Vol. 1° -  VIII.2.4.l.

Le notizie decisive giungono all’ultimo momento

Dopo questa tripla maratona è chiaro che concordo con l’ipotesi di Finsterbusch, anche se Salomone, non essendo uno stinco di Santo, può metterci facilmente knock-out.

Come al solito, dopo aver messo sottosopra mari e monti, le notizie decisive arrivano all’ultimo minuto. La tripla maratona sarebbe stata evitata, sia a voi che a me, se avessi avuto anzitempo la ventura di incappare nella cortesia e nella pronta collaborazione di Padre Emiliano da Novara, al secolo Emiliano Vallauri, Cappuccino al Convento di Tortona (AL).

Un ministro di Dio rintracciato per il rotto della cuffia, grazie al quale ebbi modo di mettermi in contatto con Padre Emiliano, mi aveva risposto con aria di sufficienza che c’era da far ridere i polli se, per le mie fisime, avessimo incomodato non so più quale insigne biblista - ora a Gerusalemme - in quanto il mio quesito suonava piuttosto profano: chiarire una volta per tutte se ’sto famigerato barburîm è da tradurre con polli o con cigni o con qualsivoglia volatile.

Ovviamente mi sono risentito per questi apprezzamenti, e doppiamente, in quanto un insegnante di filosofia che si permetta di sussurrare che solo la sua materia è sancta et laudabilis meriterebbe il rogo, come ai bei tempi, ma se invece che al telefono l’avessi avuto di fronte, l’avrei incenerito con lo sguardo senza prima farlo arrosto. E deve averla capita l’antifona, in quanto si è portato di colpo su posizioni più miti sganciando, alla fine, nome e indirizzo del Cappuccino.

O 'sto prete è di altissimo lignaggio, oppure viene dalla gleba, e in cuor suo odia talmente terra e derivati, che anche il pollo, ruspante e razzolatore, ci fa la figura del fesso insieme a chi se ne occupa.

Bando alle polemiche. Padre Emiliano è andato a spigolare nei meandri della sua memoria e della sua biblioteca. Eccone il frutto.

Franciscus ZORELL, Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti, pag. 127a
Barburîm

aves altiles speciei ignotae (STV aves): anseres?, sec. Kimchi galli vel capones.

uccelli ingrassati di specie ignota (nelle versioni siriaca S - aramaica = Targum, T - Vulgata V - uccelli): oche?, secondo Kimchi galli oppure capponi.


L. Alonso SCHOEKEL, Diccionario bíblico hebreo español, Madrid 1994
Barburîm:

- cuclillo, ganso - cuculo, oca
- aves de corral - volatili da cortile

W. BAUMGARTNER - J.J. STAMM, Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament, pag. 147b
*Barbur:; pl.Barburîm

Vogel gemästet f. d. Tafel Salomos IK53

Uccello ingrassato per la tavola di Salomone, I libro dei Re, 5,3

ar. Abu burbur Kuckuck, am Mittelmeer heut u. im Altertum beliebter Leckerbissen, Plin. N.H. X 11

arabo abu burbur Cuculo, nell’area del Mediterraneo oggi e nell’antichità prelibata ghiottoneria, Plinio, Naturalis Historia X 11 [Nulla tunc avium suavitate carnis comparatur illi - Nessun uccello può essergli paragonato per la prelibatezza della carne. Capponi precisa che le carni del cuculo sono grasse e saporite specialmente in agosto-settembre, cioè nel periodo della migrazione autunnale. Ne sapeva qualcosa anche lo stesso Aristotele.]

Gans

Oca

ar. Birbir, junge Hühner

arabo birbir, pulcini di gallina


Phyllis GLAZER, Mense e cibi ai tempi della Bibbia. Gusti, alimenti e riti della tavola nell'Antico e nel Nuovo Testamento, Piemme Casale M. 1995, 215:

"Sappiamo che il re Salomone apprezzava molto i barburîm (ebraico), ma gli ornitologi sono divisi sull'interpretazione da dare alla parola. Dal momento che Salomone amava i cibi più raffinati è possibile che i suoi uccelli grassi fossero oche, anatre e faraone importate dall'Egitto. Ma alcuni suggeriscono che potesse trattarsi di semplici galline, a quell'epoca un cibo esotico."

