Vol. 2° -  XX.9.

Agenti mutageni

La genetica molecolare non è ancora riuscita a dimostrare l’ereditabilità di una caratteristica acquisita dovuta all’ambiente.

Se accettiamo che questa possibilità rimanga per sempre una chimera, dobbiamo ammettere che le giraffe hanno optato per il loro habitat in quanto, qui, le chiome degli alberi sono alte proprio al punto giusto, che galli combattenti non si nasce in quanto lo si diventa solo dopo estenuante allenamento, che le acque sono state inventate per allestire un enorme acquario dove ospitare pesci e cetacei, che le foreste equatoriali sono sbocciate con l’unico scopo di permettere alla pelle già nera di carpire quel poco sole che così il fogliame concedeva ai terricoli, che galli canterini si è e si rimane, per cui si è costretti a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità.

La Biologia possiede ancora molte tessere di mosaico accatastate alla rinfusa ed è solo in attesa di un aiuto da parte dei lustri a venire.

Castle (1930) affermava giustamente:

La verità non si trova nell’opinione lamarckiana secondo cui tutti i caratteri acquisiti sono ereditari, e neppure in quella weismanniana per la quale nessuna influenza esterna possa modificare il plasma germinativo. La verità dovrebbe risiedere in una concezione intermedia.”

Per ora dobbiamo forzatamente affermare che i caratteri acquisiti non sono ereditabili, anche se ciò non significa che non si possano produrre mutazioni per intervento di fattori esterni. Le radiazioni ionizzanti e penetranti, come i raggi X, i raggi g del radio e di altri atomi radioattivi, nonché i neutroni dei reattori nucleari, sono mutageni molto noti. Sostanze chimiche come l’iprite e suoi derivati azotati o solforati, la formaldeide, l’acido nitroso, e altri composti ancora, sono anch’essi mutageni.

Gli agenti mutageni inducono mutazioni solamente nelle cellule sulle quali agiscono direttamente, e forse solo se agiscono direttamente sul nucleo. Così, applicando raggi X a una parte qualsiasi del corpo, se le gonadi sono al di fuori della loro portata, non vengono indotte mutazioni nei gameti. Invece, se i raggi X sono applicati alle gonadi oppure ai gameti stessi, vengono prodotte trasmutazioni artificiali dei geni e aberrazioni cromosomiche.

Per una ragione simile, nella maggior parte degli organismi le radiazioni UV non producono mutazioni gametiche, perché non possono penetrare abbastanza a fondo da raggiungere le cellule germinali. Se si espongono direttamente i gameti alla luce ultravioletta, allora vedremo insorgere delle mutazioni. Anche i composti chimici mutageni possono provocare mutazioni solamente nelle cellule entro le quali riescono a penetrare.

Fin dal momento della scoperta in Drosophila dell’azione mutagena delle radiazioni ha avuto inizio il dibattito sull’eventuale incremento artificiale del tasso di mutazione nell’uomo. Non sappiamo ancora se molti composti chimici presenti nell’ambiente abbiano un effetto mutageno degno di nota sui geni umani. Nonostante sia stato dimostrato che molti composti chimici producono mutazioni nei batteri, può darsi che questi stessi composti, anche se presenti in circolo, non passino mai attraverso le membrane cellulari e nucleari, oppure, se lo fanno, può darsi che la quantità sia troppo piccola per avere un effetto mutageno sulle cellule germinali dell’uomo.

È senz’altro possibile che le molteplici sostanze incriminate come mutageni per l’uomo siano responsabili di una parte delle mutazioni apparentemente spontanee, e che il tasso di mutazione sia aumentato in seguito alla loro presenza nell’ambiente. Una prova della mutagenesi chimica nell’uomo può essere costituita dall’aumento dei casi di cancro polmonare. Dato che tra l’origine di questo tumore e le sostanze chimiche presenti nel fumo di sigaretta esiste un nesso causale e, nell’ipotesi che i tumori siano la conseguenza di mutazioni somatiche nelle cellule epiteliali dei polmoni, allora la mutagenesi chimica raggiunge un tasso pericoloso.

In genere i mutageni non sono specifici per loci particolari, oppure per gruppi di loci. Questo è un fatto che non giunge inatteso se si tiene conto della struttura dei geni, frutto della combinazione delle solite quattro coppie di nucleotidi che offrono possibilità relativamente scarse di cambiamenti specifici. Nonostante ciò, la sequenza delle coppie di nucleotidi varia da gene a gene, e alcuni mutageni possono attaccare di preferenza combinazioni specifiche entro un segmento del gene. Inoltre, alcuni geni sono più ricchi di alcune coppie di basi che di altre, e alcuni mutageni interagiscono di preferenza con specifiche basi.

