Galeotto fu il libro e chi lo scrisse...

Dante Alighieri - Inferno - Canto V - Verso 137

Di un evento esiste sempre il primum movens, come per l’Universo esiste Colui che muove il cielo e l’altre stelle.

I versi di Dante trascendono il tempo. Se Galeotto fu il libro di William Plant, più Galeotto fu Fabrizio Focardi, concittadino del Ghibellin Fuggiasco.

Infatti Fabrizio ha dato il via a una bagarre che la metà basta.

A ciascuno il suo. Così, con questo adagio, giustifichiamo la premessa, che era doverosa e inevitabile.

Vediamo di chiarire la successione degli eventi.

Nella primavera del 1994 feci visita a Fabrizio, ricambiata da squisita ospitalità. Ero alla ricerca di documentazione atta a chiarire alcuni punti sull’origine del pollo. Fabrizio mi fornisce le indicazioni indispensabili: mi mostra il lavoro dell’australiano Plant, The Origin Evolution and Distribution of the Domestic Fowl (1986), e mi dà l’indirizzo di Veronica Mayhew, specialista mondiale in libri avicoli vecchi e nuovi con la sua roccaforte nei pressi di Londra.

Così Veronica mi spedisce il primo di una serie di libri, tanto che a un certo punto mi chiede se per caso non stia scrivendo non uno ma due libri di genetica del pollo. Sarcastica, nevvero?

Nelle prime pagine del libro di Plant mi imbatto in un errore di latino. Quando l’autore parla della classificazione dei polli domestici in almeno 3 linee evolutive - Bankivoidi, Malesioidi e Asiatici - a proposito di questi riporta una terminologia linneoide: Gallus pluma crusis. Penso a un errore tipografico poiché il genitivo di crus, gamba, fa cruris. Alcune pagine avanti l’errore si ripete. Prendo nota e termino d’un fiato la lettura d’una raccolta di dati storici e archeologici che dev’essere costata estrema fatica, come infatti è stato.

Spesso sorvolo sulla segnalazione di errori tipografici, in quanto l’estrema pignoleria può essere offensiva, anche se per amore della scienza non sarebbe corretto tacere. Siccome Plant si dichiara contento di eventuali suggerimenti, in luglio mi risolvo a scrivergli, e col mio faticoso inglese imbastisco una lettera esplicativa.

La risposta di Plant è immediata, è contento della correzione, e, come spesso accade, si tratta di un errore che si tramanda da un libro all’altro, da un libro dal quale ha desunto la terminologia.

Per farla breve: la corrispondenza con Plant si fa fitta, si carica di domande alle quali Bill non sempre riesce a rispondere, e in questo caso mi invia malloppi di fotocopie.

Io comincio ad appassionarmi per questo uomo, le mie lettere si fanno sempre più lunghe e il mio inglese sempre meno ostico.

Un giorno Bill mi manda un numero di Australasian Poultry, pregevole rivista avicola edita a Werribee nello stato australiano del Victoria, la cui capitale è Melbourne. Il numero di Febbraio-Marzo 1995 riporta un articolo firmato Robert Johnstone dal titolo Pekin Bantams and Short Wave Radio (Le Cocincina Nane e le Onde Corte), relativo all’hobby di radioamatore che Bill coltiva dal lontano 1939 e attraverso il quale ha potuto comunicare con tutto il mondo, supplendo spesso ai ricorrenti gravi problemi visivi che l’hanno costretto a due trapianti di cornea. La radio gli ha permesso anche di scambiare informazioni relative ai polli, entrando poi in contatto epistolare con scienziati e allevatori, per lo più dell’area nipponica.

