Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Audio denique et aquam vitae, ut vocant, eis let{h}alem esse. Ex Sambuco magis canoram buccinam, tubamque eodem referente[1], fieri credit pastor, si ibi caedatur, ubi Gallorum cantum frutex ille non exaudiat. Quae res ad quandam pariter antipathiam referri potest: sunt tamen qui physicam illius rationem talem assignent. Materies, inquiunt, sambuci mire firma traditur: constat enim ex cute, et ossibus: quare venabula ex ea facta praeferunt omnibus. {Quondam} <Quoniam>[2] vero loca sylvestria, qualia sunt, in quibus Gallorum cantus non auditur, sicciora sunt, ligna etiam illic sicciora, solidioraque fiunt, et ex tali materia tibiam magis canoram tornari credibile est, cum unumquodque corpus eo magis sonorum sit, quo siccius, simulque solidius. Eandem etiam rationem Caelius Calcagninus[3], quosdam assignavisse, scribit, postquam aliorum sententiam examinasset, suamque diversimodam attulisset, his verbis. Cur id fiat{:} (si modo verum est,) nemo facile dixerit. Sunt qui hoc non simpliciter, sed συμβολικῶς traditum putent, more Pythagorico[4], ut multum diversum, quam dicitur, intelligatur, sicut proditum est, non ex omni ligno Mercurium debere fieri: Deum non populari ritu, sed electo, ac religioso colendum esse. Sic non vulgari sed remotiori musicae incumbendum esse admonentes, non ex obvia quaque Sambuco tibiam, sambucamque coagmentari oportere dixerunt, et expedire ut remotiora petantur, atque inde decerpatur, ubi Galli cantus non obstrepat.

Infine sento dire che anche l’acquavite, come la chiamano, è per essi letale. In base a quanto riferisce Plinio, il pastore ritiene che dal sambuco possono essere costruite una buccina e una tromba più sonore se questo arbusto fosse tagliato là dove non possa sentire il canto dei galli. La qual cosa può parimenti essere attribuita a una certa antipatia: tuttavia alcuni attribuiscono a ciò un motivo fisico. Stando a quanto affermano, si dice che il legno di cui è costituito il sambuco è molto solido: infatti è formato dalla scorza e dalle parti dure centrali: perciò preferiscono gli spiedi da caccia costruiti con esso rispetto a tutti gli altri. Ma siccome le località boscose, come sono quelle in cui non si ode il canto dei galli, sono più asciutte, costì anche il legname diventa più asciutto e compatto, ed è credibile che da siffatto materiale si possa fabbricare col tornio un flauto più sonoro, dal momento che qualsiasi struttura è tanto più sonora quanto più è secca e al tempo stesso solida. Celio Calcagnini scrive che alcuni hanno attribuito lo stesso motivo, e dopo aver esaminato il parere altrui e addotto il suo che suona in modo diverso, usando le parole che seguono. Perché ciò accada (ammesso che sia vero) nessuno potrebbe dirlo facilmente. Alcuni ritengono che ciò sia stato tramandato non in modo puro e semplice, ma symbolikôs - allegoricamente, secondo il metodo di Pitagora, cosicché viene inteso in un modo molto diverso da come viene detto, così come è stato tramandato che Mercurio non deve essere fabbricato con qualsiasi tipo di legno: un dio va venerato non in modo ordinario, ma speciale e rispettoso. Così, raccomandando che bisogna dedicarsi non a una musica ordinaria ma più lontana dall'uso comune, dissero che bisogna assemblare un flauto e una sambuca non da un qualunque sambuco che capita a tiro, e che conviene che si cerchino cose più raffinate, e che si attinga di là dove non risuona il canto del gallo.

Nam sic hodie quoque locum longe sepositum, ad quem nemo adeat significantes, dicunt in eo, ne Gallum quidem unquam exauditum. Aut certe stridula illa, atque admodum obstrepera vox Galli hebetare, et stridore suo quodammodo diffindere, et convellere potest penetrabilem ac fungosam sambuci materiem, utpote qua leo etiam tantae animal constantiae consternetur. Alii sunt, qui eo dicto nil praeterea ostendi putent, quam sylvestrem sambucum sativae multo esse praeferendam: quod ea procul, locisque abditis, haec prope intra nostra septa adolescat. Quae postrema sententia cum priori conformis est, quam a viris doctis examinari ventilarique velim.

