Lessico


Santi Vitale e Agricola
protomartiri bolognesi

San Vitale (III-IV secolo) è venerato come santo e martire dalla Chiesa cattolica. Ambrogio vescovo di Milano nella sua predica "exhortatio virginitatis" tenuta a Firenze nel 393 ci fa sapere che Vitale era schiavo di Agricola e fu condannato al supplizio insieme al suo padrone. Vitale subì per primo il martirio. I persecutori, per indurlo a rinnegare la sua fede cristiana, «sperimentarono in lui - afferma Ambrogio - ogni genere di tormento, così che nel suo corpo non vi era più parte alcuna senza ferite». Spirò invocando il nome di Gesù. Col supplizio di Vitale i carnefici cercarono di impaurire Agricola e indurlo ad abiurare il cristianesimo, ma vista l’inutilità di questo e altri tentativi, lo crocifissero.

Da nessuna fonte antica ci è stata tramandata l’epoca del loro martirio. Tuttavia alcuni studiosi ritengono probabile che Vitale e Agricola siano state vittime della persecuzione dell’imperatore Diocleziano (284-305). Gian Domenico Gordini scrive: "I loro corpi furono sepolti nel cimitero giudaico, ma è ignoto il motivo di questo fatto; erano forse di origine giudaica? Certo la crocifissione di Agricola fa supporre che non fosse cittadino romano, poiché per essi la pena capitale era normalmente la decapitazione."

Nel 393 furono trovati i corpi dei due martiri alla presenza del vescovo di Bologna Eustasio, del popolo e di Ambrogio, il quale nel raccontare il fatto dice: "cogliemmo i chiodi del martirio e tanti furono, che convenne dire che più fossero le ferite che le membra e ne raccogliemmo pure il sangue trionfale e il legno della croce".

La narrazione del martirio di Vitale e Agricola e del ritrovamento dei loro corpi, scritta da Ambrogio, contribuì alla diffusione del culto dei due santi. Reliquie di Vitale e Agricola da Bologna furono portate a Firenze e a Milano da Ambrogio; altre reliquie ottennero Paolino, vescovo di Nola, Vittorio, vescovo di Rouen e Namazio, vescovo di Clermont. Se ne conservano anche nella chiesa di San Giuseppe della città di San Salvo (in provincia di Chieti).

Se da un lato il trasferimento di reliquie dei due martiri bolognesi ne accrebbe il culto, dall’altro diede origine allo sdoppiamento delle loro persone, cosa non rara nell’alto medioevo e alla conseguente produzione di narrazioni favolose. Vitale, a differenza di Agricola, è il più ricordato, ma non come martire di Bologna bensì come santo del luogo ove sono venerate le reliquie. Esemplare è il caso di Ravenna.

Chiesa di San Vitale – Ravenna

Commissionata intorno al 525 e terminata nel 547 o 548, la basilica di San Vitale è un capolavoro dell'architettura bizantina. Lo schema di questa chiesa, e in particolare il nucleo centrale con tamburo e cupola ottagonale, influì profondamente sulle prime realizzazioni architettoniche bizantine a Costantinopoli, capitale dell'impero. All'interno, stupendi mosaici a soggetto sacro, simbolici e narrativi, tra cui è particolarmente famosa la raffigurazione dell'imperatore Giustiniano e dell'imperatrice Teodora, con i rispettivi seguiti, che recano le offerte all'altare per la consacrazione.

Quando nel 409 Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio I, si trasferì da Milano a Ravenna portò con sé le reliquie di San Vitale (traslate come già detto da Bologna al capoluogo lombardo da Ambrogio) e dei santi Gervasio e Protasio, martiri milanesi. L’unione di queste reliquie indusse un anonimo a comporre, nella seconda metà del V secolo, una leggenda secondo la quale Vitale sarebbe stato un martire ravennate, marito di Valeria e padre di Gervasio e Protasio. In suo onore, nel VI secolo, fu eretta a Ravenna la splendida Basilica che tuttora si ammira. E la sua festa liturgica, sempre nella stessa città, fu celebrata fin dal IX secolo il 28 aprile.