A marzo del 1995 mi ritrovavo con ancora tutte quante le ferie dell’anno precedente e mi dico che potrebbero essere degnamente impegnate facendo una puntata in Australia. In casa, Bill doveva custodire un patrimonio culturale, e così, assetato di notizie per dare un tocco finale al laborioso, pedante e arabescato libro di genetica del pollo non ancora partorito, scrivo a Bill se posso fargli visita. La risposta è positiva. Maurizio Tona, sapute le mie intenzioni, prepara una medaglia d’argento destinata a Bill, col simbolo della Federazione, recante incisi gli elogi per la diuturna ricerca scientifica che rappresenta un caposaldo anche a livello universitario internazionale. Che dico? Intercontinentale.

L’otto maggio metto piede in terra australiana dopo un viaggio per soli non fumatori che la malasorte ha voluto riservarmi. Le ore di volo da Londra a Sydney sono 21 (11 per Londra-Bangkok e 10 per il balzo finale a Sydney), con una pausa di mezz'ora nella capitale tailandese che sfrutto per almeno 3 sigarette. Fuori dall’aeroporto di Sydney - capitale del New South Wales - il Nuovo Galles del Sud - alle prime luci dell’alba assaporo finalmente una sigaretta in compagnia di una signora indigena anch’essa dissenziente su questo proibizionismo dal sapore prettamente australiano, poiché quello inglese è molto più all’acqua di rose, anche se l’idea di questo volo smoke free  è della britannica British Airways.

Per un momento la sigaretta mi fa dimenticare il parmigiano requisito in dogana per paura di importare batteri in una terra che ha già avuto e ha tuttora i suoi guai ecologici legati all’introduzione del coniglio. A nulla vale la mia affermazione che si tratta di un formaggio stagionato per almeno 5 anni e che la flora batterica è selezionata nonché profumata come un bocciolo di rose. Dopo la breve discussione resa penosa dal mio stentato inglese, l’invito al poliziotto è di non distruggere quel ben di Dio, di lasciarselo sciogliere in bocca, in quanto gemma di una partita che avrebbe tenuto testa all’opera dei migliori maestri gelatai. La risposta fu perentoria: verrà distrutto. Non vi meravigli tutto ciò. Bill mi ha mostrato un ritaglio di giornale in cui era riportato il processo e la multa (90 milioni di lire) a carico di un signore australiano che voleva introdurre uova di soppiatto senza la dovuta quarantena.

Solo qualche tempo dopo il rientro in Italia ho potuto interpretare un gesto che a me sembrava un atto di cortesia: una ventina di minuti prima dello sbarco a Sydney, uno steward passa tra le file dei sedili brandendo una bomboletta spray che diffonde una nuvola dal gradevole profumo. Pensai: guarda, ci profumano anche l’aria!. Invece no, si trattava della disinfezione, una disinfezione che col tempo si è trasformata in una ritualità priva di qualunque valore igienico.

Così è, e così sia. Vi giuro che in Australia si sta bene, alla Posta trovi tutti i tipi di contenitori per qualsiasi diavoleria tu voglia spedire, i treni viaggiano in orario , se prenoti un viaggio in treno le vetture si fermano all’altezza delle lettere dipinte sul marciapiede livellato al pavimento del vagone e corrispondenti a quelle delle carrozze assegnate, abbandonando la stazione esiste un cartello che preannuncia la stazione successiva, le resse davanti al fulmineo Sesamo  dell’aeroporto sono inutili in quanto due video a colori trasmettono le immagini dei due corridoi percorsi dai passeggeri in arrivo che così non sono costretti a sbracciarsi per farsi localizzare da parenti e amici in attesa.

Esiste una contropartita, mal accetta a noi  mediterranei. In bicicletta bisogna circolare col casco (come in Finlandia), non si può fumare né in aeroporto né in treno in quanto non esistono aree riservate anche se quasi tutti fumano. Alla fermata di mezzo minuto in una stazioncina qualunque è tutto un accalcarsi di gente all’uscita del vagone per tirare due golate di fumo con la testa fuori dalla porta. E la sigaretta non viene recuperata per la prossima fermata come faremmo noi Italiani, spegnendola sulla suola delle scarpe: viene semplicemente gettata. E pensare che, se nel 1995 la benzina costa 700 lire al litro, 25 sigarette costano in media 7.000 lire. Mi vien da pensare che il proibizionismo ha la sua ragion d’essere nei maggiori introiti governativi assicurati da un iperconsumo di sigarette dovuto a due golate di fumo tirate avidamente alla rinfusa.

