Vol. 1° -  VIII.15.5.

Galline giganti di tre Continenti

Schorger (1963) riporta una tale dovizie di termini riservati in passato al tacchino che ci limiteremo a quelli impiegati dagli autori più famosi o più credibili.

Non tralasceremo di citare alcuni abbagli che risalgono a quando il tacchino, in Europa, forse non era ancora giunto. Dico forse in quanto l’immagine di un Cristoforo Colombo sfamatore di popoli potrebbe facilmente capitolare, togliendo così al nostro Genovese quell’aureola tanto cara a noi Italiani e ancor più cara a coloro che non vogliono riscrivere la storia, esimendosi così dall’attribuire il giusto merito a chi ha sgobbato sodo e, di certo, non meno delle superstars dell’avventura consacrate dalla storiografia corrente.

Conviene sottolineare che la parola turkey, che in inglese significa tacchino, fu usata in Europa molto tempo prima che l’uccello così designato attualmente dagli anglofoni vi fosse conosciuto.

Non è questo il momento di soffermarci sull’etimologia di questo vocabolo inglese. Non dimentichiamo inoltre che in passato qualunque uccello che si esibisse facendo la ruota con la coda veniva considerato un pavone o un tacchino.

Inoltre, spesso alcuni componenti della famiglia dei Cracidi - che vivono nelle regioni tropicali e subtropicali americane - venivano confusi col tacchino comune nonché col tacchino ocellato, Agriocharis ocellata. Ma questo secondo errore è in parte perdonabile: sa più di svista che di peccato mortale. La confusione non si è limitata a coinvolgere uccelli americani: anche la Faraona, Numida meleagris, è incappata in queste pastoie.

Aldrovandi conosceva bene la Faraona attraverso l’opera di Belon [1] ma, nonostante il suo febbrile interesse per le scoperte naturalistiche del Nuovo Mondo, egli non descrive, tra i Polli stranieri, un uccello che abbia le sembianze del tacchino. Non so spiegarmi il perché. Per Aldrovandi la Faraona si chiama Gallina della Guinea, ma accetta il termine di Pollo della Mauritania proposto da Belon. Ambedue gli appellativi sono appropriati.

Tra i polli stranieri Aldrovandi riporta alcuni galli e galline indiani che per me, tutt’altro che esperto ornitologo, somigliano moltissimo a dei Cracidi. Avremo modo di analizzarli con l’aiuto di Ghigi.

Nel paragrafo che Aldrovandi dedica alle differenze osservabili in seno al genere Gallus, a un certo punto si legge:

Navigationum in Indiam authores in regno Senegae Gallinas esse referunt, quae Gallinae Pharaonis dicantur; deferri autem ex Oriente: item apud Tarnasaros Indiae populos alios Gallos et Gallinas reperiri, nostratibus triplo maiores. Postremo Petrus Martyr in Imaica insula Gallinas reperiri, author est, quae Pavonibus nec magnitudine, nec sapore cedant.

Coloro che effettuano viaggi in India via mare riferiscono che nel regno del Senegal esistono galline che sarebbero dette Galline del Faraone - Numida meleagris?; infatti vengono qui portate da est: parimenti, che presso le popolazioni indiane dei Tarnasari si trovano altri Galli e Galline tre volte più grandi dei nostrani. Infine Pietro Martire attesta che sull’isola di Giamaica si trovano galline che non sono inferiori ai pavoni né per grandezza né per sapore.

La Dottoressa Rita Giordano ha l’invidiabile chance di trascorrere molto tempo nella Torre Libraria della Biblioteca Universitaria di Bologna, che immagino traboccante di tesori come quella che rappresenta il fulcro del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. Grazie a lei sono venuto a conoscenza del testo latino del precedente brano, nonché di altri frammenti non meno preziosi, completati poi dal Professor Gabriele Baldan.

È merito della Dottoressa Giordano l’interpretazione di Imaica: si tratta di Giamaica, che Lind traduce con Imaic. Questo vocabolo di Lind - l’unico in mio possesso prima di ricevere il testo latino - l’avevo costellato di parecchi punti interrogativi, mentre l’aggiunta di una a finale è stata in grado di risolvere l’arcano. Credo non sussistano dubbi in merito, innanzitutto perché Pietro Martire ebbe come tema storico le Indie Occidentali, e poi perché Giamaica, scoperta da Colombo nel 1494, era da questi denominata Janahica e da Girolamo Benzoni Iamaica. Inoltre, come vedremo appresso, Pietro Martire riporta spesso la grafia dei toponimi in modo erratico.

Imaica o Iamayca è evidenziata in scuro a sud di Cuba
da Libro primo della historia de l'Indie Occidentali di Pietro Martire d'Anghiera
edito a Venezia nel 1534

Giamaica, ai tempi dell’arrivo di Colombo, era abitata dagli Arawak. Questo popolo aveva sostituito il primitivo popolamento Ciboney in Haiti, Cuba, Giamaica e Bahamas [2] . Gli Arawak praticavano l’agricoltura, integrata da caccia e pesca; anche se non conoscevano ancora l’uso del ferro, avevano una fiorente industria litica, lavoravano la terracotta e vivevano in capanne di legno ricoperte con foglie di palma.

