo erotico scrisse che la ragazza «aiutava come meglio poteva il favoloso serpente a strisciare nell’intimo dei suo corpo».

Adesso non meravigliamoci degli interscambi semantici e lessicali. A Valenza (AL), che confina a nord con la provincia lombarda di Pavia, il pene è detto biló, mentre a Gropello Cairoli (PV) la biscia dal collare Natrix natrix - o un suo equivalente, per esempio il biacco Coluber viridiflavus che raggiunge i 2 metri di lunghezza ed è presente a Gropello tanto come la Natrix natrix, ma che a differenza di questa preferisce i luoghi sassosi e soleggiati pur essendo un abile nuotatore - la Natrix natrix, dicevamo, a Gropello Cairoli forse è detta biló. Conviene sottolineare che la biscia dal collare per aspetto e colore, oltre che per dimensioni, è facilmente scambiabile con il biacco, detto anche milordo, ovviamente se li si vede serpeggiare da una certa distanza e non se ne conoscono con esattezza le differenze somatiche o cromatiche.

La fonte di biló nel significato di biscia è il nefrologo Fernando Civardi, che lo apprese quando quindicenne dovette sfollare da Milano a Gropello Cairoli durante la 2ª guerra mondiale. Da notare che la distanza in linea d'aria fra Gropello e Valenza è di soli 33 km. Pochi oggi a Valenza sanno cos'è il biló di un maschio. Si cercherà di assodare se ancora nel 2008 a Gropello la biscia dal collare o il biacco sono detti biló come nel 1943 ai tempi di Civardi.

La spiegazione dell'equivalenza semantica sessuale valenzana del gropellese biló riferito da Civardi risulta facile da arguire grazie a Gaio Lucilio, molto meno facile è reperire l'etimologia di biló. Ma finché c'è vita c'è speranza.

In chiusura di questa prima rocambolesca chiacchierata mi piace riportare una filastrocca che avevo appreso da bambino e che ogni tanto canterellavo liberamente con gli amici non conoscendone il significato. Solo più tardi mi resi conto che sanciva un felice rapporto sessuale:

Al biló al va 'n parsó
e la brügna i dà rasó.
Al du bali 'd sentinela.
Viva viva la capèla!

Il pene va in prigione
e la vulva gli dà ragione.
I due testicoli di sentinella.
Viva viva il glande!

Ricerche linguistiche a Gropello Cairoli
il 23 aprile 2009

Le ricerche etimologiche dialettali condotte nel web il 7 ottobre 2008 mettevano in evidenza che nell'area pavese il biacco, Coluber viridiflavus, è detto milòrd, più spesso amputato in milò, la cui etimologia verrà riportata oltre.

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Giovanna Negri e Vittorio Zaio
Gropello Cairoli - 23 aprile 2009

Finalmente giovedì 23 aprile 2009 riuscivo a recarmi a Gropello Cairoli per fare alcune interviste dialettali, accompagnato dal valenzano amico d'infanzia Vittorio Zaio e da sua moglie Giovanna Negri nativa di Marzano (nei pressi di Lardirago, 7 km a nordest di Pavia) dove il biscione lo chiamano milò, con la o aperta. È ovvio che per chi non è un erpetologo, ossia un competente conoscitore di rettili, è difficile stabilire se un biscione che ti passa davanti a tutta velocità sia una Natrix natrix oppure un Coluber viridiflavus.

La prima persona intervistata
Gropello Cairoli - 23 aprile 2009

Fatto sta che la prima persona intervistata a Gropello il 23 aprile 2009 esordisce pronunciando un milò che pare bilò, ma subito ci assicura che si dice milò. Quasi la stessa cosa accade con un gruppo di non più giovani donzelle intervistate al bar, ma solo una di loro pare dica chiaramente bilò anziché milò.

Per unanime consenso degli intervistati il milò sarebbe quel biscione che di norma vaga tra i ruderi asciutti, mentre quella biscia che va nell'acqua magari la chiamano anguilla. Nessuno degli intervistati riferisce caratteristiche somatiche che possano identificare in modo certo l'uno o l'altro rettile. Si basano solo su dati ambientali.

Quanto sto per affermare è solamente un'ipotesi, che tuttavia potrebbe corrispondere al vero. Io reputo che a Civardi sia accaduto quanto accadde col nostro primo intervistato, il quale non aveva una rinite in atto tanto da fagli alterare la m in b: Civardi udì bilò e mi ha tramandato bilò. E i Valenzani potrebbero aver adottato questo bilò invece di milò per identificare il pene luciliano, la Natrix natrix.

