Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Canes, et angues (Ornithologus κίρκους, et δράκοντας pro κυνέας, et δρακοντίας ut vulgaris lectio habet forte legendum, summo iudicio conijcit. Canes enim parum expavescunt Gallinae: Circos reliquosque Accipitres [235] maxime) cum de se agitur, solisque sibi metuunt, fugiunt, tum quidem. Si vero pullorum agmini ab his periculum verentur, vindicare illud ab iniuria nituntur, et supra quam vires patiuntur, saepe dimicant. Enim vero huiusmodi affectiones opinabimur istis animalibus ingenerasse naturam, de Gallinarum, Canum, Ursarum propagatione solicitam, non nobis hoc modo pudorem voluisse incutere? Nimirum reputantes ista naturam sequentibus exemplorum loco esse, duris autem suam exprob<r>are inhumanitatem, propter quos sola hominis incusatur natura, quod amorem gratuitum non ferat, neque nisi utilitatis causa diligere norit.

Quando si tratta di loro e hanno paura solo per se stesse, solo allora evitano i cani e i serpenti (molto giustamente l’Ornitologo ritiene che forse bisogna leggere kírkous - i falchi - e drákontas - i draghi, i serpenti - invece di kynéas - i cani - e di drakontías - i serpentelli - come riporta la lezione corrente. Le galline infatti temono poco i cani: in sommo grado i falconiformi del genere Circus e gli altri falchi). Ma se temono che da essi possa derivare un pericolo per la frotta dei pulcini, ce la mettono tutta per vendicarla dell’affronto, e spesso lottano al di là di quanto le forze lo permettono. Ma se penseremo che è stata la natura, attenta alla propagazione delle galline, delle cagne e delle orse, a infondere in questi animali siffatti sentimenti, non ha per caso voluto incuterci in questo modo un senso di vergogna? Considerando appunto che queste cose sono come degli esempi per coloro che seguono la natura, ma che rimproverano agli insensibili la loro grettezza, a causa dei quali la sola natura umana viene biasimata, in quanto non sopporta l’amore gratuito e neppure imparerà ad amare se non per motivi di tornaconto.

Haud minor etiam profecto Galli erga totam Gallinaceam familiam amor est, ipseque nobis veri, optimique patrisfamilias exemplar est. Is enim non vigilem tantum sese suorum in primis praebet custodem, et mane, dum tempus est, ad quotidianum invitat laborem, sed ipse primus exilit non tam voce, quam reapse quid faciendum sit ostendens, ipse omnia verrit, omnia explorat, omnia dispicit, et simulatque aliquid escae nactus est, Gallinas, et pullos ad pascendum convocat, interim ceu pater quidam, et symposiarchus excelsus adstat, et ad epulandum invitat, hoc unum semper curae habens, ut suis sit, quod edant. Interea ipse disquirit, ecquid in proximo reperiat, quo reperto, rursus suam familiam citat alta voce. Accurrunt ilico. Ille sublimen se gerens, et undique circumspiciens, ecquid hostile usquam appareat, totam cohortem circumit, et obiter granum aliquando unum sibi sumit, non citra invitationem, ut se sui sequantur.

Senza dubbio non è inferiore anche l’amore del gallo verso tutta la famiglia dei gallinacei, e proprio lui è per noi un esempio di un vero e ottimo capofamiglia. Infatti egli non solo dimostra di essere un vigile custode innanzitutto dei suoi famigliari, e al mattino, quando è il momento, invita al lavoro quotidiano, ma egli stesso per primo si dà una mossa, non tanto con la voce, quanto in realtà mostrando cosa bisogna fare, e lui stesso smuove ogni cosa, esplora ogni cosa, esamina ogni cosa, e non appena si è imbattuto in un po’ di cibo, convoca le galline e i pulcini per mangiare, e nel frattempo rimane presente come se fosse un padrone di casa e un perfetto capo del convivio, e invita a banchettare, facendo sempre attenzione a una sola cosa, che i suoi famigliari abbiano a disposizione ciò di cui nutrirsi. Nel frattempo egli indaga se nelle vicinanze è capace di trovare qualcosa, e dopo averlo trovato di nuovo chiama la sua famiglia ad alta voce. Accorrono immediatamente. Lui, stando eretto e guardando all’intorno in ogni direzione casomai in qualche punto faccia la sua comparsa qualcosa che possa essere considerato un nemico, perlustra tutto il cortile, e di tanto in tanto incidentalmente prende per sé una granaglia non senza fare l’invito che i suoi lo seguano.

