Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

234

 


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{Sint} <Sunt>, inquit[1], qui aut aqua replentur, aut cibo, plumbei canales, quos magis utiles esse, quam ligneos, [234] aut fictiles compertum est. Hi superpositis operculis clauduntur, et a lateribus super mediam partem altitudinis per spatia palmaria modicis forantur cavis, ita ut avium capita {pussint} <possint> admittere. .Nam nisi operculis muniantur, quantulumcunque aquae, vel ciborum inest, pedibus {evertitur} <everritur>. Sunt qui a superiore parte foramina ipsis operculis imponant, quod fieri non oportet, nam supersiliens avis proluvie ventris cibos, et aquam conspurcat.

Columella dice: Vi sono dei canali di piombo che si riempiono di acqua o di mangime, e che si è accertato essere più adatti di quelli in legno o in terracotta. Essi vengono chiusi ponendovi sopra dei coperchi, e sui lati a metà altezza e a intervalli di un palmo vengono forati con dei buchi non grandi, in modo tale che possano lasciar passare la testa dei polli. Infatti, se non vengono muniti di coperchio, quel poco di acqua oppure di mangime che c’è dentro viene sparpagliato con le zampe. Vi sono alcuni che fanno dei buchi nella parte superiore dei coperchi stessi, ma ciò non conviene farlo, in quanto il pollo salendoci sopra sporca l’acqua e il mangime con ciò che esce dalla pancia.

Eiusmodi vasa in Hollandia, sed fictilia, propter minorem impensam passim, cum agris ab agricolis, tum in urbibus fiunt, ut audio, sed aquam tantum, non autem cibum imponunt, vasaque singulis {hebdomatibus} <hebdomadibus> ad minus semel setaceo quodam instrumento, quod indige<n>te sermone ab officio de wasser appellant, quasi lavatorem dicas, abstergunt, ne aqua intus fundo, marginibusque adhaerens putrescat; verum non in Gallinaceo genere tantum, sed in Columbaceo etiam, atque ab hoc nomen obtinere, dici autem Duvepotten, id est, vasa Columbacea. Caeterum cum vino aspergi cibum ante ex veteribus rusticae artis scriptores dixerint, agricolas in primis monitos velim, ut a vino, aut eius faecum vapore collecto vi ignis liquore abstineant. Is enim Gallinis pestifer, let{h}alisque existimatur, uti etiam ius e carne salsa.

Come sento dire, recipienti siffatti, ma in terracotta a causa di una spesa minore, dappertutto in Olanda vengono preparati sia dagli agricoltori nelle campagne che nelle città, ma vi mettono solo dell’acqua e non del cibo, e perlomeno una volta la settimana puliscono i recipienti con uno strumento fatto di setole che per povertà di linguaggio chiamano de wasser dalla funzione che svolge, come se tu dicessi lavandaio, affinché al suo interno l’acqua che aderisce al fondo e ai bordi non imputridisca, e a dire il vero non solo per il genere dei gallinacei, ma anche per quello dei colombi, e che da questo prendono il nome, infatti si dice duvepotten, cioè recipienti per colombi. Inoltre, dal momento che in precedenza gli scrittori di agricoltura, desumendolo dagli antichi, hanno detto che il cibo va spruzzato con del vino, vorrei innanzitutto raccomandare agli agricoltori di astenersi dall’impiego del vino, o dal liquido ottenuto con l’energia del fuoco attraverso la condensazione del vapore proveniente dalle sue fecce. Infatti esso viene ritenuto pericoloso e letale per le galline, come anche il brodo di carne salata.

NATURA. MORES. INGENIUM.

CARATTERE - COMPORTAMENTO - INTELLIGENZA

Gallinae teste Aristotele[2], ut reliquae aves non altivolae, pulveratrices sunt. Impendio autem pulvere gaudent. Unde dicebat Ephesius Heraclitus[3] coeno sues {laetari} <lavari>[4], velut cohortales pulvere, aut cinere. Id vero triplicem maxime ob causam faciunt, ut scilicet ita sese volutando velut quodammodo scabant, plumas, pinnasque emendent, et pulices excutiant. Quae omnia alio modo se praestare non posse optime norunt natura docente. Cuius ductu etiam quietum ad pariendum requirunt locum, et cubilia sibi nidosque construunt, eosque quam possunt mollissime substernunt, quasi non ignorent ova alias facile collidenda iri, si ea in duriori loco ponerent. Sed in eo non tam ingenii sui acumen produnt, quam cum iam pullos excluserunt, quos ita tueri norunt, ut et pennis foveant, ne ab ambiente frigore, vel calore laedantur.