Con le istruzioni di Plant in tasca prendo un taxi per la stazione centrale di Sydney - - - e qui prenoto il treno fino a Maitland, 16.000 abitanti, 200 km circa a nord della capitale. Due ore di viaggio allietate da un’infinità di eucalipti, lagune, rilievi di tipo appenninico, spazi erbosi di un verde inglese adibiti al golf. Il treno è puntuale e alle 13,30 William John Plant, 74 anni ben portati, e suo figlio David sono ad attendermi alla stazione - . La cordialità si legge a prima vista nei gesti e nello sguardo. Mi accompagnano al Caledonian Hotel , a due passi dalla stazione ferroviaria, e poi raggiungiamo la casa di Bill, in legno, immersa nel verde, alla periferia ovest della città.

Qui passerò ore e ore a caccia di notizie sul pollo, spesso fotocopiando, talora traducendo direttamente i passi più significativi che riguardano problemi da tempo in sospeso e che finalmente trovano una risposta. Raccogli e raccogli, dopo un mese di permanenza sono costretto a lasciare a Bill una tuta in quanto la valigia scoppia e il mio bagaglio a mano, che getto con indifferenza e con piglio da Maciste  davanti agli occhi dell’addetta al check in, solo a guardarlo dice quanto pesa: 20 kg. Abbozzo una scusa per ottenere un atto di clemenza: è per la scienza. Mi viene chiesto se sono uno scienziato. Rispondo: metà sì e metà no. Ma il volo era effettivamente stracarico e pagai volentieri l’eccedenza: se avessi dovuto acquistare quanto stavo gelosamente portando in Italia, il prezzo sarebbe stato almeno dieci volte tanto. E poi, suvvia  (direbbe Focardi), già mi erano stati condonati i 7 kg in eccesso della valigia.

La giornata con Bill scorreva in modo sereno, ogni tanto interrompevo le mie ricerche e scambiavamo i nostri punti di vista sulla genetica del pollo, non solo, ma sulla vita, talora amara, talaltra allietata da amicizie come quella che stava via via rafforzandosi tra noi. A mezzogiorno un piccolo spuntino, magari due noccioline salate accompagnate da birra; alla sera mi esibivo per lo più in risotti che sono sempre stati il mio forte. Zafferano e porcini secchi avevano avuto il beneplacito della dogana, e allora Bill non poteva trattenersi dal comunicare via etere agli amici che avevano gettato le ancore al largo della Nuova Caledonia: today a very tasteful Italian food, Risotto Milanesa. E io, pronto, di sottofondo: alla milanese, e ridevo di cuore. Anche Bob, il vecchio cagnolone , non disdegnava la mia cucina, leccandosi i baffi ormai canuti quando poteva aggredire un risotto agli asparagi, ai quattro formaggi, alla milanesa, oppure un aglio-olio-peperoncino.

Il venerdì è il giorno in cui Bill, anche lui handicappato grazie agli occhi ma meno di altri, si dedica al meeting di tutti coloro che hanno avuto vari problemi di salute e che si ritrovano per giocare a carte o a domino, per qualche esercizio riabilitativo, per un pranzetto frugale e gustoso. Un pulmino della Comunità di Maitland fa il giro della città, una città che si dipana su un vasto territorio non costellato da palazzi ma da casette al massimo con un primo piano - - - , spesso solo col piano terra. Ho partecipato a 3 meeting e posso dire che non mi sono mai sentito straniero. Fraternizzai subito e cercai di allietare in qualche modo quelle poche ore trascorse con persone che, oltre ai propri cari, hanno perso anche il benessere.