Infatti allo stesso modo anche oggi, quando vogliono indicare un luogo molto isolato dove nessuno riesce ad arrivare, dicono che nemmeno un gallo vi è mai stato udito. Perlomeno, quella voce stridula e oltremodo strepitante del gallo può indebolire, e spaccare e lacerare in qualche modo con il suo stridore il legno penetrabile e spugnoso di cui è costituito il sambuco, dato che anche il leone, animale di così grande intrepidezza, ne viene spaventato. Altri in base a ciò che si è detto ritengono che non abbia bisogno di ulteriori dimostrazioni il fatto che il sambuco selvatico è molto da preferirsi a quello coltivato: in quanto il primo cresce lontano e in luoghi remoti, il secondo vicino, tra le nostre recinzioni. Quest’ultima affermazione è simile alla precedente, e vorrei che venisse esaminata e discussa da persone dotte.

Insigne contra immunitatis privilegium Gallinis (sic enim apud Dioscoridem[5] {ὄρνιθες} <ὀρνίθια> transfero) accessit, cum impune baccis taxi, quae alioqui reliquis animalibus pestiferae sunt, vescantur. Quae itaque venena, non venena in illis esse voluit prudentissima natura, eadem contra quae non venena sunt, pestifera illis esse voluit, sparti semine depasto eas emori cupiens, item hominis excremento, qui Helleborum <album>[6] biberit, ut Avicenna testatur.

Invece alle galline (infatti traduco così orníthia di Dioscoride) è toccato uno straordinario privilegio di immunità, dal momento che si nutrono impunemente delle bacche del tasso, che peraltro sono mortali per gli altri animali. Perciò la natura che è molto saggia ha voluto che quelli che sono dei veleni non rappresentino dei veleni per loro, al contrario quelli che non sono dei veleni ha voluto che fossero per loro mortali, desiderando che esse muoiano dopo aver mangiato il seme dello sparto, parimenti le feci di un essere umano che ha bevuto l’elleboro bianco - o veratro bianco? - come testimonia Avicenna.

Albertus quaedam urticarum genera pullis mortifera esse scribit, Gallinamque earum malignitatis consciam eas evellere conari{,}<.> Verum quae hae urticae sint, non explicat. Tradunt item Gallum contra orobanchen herbam[7] circumferri, vel semina terrae mandanda Gallinaceo sanguine rigari, tanquam et herba leo (nam ita etiam vocatur) non minus, quam animal a Gallo abhorreat[8]. Oderunt quidem merito hanc herbam agricolae, quoniam cannabi, in quam spem omnem lucri ponunt, nutrimentum eripit, et quo minus ad optatam altitudinem excrescat, impedit, ad radices eius enascens. Poterunt ergo eiusmodi remedium experiri.

Alberto scrive che alcune specie di ortiche sono micidiali per i pulcini, e che la gallina, conscia della loro nocività, si dà da fare per sradicarle. Non spiega però che ortiche siano. Parimenti dicono che il gallo deve essere portato in giro per combattere l’erba orobanche, oppure che i semi che bisogna affidare alla terra siano irrigati con sangue di gallo, come se anche l’erba leone (infatti si chiama così) avesse avversione per il gallo non meno dell'omonimo l’animale. Infatti gli agricoltori giustamente odiano quest’erba, in quanto sottrae il nutrimento alla canapa nella quale ripongono ogni speranza di guadagno, e nascendo attaccata alle sue radici impedisce che si sviluppi fino all’altezza desiderata. Pertanto potranno sperimentare siffatto rimedio.