Unde apud Ausonium[1] proverbialiter legitur, Gallinaceus {Eucleonis} <Euclionis>, in eum qui omnia solet diligentissime perscrutari, et investigare, ne pulvisculo quidem relicto, donec id invenerit, quod exquisita cura conquisiverat. Gallus vero tum ideo quoque amorem, benivolentiamque suam illam manifestat, dum se doloris, quo coniuges suas affici credit, consortem cantu longe alio, quam cucu<r>ritu, sed Gallinarum cantui simillimo {attestatnr} <attestatur>. Meminit eius Oppianus[2] his verbis: Galli partus Gallinarum levare, et doloris participatione solari videntur, dum placida, et exili voce eis accinunt: dissentiens in eo ab Aristotele[3], quem Gallinas absque dolore parere, authorem esse supra diximus. Unde item Porphyrium[4] falsum ita scripsisse dicendum est: Maritus etiam inter bruta partus dolores intelligit, et plurimi ex eis, parientibus faeminis condolent, ut Gallinacei: quidam etiam excubando iuvant, ut Columbi. Verum visus est aliquando Gallus, teste Aristotele[5], mortua Gallina, eius munus obire, hoc est, vel incubare ova, vel iam natos pullos educare, insigni sane benevolentiae signo.

Per cui in Ausonio si legge la massima Il gallo di Euclione, indirizzata a colui che è solito indagare e investigare con estrema diligenza tutte le cose, senza lasciare neanche un granello di polvere, finché non avrà trovato quello che ha indagato con diligenza meticolosa. In verità perciò anche il gallo rivela l’amore e quel suo affetto allorquando, attraverso un canto ben diverso dal chicchirichì, ma molto simile al canto delle galline, testimonia di essere compartecipe del dolore dal quale lui crede siano pervase le sue consorti. Oppiano di Apamea fa menzione di ciò con queste parole: Sembra che i galli diano sollievo al parto delle galline e che le consolano compartecipando al dolore quando le accompagnano nel canto con una voce tranquilla ed esile: trovandosi a questo riguardo in disaccordo con Aristotele, il quale afferma che le galline partoriscono senza dolore, come abbiamo detto in precedenza. Per cui bisogna dire che parimenti Porfirio ha scritto una menzogna nel modo seguente: Anche tra gli animali sforniti di raziocinio il maschio riesce a comprendere i dolori del parto, e moltissimi di loro partecipano al dolore quando le femmine partoriscono, come i galli: alcuni aiutano anche con l’incubazione, come i colombi. In verità, testimone Aristotele, talora, morta la gallina, si è visto un gallo assumersi i suoi compiti, cioè, o covare le uova, oppure allevare i pulcini già nati, senza dubbio come segno evidente di affetto.

Quid vero de ingenio eius dicemus, quo certe plurimum valere quivis merito dixerit, qui perspectam huius avis naturam habuerit. Proxime gloriam sentiunt, inquit Plinius[6], et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera mortalibus, rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera, et ternas distinguunt horas interdiu cantu. Cum Sole eunt cubitum quartaque castrensi vigilia ad curas laboremve revocant. Nec Solis ortum incautis sinunt obrepere, diemque venientem nunciant cantu, ipsum vero cantum plausu laterum. Imperitant suo generi, et regnum, in quacunque sunt domo, exercent. Dimicatione paritur hoc {quoque} inter ipsos, velut ideo tela agnata cruribus suis {intelligentes.} <intelligentium,> <nec finis saepe commorientibus. Quod si palma contigit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur; victus occultatur silens aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens.>[7] Aelianus[8] etiam non Solis tantum, sed Lunae etiam ortu laetari Gallinaceos scribit, ubi ait: Gallinaceum exoriente Luna, quasi divino quodam spiritu afflatum bacchari, atque exultare ferunt. Oriens autem Sol nunquam ipsum fallit tum vehementissima voce contendens, semet magis, magisque cantando vincere conatur.

Ma cosa diremo della sua indole, per cui senza dubbio chiunque avrà esaminato la natura di questo volatile potrebbe affermare a buon diritto che essa è estremamente gagliarda. Plinio dice: Quasi allo stesso modo - dei pavoni - sentono il desiderio di gloria anche queste nostre sentinelle notturne, che la natura ha creato per richiamare i mortali al lavoro e per interrompere il sonno. Conoscono le stelle e sono capaci di distinguere col canto, nell’arco del giorno, periodi di tre ore ciascuno. Vanno a dormire col sole e al quarto turno di guardia (cioè dalle 3 alle 6) ci richiamano alle occupazioni e al lavoro. E non permettono che il sorgere del sole ci colga alla sprovvista, e annunziano col canto che il giorno sta giungendo, e il loro stesso canto viene annunciato sbattendo le ali. Dominano sugli animali del loro genere ed esercitano, in qualsiasi casa si trovano, una sorta di signoria. Il potere viene ottenuto con una lotta tra di loro, come se fossero consapevoli delle armi che sono spuntate sulle loro zampe, <né il combattimento ha una fine, in quanto spesso muoiono insieme. Ma se tocca loro in sorte la vittoria, subito cantano vittoriosi, e si proclamano sovrani. Quello che è stato sconfitto si nasconde in silenzio e sopporta malvolentieri la sottomissione, tuttavia anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la cresta eretta. E il gallo è il solo fra gli uccelli a guardare spesso il cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce.> Eliano scrive anche che i galli gioiscono non solo del sorgere del sole, ma anche della luna, quando dice: Dicono che il gallo si agita come un pazzo e saltella quando spunta la luna, quasi fosse pervaso come da un soffio divino. Il sorgere del sole non gli sfugge mai, e allora impegnandosi con una voce estremamente potente si dà da fare con il canto per superare sempre più se stesso.