Come dice Aristotele le galline, come gli altri uccelli che non volano in alto, fanno il bagno nella polvere. Infatti si divertono molto con la polvere. Per cui Eraclito di Efeso diceva che i maiali si lavano con il fango, come i volatili da cortile con la polvere o con la cenere. E lo fanno soprattutto per tre motivi e precisamente, rigirandosi così, per grattarsi in qualche modo, per ripulire le piume e le penne, e per scuotere via i pidocchi. Con l’insegnamento della natura hanno imparato in modo egregio che non possono conseguire tutte queste cose in modo diverso. Sotto la sua guida vanno anche alla ricerca di un luogo tranquillo per deporre le uova, e si costruiscono dei giacigli e dei nidi, e li ricoprono nel modo più soffice possibile, quasi fossero a conoscenza del fatto che altrimenti le uova urterebbero facilmente tra loro se le deponessero in un posto più duro. Ma in questo non mostrano l’acutezza del loro ingegno così come quando hanno fatto ormai nascere i pulcini, che hanno a tal punto imparato a difendere che li proteggono anche con le penne affinché non vengano lesi dal freddo o dal caldo circostante.

Hos tanto prosequuntur amore, ut si noxium quodpiam animal, utpote vel Milvum, vel mustelam, vel maius etiam aliud eis insidiari viderint, vel aliquatenus cognoverint, receptis eis primum sub alarum umbra, seu tegumento sese acerrimas tutrices opponant cum maximo clamore hostibus pavorem incutientes, rostroque alis sese defendentes, adeo ut propriam mortem potius obire in pullorum tutelam, quam illis hostibus relictis fuga salutem quaerere malint. Qua in re egregium nobis specimen exemplarque filios amandi praebent, tum etiam quando dum illos pascunt, et cibos subinde collectos ore porrigunt se suamque famem negligant. Quem amorem Homerus[5] sub Achillis persona olim descripsit. Hic enim suos, quos pro Graecis subierat labores, et pericula prae nimia in eos benevolentia conferens matricis avis (Gallinae nimirum per excellentiam) in pullos affectui, ita apud illum loquitur.

Ὡς δ’ὄρνις ἀπτῇσι {νεοοσοῖσι} <νεοσσοῖσι>[6] προφέρῃσι
Μάστακ’, ἐπεί< >κε λάβῃσι. κακῶς δ’ἄρα οἱ πέλει αὐτῇ.

Sicut autem avis implumibus pullis affert
Escam postquam acquisiverit, male autem est ei ipsi.

Li seguono con tanto amore che se hanno visto un qualche animale nocivo, come il nibbio, o la faina, o anche un altro animale di dimensioni maggiori, tendere loro un agguato, oppure se li hanno riconosciuti entro una certa distanza, dopo averli per prima cosa accolti sotto l’ombra o copertura delle ali, si pongono loro di fronte come delle tutrici agguerritissime, incutendo paura ai nemici con uno schiamazzo enorme, difendendosi col becco e con le ali, tanto da preferire andare incontro alla propria morte per la salvaguardia dei pulcini, anziché cercare la salvezza nella fuga dopo averli lasciati in balia dei nemici. A questo proposito ci offrono un eccellente esempio e modello di amore figliale, anche allorquando non badano a se stesse e alla loro fame mentre li portano a pascolare e porgono con il becco i cibi appena procacciati. Tempo fa Omero ha descritto questo tipo di amore nel personaggio di Achille. Egli infatti, paragonando le sue fatiche cui aveva dovuto sottostare per i Greci, nonché i pericoli a causa di un eccessiva benevolenza nei loro riguardi, all’amore nei riguardi dei pulcini di un uccello che è madre (per eccellenza senz’altro a quello di una gallina), così parla attraverso di lui.

Ηøs d’órnis aptêisi neossoîsi prophérëisi
Mástak’, epeíke lábëisi. kakôs d’ára oi pélei autêi.

Come infatti la gallina offre ai pulcini implumi
il cibo dopo averlo procurato, per lei stessa rappresenta un danno.