Praeterea Gallinae metallorum regi auro venenum sunt, si Plinio[9] credimus, qui alibi ita scribit. Auro liquescenti si Gallinarum membra misceantur, consumunt id in se. Ita hoc venenum auri est. Quod si verum est, inquit Scaliger[10] sane sic praesentius, et commodius adipiscemur aurum esculentum, quam ex inani Cardani indicatione, aurum potabile. Falsum vero vanumque esse medicina posterior innumeris experimentis comperit. Etenim ad deploratos morbos[11] Gallinaceas carnes incoquunt, aurumque adijciunt, quod tamen absumi non videtur. Sed videndum foret, num periclitantes aurum prius liquidum reddere deberent, quando id de liquescenti auro Plinius prodidit: quinim<m>o sunt, qui eam dictionem (liquescenti) exponunt in oleo per artem chymicam redactum, quasi Plinius huius artis non fuerit ignarus: quod alioqui mihi nunquam lectum. Ut ut est, inde saltem excogitata medicis ratio est parandi iuscula ἀναληπτικά[12] cum carne Gallinae, et auri foliis.

Inoltre le galline sono un veleno per il re dei metalli, l’oro, se crediamo a Plinio che in un altro punto scrive così: Se all’oro quando sta fondendo vengono mescolati dei pezzi di gallina, lo assorbono in se stessi. Pertanto questo è un veleno dell’oro. Giulio Cesare Scaligero dice che se ciò è vero, davvero in questo modo otterremo più rapidamente e più agevolmente oro commestibile anziché oro potabile come risulta dall’infondata dichiarazione di Gerolamo Cardano. Infatti la medicina successiva attraverso innumerevoli esperimenti ha accertato che ciò è falso e privo di contenuto. E infatti contro le malattie incurabili fanno cuocere le carni dei gallinacei e vi aggiungono dell’oro, che tuttavia non pare venga inglobato. Ma bisognerebbe considerare se gli sperimentatori non debbano prima rendere liquido l’oro, dal momento che Plinio ha riferito ciò parlando di oro che sta fondendo: che anzi vi sono coloro che interpretano quella parola (liquescenti) nel senso che sia trasformato in olio attraverso un artificio chimico, come se Plinio non fosse all’oscuro di questo artificio: ma peraltro non mi è mai accaduto di leggere ciò. Comunque sia, da ciò perlomeno dai medici è stato escogitato il sistema di preparare dei brodini analëptiká - corroboranti - fatti con carne di gallina e con lamine d’oro.

Postremo cum tonitru Gallinae dissident. Quandoquidem si cum incubant, tonuerit, non modo ova pereunt, ut Aristoteles[13], et Plinius[14] tradunt: verumetiam, teste Columella[15], semiformes pulli interimuntur, antequam toti partibus suis consummentur. Ne itaque tanto detrimento afficiantur agricolae, malo huic obviam ire debent. Remedium autem contra tonitru<m>, teste Plinio, clavus ferreus sub stramine ovorum positus, aut terra ex aratro. Plurimos etiam scribit Columella {intra} <infra> cubilium stramenta, graminis aliquid, et ramulos lauri, nec minus allii capita una cum clavis ferreis subijcere: quod haec cuncta remedia credantur esse adversus eadem tonitrua.

Infine, le galline non vanno d’accordo con il tuono. Dal momento che se ha tuonato quando stanno covando, le uova non solo si rovinano, come riferiscono Aristotele e Plinio: ma, come riferisce Columella, i pulcini in via di formazione vengono uccisi prima che si siano completati in tutte le loro parti. Pertanto affinché i contadini non vengano colpiti da un danno così grande, debbono porre dei rimedi a questa calamità. Come riferisce Plinio, un rimedio contro il tuono è un chiodo di ferro posto sotto la lettiera delle uova, oppure della terra presa dall’aratro. Columella scrive che parecchie persone mettono anche sotto alla lettiera un po’ di gramigna e dei rametti di alloro come pure delle teste di aglio insieme a chiodi di ferro: in quanto si crede che tutte queste cose rappresentano dei rimedi contro i tuoni stessi.


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[1] Naturalis historia XVI,179: Sui, sed frutectosi generis sunt inter aquaticas et rubi atque sabuci, fungosi generis, aliter tamen quam ferulae, quippe plus ligni est, utique sabuco, ex qua magis canoram bucinam tubamque credit pastor ibi caesa, ubi gallorum cantum frutex ille non exaudiat.