Lind traduce Imaica con Imaic, quando avrebbe potuto darne la grafia odierna, e neppure si sforza di identificare il regnum Senegae con il Senegal. Vediamo dapprima il testo inglese di Lind e poi due note storiche sul Senegal. Premetto che Lind dà per scontato che i viaggi in India si svolgessero tutti quanti via mare, in quanto non fa il minimo cenno a navigationum. Ma l’Oriente lo si poteva raggiungere anche via terra, per cui chi se ne andava in India a piedi non passava certo per il Senegal.

«Writers of voyages to India say there are hens in the kingdom of Senega called the Pharaoh’s chickens, which were brought there from the Orient. Likewise, among the Tarnasari people of India other roosters and hens are found three times larger than our own chickens. Finally, Peter Martyr says that on the Imaic island hens are found which yield to peacocks in neither size nor flavor.» (pag. 33)

Senegal. È problematico dire se le coste del Senegal siano state raggiunte in epoca antica: la circumnavigazione effettuata dai Fenici verso il 600 aC per ordine del faraone Nekao, nonché la spedizione di Annone il Cartaginese nel V secolo aC, non trovano valide conferme storiche. Sembra invece che per vie interne due gruppi di Getuli [3] convertiti al cristianesimo nel III secolo - identificabili negli Zenaga e negli Zenata - sarebbero emigrati verso l'Adrar e il Touat. Gli Zenaga avrebbero addirittura raggiunto le rive del fiume designato poi come Senegal, deformazione del termine Zenaga o Çanaga. In epoche successive fu l'Islam a infiltrarsi e ad affermarsi nella valle del Senegal, dapprima grazie a Tarsina, capo dei Berberi Lamtuna, e poi con Yahya ibn Ibrahim. Quest'ultimo fece del fiume Senegal la culla della sorgente dinastia Almoravide, che nel 1076 conquistava l'impero negro-africano di Ghana. Quanto agli Europei, le prime navigazioni storicamente accertate che raggiunsero le coste del Senegal furono quelle portoghesi: Dinis Dias doppiava Capo Verde nel 1444 gettando l'ancora nell'isoletta di Gorée; nel 1455/56 Alvise Ca' da Mosto e Antoniotto Usodimare risalivano con le loro navi i fiumi Senegal e Gambia.

Fig. VIII. 45 - L’Africa secondo Federico de Wit - seconda metà del XVII secolo
Il Senegal, detto Zanhaga, vi è tagliato dal tropico del Cancro;
oggi su questa linea giacciono Sahara Occidentale, Mauritania e Mali,
mentre la parte più settentrionale del Senegal si trova intono al 17° parallelo.

A parte le due tappe interpretative sui toponimi, resta da scoprire chi erano i Tarnasari, se dell’India o del Nuovo Mondo. In base alle dimensioni delle loro galline ci sarebbe da scommettere per una qualche tribù americana che allevava tacchini.

Invece no. Tarnassari, Tenasari, Tanaser, Tanazzar, Tanazzari: ecco le molteplici grafie di Tenasserim, regione della Birmania che s’insinua, con la Tailandia, nella penisola di Malacca, importante emporio per i traffici con l’India. Ai tempi di Amerigo Vespucci (1454-1512) apparteneva, come buona parte della penisola di Malacca, al regno del Siam. A cominciare dal 1535 la riunificazione della Birmania avvenne grazie all'attività di Tabinshweti re di Taungu, e più tardi di suo cognato Bayinnaung, che si servirono di un esercito in cui militava anche un corpo di Portoghesi. Sotto questi due sovrani la Birmania iniziò una politica di conquista e di espansione, specie a danno del Siam. Con alterne vicende, la dinastia – che aveva per capitale Pegu – restò al potere fino al 1740 circa.

Fig. VIII. 46 - Il regno del Pegu, detto anche del Pegù.

Aldrovandi cita solo la mole di questi uccelli del Tenasserim, che dovevano non essere pavoni, a lui ben noti, e dei quali parla poco dopo. Che non fossero tacchini? Ipotesi che non è da sottovalutare. Non dobbiamo tuttavia omettere quanto ci racconta Gasparo Balbi a proposito di galline mastodontiche incontrate in Asia, e il Balbi potrebbe essere la fonte informativa di Aldrovandi. Gasparo Balbi, gioielliere veneziano, nell’anno 1583 stava navigando nel golfo del Bengala per raggiungere il regno del Pegù. Così racconta a proposito di questo regno abitato da popolazioni Mon:

«In questo regno non nascono se non risi e grandissima quantità di galline buone, capretti, manzi, anatre, porci, colombi; ma colombi a noi per certo rispetto vendono mal volentieri, e di quelli mangiano in buona quantità e abbondanza, avendo tanto più carestia di grano, il quale non nasce in quel regno. [...] Si mangiano gran quantità di porci molto grassi e buoni e galli ancora tanto grandi di corpo, di gambe e di collo che mai ho visto de’ più grandi; e le donne ammazzano le galline con seder loro sul collo e soffogarle, ma in altra maniera non le ammazzano per non far sangue. Mangiano ancora d’alcuni galletti e galline dette lorine [4] , che sono grandi come le tortorelle co’ piedi pelosi, ma tanto belle che non viddi mai un uccello così bello, de’ quali un maschio e una femmina ne portai fino a Chiavul [Chaul] e quivi, dubitando non mi venissero tolte, le donai a’ Padri Cappuccini della Madre di Deos.»

