Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Tradunt vero eiusmodi auspicia tristia fuisse idque exitu probatum. Victum .n. fuisse Hostilium a Numantinis, et castris exutum, moxque cum nulla superesset servandi exercitus spes, pacem cum his fecisse, eamque adeo ignominiosam, ut ratam esse Senatus vetuerit.

Narrano che tali auspici furono infausti e ciò è comprovato dal risultato. Infatti Gaio Ostilio Mancino fu sconfitto dai Numantini e fu scacciato dall’accampamento, e non rimanendo alcuna speranza di salvare l’esercito, subito stipulò con essi la pace, tanto ignominiosa che il Senato proibì che venisse ratificata.

Contra Themistocli[1] Atheniensium clarissimo duci, quem adolescentiam suam in omni luxus, lasciviaeque genere {peregrisse} <peregisse>, tandem vero cum vir evasisset iuventae suae maculas praeclarissimis gestis delevisse, historia testis est, priusquam in Xerxem, ad quem postmodum ab ingrata patria pulsus confugit, exercitum duceret, pridie auditus Gallorum cantus victoriam promisit. Ex huiusmodi cantu felix augurium cepisse Iustinum Sophiamque Corippus[2] testatur his versibus.

Limen ut augustae sacro pede conti{n}git aulae,

Omnia Gallorum strepuerunt culmina cantu.

Exactam noctem primi sensere volucres,

Et laetum cecinere diem, alarumque dedere

Plausibus assiduis, et acuta voce favorem<.>

Invece per Temistocle, illustrissimo comandante degli Ateniesi, che aveva trascorso la sua giovinezza in ogni sorta di lussuria e lascivia, ma che infine dopo essere diventato uomo cancellò con gloriosissime imprese le macchie della sua gioventù, la storia è testimone che prima di guidare l’esercito contro Serse I, presso il quale successivamente si rifugiò essendo stato scacciato dalla patria ingrata – no, si rifugiò presso Artaserse I, il canto dei galli udito il giorno precedente preannunciò la vittoria. Corippo con questi versi è testimone che da siffatto canto Giustino II e Sofia ricevettero un fausto presagio:

Non appena con il sacro piede toccò il limitare dell’augusto palazzo, tutte le sommità degli edifici risuonarono per il canto dei galli. Gli uccelli furono i primi a percepire che la notte era trascorsa, e annunciarono col canto un giorno propizio, e con un incessante battito d’ali e con voce penetrante arrecarono la gioia.

Insuper Gallos omnes, Paulus Morigia[3], anno millesimo ducentesimo septuagesimo septimo ea nocte, qua Otto Archiepiscopus, et Mediolanensium exercitus praefectus victoria adversus Turrianos potiebatur continuo cecinisse, eademque nocte Galeatium[4] in Vicecomitum item familia eius nominis primum natum esse, et ab eiusmodi felici Gallorum augurio nomen accepisse.

Inoltre Paolo Morigia - racconta - che nell’anno 1277, in quella notte in cui Ottone Visconti arcivescovo e comandante dell’esercito dei Milanesi otteneva la vittoria contro i Torriani - o Della Torre - tutti i galli cantarono incessantemente, e che parimenti in quella stessa notte Galeazzo I fu il primo a nascere con tale nome nella famiglia dei Visconti, e che ricevette il nome da tale augurio propizio dei galli.

Cantum vero avium harum victoriae signum habitum ideo Plinius[5] docet, et Cicero[6] ridet, quod victae silere soleant, canere victrices. Uterque vero celebris illius Boeotiorum contra {Lacedaemones} <Lacedaemonios> victoriae exemplo comprobat. Totis noctibus, inquit ille, canendo Boeotiis nobilem illam adversus Laced<a>emonios praesagivere victoriam, ita coniecta interpretatione, quoniam victa ales illa non caneret. Cicero[7] vero paulo aliter fusiusque, Lacedaemoniis, ait, paulo ante Leu<c>tricam calamitatem quae significata est, cum in Herculis fano arma sonuerunt, Herculisque simulacrum multo sudore manavit{:}<!> At eodem tempore Thebis, ut ait Callisthenes, in templo Herculis valvae clausae repagulis, subito se ipsae aperuerunt armaque quae fixa in parietibus fuerant, ea humi sunt inventa: cumque eodem tempore apud Lebadiam Throphonio res divina fieret Gallos Gallinaceos in eo loco sic assidue canere coepisse, ut nihil intermitterent, tum augures dixisse Boeotios, Thebanorum esse victoriam, propterea quod avis illa victa silere soleret, canere si vicisset.

