Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Octava rursus die oculi maiores adhuc videbantur, utpote ciceris ferme magnitudine. Totum corpus tunc sese velociter movebat, et iam crura, et alae distincte cerni incipiebant. Rostrum tamen interim muccosum adhuc erat. Sed forte quispiam quaerat, cur prius superiores, quam inferiores partes in eiusmodi formatione appareant: cui responsum velim, virtutem, seu facultatem formatricem in superioribus magis quam in inferioribus vigere, quod spiritales sint, et per consequens plus caloris obtineant. Caeterum istaec omnia, quae hac die videbam, sequenti manifestiora apparebant.

- Embrione di pollo - Inoltre all’ottavo giorno gli occhi si presentavano ulteriormente ingranditi dato che avevano quasi le dimensioni di un cece. In quel momento tutto quanto il corpo si muoveva velocemente e già cominciavano a vedersi distintamente le zampe e le ali. Tuttavia nel frattempo il becco si presentava ancora di consistenza mucosa. Ma forse qualcuno potrebbe chiedersi perché in una formazione siffatta compaiono prima le parti superiori rispetto alle inferiori: a costui vorrei rispondere che la forza o capacità formatrice è maggiore nelle parti superiori rispetto a quelle inferiori, in quanto sono respiratorie e di conseguenza posseggono maggior quantità di calore. Inoltre, tutte queste formazioni che ero in grado di vedere in questo giorno, il giorno seguente apparivano più manifeste.

Decima die non amplius caput toto corpore maius erat, magnum tamen, ut in infantibus etiam videmus: magnitudinis autem causa est humidissima cerebri constitutio. Quod vero Aristoteles dicit[1] oculos fabis maiores esse, id profecto minime verum est, si de vulgaribus nostris fabis locutus fuerit, cum alioqui ervi, vel ciceris albi magnitudinem non excederent: atque hinc etiam non absurde quispiam colligat fabas antiquorum fuisse rotundas, quales araci sunt, quem ideo fabam veterum quidam existimant. Neque etiam verum est quod tradit[2], {tunc}, <tunc>, scilicet, oculos pupillis adhuc carere. Etenim hae non tantum hac die apparebant, sed duabus etiam praecedentibus, una cum omnibus partibus, ac humoribus. Quod vero ait detracta cute nihil solidi videri, sed humorem tantum candidum, rigidum, et refulgentem ad lucem, nec quicquam aliud, id de crystallino humore mihi dixisse videtur, qui tamen haud solus apparebat, sed vitreus quoque et albugineus, unde non parum hallucinatus videri potest Philosophus, uti etiam Albertus, qui eo tempore nihil duri, et glandulosi in iis reperiri existimat, cum crystallinus humor solidus sit, ac quam maxime conspicuus.

Al decimo giorno la testa non si presentava più di dimensioni maggiori rispetto al resto del corpo, tuttavia era grande, come possiamo vedere anche nei neonati: causa della sua grandezza è la costituzione estremamente umida del cervello. Ciò che afferma Aristotele, che cioè gli occhi sono più grandi delle fave, di certo non è minimamente vero se ha parlato delle nostre fave comuni, in quanto generalmente non eccedono le dimensioni di una lenticchia o di un cece bianco: e da ciò qualcuno non deduca assurdamente che le fave degli antichi fossero rotonde come lo sono i piselli selvatici - Pisum arvense, per cui alcuni ritengono che essi sono le fave degli antichi. E neppure corrisponde al vero ciò che riferisce, cioè che in quel periodo gli occhi sono ancora privi di pupille. Infatti esse erano visibili non solo in questo giorno, ma anche nei due precedenti, insieme a tutte le loro parti e agli umori. Riguardo a ciò che dice, che cioè asportato il rivestimento non si vede nulla di solido ma solo un liquido candido, consistente e risplendente alla luce, e null’altro, a me pare che abbia parlato dell’umore cristallino, che tuttavia non si mostrava da solo, ma anche il vitreo e l’albugineo - sclera, per cui possiamo arguire che il Filosofo ha preso un abbaglio non da poco, come anche Alberto, il quale ritiene che a questo stadio non vi si trovi nulla di duro e ghiandolare, mentre l’umore cristallino è solido e assai ben visibile.

Eadem item die vidi omnia viscera, nempe cor, iecur, pulmonem. Cor autem, et iecur erant albicantis coloris: et cordis motus non solum apparebat, antequam foetum aperirem, sed iam secto etiam thorace moveri videbatur. Erat autem pullus involutus quartae illi membranae plurimis venis refertae[3], ne in humore iaceret. Cernebam etiam vasa umbilicalia prope anum ad umbilicum deferri, ibique infer<r>i, ut cibum per illum petat foetus. Vidi denique, quod Aristoteles non advertit, in dorso prope uropygium pennarum principia nigricantia menti humani cuti non absimilia, cui pili abrasi sint.