Res item summa admiratione digna est, Gallum tum silentio uti, et pulchellam illam suam vocem, cucu<r>ritum inquam, celare nosse, cum mortua Gallina coniuge sua, ipse eius officio fungens ova incubat, quod id mulierem decere, et parum virile esse non ignoret, ut idem Aelianus[9] memoriae prodidit. Illud praeterea ingenio harum avium ascribendum est, quod cum sese copia sanguinis immoderati aggravari sentiunt, unguibus cristas tam diu scalpant, donec illato vulnere sanguinis fluxum proliciant, atque ita ab imminentibus malis sibi ipsis medici liberent. Plinius[10] similiter herbam, quae vocatur helxine agnoscere eos tradit, eaque sese dum indigent remedio, purgare.

Parimenti è una cosa degna di estrema meraviglia il fatto che il gallo se ne sta in silenzio e sa nascondere quella sua voce graziosa, cioè il chicchirichì, allorquando, morta la gallina che era la sua compagna, lui stesso cova le uova assumendosene il compito, sebbene non sia ignaro del fatto che ciò si addice a una femmina e che è poco maschile, come lo stesso Eliano ha tramandato. Bisogna inoltre attribuire all’intelligenza di questi volatili il fatto che, quando si accorgono di venire appesantiti da una quantità di sangue eccessivo, si mettono a grattare la cresta con le unghie tanto a lungo finché non hanno indotto un flusso di sangue con le ferite inferte, e, diventati medici di se stessi, non si siano liberati dai malanni incombenti. Parimenti, Plinio riferisce che essi conoscono un’erba che viene chiamata helxine - forse la Parietaria officinalis - e che quando sentono il bisogno di un rimedio si purgano con essa.

Haud ab re igitur D. Iob[11] quaerebat{;}<:> Quis dedit Gallo intelligentiam? Verum istaec intelligentia non rerum divinarum cognitio est, ut quispiam ex Plinii verbis, quae paulo ante adduximus, qui nimirum sidera nosse, etc. dixit, arguere possit, sed naturalis, quae tamen nec ipsa cum deliberatione constet. Quomodo etiam cum summa industria terram unguibus scalpendo victum quaerit. Hoc scalpur<r>ire Plautus dixit de sepulta olla loquens[12]: Ubi erat haec (olla) defossa coepit ibi scalpur<r>ire ungulis circumcirca: veteres etiam ruspari, atque hinc eo verbo pro sedulo perscrutari utuntur: unde alibi[13] idem ait: Corruspare tua consilia in pectore. Alibi[14] denique facetissime eiusmodi ruspationi scriptionem amasiae Cal{l}idori comparavit, quia nimirum difficulter ob male formatas literas legi poterat: ait autem.

An obsecro Hercle habent quoque Gallinae manus?

Nam has quidem Gallina scripsit.

Pertanto non senza motivo San Giobbe si chiedeva: Chi ha dato al gallo l’intelligenza? A dire il vero codesta intelligenza non corrisponde a una conoscenza delle cose divine, come qualcuno potrebbe arguire dalle parole di Plinio che abbiamo citato poco fa, il quale cioè disse che egli conosce le stelle etc, ma un’intelligenza delle cose della natura, la quale tuttavia in sé e per sé non si fonderebbe neppure su un atto decisionale. Allo stesso modo in cui va anche alla ricerca di cibo grattando con estremo impegno la terra con le unghie. Plauto denominò scalpurrire – raspare - questa attività parlando della pentola sepolta: Là dove questa (pentola) era sepolta lì cominciò a raspare tutt’intono con le unghie: gli antichi dicevano anche ruspari, e perciò si servono di questo verbo con il significato di esaminare attentamente: per cui in un'altra commedia sempre lui dice: Valutare attentamente le tue decisioni nella mente. Infine, in un’altra commedia, in modo molto spiritoso paragonò il modo di scrivere dell’amante di Calidoro – la cortigiana Fenicio - a siffatto modo di raspare, appunto perché a causa della brutta scrittura lo si poteva leggere con difficoltà: infatti Plauto – attraverso Pseudolo - dice.