Anche la prima edizione del Martirologio Romano, pubblicata alla fine del 1586, riferisce alla data del 28 aprile le notizie false e leggendarie sui santi Vitale e Valeria: "A Ravenna il natale [cioè la nascita al cielo] di San Vitale Martire, marito di Santa Valeria e padre dei santi Gervasio e Protasio; il quale, avendo seppellito con il dovuto onore il corpo del beato Ursicino, cui (sic) aveva tolto via, fu preso da Paolino Consolare, e, dopo i tormenti dell’eculeo, fu fatto gettare in una fossa profonda, e sotterrare con terra e sassi; col quale martirio passò a Cristo".

A Bologna ove Vitale aveva realmente subito il martirio, la sua morte, con quella di Agricola, è celebrata il 4 novembre come risulta dal calendario liturgico locale, risalente al IX secolo. A Fuorigrotta, zona suburbana di Napoli sin dal tempo dell’Impero Romano, è documentata nel 985 l’esistenza di una cappella o di un oratorio dedicato a san Vitale. Il suo culto, con molta probabilità, giunse a Napoli quando la città e il suo territorio, dal 553 al 661, furono un ducato bizantino dipendente da Ravenna.

I rapporti fra le due città dovettero continuare anche dopo se si considera che a Napoli nel 763 c’era una domus cioè una casa appartenente alla Chiesa ravennate e che il calendario liturgico napoletano, scolpito su due grandi lastre di marmo dopo la metà del IX secolo, assegna al 28 aprile, come a Ravenna, la commemorazione di san Vitale.

Con la riforma del calendario Romano Generale, portata a termine nel 1969, il presunto santo martire ravennate non compare né il 28 aprile né in altro giorno dell’anno liturgico, pertanto il San Vitale venerato a Fuorigrotta nella monumentale chiesa parrocchiale a lui intitolata, è il martire di Bologna la cui festa liturgica ricorre il 4 novembre.

Santi Vitale e Agricola

La facciata neoromanica del XIX secolo
della basilica dei Santi Vitale e Agricola a Bologna.
Foto di Giovanni Dall'Orto - 9 febbraio 2007

Alle radici della Chiesa bolognese c'è la figura di due martiri, distinti per classe sociale ma uniti dalla palma della morte a causa della fede. Vitale e Agricola, servo e padrone, lanciarono con la loro testimonianza un messaggio di uguaglianza e di solidarietà che avrà pubblico riconoscimento al sorgere del libero Comune con il decreto di liberazione dei servi della gleba (Liber Paradisus). La più antica memoria dei due protomartiri risale a sant'Ambrogio e a san Paolino da Nola, che ne attestano la «colleganza e il consorzio nel martirio. I loro corpi, riscoperti nel cimitero ebraico dal vescovo Eustasio, furono traslati da Ambrogio nel 393 alla Santa Gerusalemme stefaniana. Il loro culto era già diffuso nel V e VI secolo. Le loro reliquie sono venerate nella Chiesa madre di Bologna. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Bologna, santi Vitale e Agricola, martiri, dei quali, secondo quanto racconta sant’Ambrogio, il primo fu dapprima schiavo dell’altro, poi compagno di martirio: Vitale, infatti, patì tali tormenti da non esserci più parte del suo corpo senza ferita; Agricola, per nulla atterrito dal supplizio del suo schiavo, lo imitò nel martirio subendo la crocifissione.

Sul finire del VI secolo, San Gregorio di Tours in una sua opera lamentò l’inesistenza di una “passio” circa i Santi Vitale e Agricola. Ciò però non era propriamente esatto, in quanto le notizie sui due protomartiri bolognesi si fondano su un’autentica affermazione del vescovo milanese Sant’Ambrogio nel 392, nonché una di San Paolino di Nola del 403. Negli Acta Sanctorum sono inoltre stati inclusi due racconti fittizi arbitrariamente attribuiti anch’essi allo stesso Ambrogio.