[2] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 406: Quoniam vero loca sylvestria (qualia sunt in quibus gallorum cantus non auditur) sicciora sunt, ligna etiam illic sicciora solidioraque fiunt, et ex tali materia tibiam magis canoram tornari credibile est, cum unumquodque corpus eo magis sonorum sit quo siccius simul solidiusque.

[3] La citazione di Aldrovandi della fonte dovuta a Celio Calcagnini è alquanto sintetica: Epist. Quaest. liber 2. Con le ricerche nel web del 6 maggio 2004 non è stato possibile conoscere per intero il nome dell’opera citata da Aldrovandi. Tuttavia in base a Gessner possiamo presumere che si tratti di Epistolicae quaestiones: Hoc cur fiat, si modo verum est, (inquit Caelius Calcagninus in epistolicis quaestionib. lib. 2.) nemo facile dixerit.

[4] Secondo Pitagora il gallo è interpretato in senso allegorico come uccello del sole. Vedere il lessico Suida alla voce Πυθαγόρα τὰ σύμβολα etc.

[5] De materia medica liber 4, caput 75. (Aldrovandi) - Τοδὲ ἐν Ἰταλίᾳ γεννωμένου τὸν καρπὸν ὀρνίθια ἐσθίοντα, μελαίνεται. (Testo greco di Aldo Manuzio e Jean Ruel che recano una numerazione di capitolo diversa da quella di Aldrovandi. Oggi il capitolo viene identificato come 79.) – L’unica citazione dei frutti del tasso da parte di Dioscoride suona così in Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 384: Taxi fructus edentes in Italia gallinae nigrescunt, Dioscorides. Quindi, stando al Dioscoride gessneriano, le galline – che possono aver indotto Aldrovandi a tradurre órnithes con galline diventano abbronzate mangiando i frutti del tasso, e ciò accade in Italia. E magari si abbronzano perché i semi sono nerastri... Oppure nigrescunt in quanto diventano cianotiche perché muoiono... – Alcune delle edizioni odierne di Dioscoride parlano delle bacche del tasso nel libro 4 capitolo 79, come già puntualizzato. E secondo i moderni traduttori – a differenza di quelli rinascimentali - Dioscoride affermerebbe che le bacche del tasso uccidono gli uccelli. Non è vero! - Velenoso è il seme del tasso avvolto dall’arillo rosso praticamente atossico, ma sono pronto a scommettere che non c’è ventriglio di uccello che si dedichi alla digestione del seme, che invece verrà espulso tale e quale. L’arillo, pur contenendo tracce del letale alcaloide tassina, non è tossico se mangiato in quantità moderate, ed è ricco di sostanze zuccherine. Gli uccelli – o meglio, gli uccellini, in quanto la traduzione di Jean Ruel (adottata abitualmente sia da Gessner che da Aldrovandi nonché da Pierandrea Mattioli) riporta aviculae, esatta traduzione del greco ὀρνίθια di Dioscoride – gli uccellini, ghiotti di questi frutti, contribuiscono alla disseminazione del tasso attraverso gli escrementi, e in questa disseminazione le galline non contribuiscono in modo sostanziale dal momento che il loro habitat è alquanto ristretto ed essenzialmente domestico. Per cui non era necessario che Aldrovandi mitizzasse le galline rendendole degli uccelli inattaccabili dal letale tasso, in quanto tutti gli uccelli - gli ὀρνίθια di Dioscoride non muoiono per aver ingerito le bacche del tasso, e non morirebbero neppure le galline. Ovviamente, se Dioscoride affermasse che gli uccelli muoiono mangiando le bacche, dal momento che contribuiscono alla disseminazione, essi moriranno dopo aver defecato oppure contribuiranno alla disseminazione quando il loro cadavere avrà finito di putrefarsi, liberando così i semi. Ma quest’ultima è un’interpretazione alquanto balzana. Inoltre, assisteremmo a un'ecatombe stagionale di piccoli uccelli, specialmente di merli, che di bacche del tasso ne mangiano a iosa. E mettiamocelo bene in mente: in natura, come pure in vivaio senza ricorrere ad artifizi, la moltiplicazione del tasso si ottiene per seme, all'aperto, nel mese di marzo, alla profondità di 2,5 cm, oppure alla profondità di poco più di mezzo cm in casse, sotto copertura fredda o in serra non riscaldata. Se siamo dei vivaisti possiamo ricorrere a talee - misconosciute in natura - prelevate in settembre dai getti (cioè dai germogli) e messe a radicare in terriccio sabbioso sotto copertura fredda durante l'autunno. § Dopo una fruttuosa discussione con Lily Beck (2007) e grazie alla collaborazione di Roberto Ricciardi si è giunti alla conclusione biologicamente corretta che gli uccellini che mangiano le bacche del tasso ingrassano, accumulando energie per l'inverno imminente, mentre se l'uomo si abbuffa di arilli deve aspettarsi una profusa diarrea. Si veda l'esilarante via cruscis linguistica - per la quale dobbiamo ringraziare gli amanuensi - alla voce tasso del lessico.