Sempre nello stesso giorno vidi tutti i visceri, e precisamente cuore, fegato, polmone. Cuore e fegato erano di colore bianchiccio: e il movimento del cuore non solo era evidente prima che aprissi il feto, ma lo si vedeva muoversi non appena era stato sezionato anche il torace. Il pulcino era avvolto in quella quarta membrana – amnios - costellata da numerosissime vene, affinché non giacesse nel liquido. Distinguevo anche i vasi ombelicali in prossimità dell’ano dirigersi verso l’ombelico, e qui penetrarvi, in modo che il feto per suo tramite si procuri il nutrimento. Cosa che Aristotele non segnala, vidi infine sul dorso in prossimità dell’uropigio gli abbozzi nerastri delle penne non dissimili dalla cute del mento umano al quale siano stati rasati i peli.

Die subsequenti haec omnia erant manifestiora, et in superioris rostelli extremitate erat quid albidi, cartilagineum, et subduriusculum, quod rursus die decimatertia magis erat conspicuum. Erat autem rotundum milii grano haud absimile. Sagacissima rerum parens natura id ibi fabricasse videtur, ut impediat, ne rostello suo vel venulas, vel membranulas, vel alias quascunque tenerrimas particulas pertundat. Aiunt mulierculae, pullos iam natos cibum capere non posse nisi prius id auferatur.

Il giorno seguente tutte queste strutture erano più manifeste e all’estremità del beccuccio superiore c’era qualcosa di bianchiccio, cartilagineo e abbastanza consistente che poi, al 13° giorno, era più evidente – il diamante. Si presentava rotondo, non dissimile da un grano di miglio. La natura, perspicacissima genitrice delle cose, sembra che abbia fabbricato ciò costì per impedire che col suo beccuccio traumatizzi sia le venuzze, sia le membranule, sia qualsivoglia altra tenerissima formazione. Le nostre donne di campagna dicono che i pulcini neonati non possono assumere cibo se prima non viene asportato.

Decimaquarta die pullus iam totus plumescebat. Decimaquinta in digitis ungues albicantes apparebant. Die vero decimasexta ovum aperire placuit in opposita parte, ubi nativa tunica, sed unica tantummodo apparebat, eaque alba. Alteram enim quam in altera parte semper videram, hic observare minime datum est. Itaque dubitabam an ea tantum pro albuminis tutela nata sit, cum scilicet ovum non sit recens, vel ad pulli defensionem in ovo incubato. Nam indies illa magis magisque decidere videtur, et foetum sequi, qui sui gravitate deorsum decidit.

Il quattordicesimo giorno il pulcino era già tutto impiumato. Il quindicesimo giorno alle dita erano visibili le unghie bianchicce. Il sedicesimo giorno ho voluto aprire l’uovo dalla parte opposta dove era visibile la tunica appartenente al guscio, ma ce n’era una sola, e anch’essa bianca. Infatti quell’altra che avevo sempre visto dal lato opposto, in questo punto non è assolutamente possibile osservarla. Pertanto ero in dubbio se essa si sia formata solamente per proteggere l’albume quando l’uovo non è recente oppure se doveva difendere il pulcino nell’uovo in incubazione. Infatti col passare dei giorni sembra vieppiù abbassarsi e seguire il feto, che cade giù per il suo stesso peso.

Aristoteles etiam unicam tantum esse eiusmodi tunicam his verbis[4] videtur innuere. Sunt, inquit, quandoque locata ova hoc ordine, prima, postremaque ad testam ovi membrana posita est, non testa ipsius nativa, sed altera illi subiecta: liquor in ea candidus est, quasi diceret, omnes partes in ovo locatae sunt hoc ordine; nempe prima, postremaque ad testam ovi membrana posita est. Intelligit meo iudicio per primam, et postremam membranam, eas membra<na>s recens in incubato ovo genitas, eas videlicet, quas aliquoties appellavi tertiam secundinam, et quartam, quam involventem foetum dixi. Nam cum dicit testae nativam non esse, ostendit nec primam, nec secundam esse, quae ab altera ovi parte reperitur. Videtur igitur excludere hanc nativam sive primam, vel secundam, et intelligere tertiam, quam secundinam saepe vocavi. Cum vero dicit[5], sed altera illi subiecta, intelligit eandem, secundinam nempe testae subiectam, quod vel ex hoc maxime liquet, quod candidum in ea liquorem inesse dicat. Is enim, ut supra ostendi, inter tertiam, et quartam continetur. Hinc manifesto errore Suessanus convincitur, qui ex Ephesio per primam interpretatur eam, quae testae adhaeret, per postremam vero, quae albumini.