In realtà assolutamente sconosciuti erano stati Vitale e Agricola sino al 392, anno in cui il vescovo bolognese Eustasio annunciò il ritrovamento dei loro resti in un cimitero ebreo dell’odierno capoluogo emiliano. Egli diede loro nuova sepoltura con rito cristiano, evento al quale presenziò anche Sant’Ambrogio, rivolgendosi ai martiri nell’omelia e invitando la popolazione a venerarne le reliquie.

Interno della Basilica dei santi Vitale e Agricola
edificio facente parte del Complesso monumentale
della Basilica di Santo Stefano a Bologna detto anche "Le sette chiese".
Foto di Giovanni Dall'Orto - 9 febbraio 2007

Il culto dei due santi martiri si diffuse in Occidente grazie all’impulso dato da Ambrogio che, oltre a scrivere di loro, volle traslare a Milano parte delle reliquie e ne donò poi parte a Firenze. Numerosi vescovi si sentirono così spinti a richiederne per le loro cattedrali. Il culto mantenne comunque il suo epicentro a Bologna, ove una basilica fu edificata appositamente per custodire le loro spoglie, in seguito trasferite nell’adiacente cappella.

Poco sappiamo dunque circa la vita dei due santi. Pare che Agricola fosse un cittadino cristiano di Bologna e Vitale il suo servitore. Questi aveva seguito il padrone anche nella sua religione e fu il primo a coronare la sua vita con il martirio: condotti infatti entrambi nell’arena, Vitale fu torturato in tutto il corpo sino alla morte. Gli aguzzini pensavano che alla vista delle sue sofferenze, Agricola avrebbe perso la sua determinazione nel dichiararsi cristiano, ma invece tutto ciò ebbe l’effetto inverso di quanto sperato. Agricola fu infatti fortificato e incoraggiato dalla morte del suo fedele servo e affrontò con grande coraggio la crocifissione, testimoniando sino alla fine la sua fede cristiana. Il suo corpo fu anche trafitto con chiodi.

Preghiera

Ti benediciamo e ti ringraziamo, Padre,
per il dono del martirio nei nostri fratelli Vitale e Agricola:
dal loro sangue fecondo hai fatto germogliare la Chiesa di Bologna
e nella fraterna solidarietà dello schiavo e del padrone
ci hai dato un fulgido esempio di umanità riconciliata nell’amore di Cristo.
Per la loro solidale intercessione donaci di essere testimoni coraggiosi della fede,
pietre vive della tua Chiesa, operatori di comunione e di pace.
Te lo chiediamo, Padre, nello Spirito Santo, per Cristo nostro Signore. Amen.

Fabio Arduino

www.santiebeati.it

Percorsi sacri
Alla scoperta della Chiesa
dei Santi Vitale e Agricola

di Athos Vianelli

Rilievo sulla facciata basilica dei Santi Vitale e Agricola a Bologna
con Gesù fra i santi Vitale e Agricola.
 Foto di Giovanni Dall'Orto - 9 febbraio 2007

<<Cercavamo le spoglie come cogliendo le rose di mezzo alle spine... Era presente il popolo in plauso e in gaudio. Cogliemmo i chiodi del martirio e tanti furono che convien dire più fossero le ferita che le membra>>