AA.VV., Fauna and Flora of the Bible [Helps for Translators], London, New York, Stuttgart 1980, 39:
Goose Branta
Hebrew: barburîm

Description: The Hb words in 1 K4.23, barburîm 'abhusim, literally means some kind of fattened fowl (as in RSV, NEB) As the Hb bar means pure, white, some commentators have suggested the swan, as a clean, white bird. But Bodenheimer says that no swan is common in Palestine. On the other hand, ivory carvings from Megiddo which date from the tenth century BC represent peasants carrying geese to market, and the oldest Egyptian paintings of birds (from the tomb of Ra-hotep at Meidum) show different kinds of geese feeding on the ground (cf Parmelee, p.82). Several translators are therefore inclined to identify the barburîm with geese. The species cannot be decided.

Descrizione: le parole ebraiche nel Primo Libro dei Re 4:23 barburîm ‘abhusim letteralmente significano qualche tipo di uccello ingrassato. Dal momento che l’ebraico bar significa bianco puro, alcuni commentatori hanno suggerito il cigno, essendo un uccello pulito, bianco. Ma Bodenheimer dice che il cigno non è comune in Palestina. D’altronde, sculture in avorio provenienti da Megiddo, risalenti al X sec. aC, rappresentano contadini che recano oche al mercato, e i dipinti egiziani più antichi aventi gli uccelli come soggetto (provenienti dalla tomba di Ra-hotep a Meidum) mostrano differenti tipi di oche che stanno mangiando al suolo. Diversi traduttori sono pertanto inclini ad identificare i barburîm con le oche. Non si può stabilire a quale specie appartengano.

Other suggestions have been made, such as the guinea hen and the lark-heeled cuckoo (Centropus aegyptiacus Shelley) which when stuffed was considered a great delicacy in ancient Greece; JB translates cuckoo. The Arabic name for chicken, birbir, may have been derived from barburîm.

Sono stati proposti altri suggerimenti, tipo la faraona e il cuculo dallo sperone egiziano (Centropus aegyptiacus Shelley) che, quando farcito, era considerato una vera prelibatezza nell’antica Grecia; JB dà la traduzione di cuculo. Il nome arabo usato per indicare il pollo, birbir, può essere stato tratto da barburîm.

Qui finiscono le preziose informazioni di Padre Emiliano, che concordano con la tesi che sono andato faticosamente sostenendo.

Pare quasi una congiura, ma oggi in ebraico con barbur si intende cigno. Ciò non vuol dire che l’accezione in passato fosse, oltre che diversa, anche caleidoscopica.

Grazie al Professor Ferdinando Luciani, docente di Ebraico e Lingue Semitiche Comparate all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ho potuto appurare che la parola barburîm, plurale di barbur, fa la sua comparsa una sola volta in tutta la Bibbia, e precisamente nel passo del Libro dei Re oggetto di tanta attenzione.

Si tratta perciò, come dicono i tecnici, di un hápax legómenon, che in greco significa detto una sola volta. Inoltre, il singolare barbur non è contenuto nel testo ebraico dell’Antico Testamento. Ecco quindi spiegato l’asterisco che precede barbur nel Lexikon di Koehler-Baumgartner.

Nel Levitico, per indicare il cigno tra gli uccelli vietati, viene usato il vocabolo tinšèmet, che, come forse avete subodorato, significa non solo cigno. E qui cominciano le dolenti note. Il professor Luciani mi ha inviato anche la pagina del Lexicon Hebraicum di Zorell in cui figura la voce tinšèmet:

1) avis quaedam immunda Lv 11 18. Dt 14 16, sec. versiones prob. cygnus (sec. recentiores noctua vel anser vel pelecanus onocrotalus etc.); cygni saltem duae species in Palestina occurrunt.

1) in Lv 11,18 e in Dt 14,16: un qualche uccello immondo, secondo le versioni probabilmente cigno (secondo interpretazioni più recenti civetta oppure oca oppure pellicano comune ecc.); in Palestina compaiono almeno due specie di cigno.

2) reptile immundum Lv 11 30, prob. chamaleon (G ἀσπάλαξ, V talpa).

2) in Lv 11,30: rettile immondo, probabilmente camaleonte (nelle versioni greche aspálax - nella Vulgata talpa [ambedue i termini in italiano significano talpa])

Se son degno di fede, allora non sto a riportare per intero i passi biblici del Levitico e del Deuteronomio in cui vengono elencati gli uccelli da aborrire, limitandoci a vedere cosa specificano i rispettivi versetti citati nel Lexicon Hebraicum, oltre a qualche aggiunta:

Lv 11,18: il cigno, il pellicano e la folaga

Lv 11, 16: lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparvieri

Lv 11,17: il gufo, lo smergo e l’ibis

Dt 14,16: il gufo, lo strige, l’ibis

Dt 14,15: lo struzzo, il barbagianni, il gabbiano e ogni specie di sparvieri

Lv 11,30: il toporagno, il camaleonte, il ramarro, la tartaruga e la talpa

Sono costretto a desumere dal Lexicon che la parola tinšèmet è tutt’altro che univoca, indicando il cigno in Lv 11,18 mentre indica il gufo - o uno strigiforme suo pari - in Dt 14,16.