[6] Aldrovandi tralascia un aggettivo molto importante, che viene invece riportato da Gessner, e che è indispensabile per identificare la pianta. Si tratta di album. Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 384: Stercus hominis qui bibit elleborum album, necat gallinas, Avicenna.

[7] Siccome il leone teme il gallo, da ciò deriverebbe l’impiego del gallo per distruggere l’orobanche o erba leone. Secondo D’Arcy Thompson (pag. 41, 1966) la notizia è tratta da Geoponica II,42,3, ma forse facendo confusione fra il gallo e i Galli, i sacerdoti di Cibele: “Hence also the use of a Cock to destroy the Lion-weed, ë leónteios póa = orobánchë, Geopon. ii.42.3. A confusion is possibly indicated here with the Galli, priests of Cybele; [...]”. - Geoponica II,42,3-4: παρτθένος ... ἀλεκτρυόνα ἐν ταῖς χερσὶν ἔχουσα, περιελθέτω τὸ χωρίον, καὶ εὐθέως χωρίζεται μὲν ἡλεόντειος πόα, τὰ δὲ ὄσπρια κρείττονα γίνεται, ἴσως καὶ τῆς βοτάνης ταύτης τοῦ λέοντος τὸν ἀλεκτρυόνα φοβουμένης. 4. Τινὲς πείρᾳ παταλαβόντες, βούλονται αἵματι ἀλεκτρυόνος καταρραίνειν τὰ μέλλοντα σπείρεσθαι, καὶ οὐ βλαβήσεται ὑπὸ λεοντείας βοτάνης.

[8] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 407: Gallus contra orobanchen herbam in arvis nascentem (quae et leo dicitur) circunfertur, vel semina terrae mandanda gallinaceo sanguine rigantur, ut recitavi in Leone H. a., tanquam et herba leo non minus quam animal, a gallo abhorreat.

[9] Naturalis historia XXIX,80: Non praeteribo miraculum, quamquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt id in se; ita hoc venenum auri est. At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. - Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 455: Non praeteribo miraculum, quanquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt illud in se. Ita hoc venenum auri est, Plinius.

[10] Exotericarum exercitationum liber quintus decimus: de subtilitate, ad Hieronymum Cardanum (1557), exercitatio 88 Quae ad metalla.

[11] Vedi il lessico alla voce Crisoterapia.

[12] Termine medico usato per esempio da Galeno e da Oribasio.

[13] Historia animalium VI,560a4: Del resto gli uccelli differiscono tra loro anche per la maggiore o minore attitudine alla cova. Se tuona durante la cova, le uova si rovinano. (traduzione di Mario Vegetti)

[14] Naturalis historia X,152: Si incubitu tonuit, ova pereunt; et accipitris audita voce vitiantur. Remedium contra tonitrus clavus ferreus sub stramine ovorum positus aut terra ex aratro.

[15] De re rustica VIII,5,12: Plurimi etiam infra cubilium stramenta graminis aliquid et ramulos lauri nec minus alii capita cum clavis ferreis subiciunt. Quae cuncta remedio creduntur esse adversus tonitrua, quibus vitiantur ova pullique semiformes interimuntur, antequam toti partibus suis consummentur.