Plinio dice, e Cicerone sorride, che il canto di questi uccelli è stato ritenuto un segno di vittoria in quanto sono soliti tacere se sono stati sconfitti, cantare se sono vincitori. Ambedue ne danno la conferma attraverso l’esempio di quella famosa vittoria degli abitanti della Beozia contro gli Spartani. Il primo dice: Cantando per notti intere predissero ai Beoti quella famosa vittoria contro gli Spartani, e l’interpretazione che è stata ipotizzata è la seguente, in quanto quell’uccello se sconfitto non canterebbe. Ma Cicerone un po’ diversamente e più per esteso dice: Agli Spartani fu preannunciata poco prima la disfatta di Leuttra, quando nel tempio di Ercole le armi risuonarono, e quando la statua di Ercole stillò molto sudore! Ma nello stesso momento a Tebe, come dice Callistene nel tempio di Ercole i battenti chiusi con catenacci improvvisamente si aprirono da soli e le armi che erano state fissate alle pareti furono trovate per terra: e mentre nello stesso momento nei pressi di Lebadia si svolgeva un rito sacro in onore di Trofonio i galli in quel luogo cominciarono a cantare con tanta insistenza da non smettere un attimo, e allora gli auguri della Beozia dissero che la vittoria era dei Tebani poiché quell’uccello quando è sconfitto è solito tacere, e cantare se ha vinto.

Alibi[8] vero ita eiusmodi vanitates ridet. Quas autem res tum natura, tum casus affert, {in quibus} nonnunquam etiam errorem creat similitudo, magna {stulita} <stultitia> est earum rerum Deos facere effectores, causas rerum non quaerere. Tu vates Boeotios credis Lebadiae vidisse ex Gallorum Gallinaceorum cantu victoriam esse Thebanorum, quia Galli victi silere sole<re>nt canere victores. Hoc igitur per Gallinas Iuppiter tantae civitati signum dabat? An illae aves, nisi cum vicerint, canere non solent? At tum canebant, nec vicerant. Id enim <est>, inquies, ostentum, magnum vero, quasi pisces, non Galli cecinerint. Quod autem est tempus, quo illi non cantent, vel nocturnum, vel diurnum? Quod si victores alacritate, et quasi laetitia ad canendum excitantur: potuit accidisse alia quoque laetitia, qua ad cantum moverentur. Democritus quidem optimis verbis causam explicat, cur ante lucem Galli canant: depulso enim de pectore et in omne corpus {diffuso, et modificato} <diviso et mitificato> cibo, cantus edere quiete satiatos: qui quidem silentio noctis, ut ait Ennius[9], favent {faucibus, rursus}[10] <faucibus russis> cantu plausuque premunt alas. Haec omnia Cicero, quibus superstitiosas illas Romanorum augurum vanitates et vera daemonis praestigia apertissime superstitiosus alioqui et ipse, reijcit, et parvi etiam eiusmodi auguria fecisse Publius Claudius videri potest, qui, ut Valerius[11]  annotavit, bello Punico primo cum pra<e>lium navale committere vellet, auspiciaque more maiorum petiisset et pullarius vix exire cavea pullos nunciavisset, abijci in mare eos iussit, dicens, si esse nolunt, bibant.