...così scrive S. Ambrogio, venuto a Bologna dietro invito del vescovo Eustasio probabilmente nel 393 dC. Ambrogio, Eustasio e i fedeli bolognesi quando cercavano i corpi dei protomartiri Vitale e Agricola s’aggiravano nei pressi della via Salaria, non molto lontano dal luogo dove ora sorge l’imponente Palazzo Fantuzzi e dov’era forse l’antica arena romana, nella quale molti cristiani bolognesi sarebbero periti durante le persecuzioni ordinate da Diocleziano nel 304 (fra i martiri sono ricordati anche Ermete, Aggèo e Caio), tutti seppelliti, pare, in un cimitero dei Giudei, dal quale Sant'Ambrogio li esumò per onorarli degnamente. I resti di Vitale e Agricola furono dapprima inumati nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo (che ora fa parte del gruppo delle Sette Chiese di Santo Stefano col nome di “chiesa dei Santi Vitale e Agricola”) e poi - nel 1060 - una parte di essi venne trasferita nella originaria chiesa metropolitana di San Pietro e, successivamente, nel 1578, il cardinale Gabriele Paleotti, dopo una solenne ricognizione dei resti medesimi, li fece collocare in un'urna posta sull’altare della cripta della chiesa predetta, dove tutt’ora si trovano; comunque, nonostante varie dispersioni, la maggior parte delle reliquie sono rimaste nel Gruppo Stefaniano e oggi le possiamo vedere collocate sull’altare dell’ex chiesa dei Confessi, attualmente cripta della chiesa del Crocifisso.

La cripta è databile intorno al Mille e ha avuto un particolare destino dopo l’abolizione del convento nel 1796 e l’acquisizione da parte di Giovanni Battista Martinetti che lo trasformò in una residenza da fiaba.

Il sarcofago di San Vitale nella Basilica dei santi Vitale e Agricola
Foto di Giovanni Dall'Orto - 9 febbraio 2007

Il sarcofago di Sant'Agricola nella Basilica dei santi Vitale e Agricola

Si legge nei testi agiografici che Vitale, un servo, e il patrizio Agricola, suo padrone, uniti e affratellati dalla fede in Cristo, con la loro vita e la loro morte dimostrarono non soltanto la forza salvatrice del messaggio evangelico, ma anche come solo con l’amore si possano superare le differenze sociali e gli odi, e fondare un mondo di giustizia e di pace. Inutilmente sollecitati, con lusinghe e con minacce, a rinnegare Cristo per ritornare al paganesimo, Vitale e Agricola vennero condotti nell’arena, che era stata costruita nel I sec. dC dai soldati della XIII legione, dove furono torturati e uccisi.

A ricordo del luogo in cui i due Santi bolognesi subirono il martirio o furono sepolti e rinvenuti (le interpretazioni sono varie), venne eretta una chiesa che si chiamò San Vitale in Arena; e la romana via Salaria, che partendo dalla Piazza di Porta Ravegnana alla base delle Due Torri conduceva direttamente a Ravenna e alle preziose saline di Cervia, assunse il nome di Strada San Vitale, che conservò fino al 1877 mutando in quella data il termine di “strada” con quello di “via”. Salvo una breve parentesi dal 1919 al 1922 in cui si chiamò via Spartaco (Carlo Liebkenecht) durante l’amministrazione socialista della città, la strada non mutò il suo nome; e nemmeno cambiò sensibilmente il suo volto nel corso di circa quattro secoli; ancora oggi appare gradevolmente impostata sul tracciato originario e con edifici religiosi e civili di grande rilievo storico.

La costruzione più antica o, per meglio dire, di origine più antica è proprio la chiesa dei Santi Vitale e Agricola, un edificio intorno al quale la leggenda si è sbizzarrita con particolare fantasia lasciando tuttavia trapelare realtà remote offuscate dal tempo; ma il riferimento all’antichità, in questo caso specifico, va attribuito più propriamente alla suggestiva cripta romanica a tre absidi circolari, che si favoleggia abbia fatto parte di una sorta di chiesa sotterranea, o catacomba, dove i primi cristiani bolognesi si sarebbero raccolti clandestinamente attorno ad Apollinare discepolo di San Pietro. Con maggiore attendibilità la cripta è attribuibile a una chiesa con annesso convento femminile della regola di San Benedetto, sorta in luogo della più antica fondata per onorare i Martiri; recenti scavi hanno posto in luce alcuni muri probabilmente appartenenti alla basilica preromanica.

