Vol. 2° -  XXVIII.8.7.

Formazione della melanina

Per catalisi ossidativa della tirosina da parte della tirosinasi si ha la formazione di dopachinone dotato di elevata reattività chimica, il quale, una volta formato, dà luogo a una serie di trasformazioni spontanee, incluso lo scambio ossidoriduttivo con ciclizzazione ossidativa e polimerizzazione. La reazione prevalente dipende dall’ambiente biochimico dei compartimenti melanogenetici che si trovano sotto controllo genetico.

Fig. XXVIII. 2. – Conversione aerobica della tirosina in dopachinone
catalizzata dalla tirosinasi

Nei melanociti deputati alla sintesi di eumelanina gran parte del dopachinone viene convertito in leucodopacromo rapidamente ossidato in dopacromo per una reazione di scambio ossidoriduttivo con lo stesso dopachinone. Una certa quota di dopa è costantemente presente nei melanociti attivi a dispetto del fatto che la tirosinasi possa ossidare la dopa più rapidamente della tirosina.

Il riarrangiamento in vivo del dopacromo è sotto il controllo regolativo della dopacromo tautomerasi (DT) che dirige la reazione verso la formazione di DHICA piuttosto che di DHI. Ioni metallici, specialmente il rame bivalente, sono in grado di catalizzare il riarrangiamento non decarbossilativo del dopacromo a DHICA tanto quanto la DTasi. Da questo si deduce che l’accumulo di ioni metallici nei melanociti non è il puro risultato della capacità legante delle melanine nei loro confronti, bensì una caratteristica intrinseca delle cellule pigmentarie che può giocare un suo ruolo funzionale nella melanogenesi.

Fig. XXVIII. 3. – Il classico schema della melanogenesi secondo Raper-Mason

Dal momento che nei melanociti sono presenti sia la DTasi che ioni metallici, si è cercato di discriminare i loro effetti nella cinetica del riarrangiamento del dopacromo, ma le conclusioni non sono risolutive, anche se vien da pensare che non si tratti di un’azione che escluda l’altra, nonostante l’enzima porti prevalentemente alla conversione del dopacromo in DHICA, mentre gli ioni metallici diano inevitabilmente origine a una quantità significativa di DHI. Gli ioni metallici, specie il rame, sono inoltre dotati di altre attività catalitiche (pseudocatalasica, pseudoperossidasica) che possono rivestire una certa importanza nella successiva polimerizzazione dei due indoli.

Quest’ultimo passaggio è stato tradizionalmente considerato come il terzo punto d’intervento della tirosinasi, ma, considerando la spiccata tendenza dei DHI ad andare incontro a ossidazione, bisogna desumere che non è richiesta un’elevata specificità dell’enzima cointeressato. Infatti la perossidasi è molto più efficiente della tirosinasi nel promuovere la conversione ossidativa del DHI a melanocromo che avviene quasi istantaneamente. Ancor più strabiliante è la differenza esistente nell’efficienza relativa dei due enzimi quando il substrato è rappresentato dal DHICA, scarsamente ossidabile da parte della tirosinasi. Esistono elevate probabilità che la perossidasi possa giocare un ruolo critico anche nella sintesi delle feomelanine, agendo in particolare sulla polimerizzazione ossidativa delle cisdopa che, come il DHICA, rappresentano un substrato di poco conto per la tirosinasi, a meno che nella miscela non sia presente un ossidoriduttore ciclico come la dopa.

Per verificare questi dati di laboratorio è stata riesaminata la distribuzione della perossidasi nei diversi compartimenti subcellulari dei melanociti di melanoma del criceto. Il livello più elevato di attività perossidasica è stato trovato in corrispondenza degli stadi 2° e 3° dei premelanosomi quando comincia a far la sua comparsa la deposizione di pigmento. Al contrario, nel melanoma amelanotico l’attività perossidasica non è presente in modo significativo.

La correlazione tra grado di pigmentazione cutanea ed entità di attività tirosinasica è un vecchio concetto che non si dimostra più molto convincente.

Già nel 1948 si era visto che composti dotati di radicali -SH erano in grado di inibire l’ossidazione della tirosina in melanina catalizzata dalla tirosinasi. Il composto è il tripeptide glutatione (GTH) contenente cisteina, i cui livelli insieme a quelli della GSH reduttasi sono più bassi nella pelle scura che in quella chiara. Dapprima si suppose che i gruppi sulfidrile -SH inibissero la tirosinasi legandosi agli ioni rame presenti nei siti attivi dell’enzima, ma ciò non è vero in quanto il GSH è dotato della capacità di reagire con il dopachinone per formare composti incolori, le GS-dopa (glutationil S dopa), successivamente trasformate nelle corrispondenti cisdopa per intervento della g-glutamiltrasferasi e peptidasi, presenti nei melanociti come pure in elevata quantità nel fegato e nel rene.

Soprattutto, la formazione e il metabolismo delle GS-dopa forniscono un meccanismo molto interessante per il ruolo di regolazione nella pigmentazione della cute. Nella pelle scura, caratterizzata da un basso contenuto in composti sulfidrilici, l’ossidazione della tirosina da parte della tirosinasi conduce alla formazione del dopachinone che è ampiamente convertito in dopacromo e quindi in melanina.

Nella pelle chiara non irradiata, con un contenuto relativamente alto in sulfidrili, gran parte del dopachinone che si genera per intervento enzimatico viene convertito in molecole di glutationildopa, sicché la formazione di dopacromo è scarsa o nulla, e perciò anche la formazione di melanina. Gli stimoli pigmentogenetici, come la luce solare o la combinazione psoralene+ultravioletto A (PUVA), hanno come effetto l’ossidazione del glutatione nel suo disulfile, per cui si determina un aumento della quota di dopachinone disponibile per la melanogenesi. Si può pertanto concludere dicendo che:

la marcata differenza circa il colore del pigmento
risiede in una differenza su base genetica dei livelli di GSH
e non nel tipo di melanociti presenti.

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