Ti supplico, per Ercole, forse che anche le galline hanno le mani?

Infatti queste (lettere) le ha scritte certamente una gallina.


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[1] Griphus ternarii numeri 1: Latebat inter nugas meas libellus ignobilis; utinamque latuisset neque indicio suo tamquam sorex periret. Hunc ego cum velut gallinaceus Euclionis situ chartei pulveris eruissem, excussum relegi atque ut avidus faenerator inprobum nummum malui occupare quam condere. - Si tratta del gallo del vecchio avaro Euclione, il protagonista dell’Aulularia di Plauto.

[2] Ixeutica.

[3] De generatione animalium III,2 752a 31 sg.: Tuttavia non ci si accorge che ciò che diventa guscio è in principio una membrana molle, e compitosi l’uovo diventa duro e secco in modo tanto tempestivo che esce ancora molle (procurerebbe altrimenti sofferenza a deporlo) e appena uscito, raffreddatosi si consolida, perché l’umido evapora velocemente data la sua scarsezza e rimane l’elemento terroso. (traduzione di Diego Lanza)

[4] De abstinentia ab animalibus III. (Aldrovandi)

[5] Historia animalium IX,49 631b 13-16: Ëdë dè kài tôn arrénøn tinès øphthësan apoloménës tês thëléias autòi perì tùs neottùs tèn tês thëléias poiùmenoi skeuørìan, periàgontés te kài ektréphontes ùtøs øste mëte kokkýzein éti mët’ochéuein epicheirêin. - E si sono visti persino alcuni maschi, essendo morta la femmina, prendersi essi stessi cura dei pulcini come la femmina, portandoli in giro e allevandoli cosicché non si mettono né a cantare e neanche ad accoppiarsi. - Iam vero mares quidam visi sunt amissa gallina, ipsimet apparatum ferre pullis: eos etiam circumducere et enutrire ita, ut non amplius cucuriant, aut veneri operam dent. (traduzione di Giulio Cesare Scaligero)

[6] Naturalis historia X,46-47: Proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera mortalibus rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera et ternas distinguunt horas interdiu cantu. Cum sole eunt cubitum quartaque castrensi vigilia ad curas laboremque revocant nec solis ortum incautis patiuntur obrepere diemque venientem nuntiant cantu, ipsum vero cantum plausu laterum. [47] Imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc inter ipsos velut ideo tela agnata cruribus suis intellegentium, nec finis saepe commorientibus. Quod si palma contigit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur; victus occultatur silens aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens. Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis.

[7] Aldrovandi, attraverso un quoque di più, e attraverso intelligentes al posto di intellegentium, dichiara apertamente di aver copiato il brano da Gessner, ma a un certo punto lo amputa stupidamente, per riprenderlo a pag. 237. Questo non possiamo permetterlo. Poteva amputare ampiamente i nauseanti e ripetitivi Moralia di Gregorio Magno! - Per cui si procede a emendare il testo di Plinio. –  Ecco invece il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 385: Imperitant suo generi, et regnum in quacunque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc quoque inter ipsos, velut ideo tela agnata cruribus suis intelligentes: nec finis saepe commorientibus. Quod si palma contingit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur. Victus occultatur silens, aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa: coelumque sola volucrum aspicit crebro, in sublime caudam quoque falcatam erigens, Plinius.

[8] La natura degli animali IV,29: Il gallo, così dicono, diventa particolarmente eccitato e saltella quando spunta la luna. Non lascerebbe mai passare inosservato il levar del sole; quando appare, egli supera se stesso nell’intonare il suo canto. (traduzione di Francesco Maspero)

[9] La natura degli animali IV,29: Morta la gallina, egli stesso cova, e fa schiudere i propri figlioletti standosene in silenzio; perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus; infatti mi sembra sia consapevole che così sta svolgendo le mansioni di una femmina e non di un maschio.

[10] Naturalis historia VIII,101: Palumbes, graculi, merulae, perdices lauri folio annuum fastidium purgant, columbae, turtures et gallinacei herba quae vocatur helxine, anates, anseres ceteraeque aquaticae herba siderite, grues et similes iunco palustri.

[11] Già citato da Aldrovandi a pagina 186. - Giobbe 38,36: Chi ha messo nelle nubi la sapienza, o chi ha dato alle meteore l’intelligenza? (La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline, 1958)

[12] Aulularia 467: Ubi erat haec defossa, occepit ibi scalpurrire ungulis circum circa.

[13] Fragment. apud Paul. ex. Festo (ed. by Mueller) 62. (Lind, 1963)

[14] Pseudolus 27-28 - Pseudolus: An, opsecro hercle, habent quas gallinae manus? | Nam has quidem gallina scripsit.