La cripta, ubicata a levante dall’attuale edificio sacro (riformato nel sec. XV e rifatto nel 1824), è databile approssimativamente al Mille ed è quanto resta della grande chiesa benedettina ; ebbe un destino curioso dopo l’abolizione del convento nel 1796, l’insieme del complesso monastico fu acquistato dall’ingegnere Giovanni Battista Martinetti che lo trasformò estrosamente in una residenza fiabesca, in cui si mescolavano elementi classici e romanici, i quali si raccordavano all’edificio del numero 56 della via San Vitale dove fu aperto l’ingresso principale; l’orto del convento delle Benedettine entrò a fare parte di un vasto giardino strutturato all’inglese e ricco di una splendida vegetazione e di statue paganeggianti, mentre la cripta fu trasformata, molto discutibilmente, in una falsa grotta provvista di stalattiti artificiali, e poté riprendere il suo primitivo assetto soltanto nel 1892, dopo che il giardino era già stato annesso al noto Collegio Ungarelli.

Il sacro riprese dunque il sopravvento sul profano, ma fino agli anni Sessanta dell’Ottocento quelle mura e quei luoghi che per secoli avevano udito pie orazioni, echeggiarono incongruamente di risa, discorsi colti e frivolezze, poiché tutto il complesso acquistato e restaurato dal Martinetti fu la sfarzosa residenza della bellissima e coltissima moglie contessa Cornelia Rossi di Lugo, la quale per decenni polarizzò l’interesse della classe intellettuale bolognese e dei personaggi illustri in visita a Bologna; fra gli altri frequentarono il suo salotto e il suo giardino il Canova, il Monti, il Foscolo, il Leopardi, Gioacchino Rossini, il poliglotta Mezzofanti, re Luigi di Baviera, Lord Byron, Shelley, Stendhal, Lady Morgan, Paul Valery e forse anche Napoleone Bonaparte. Il fascino e la cultura di questa moderna Aspasia conquistarono i cuori di molti uomini, ma sembra tuttavia che nessuno potesse vantarsi di essere andato oltre un innocente flirt: Ugo Foscolo fu addirittura stregato dalla bella nobile romagnola che sorrideva scherzosamente alle sue profferte amorose deridendo con elegante umorismo la sua focosità; le dedicò il carme “Le Grazie” idealizzandola nella sacerdotessa della parola, che fra le “frondose indiche piante” appare con i simboli dell’eloquenza e accoglie gli ospiti “ne’ freschi orezzi di un armonioso speco” il quale altro non era che la cripta dei Santi Vitale e Agricola.

Ritornando alla chiesa intitolata ai protomartiri bolognesi, che incorpora anche la cappella di Santa Maria degli Angeli in stile rinascimentale, attribuita a Gaspare Nadi, va rilevato che in essa sono conservate opere d’arte di un certo pregio come il Presepio del Chiodarolo, l’Immacolata dello Scandellari, un altro presepio di Giacomo Francia, la Visita a Santa Elisabetta del Bagnacavallo e la Fuga in Egitto di Alessandro Tiarini; sull’altare maggiore, dentro una bellissima ancona di Tommaso Laureti e l’espressivo Martirio dei Santi Vitale e Agricola di Luigi Busi.
Guardando la chiesa dall’esterno, a destra di una porta che serviva da ingresso alla Cappella di Santa Maria degli Angeli, che venne unita alla chiesa medesima nel I505, vi sono memorie che evocano le glorie dell’antica Scuola Medica Bolognese: le iscrizioni tombali di Lucio de’ Liuzzi e del figlio Mondino (ivi rispettivamente inumati nel 1318 e nel 1326), e un bassorilievo in marmo che le sormonta e che ritrae un docente dell’antico Studio mentre tiene una lezione ai suoi discepoli; è questa la pietra tombale di Lucio de’ Liuzzi, scolpita da Rosso da Parma su ordinazione di Mondino, il quale fu - com’è noto- il primo a descrivere le parti del corpo umano dopo averle direttamente studiate sui cadaveri, nonché il primo a tenere una lezione d’anatomia nella storia della medicina (1315).

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