In un altro punto deride così siffatte menzogne. Infatti quelle cose che sia la natura sia il caso causano, talora la somiglianza genera anche un errore, è una grande stoltezza ritenere gli dei come autori di tali cose, non indagare le causa degli avvenimenti. Tu credi che a Lebadia i vati della Beozia hanno previsto dal canto dei galli che la vittoria era dei Tebani, in quanto i galli sconfitti sarebbero soliti tacere, cantare se vincitori. Dunque, Giove dava a una così importante città questo presagio attraverso le galline? Non è che quegli uccelli non sono soliti cantare se non quando hanno vinto? Ma allora cantavano, e non avevano vinto: infatti, dirai, questo è un prodigio. Grande davvero, come se avessero cantato i pesci e non i galli! Ma qual è il periodo in cui essi non cantano, notturno o diurno? In quanto se essendo vincitori vengono stimolati a cantare dall’entusiasmo e come da una sorta di gioia, potrebbe anche essersi verificata un’altra gioia dalla quale erano sollecitati a cantare. In realtà Democrito con ottime parole spiega il motivo perché i galli cantano prima dell’alba: dopo aver rimosso dall’apparato digerente e dopo aver suddiviso e reso tenero il cibo per tutto il corpo, si mettono a cantare appagati dal riposo: ed essi nel silenzio della notte, come dice Ennio, mostrano approvazione emettendo il loro canto attraverso le rosse fauci e applaudono sbattendo le ali. Tutte queste cose le dice Cicerone, con le quali, pur essendo egli stesso superstizioso sotto altri aspetti, molto chiaramente rifiuta quelle menzogne superstiziose degli auguri romani e autentici inganni di un demone, e possiamo anche renderci conto che Claudio Publio Pulcro tenne in scarsa considerazione siffatti presagi, il quale, come ha annotato Valerio Massimo, durante la prima guerra punica volendo ingaggiare una battaglia navale e avendo richiesto i presagi secondo il costume degli antenati e avendo il custode annunciato che i polli uscivano dalla gabbia malvolentieri, diede ordine di gettarli in mare, dicendo: se non vogliono mangiare, bevano.

Quemadmodum vero vana antiquitas Galli cantum pro bono augurio {habebant} <habebat>, ita contra Gallinarum cantus diri aliquid imminere, aut futurum incommodum ipsis significabat. {Sergio} <Servio> Galbae item auspicanti, teste Tranquillo[12], pullos evolasse futurae eius caedis signum fuit. Antonius ex pugna Gallorum, et {Cornicum;} <Coturnicum,> ut Plutarchus[13] meminit, tale hausit augurium, ut se Caesare inferiorem, ac impotentiorem agnosceret, cum penes Caesarianas aves victoriam esse videret. Inde enim {Ariolo} <Hariolo> Aegyptio eorum uni, qui {natalitias} <natalicias> praedictiones exercent, ei, inquam, qui libere aliquando ei dixerat, fortunam eius splendidissimam alioquin, et maximam a Caesaris fortuna obscurari fidem adhibere coepit, atque ita rebus suis Caesari commissis Italia excessit.

Ma così come i vanagloriosi antichi giudicavano di buon auspicio il canto del gallo, altrettanto al contrario il canto delle galline preannunciava loro che stava avvicinandosi qualcosa di funesto o una futura disgrazia. Come riferisce Svetonio Tranquillo, per Servio Galba che stava traendo degli auspici, i polli che se ne volarono via furono il presagio della sua futura uccisione. Come Plutarco ricorda, Marco Antonio dal combattimento dei galli e delle quaglie dedusse un presagio tale da ammettere di essere inferiore e meno potente di Cesare Augusto, dal momento che si rendeva conto che la vittoria era in potere degli uccelli di Cesare. Poi infatti cominciò a porre fiducia in un indovino egiziano, uno di quelli che si occupano di predizioni riguardanti le nascite, in colui che, torno a ripetere, una volta gli aveva detto schiettamente che la sua fortuna, peraltro assai splendida e grandissima, sarebbe stata oscurata dalla fortuna di Cesare Augusto, e che così affidate le sue cose a Cesare se ne andò dall’Italia.

Triste sane quoque Vitellio principi Gallinaceus augurium attulit, cui Viennae referente Suetonio[14], pro tribunali iura reddenti supra humerum, ac deinde in capite astitit. Quo ostento significabatur imperium per se retinere non posse, im<m>o vero exitium eius, et clades, quam mox passus est. Gallinaceus enim ille significabat, venturum imperatorem in alicuius Gallicani hominis potestatem, uti res ipsa postmodum suc<c>essit. Nam ab Antonio {primo} <Primo> adversarum partium duce [260] oppressus est, qui T{h}olosae natus cognominatus fuit {Beceus} <Beccus>, quod valet, ut diximus[15], Gallinaceum rostrum.