Pochi giorni dopo l’arrivo a Maitland visitai l’ospedale di Newcastle, distante una trentina di km. Newcastle - - è un porto sul Pacifico utilizzato prevalentemente per il carbone che si estrae in abbondanza nella Hunter Valley dove sorge Maitland. Non ho mai visto treni merci così lunghi e stracarichi del prezioso materiale. Cose da film!

L’ospedale di Newcastle è una meravigliosa opera di architettura moderna: funzionale, ampio, accogliente - - , immerso tra gli eucalipti, alla periferia della città. Sempre alla periferia si trova un parco molto esteso dove, senza troppo incomodo, ho potuto ammirare gli antichi abitanti di questa terra australe: canguri - , koala , emù, sciami di cacatua dal ciuffo giallo , anatre, gallinelle d’acqua - . Qui non c’erano pellicani e cigni neri , che invece costellano, liberi, gli acquitrini che incorniciano spesso la ferrovia. Che capitale in cigni neri!  dissi a Bill, mettendolo al corrente del prezzo al quale una coppia è venduta in Italia. Nel giardino di Bill vidi un coniglio e corsi a dirglielo, in quanto pensavo fosse fuggito dalla gabbia. No, disse Bill, è solo un coniglio che non è finito nella tagliola. Un anno fa il gatto di mia sorella Joyce ci rimise le zampe posteriori. Ce ne sono ancora parecchi in giro.

Ogni giorno acquisivo esperienze e materiale nuovo, ogni giorno un piccolo o un grande progresso. Quando, verso le 22, davanti al 54 di Bonar Street aspettavo il taxi per tornare in hotel, Bill mi chiedeva Some progress today?, io rispondevo di sì, ed era vero, come erano veri l’impegno e la preoccupazione di Bill perché ogni giorno non fosse vuoto e inutile. Non sono stati giorni vuoti, lo giuro, ripagati soprattutto da un’amicizia che è difficile incontrare. Bill ispira confidenza e dedizione, merce sempre più difficile da reperire.

A metà della mia permanenza a Maitland si parte per Taree, 200 km più a nord. Il treno serpeggia lentamente sui binari che costeggiano dossi rocciosi adibiti a pascolo . Secondo Bill esistono terreni coltivati nel Nuovo Galles del Sud, ma io non sono d’accordo, in quanto lui non ha mai visto a che scacchiera è ridotta la nostra Pianura Padana. Quelli del New South Wales sono pascoli sia per bovini che per ovini, i quali rappresentano una grossa fetta dell’attività rurale . Taree è una cittadina, occhio e croce, di 20.000 abitanti, con un bel centro commerciale, il Mall, vie larghe come in tutte le città costruite di recente, di recente rispetto alle nostre che vantano spesso un fondatore romano. Qui tutto è iniziato 200 anni fa, e di passi se ne sono fatti parecchi grazie alla miscela di popoli. A Sydney si stampa anche un quotidiano in greco.

Alla stazione di Taree ci attende Frank Fogarty, vedovo anch’egli come me e Bill, senza un braccio , irlandese d’origine, una figlia suora, un’altra in Inghilterra a lavorare con estremo profitto ai computers, altri due figli maschi. Frank è un uomo di poche parole ma con un cuore grande così. La sua casa è la nostra. Uomo di grande ingegno, testardo come un irlandese, si è messo in mente di trasferire la barratura della Plymouth Rock, la barratura per antonomasia, la più bella in assoluto, di trasferirla appunto nella Pekin - , come giustamente chiamano qui la Cocincina nana.

Ce l’ha fatta: ha preso la Plymouth Rock nana, l’ha accoppiata con la Pekin e ha recuperato tutti i caratteri di questa razza. Le sue Pekin sì che sono barrate, le nostre sono solo Cucù. La selezione è stata ferrea, tanto ferrea che un giorno, tornando da un giro nel pollaio, dico a Frank che c’era una Pekin morta. Lui mi risponde che non era bella e che le aveva tirato il collo (mi immaginavo lui a tirarle il collo con un braccio solo!) e che poi l’avrebbe portata via. Io arrossisco dalla vergogna, in quanto le mie capacità di selezionatore sono nulle e mi sento un indegno socio dell’ANSAV.