Citat haec verba alibi Plutarchus[7], ubi haec eius verba leguntur {Ὅτι} <Ὥσπερ> Ὁμηρικὴ ὄρνις τῷ ἑαυτῆς τρέφει λιμῷ τὰ ἔγγονα καὶ τὴν τροφὴν τῆς γαστρὸς ἁπτομένην, ἀποκρατεῖ καὶ πιέζει τῷ στόματι, μὴ λάθῃ καταπιοῦσα. Gybertus Longolius sic vertit. Homerica avis sua fame parvulos natos pascit, et nutrimentum quod ventri suo destinaverat, ore retinet, ne eo in ventrem delapso in oblivionem ipsa adducatur. Sed lector, inquit Ornithologus, considerabit, an sic potius reddi debeant verba posteriora. Ventris sui alimentum ore tenens, abstinet tamen, et ne forte nolens etiam diglutiat mordicus premit. Ut ut est, verba illa flagrantissimum Gallinae erga pignora amorem testantur: de quo alibi idem Plutarchus[8]: Quid vero Gallinae, inquit, quas observari nostris oculis quotidie domi conspicamur, quanta cura, et sedulitate pullos custodiunt, et gubernant? Aliis alas, quas subeant, remittunt; aliis dorsum, ut scandant, reclinant: neque ulla pars corporis est, qua non fovere illos, si possent, cupiant: neque id sine gaudio, et alacritate, quod et vocis sono testari videntur.

Plutarco cita queste parole in un passo, dove si leggono queste sue parole: Høsper hë Homërikë órnis tøi heautês tréphei limøi tà éggona kaì tën trophën tês gastròs haptoménën, apokrateî kaì piézei tôi stómati, më láthëi katapioûsa. – Come l'uccello omerico nutre i suoi piccoli a prezzo della propria fame e impedisce al nutrimento di raggiungere il suo stomaco, lo stringe nel suo becco per la paura di inghiottirlo a sua insaputa. Gisbert Longolius traduce nel modo seguente. L’uccello omerico nutre i suoi piccoli nati con la sua fame, e il nutrimento che aveva destinato al suo ventre lo trattiene con la bocca, affinché scivolato nel ventre non venga indotta essa stessa a dimenticarsene. Ma il lettore dovrà considerare, dice l’Ornitologo, se le ultime parole vadano piuttosto tradotte nel modo seguente. Trattenendo con la bocca l’alimento per il suo ventre, tuttavia se ne astiene, e lo trattiene tenacemente affinché non le capiti di deglutirlo magari involontariamente. Comunque sia, quelle parole testimoniano un amore molto intenso della gallina verso i figli: a proposito del quale in un altro punto parla lo stesso Plutarco: Ma cosa dobbiamo dire della gallina, che a casa nostra ci troviamo ad osservare tutti i giorni coi nostri occhi con quanta cura e sollecitudine custodiscono e guidano i pulcini? Per alcuni abbassano le ali sotto le quali possano andare, per altri piegano all’indietro il dorso affinché possano montarci sopra: e non esiste nessuna parte del corpo con cui non desiderino proteggerli se possibile: e ciò lo fanno non senza gioia ed entusiasmo, e sembra che ne diano testimonianza anche con il suono della voce.


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[1] Columella De re rustica VIII,3,8-9: [8] Haec erit cohortalis officinae dispositio. Ceterum cohors ipsa, per quam vagantur, non tam stercore quam uligine careat. Nam plurimum refert aquam non esse in ea nisi in uno loco quam bibant, eaque mundissima; stercorosa pituitam concitat. Puram tamen servare non possis nisi clausam vasis in hunc usum fabricatis. Sunt autem qui aut aqua replentur aut cibo plumbei canales, quos magis utiles esse ligneis aut fictilibus conpertum est. [9] Hi superpositis operculis clauduntur, et a lateribus super mediam partem altitudinis per spatia palmaria modicis forantur cavis, ita ut avium capita possint admittere. Nam nisi operculis muniantur, quantulumcumque aquae vel ciborum inest pedibus everritur. Sunt qui a superiore parte foramina ipsis operculis inponant, quod fieri non oportet. Nam supersiliens avis proluvie ventris cibos et aquam conspurcat.

[2] Historia animalium IX,634 b4: ἀλεκτορίς ... καὶ κονίονται καὶ λοῦνται.