Effettivamente anche all’imperatore Vitellio fu foriero di un infausto presagio il gallo, che, come riferisce Svetonio, si mise ritto in piedi sulla sua spalla e quindi sulla sua testa mentre a Vienna - nella Gallia Narbonese, presso Lione - amministrava la giustizia davanti al seggio del magistrato. Da questo prodigio veniva preannunciato che non poteva conservare per sé il sommo potere, ma anzi la sua morte violenta e la sconfitta che poco dopo subì. Infatti quel gallo significava che l’imperatore sarebbe caduto in potere di un qualche uomo della Gallia, come poi proprio accadde. Infatti fu sopraffatto da Marco Antonio Primo comandante delle fazioni avversarie, il quale essendo nato a Tolosa era stato soprannominato Becco, il che equivale, come abbiamo detto, a becco di un gallinaceo.


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[1] Aldrovandi ha già parlato di Temistocle a pagina 236 e 238. § In questo caso si tratta di uno stralcio dedotto da Gessner il quale lo cita come dovuto ad Alessandro Alessandri. Solo che Gessner non si sogna neppure di cadere nell'errore storico di Aldrovandi, il quale afferma che Temistocle si rifugiò presso Serse anziché presso Artaserse. § Ecco il testo di Gessner Historia animalium III (1555) pagina 409: Auguria. Inter divinationum genera aliqui etiam alectryomantiam numerant, Gyraldus. Praeposteros aut vespertinos gallorum cantus optimi eventus multi notavere. Themistocli pridie quam Xerxem duceret, auditus gallorum cantus, victoriae mox futurae praenuncium fecit: idque ideo, quod victus nequaquam canit: victor vero obstrepit et murmurat. contra vero gallinarum. nam diri aliquid imminere, aut futurum incommodum illarum cantus designavit, Alexander ab Alex.

[2] In laudem Iustini minoris liber I. (Aldrovandi) § Il brano citato corrisponde ai versi 197-201 del I libro e si emenda in base a De laudibus Iustini Augusti Minoris libri IV in Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, Bonnae, 1836 – Recognovit Immanuel Bekkerus.

[3] Historia dell'antichità di Milano o Historiae urbium et regionum Italiae rariores, Venezia 1592.

[4] Aldrovandi ha già parlato della nascita di Galeazzo Visconti I a pagina 250.

[5] Naturalis historia X,49: Habent ostenta et praeposteri eorum vespertinique cantus: namque totis noctibus canendo Boeotiis nobilem illam adversus Lacedaemonios praesagivere victoriam, ita coniecta interpretatione, quoniam victa ales illa non caneret.

[6] De divinatione II,26,56: Tu vates Boeotios credis Lebadiae vidisse ex gallorum gallinaceorum cantu victoriam esse Thebanorum, quia galli victi silere solerent, canere victores. Hoc igitur per gallinas Iuppiter tantae civitati signum dabat? An illae aves, nisi cum vicerunt, canere non solent?

[7] De divinatione I,34,74: Quid? Lacedaemoniis paulo ante Leuctricam calamitatem quae significatio facta est, cum in Herculis fano arma sonuerunt Herculisque simulacrum multo sudore manavit! At eodem tempore Thebis, ut ait Callisthenes, in templo Herculis valvae clausae repagulis subito se ipsae aperuerunt, armaque, quae fixa in parietibus fuerant, ea sunt humi inventa. Cumque eodem tempore apud Lebadiam Trophonio res divina fieret, gallos gallinaceos in eo loco sic adsidue canere coepisse, ut nihil intermitterent; tum augures dixisse Boeotios Thebanorum esse victoriam, propterea quod avis illa victa silere soleret, canere, si vicisset.

[8] De divinatione II,26,56-57: Tu vates Boeotios credis Lebadiae vidisse ex gallorum gallinaceorum cantu victoriam esse Thebanorum, quia galli victi silere solerent, canere victores. Hoc igitur per gallinas Iuppiter tantae civitati signum dabat? An illae aves, nisi cum vicerunt, canere non solent? "At tum canebant nec vicerant: id enim est", inquies, "ostentum." Magnum vero, quasi pisces, non galli cecinerint! [...] [57] Democritus quidem optumis verbis causam explicat cur ante lucem galli canant: depulso enim de pectore et in omne corpus diviso et mitificato cibo, cantus edere quiete satiatos; qui quidem silentio noctis, ut ait Ennius, "... favent faucibus russis | cantu, plausuque premunt alas."