Oppure, una fonte alternativa circa le dimensioni dei polli del Tenasserim potrebbe essere rappresentata dal suo concittadino Lodovico de Varthema – latinizzato in Ludovicus Patritius – citato da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 381: Circa Tarnasari urbem Indiae gallos gallinasque proceriores vidisse memini quam usquam alibi, Ludovicus Patritius. - Mi ricordo di aver visto nei dintorni di una città della regione del Tarnasari in India dei galli e delle galline più grandi che da qualsiasi altra parte, Lodovico de Varthema.

Aldrovandi si permette di triplicare la mole di questi polli, mentre la fonte – e conviene credere a Gessner – si limita a dire che si tratta di galli e galline più grandi di quelli visti in qualsiasi altra località. A mio avviso Aldrovandi - come è suo solito - ha ciurlato nel manico. Non fornisce la fonte di questi polli giganti del Tarnasari, così nessuno può contestarlo circa la triplicazione della loro mole.

Se non c’è nulla da obiettare circa la mole dell’uccello di Giamaica di cui parlerà così diffusamente Pietro Martire d’Anghiera, bisogna sottolineare che nella citazione fatta da Aldrovandi viene addotto un confronto discutibile: il suo sapore che non sarebbe da meno di quello del pavone. Infatti sotto questo profilo il pavone è piuttosto contestato.

Ciò non toglie che a Pietro Martire non dispiacesse il pavone e, se non l’aveva mai assaggiato, avrà presa per buona la sentenza di coloro che ne andavano matti. Infatti, come abbiamo già detto, a Roma, per primo Aufidio Lurcone intraprese a ingrassare pavoni al tempo dell’ultima guerra contro i pirati, diventando ricco.

Questa notizia telegrafica dovuta a Pietro Martire e citata da Aldrovandi quasi di sfuggita, non è in grado di mettere il Bolognese sull’avviso che sta parlando proprio di tacchini.

Una gallina centroamericana di taglia non inferiore al pavone, e non meglio identificabile, non dovrebbe essere altro che il tacchino.

Aldrovandi era già in possesso di conoscenze ben precise sull’avifauna del Nuovo Mondo, purtroppo limitate a pochi Galli e Galline Indiane, dei quali aveva curato egli stesso l’iconografia rendendone alcuni facilmente identificabili ma totalmente diversi dal tacchino. Quindi, questa lacuna descrittiva di Aldrovandi non è certo volontaria. Sarebbe bastato che qualcuno gli avesse fornito lo spunto per un tacchino ed egli avrebbe ampliato il suo trattato di poche pagine.

 sommario 

 avanti 



[1] Pierre Belon du Mans: medico e naturalista francese (Soultière, Maine, circa 1517 - Parigi 1564), compì studi di medicina e scienze a Wittenberg e a Parigi; visitò le popolazioni del Vicino Oriente descrivendone la vita e le usanze. Pubblicò L’histoire de la nature des oyseaux (1555), il primo trattato moderno di ornitologia, tradotto in latino dall’Aldrovandi. - Per ulteriori notizie vedere il Lessico.

[2] Ciboney: popolazione dell'America insulare, nota anche come Siboney, che rappresenta lo strato etnico più antico delle Antille e uno dei più antichi dell'America, secondo vari studiosi affine ai Fuegini. All'epoca della Conquista i Ciboney erano pressoché scomparsi: solo a Cuba e ad Haiti sopravvivevano piccoli gruppi soggetti agli Arawak. Di loro, come degli affini Yukayo delle Bahamas, si conosce ben poco: economia basata su caccia e raccolta allo stato nomade, organizzazione in gruppi alimentari, assenza o quasi di credenze religiose, usanza di abbandonare i morti in caverne, arnesi in pietra, uso di semplici tettoie-paravento per abitazione.

[3] Getuli: antico popolo berbero del Sahara che spalleggiò Giugurta contro Roma e alla quale venne sottomesso nel 6 aC.

[4] Lorine può essere collegato al malese luri, pappagallo, mentre altri rimandano al giavanese lurik, gallo con penne macchiettate. Le “tortorelle co’ piedi pelosi” potrebbero essere dei Columbiformi appartenenti alla famiglia Pteroclidae e al genere Syrrhaptes: sia il Syrrhaptes paradoxus che il tibetanus vivono nel sud dell’Asia, hanno piedi particolarmente brevi e piumati anche sulle dita - che sono solo 3 in quanto manca l’alluce - unite tra loro da una membrana.