Anche Aristotele con le seguenti parole sembra voler indicare che tale tunica è solo una. Egli dice Poiché le uova sono organizzate in questo ordine, addossate al guscio dell’uovo si trovano una prima e una seconda membrana che non è quella appartenente al guscio, ma l’altra che è sottostante alla prima: in essa si trova del liquido bianco come la neve, come se dicesse che nell’uovo tutte le parti sono disposte in questo ordine; e precisamente che la prima e la seconda membrana sono addossate al guscio dell’uovo. A mio avviso egli intende per prima e seconda membrana quelle membrane che da poco si sono generate nell’uovo in incubazione, senza dubbio quelle che qualche volta ho denominato come terza del secondamento - allantoide, e come quarta che ho detto avvolgere il feto - amnios. Infatti, quando dice che non è appartenente al guscio, dimostra che non è né la prima, né la seconda che si rinviene dall’altro lato dell’uovo. Pertanto sembra escludere che questa che appartiene al guscio sia o la prima o la seconda, e intenda dire che è la terza, che spesso ho denominato del secondamento. Infatti quando dice, ma quell’altra che è a essa sottostante, intende dire quella stessa membrana, cioè del secondamento, che si trova addossata al guscio, e ciò è estremamente chiaro anche dal fatto che egli dice che al suo interno si trova del liquido bianco come la neve. Infatti questo liquido, come dianzi ho dimostrato, è contenuto fra la terza e la quarta. Quindi il Suessano - Agostino Nifo - si dimostra colpevole di un errore lampante, in quanto egli, basandosi su Michele di Efeso, interpreta come prima quella che aderisce al guscio e per ultima quella che è attaccata all’albume.

Quae omnia a nobis observata quotidie in sequentibus diebus evidentiora, utpote in perfectissimo pullo apparebant. Die vero vigesima pullus putamine a parente Gallina ablato hora vigesimasecunda sua sponte exivit. Sequens icon ostendit situm perfecti iam pulli in utero [ovo?[6]].

Tutto quello che quotidianamente avevamo osservato si fece più evidente nei giorni successivi, in quanto si manifestavano in un pulcino completamente finito. Al ventesimo giorno il pulcino, asportato il guscio a opera della chioccia, uscì da solo alla ventiduesima ora. L’illustrazione che segue mostra la posizione in utero di un pulcino ormai ultimato.


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[1] Historia animalium VI,3, 561a 30-32: In questo periodo gli occhi sono prominenti, più grandi di una fava e neri; se si asporta la pelle, vi si trova all’interno un liquido bianco e freddo, assai risplendente in piena luce, ma nulla di solido. (traduzione di Mario Vegetti)

[2] Historia animalium VI,3, 561a 28: Esso ha ancora la testa più grande del resto del corpo, e gli occhi più grandi della testa; e tuttora privi della vista. (traduzione di Mario Vegetti)

[3] Stavolta è Aldrovandi che verosimilmente prende un abbaglio in questo farraginoso sovrapporsi di membrane senza un nome specifico. Questa quarta membrana dovrebbe corrispondere all’amnios che, al contrario dell’allantoide, non è vascolarizzato, e dovrebbe corrispondere a quanto riferito da Aldrovandi a pagina 216 quando riporta la descrizione tratta da Aristotele. Infatti a pagina 216 leggiamo: Tum vero membrana alia circa ipsum foetum, ut dictum est, ducitur arcens humorem: sub qua vitellus alia obvolutus membrana, in quem umbelicus [umbilicus] a corde, ac vena maiore oriens pertinet, atque ita efficitur, ne foetus alterutro humore attingatur.

[4] Historia animalium VI,3, 561b 15-18: Ogni parte si trova così disposta nel modo seguente: in primo luogo, all’estrema periferia presso il guscio c’è la membrana dell’uovo, non quella del guscio ma quella al di sotto di essa. In questa è contenuto un fluido bianco, poi il pulcino, e attorno a esso una membrana che lo isola, affinché non sia immerso nel fluido; sotto il pulcino è sito il giallo, a cui porta una delle vene menzionate, mentre l’altra va al bianco circostante. (traduzione di Mario Vegetti)

[5] Historia animalium VI,3, 561b 17: Ogni parte si trova così disposta nel modo seguente: in primo luogo, all’estrema periferia presso il guscio c’è la membrana dell’uovo, non quella del guscio ma quella al di sotto di essa. (traduzione di Mario Vegetti)

[6] Forse non si tratta di una svista di Aldrovandi, bensì di una conseguenza delle elucubrazioni di Aristotele contenute in De generatione animalium e riportate da Aldrovandi a pagina 215, per cui negli ovipari l’uovo corrisponderebbe a un utero materno staccato dalla madre.