[9] Scenica, 219-221. – Filippo Capponi in Ornithologia Latina (1979) riporta il testo dell’edizione Vahlen: favent faucibus russis | Missis cantu plausuque premunt | Alas; (a pagina 262, alla voce Gallus).

[10] Il download dell’errore è stato perpetrato a carico dell’erroneo testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 383: Qui quidem, ut ait Ennius, silentio noctis favent faucibus, rursum cantu plausuque premunt alas.

[11] Aldrovandi non cita dall'opera originale di Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium libri novem) in cui il brano è assente, ma, seppure con piccolissime differenze, dall'Epitome Valerii Maximi di Giulio Paride: P. Claudius bello Punico primo, cum proelium navale committere vellet, auspiciaque more maiorum petisset, et pullarius non exire cavea pullos nuntiasset, abici eos in mare iussit, dicens 'quia esse nolunt, bibant!'. (J. Briscoe, Leipzig, Teubner 1998 - I 4,3, p. 34,41) § L’episodio relativo a Publius Claudius è presente, per esempio, in Livio, Periocha XIX: Caecilius Metellus rebus adversus Poenos prospere gestis speciosum egit triumphum, XIII ducibus hostium et CXX elephantis in eo ductis. Claudius Pulcher cos. contra auspicia profectus - iussit mergi pullos, qui cibari nolebant - infeliciter adversus Carthaginienses classe pugnavit, et revocatus a senatu iussusque dictatorem dicere Claudium Gliciam dixit, sortis ultimae hominem, qui coactus abdicare se magistratu postea ludos praetextatus spectavit.

[12] Svetonio De vita Caesarum - Galba 18: Magna et assidua monstra iam inde a principio exitum ei, qualis evenit, portenderant. [...] Observatum etiam est kal. Ian. sacrificanti coronam de capite excidisse, auspicanti pullos avolasse; adoptionis die neque milites adlocuturo castrensem sellam de more positam pro tribunali oblitis ministris, et in senatu curulem perverse collocatam.

[13] In Antonio. (Aldrovandi) - Plutarco, Vite parallele, Antonio 33,1-3: After this settlement, Antony sent Ventidius on ahead into Asia to oppose the further progress of the Parthians, while he himself, as a favour to Caesar, was appointed to the priesthood of the elder Caesar; everything else also of the most important political nature they transacted together and in a friendly spirit. But their competitive diversions gave Antony annoyance, because he always came off with less than Caesar. [2] Now, there was with him a seer from Egypt, one of those who cast nativities. This man, either as a favour to Cleopatra, or dealing truly with Antony, used frank language with him, saying that his fortune, though most great and splendid, was obscured by that of Caesar; and he advised Antony to put as much distance as possible between himself and that young man. "For thy guardian genius," said he, "is afraid of his; and though it has a spirited and lofty mien when it is by itself, when his comes near, thine is cowed and humbled by it." [3] And indeed events seemed to testify in favour of the Egyptian. For we are told that whenever, by way of diversion, lots were cast or dice thrown to decide matters in which they were engaged, Antony came off worsted. They would often match cocks, and often fighting quails, and Caesar's would always be victorious. At all this Antony was annoyed, though he did not show it, and giving rather more heed now to the Egyptian, he departed from Italy, after putting his private affairs in the hands of Caesar; and he took Octavia with him as far as Greece (she had borne him a daughter). (published in the Loeb Classical Library, 1920)

[14] Vitellius, 9: [...] mox Viennae pro tribunali iura reddenti gallinaceus supra umerum ac deinde in capite astitit. Quibus ostentis par respondit exitus; nam confirmatum per legatos suo imperium per se retinere non potuit. - 18: Periit cum fratre et filio anno vitae septimo quinquagesimo; nec fefellit coniectura eorum qui augurio, quod factum ei Viennae ostendimus, non aliud portendi praedixerant, quam venturum in alicuius Gallicani hominis potestatem; siquidem ab Antonio Primo adversarum partium duce oppressus est, cum Tolosae nato cognomen in pueritia Becco fuerat; id valet gallinacei rostrum.

[15] Aldrovandi ne ha parlato a pagina 196.