Per esempio, la luce ultravioletta viene assorbita in misura molto maggiore dalle pirimidine, timina e citosina, piuttosto che dalle purine. L’assorbimento di UV distrugge certi legami in queste basi, col risultato che due pirimidine adiacenti nella sequenza nucleotidica possono venire a legarsi tra loro a formare dimeri, cioè strutture molecolari costituite da due strutture singole e identiche, invece che rimanere appaiate con le basi puriniche complementari lungo la molecola del gene. La formazione dei dimeri può dare come risultato un gene mutante.

Di solito, ricorrendo alle radiazioni o agli agenti chimici, in una cellula qualsiasi si possono far mutare solamente uno o pochi geni, e solamente un allele di ogni coppia. Questa bassa resa in mutazioni per cellula è evidentemente determinata dalla scarsa quantità di radiazioni o di composto chimico che si può impiegare senza uccidere la cellula. Al di sotto della dose letale, l’agente mutageno rimane ancora relativamente diluito.

Quando nel 1927 Muller scoprì gli effetti mutageni da raggi X, si chiese se le radiazioni spontanee da atomi radioattivi rari, ma comunque presenti nel suolo, nell’aria, nel cibo e all’interno del corpo, nonché se le radiazioni da raggi cosmici potessero spiegare le mutazioni naturali classificate come spontanee.

I calcoli furono subito eseguiti, dimostrando che ciò non poteva essere vero, almeno per la Drosofila. Nonostante il tasso di mutazione sia basso, le radiazioni presenti in natura dovrebbero essere più di mille volte superiori a quel che sono in realtà per produrre il tasso di mutazione osservato. Di conseguenza, la maggioranza delle mutazioni spontanee deve essere spiegata in base alla presenza di altri agenti.

Abbiamo visto che alcune sostanze chimiche utilizzate negli esperimenti possono indurre mutazioni. Oltre a ciò, dobbiamo aggiungere che le radiazioni esercitano il massimo effetto sui geni in modo indiretto, e precisamente attraverso la produzione intracellulare di sostanze chimiche altamente reattive. È perciò ragionevole supporre che alcune sostanze derivate dall’ambiente, cioè dal cibo, dall’acqua e dall’aria, così come alcuni prodotti interni del metabolismo cellulare normale, possano in qualche caso determinare mutazioni.

Agli agenti chimici si contrappongono le fluttuazioni di energia, che appartengono agli agenti fisici. Poiché i geni sono molecole, dovremmo applicare nei loro confronti le leggi che governano la stabilità molecolare. In base a queste leggi è noto che, data un’energia sufficiente, i legami tra gli atomi si spezzano e permettono la formazione di nuove strutture molecolari. L’alta stabilità dei geni sembra voler significare che è necessaria una considerevole quantità di energia per apportare dei cambiamenti nella loro struttura molecolare; ma ci si può aspettare che le fluttuazioni normali di energia possano essere abbastanza grandi da determinare cambiamenti genetici.

Queste fluttuazioni naturali possono essere di origine esterna, come accade per esempio con le oscillazioni della temperatura che circonda da vicino il gene, oppure possono avvenire all’interno del gene stesso, forse come concentrazione casuale in alcuni legami specifici dell’energia interatomica, che di norma è ampiamente distribuita lungo la molecola del gene.

La temperatura è un agente importante vista l’influenza che essa esercita sulla reattività e sulla stabilità delle molecole. Perciò, nell’uomo, una probabile fonte di mutazioni spontanee può consistere in alcuni costumi della società umana, consacrati dal tempo, che influenzano la temperatura delle gonadi. La localizzazione delle ovaia all’interno dell’addome le rende largamente immuni dalle interferenze termiche artificiali; invece i testicoli sono esposti a variazioni della temperatura esterna, solo incompletamente contrastata dalla regolazione da parte della muscolatura scrotale e dalle variazioni del flusso sanguigno.

Le misurazioni della temperatura delle gonadi di uomini vestiti e svestiti hanno dimostrato che nei primi era di 3°C più elevata rispetto ai secondi, e la temperatura sale anche di più se si fanno bagni in acqua molto calda oppure bagni di vapore, come è frequente presso alcune popolazioni nordiche. Esistono prove in Drosophila che l’aumento di temperatura dei testicoli e degli spermi maturi comporta un aumento delle mutazioni e possiamo supporre che ciò possa accadere anche in altri animali.

La sede normale dei testicoli è lo scroto. Essi vi giungono alla nascita o poco dopo, e non devono rimanere nell’addome, in un punto qualunque del percorso che li conduce dalla regione renale alla sede definitiva. Infatti, un testicolo ritenuto va incontro a processi involutivi con mancata produzione di spermatozoi. Inoltre, e questo è un punto chiave, l’incidenza di seminomi è elevata in testicoli ritenuti.