[3] Eraclito di Efeso, Sulla natura, fr. 37 Diels-Kranz. – Citato da Columella De re rustica VIII,4,4: Siccus etiam pulvis et cinis, ubicumque cohortem porticus vel tectum protegit, iuxta parietem reponendus est, ut sit quo aves se perfundant. Nam his rebus plumam pinnasque emundant, si modo credimus Ephesio Heraclito, qui ait sues caeno, cohortales aves pulvere lavari.

[4] A pagina 230 Aldrovandi non dice che i maiali e i polli gioiscono - laetari - ma che si lavano, cioè lavari: Nam his rebus, inquit plumas, pennasque emundant, si modo credimus Ephesio {Heracleto} <Heraclito>, qui ait, sues coeno, aves cohortales pulvere vel cinere lavari. - Si può presumere che l’esatta versione dell’affermazione di Eraclito di Efeso sia il fatto che tanto i maiali quanto i polli si lavano, come riferisce anche Conrad Gessner in Historia Animalium III (1555), pag. 383: Dixit Ephesius Heraclitus sues coeno lavari, velut cortales aves pulvere aut cinere, siquidem hisce rebus plumam pinnasque emundari.

Aldrovandi vende come sue queste considerazioni, che invece sono dovute a Cicerone e che verosimilmente sono state dedotte dal testo di Gessner che correttamente cita come fonte Pierres Gilles. Ecco la sequenza delle fonti taciute da Aldrovandi. – Cicerone De natura deorum II 129-130: Iam gallinae avesque reliquae et quietum requirunt ad pariendum locum et cubilia sibi nidosque construunt eosque quam possunt mollissume substernunt, ut quam facillume ova serventur; e quibus pullos cum excuderunt, ita tuentur, ut et pinnis foveant, ne frigore laedantur, et, si est calor a sole, se opponant; cum autem pulli pinnulis uti possunt, tum volatus eorum matres prosequuntur, reliqua cura liberantur. [130] Accedit etiam ad nonnullorum animantium et earum rerum, quas terra gignit, conservationem et salutem hominum etiam sollertia et diligentia. Nam multae et pecudes et stirpes sunt, quae sine procuratione hominum salvae esse non possunt. – Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 423: Gallinae avesque reliquae, sicut Cicero ait, et quietum requirunt ad pariendum locum, et cubilia sibi nidosque construunt, eosque quam possunt mollissime substernunt, ut quam facillime ova ferventur. ex ovis pullos cum excluserunt, ita tuentur, ut et pennis foveant, ne frigore laedantur: et si est calor a Sole, se opponant. Cum autem pulli pennulis uti possunt, tum volatus eorum matres prosequuntur, Gillius.

[5] Iliade IX,323-24: Come ai pulcini il cibo portare un aligero suole, | quand’ei l’abbia trovato, che nulla per lui ne rimane. (traduzione di Ettore Romagnoli)

[6] Questa inesattezza tipografica è stata tramandata da Aldrovandi che l’ha desunta sic et simpliciter da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 423: Ὡς δ’ὄρνις ἀπτῇσι {νεοοσοῖσι} <νεοσσοῖσι> προφέρῃσι | Μάστακ’, ἐπεί< >κε λάβῃσι. κακῶς δ’ἄρα οἱ πέλει αὐτῇ, Achilles Iliad. ι. suos quos pro Graecis subierat labores et pericula prae nimia in eos benevolentia, conferens matricis avis (gallinae nimirum per excellentiam) in pullos affectui, quos illa dum pascit, et cibos subinde collectos ore porrigit, se suamque famem negligit. – Inoltre Aldrovandi ha scambiato la lettera iota che identifica il canto IX con il canto I dell'Iliade. Infatti nella nota a bordo pagina leggiamo: Iliad. I. Achilles Gallinis comparatus.

[7] In Italia, di Plutarco, è edito da D’Auria L’amore fraterno e l’amore per i figli (a cura di A. Postiglione). Aldrovandi dà come fonte il De amore parent. erga liberos che corrisponde a Moralia 494D = cap. 2 p. 494D. Plutarco non ha ὅτι ma ὥσπερ.

[8] Eodem libro paulo post. (Aldrovandi) – Moralia cap. 2, 494E-F-495A. Il testo greco è più semplice; si tratta piuttosto di una parafrasi. (Roberto Ricciardi)