Ricerche etimologiche e linguistiche dialettali lombarde
relative a Biacco o Milordo

Biacco - Coluber viridiflavus

Biacco, termine italiano del XVIII secolo, identifica un serpente della famiglia Colubridi, il Coluber viridiflavus, detto anche Milordo e Colubro verde e giallo. Dedichiamoci in primo luogo all'etimologia di biacco: pare che il termine possa derivare da biacca, il pigmento bianco costituito da carbonato basico di piombo, e biacca forse deriva dal longobardo blaich = pallido, sbiadito, per il suo colore. Ma il biacco non è pallido, per cui è più verosimile che derivi dal latino baculum = bastone, attraverso sue modificazioni in baclum e blaccum per finire nell'italiano biacco.

E veniamo a Milordo, detto anche mirauda. Il nome mirauda, usato abbastanza comunemente in Piemonte per questa diffusissima biscia, non ha avuto l'onore di essere riportato nei dizionari dei dialetti piemontesi. Eccezionalmente, nel Dizionario Gattinarese-Italiano di Arturo Gibellino si legge che si riferirebbe a una biscia d'acqua, ma contadini, cacciatori e fungaioli sanno benissimo che la mirauda è una biscia terricola.

L’etimologia della parola mirauda non è accertata. Si tratta comunque di una parola antica, che è stata spesso usata come toponimo, principalmente in aree di cultura occitana. È quindi possibile che mirauda derivi dall’occitano miroû = che sa prendere la mira, colpire il bersaglio. Questo nome di presunta origine occcitana si è diffuso in tutta l’area delle parlate gallo-italiche, subendo pesanti alterazioni:

miroldo o mirolda o miròld nel Novarese
vilurdòn a Briga Novarese
smiràld, smiraldòn in Lomellina
milò, milòrd, milòrt, nel Pavese, nel Piacentino
smilòrd a Turbigo (MI)

e infine è diventato Milordo che ha trovato posto in enciclopedie, dizionari e testi italiani, a partire dal sec. XIX.

Un'etimologia molto più facile nonché semplicistica è quella secondo cui il biacco è detto anche milordo per la sua signorile livrea, che ricorda quella di un elegante milord.

Concludo auspicando che mirauda acquisti dignità pari al termine biacco di presunta origine longobarda, che invece ha avuto una (a mio avviso) immeritata fortuna ed è stato usato in testi letterari e ormai anche scientifici.

Fine delle ricerche etimologiche nel web

Proverbi raccolti a Gropello Cairoli

Se la vipera ag vedarìs e il milò ag sentìs poca gent as salvarìs.

Al milò an do cal branca a le sò.

email di Giovanna Negri del 26 luglio 2009
indirizzata a Elio Corti

Ho intervistato mio fratello e dai suoi vissuti di uomo di campagna ho raccolto quanto segue: il milò, vive nei muri e negli incastri di muratura che si trovano nei campi sopra i fossi per sostenere i ponti che permettono le entrate nei vari campi. Il soggetto si trova a suo agio e quindi vive anche in acqua. Di solito si ferma sul fondo dei fossi o delle risaie. Soffre molto il freddo e quando lo percepisce si arrotola e si ferma nei posti più caldi, ad esempio nelle risaie e dentro all'acqua ma nei punti dove batte di più il sole; spesso in questa posizione non scappa mai, al contrario quando è disteso o in  movimento fugge velocissimamente. Non è aggressivo, se viene caricato si drizza e mostra i denti poi attacca. Quando si trova in difficoltà, ma è lontano da buche o tane dove ripararsi, resta immobile. Il milò mangia prede vive, bisce, topi, ranocchie, si arrampica sugli alberi e sulle siepi fino a 7 o 8 m e caccia i piccoli degli uccelli dentro ai nidi. I milò quando vanno in amore si  arrotolano insieme formando una palla che può essere di 2 o più soggetti. Ciao Elio, scusa per il ritardo e magari per qualche errore. A presto.

Conclusioni di Elio Corti

A mio avviso il miló o milò dell'Oltrepò pavese si è trasformato a Valenza in biló, forse per puri motivi di risonanza nasale che hanno fatto intendere una b al posto di una m, come è accaduto a Fernando Civardi quando nel 1943 era sfollato da Milano a Gropello Cairoli, dove casualmente e senza motivazioni sessuali aveva appreso che la grossa biscia si chiamava biló. I Valenzani potrebbero aver adottato questo biló per identificare il pene luciliano, la Natrix natrix.