Anche se gli agenti mutageni per la Drosofila potrebbero esserlo anche per l’uomo, uno studio quantitativo suggerisce che l’importanza relativa dei mutageni può differire notevolmente tra uomo e moscerino. Nella Drosofila il tasso di mutazione spontanea è troppo elevato per essere spiegabile solamente grazie alle radiazioni naturali ricevute da un gene durante il ciclo vitale dell’individuo.

I geni appena mutati presenti nei gameti di un moscerino adulto rappresentano i cambiamenti genetici accumulati nel breve arco della sua vita riproduttiva, da quando era uovo appena fecondato fino alla maturità. Siccome il corrispondente arco biologico dell’uomo è molto più lungo di quello di un moscerino della frutta, i suoi geni sono esposti alle radiazioni naturali molto più a lungo di quelli di Drosofila. Di conseguenza, nell’uomo, una quota molto più consistente delle mutazioni spontanee potrebbe essere dovuta alla radiazione naturale o radiazione di base o radiazione di fondo.

Tuttavia, la proporzione esatta non dipende solamente dalla quantità relativa di radiazioni naturali ricevute dall’uomo e dalla Drosofila, ma anche dalla sensibilità relativa dei geni alle radiazioni. Si sa che fattori semplici come la pressione parziale dell’ossigeno intracellulare, e fattori anche più complessi, influiscono sulla frequenza mutagena delle radiazioni. Non sappiamo nulla della sensibilità alle radiazioni dei geni umani. Se essa è simile a quella dei geni dell’unico mammifero per il quale sono disponibili dati sperimentali, cioè il topo, allora essa è più elevata di quella del moscerino della frutta. Nonostante esista la possibilità che quasi tutte le mutazioni spontanee dell’uomo siano dovute alla radiazione naturale, la maggior parte dei genetisti pensa che solamente una piccola parte delle mutazioni spontanee umane origini dalla radiazione di fondo.

Quest’opinione deriva anche dal fatto che è improbabile che l’attività metabolica delle cellule dell’uomo sia così diversa da quella di Drosophila, tanto da non riuscire a produrre ogni tanto qualche mutageno chimico intracellulare. Inoltre, le gonadi di un moscerino sono esposte a raggi b esogeni, e forse anche ad alcuni raggi a, mentre le gonadi dell’uomo sono in gran parte protette da queste particelle scarsamente penetranti grazie ai tessuti che le circondano. Questo significa che la quantità di radiazioni assorbita dalle cellule germinali dell’uomo è minore di quella ricevuta nello stesso intervallo di tempo dalle cellule germinali del moscerino.

Un ulteriore motivo per incriminare solo raramente le radiazioni naturali come responsabili di tutte le mutazioni spontanee umane, deriva dagli esperimenti condotti sul topo. Le vaste sperimentazioni condotte da Russell dimostrano che la quantità di radiazioni che il topo riesce ad accumulare durante la sua vita relativamente lunga non può spiegare più dell’1% del tasso spontaneo di mutazione di sette geni selezionati. Considerando il fatto che gli esseri umani sono esposti alle radiazioni per un tempo molto più protratto, e ammettendo che una data dose di radiazioni fa mutare i geni dell’uomo con la stessa frequenza con la quale fa mutare i geni del topo, sembrerebbe che la percentuale delle mutazioni spontanee nell’uomo causate dalle radiazioni naturali sia più elevata di quella del topo.

Non tutte le persone ricevono la stessa quantità di radiazioni, che aumentano per esempio con l’altitudine, in quanto l’esposizione ai raggi cosmici è maggiore alle grandi altezze. Tale quantità dipende inoltre dalla ricchezza in atomi radioattivi di uranio e di torio posseduta dalle rocce o dal suolo, come è il caso di molti tipi di granito, oppure dalla loro povertà, come accade per le rocce sedimentarie. Inoltre la radioattività è influenzata dal tipo di abitazione, poiché le dimore costruite con rocce contenenti molto materiale radioattivo espongono a dosi più elevate rispetto alle case costruite in legno oppure in altro materiale meno radioattivo.

Una radiazione naturale piuttosto rilevante sotto il profilo genetico consiste nella quantità totale di radiazione assorbita da un individuo durante il periodo che va dal suo concepimento fino al momento in cui ha generato la metà dei suoi figli, che mediamente in Occidente corrisponde all’età di 30 anni. Negli Stati Uniti e in molti altri Paesi questa dose media di fondo è approssimativamente pari a 3-4r, dove r è un’unità di misura delle radiazioni ionizzanti. In un’area relativamente piccola del Kerala (India sud occidentale) la presenza di monazite fortemente radioattiva lungo gli arenili aumenta da 10 a 15 volte l’entità dell’esposizione.