Anche Frank si preoccupa delle mie manie. Mi accompagna in libreria - tappa che non può mancare quando giungo in una nuova città - mi accompagna a caccia fotografica e riesco a racimolare qualche egretta - che in stuoli fa compagnia ai bovini per accaparrarsene i parassiti - e qualche esemplare in più di ibis aculeato . Ma la caccia fotografica è troppo magra e allora Frank fa vela per una fattoria, dove allevano tacchini. Io penso che di tacchini in Italia ne ho visti a iosa, ma andiamo pure a vedere quelli australiani! Tacchini non ce ne sono più, mi fa vedere il recinto dove vengono fatti riprodurre e torniamo a casa. Nel tardo pomeriggio usciamo da Taree per una decina di km e raggiungiamo una reliquia di foresta pluviale , dove banyan centenari la fanno da padrone, i Ficus benghalensis  , dalle chiome enormi con una circonferenza talora di 500 metri, adorni come alberi di Natale da irrequieti grappoli di fruit bat  - , i pipistrelli della frutta, che aspettano l’imbrunire per alimentarsi di frutti e di nettare. Quest'albero è tanto enorme che, a quanto si dice, durante la spedizione in India Alessandro Magno riuscì a riparare 7.000 uomini sotto la sua chioma. 

Finalmente torna chiaro perché Frank volesse farmi vedere il tacchino. Si tratta del brush turkey, cosiddetto perché somiglia a un tacchino, ma tacchino non è, e in quanto affastella enormi cumuli di foglie e detriti che gli servono da nido. L’Australian brush turkey  (tacchino spazzolatore, tacchino di boscaglia) è il nome volgare dell’Alectura lathami  (alectura significa dalla coda di gallo), galliforme megapodide diffuso lungo la fascia costiera orientale dell’Australia. Le uova vengono deposte con la punta in giù e poi il maschio pensa a regolare l’aerazione dei detriti per rallentare o ravvivare i processi fermentativi che forniscono il calore necessario alla schiusa. Un grande incubatoio naturale dal quale escono pulcini totalmente autosufficienti che non conosceranno mai la madre e che se ne andranno liberi per la foresta. Il mio pensiero corre alla Pivetti, che volentieri metterebbe nel suo stemma questo volatile, che non solo ha perso, ma forse non ha mai avuto l’istinto di cova. [ Fortunatamente, a posteriori Irene Pivetti mi ha fatto rimangiare queste parole! ]

Dei 20 kg in eccesso del mio bagaglio fanno parte anche le fotocopie della corrispondenza che da 25 anni Bill intrattiene con scienziati e allevatori di tutto il mondo. Non appena cominciai a frugare tra gli archivi di Plant mi resi conto dell’incalcolabile valore di queste lettere, dove i problemi genetici, archeologici ed evoluzionistici sono trattati nel piano stile epistolare, non con l’irritante cadenza accademica. Propongo a Bill di farne un libro, lui tentenna, poi acconsente, e così è attualmente in elaborazione: sto preparando le master copies. L’amico Tony Mills, armato di una modernissima fotocopiatrice, penserà a moltiplicare le master copies una volta corrette in Italia dal sottoscritto e da Bill, che la primavera prossima ci onorerà della sua presenza per due mesi.

Tony abita in aperta campagna, a 5 km dal centro, a dieci metri dalla ferrovia per Taree. Ha un allevamento di polli che varrebbe la pena vedere. È Presidente del Pekin Club del NSW del quale è Segretario Plant; lui, con Bill e suo figlio David, ha assemblato un’opera unica: il libro dello standard della Pekin Australiana, frutto di anni di ricerche e di corrispondenza col defunto Frank Gary (USA - American Bantam Association), libro che non dovrebbe mancare nella nostra biblioteca, anche se il testo è in inglese.