Ecco, però, che in Lv 11,30 tinšèmet starebbe ad indicare il camaleonte. Per affinità mi vien da dire che si tratta proprio di una parola camaleonte.

Imprecisa alquanto - se ci basiamo sulle note introduttive a questo lungo discorso - è la strige del Dt 14,16. Chi era costei?

Che sia l’allocco, Strix aluco, essendo la strix più conosciuta, mai citato sia dal Levitico che dal Deuteronomio? In base alla lista redatta da Shulov, l’allocco era noto in Palestina, in quanto viene citato in Isaia 34,14.

Oppure, che il gufo del Dt 14,16 vada tradotto con cigno - visto che questo non vi viene elencato - e la strige con civetta?

E qual è il criterio secondo cui alcuni interpreti più recenti sono dell’avviso che tinšèmet non significa cigno, bensì civetta, la quale se ne sta appollaiata nel Levitico due versetti prima del cigno? (Lv 11,16).

Lo stesso vale per il pellicano, che addirittura nel Levitico sta nuotando a fianco del cigno. E che dire di camaleonte e talpa, separati in Lv 11,30 da soli due animali immondi? Secondo questi stessi criteri esegetici anche l’oca diventerebbe una portata da non includere nei menu ebraici, in quanto anch’essa potrebbe essere identificabile con tinšèmet.

Credo che cominci a girare la testa anche a voi, ma vi consiglio una terapia: se siete avidi di sapere, appagate le vostre brame dedicandovi sin d’ora solo e solamente a quest’argomento. Avrete un passatempo assicurato per tutta la vita, che ovviamente vi auguro lunga e serena. Per assuefazione le vertigini scompariranno.

E, se siete avidi di notizie, posso aggiungere rapidamente che nel Lexikon di Koehler-Baumgartner alla voce tinšèmet vengono citate altre possibilità interpretative: Vormela peregunsa, la Puzzola marmorizzata, e, dulcis in fundo, Numida meleagris, la nostra squisita Faraona anch’essa da bandire dalle mense di Salomone, il quale, se mangiava galline faraone, mangiava verosimilmente quelle dalle caruncole azzurre, la Numida meleagris meleagris, quella che Ghigi denominava Numida meleagris ptilorhyncha, dell’Africa orientale. Potrebbe darsi che l’esegeta che vuole identificare tinšèmet con la Numida meleagris appartenga a una qualche comunità ashkenazita, contraria all’impiego alimentare di quest’uccello.

Una carenza molto grave che posso ravvisare in questo contorsionismo linguistico è il fatto di non sapere quali sono le precise parole impiegate, per esempio, in Dt 14,16. Infatti, il Lexicon dice che tinšèmet compare in questo versetto, ma non ne dà la posizione, e io non ho mai letto una lingua semitica, salvo pochissime parole di arabo. Peccatucci di gioventù! - veniali tra l’altro -  perché il fatto non si è tramutato in vizio, essendo il tutto caduto nell’oblio.

Ma la cosa che più di tutte mi manca è l’etimologia di tinšèmet, e forse verremmo a capo di questo busillis. Il Professor Luciani non è a conoscenza di tale etimologia e non gli chiederò più di tanto. Ritengo che importunare il prossimo è una libertà che posso prendermi solo con voi che avete la pazienza di continuare a cavarvi gli occhi leggendo tutte queste assurdità. Ma, grazie a Dio, non posso udire né lamentele né mugugni.

Il Professor Luciani è a prova di bomba, per cui pur di accontentarmi ha consultato i repertori bibliografici riguardanti il lessico ebraico di questi ultimi trent’anni, ma non ha trovato alcun studio dedicato ai due vocaboli che hanno richiesto tanto inchiostro: barburîm e tinšèmet.

Il Professor Luciani è anch’egli dell’avviso che Salomone non mangiasse cigni, e ha soggiunto che, nonostante l’ampia scelta di partners d’alcova, si attenesse scrupolosamente alle regole alimentari.

Dagli e ridagli, ecco che viene fuori l’etimologia di tinšèmet, che in ebraico attuale identifica la Tyto alba. Amir, fratello del mio collega Ilan Rosenberg, ha inviato da Tel Aviv, via telefax, la tanto sospirata notizia.

Le possibilità sono due:

§ da nošem, che significa respiro; il verbo è linšom, cioè, respirare

§ da nešem = nešef, che significa notte.

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