I risultati degli esperimenti in Drosophila e nel topo suggeriscono che la dose di raddoppio consiste in circa 200r di radiazione artificiale, somministrata a spermatogoni ed oociti in forma cronica, cioè a bassa intensità e per un periodo prolungato. È stato scelto il valore di 200r come stima ragionevole in seno ad un intervallo di variabilità probabile di 120-320r, ma non è stato fissato in modo definitivo. Se si ammette che anche per l’uomo la stessa dose cronica di 200r porti a una quantità doppia di mutazioni, allora si dovrebbe concludere che solamente l’1,5-2% delle mutazioni spontanee è determinato dalla radiazione naturale, dato che la dose media di fondo, pari a 3-4r, corrisponde all’1,5-2% di 200r.

Si deve sottolineare che le ipotesi sottese a queste considerazioni non sono comprovate solidamente dai fatti. Per esempio, l’ammissione che la dose di raddoppio nell’uomo sia simile a quella trovata in Drosofila e nel topo, può essere molto distante dalla verità. Per giunta, le prove sull’effetto mutageno delle radiazioni a carico dei 7 geni nel topo dimostrano che gli effetti mutageni delle radiazioni non presentano un andamento parallelo a quello osservato per le mutazioni spontanee. I letali recessivi sono molto più numerosi tra le mutazioni indotte che fra le mutazioni spontanee; per di più, le frequenze relative delle mutazioni indotte a carico dei 7 loci del topo sono differenti rispetto a quelle che si presentano tra le mutazioni spontanee. In altre parole, le radiazioni inducono uno spettro di mutazioni differente da quello delle mutazioni spontanee.

Una stima quantitativa della dose di raddoppio non tiene conto delle differenze qualitative fra mutazioni spontanee e indotte. Russel puntualizzò il problema con questa frase: può darsi che si stia parlando di raddoppio della frequenza delle mele mentre si stanno misurando le arance. È importante tener presente questa possibilità, anche se il concetto di dose di raddoppio conserva la sua utilità.

Per modificare il commento di Russell, si può parlare di raddoppio della frequenza della frutta, senza distinguere se si tratta di mele oppure di arance. In ogni caso si è scoperto nel topo che la dose di raddoppio è diversa per geni differenti, e non sappiamo se la dose di raddoppio media per i sette loci sia indicativa della dose di raddoppio media per tutti i loci.

Invece di postulare che la dose di raddoppio cronica per i geni dell’uomo sia la stessa della Drosofila e del topo, sarebbe possibile una stima indipendente se si conoscesse sia il tasso medio delle mutazioni spontanee per locus, sia l’effetto mutageno medio di un’unità r. Abbiamo visto che forse il tasso medio di mutazioni spontanee è pari a 1/1.000.000 di gameti. Forse nel topo il tasso medio di mutazione indotto da un’applicazione cronica di 1r è circa 6 su cento milioni (6 X 10-8). Se si dovesse applicare questo valore anche all’uomo, ci vorrebbero 16,7r per indurre un allele mutante su un milione (16,7 x 6 x 10-8 = 1 x 10-6), cioè la stessa quantità che si verifica spontaneamente.

La dose di raddoppio cronica di 16,7r è considerevolmente più bassa dei 200r spesso usati. Una ragione di questa discordanza consiste nella difformità tra la precedente stima di 1,5 mutazioni spontanee per locus su centomila gameti nell’uomo, e la stima più recente pari a solo uno su un milione. Se il tasso di mutazione è realmente più basso di quanto si ammetteva in passato, per eguagliare questo tasso è necessario un numero più basso di unità r, ovvero una più bassa mutagenicità dell’unita r. Se nell’uomo il tasso di mutazioni indotte dalle radiazioni per unità r è differente da quello del topo, allora la dose di raddoppio può essere più piccola o più grande di 16,7r, fino a comprendere la stima alta, e in un certo modo convenzionale, di 200r, dose che si basa sull’ammissione che la dose di raddoppio cronica sia la stessa in Drosofila, topo e uomo.

In maniera arbitraria, e in linea con la tendenza di altri genetisti, Stern propone il valore di 200r come dose di raddoppio cronica nell’uomo. Si deve comunque sottolineare come anche il valore basso pari a 16,7r starebbe ad indicare che la radiazione di fondo naturale potrebbe spiegare solo una piccola parte delle mutazioni spontanee, dato che 3-4r costituiscono solamente il 18-24% di 16,7r.

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