La Pekin
secondo lo standard dell’omonimo club australiano
del New South Wales
Questo ideale è stato raggiunto sotto la guida di Bill Plant

Come è nato questo libro? Nel 1982 William Plant pubblicò un volume contenete informazioni generali sulla storia e sull’allevamento della Pekin, dal titolo Pekin Bantam in Australia. Nello stesso periodo, in seno al Pekin Club del NSW, si fece sempre più pressante l’esigenza di formulare uno standard delle colorazioni della Pekin Australiana, dal momento che parecchi Allevatori stavano esibendo alle mostre nuove varietà. Contemporaneamente il Club stava raccogliendo più informazioni possibili su questa razza; lo standard decretò l’esistenza di 18 colorazioni, il tipo  fu revisionato, rendendolo di più facile comprensione attraverso ripetuti articoli pubblicati regolarmente sul Notiziario trimestrale del Club. L’impegno non fu di fornire immagini fotografiche, bensì schizzi cui attenersi per raggiungere il tipo  ideale. Tutto ciò, insieme alle nozioni relative al modo di allevare e selezionare, venne radunato con l’aggiunta di notizie fondamentali di genetica che guidano l’allevatore quando vuole ottenere i differenti colori ricorrendo ai debiti incroci. I coeditori raccolsero tutte le informazioni pazientemente raggranellate nell’arco di 12 anni, consentendo così agli appassionati della Pekin di disporre di un’opera completa ed esauriente sotto ogni punto di vista, in grado di rispondere ai più svariati quesiti. Fu ricostruita anche la storia del Club, fondato nel 1955. Tony Mills e David Plant lavorarono sulla parte riguardante lo Standard, coordinata dallo stesso David, Chris Hardman passò i manoscritti in computer permettendo così la pubblicazione dell’opera che vide la luce nel luglio 1993, diffusa in tutta l’Australia, in Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Germania, USA, Italia e, presto, anche in Ucraina.

L’allevamento di Tony offre indiscutibilmente la possibilità di giudicare le capacità selettive degli amici d’Australia: Ancona gigante - e nana con ridottissimo bianco anche nei soggetti non giovani, Wyandotte nana Bianco Columbia , Langshan Cinese gigante e nana nelle colorazioni nera, blu e bianca (rara), naturalmente Pekin in quasi tutte le colorazioni, eccezionale quella bianca.

Nonostante le quasi grottesche precauzioni igieniche in aereo, i germi sono ubiquitari. Gironzolando tra le gabbie e i recinti di Tony mi imbatto in un Pekin mottled con una bella sinusite. Chiedo a Tony se sta trattandola e mi risponde di sì, con antibiotico. Io gli suggerisco di operarlo in quanto la sinusite è a un punto tale che il farmaco riesce solo ad arginare il diffondersi dell’infezione ai tessuti circostanti e non a risolvere la sinusite. Chiedo a Tony se l’ha mai fatto un intervento del genere. Quasi allibito, mi risponde di no. Allestiamo un tavolo operatorio usando come tavolaccio il patio della casa in quanto ad altezza utile, come lenzuolo un giornale, come garza un fazzoletto kleenex, come bisturi mezza lametta da barba, per scucchiaiare un crochet. Un’incisione da Maestro, un rapido scucchiaiamento del pus, e il gallo tira un respiro di sollievo, non ancora dal naso, ovviamente. Il fetore del pus abbondante e maleodorante resterà nel mio naso, come al solito, per tutto il giorno. Era l’ultimo giorno di permanenza a Maitland e, non potendo avere notizie fresche il giorno seguente, giunto in Italia scrivo a Tony per sapere del galletto. Sta bene ed è guarito.

Alle 8 del mattino di Sabato 3 giugno 1995, Bill e David mi aiutano a caricare i bagagli sul treno. Le lacrime vengono ovviamente trattenute: alla fin dei conti siamo uomini! Ma ci rivedremo, mi dico, in qualche modo ci rivedremo.

Bill ha accettato il mio invito
e sarà presente come osservatore all’Entente Européenne di Bergamo del 1996

Valenza, 8 dicembre 1995