Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

245

 


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[245] Leontinus urina quoque rostra abluere iubet, quasi ea per se sola pituitam curare apta sit. Verum et membrana ipsa leviter unguibus avellitur, ac post allio trito plaga mundata conspergitur.

Leontinus - un geoponico - consiglia anche di lavare i becchi con l’urina, come se essa da sola fosse in grado di curare la pipita. In verità si asporta delicatamente con le unghie la membrana stessa, e poi, dopo essere stata ripulita, la piaga viene cosparsa di aglio tritato.

Eiusmodi vero omnia remedia mediocriter laborantibus Gallinis adhibentur. Nam si pituita circumvenit oculos, et iam cibos avis respuit, ad ferrum deveniendum est. Columella[1] genas rescindi iubet, Paxamus partes aperiri, quae sub gena consistunt, et coactam sub oculis saniem[2] omnem exprimi, atque ita paulum triti salis vulneri infricari. Quo tempore ad umbram ducendas esse admonet. Quod ad potum attinet, is talis sit, quem diximus, aqua munda nempe, vel in aqua allium, vel eiusmodi remedia, qualia recitavimus, macerata sint. Andreas Caesalpinus[3] corticem fraxini internum, aquam in qua maduerit, caeruleam reddere, et Gallinis, cum morbis laborant, apponi scribit, sed ad quos morbos, et cuius authoritate id faciat, non addit. Fas est credere de pituita loqui. Nam etiam antea eius ligni decocto f{a}elici successu Guaiaci loco usurpari dixerat.

Ma tutti siffatti rimedi vengono usati per galline poco ammalate. Infatti se la pipita ha circondato gli occhi e ormai il volatile rifiuta i cibi, bisogna ricorrere a uno strumento di ferro. Columella consiglia che vengano incise le palpebre, Paxamus - un geoponico - che vengano aperte quelle parti che si trovano al di sotto della palpebra e che tutta la saniosità che si è raccolta sotto agli occhi venga spremuta via, e quindi di sfregare la ferita con un po’ di sale macinato. Raccomanda che in tale periodo vengano condotte all’ombra. Per quanto riguarda il bere, deve essere così come abbiamo detto, è cioè acqua pulita, oppure vengano macerati in acqua dell’aglio o quei rimedi che abbiamo detto. Andrea Cesalpino scrive che la parte interna della corteccia del frassino rende azzurra l’acqua in cui è stata macerata, e di darla da bere alle galline quando sono ammalate, ma non aggiunge per quali malattie e in base all’opinione autorevole di chi egli faccia ciò. È lecito credere che egli parli della pipita. Infatti anche prima aveva detto che si può ricorrere con felice esito a un decotto di quel legno al posto del guaiaco.

Secundus morbus, quo Galli, Gallinaeve laborant, {ptiriasis} <phthiriasis>[4] est, cum scilicet pediculis, atque pulicibus infestantur, maxime cum incubant. Hic autem affectus facilius, quam pituita tollitur: quinim<m>o saepenumero sibi ipsis magistrae eo sese pulverando liberant. Caeterum et hoc malo affectis veteres cum Latini, tum Graeci Geoponici remedia praescripsere. Multi illitu olei e lino facillime curari tradunt, staphisagriam, et torrefactum cuminum pari pondere cum vino contusa Palladius[5], Paxamusque laudant, si malum leve est sin pennarum penetraverit secreta, decoctum lupinorum. Sunt qui proprio experimento edocti Gallinas arena litorali, aut, quod praestantius esse aiunt, cineribus saponariorum a lixivio relictis, cura mulierum sese pulverantes, istoc malo ocyus liberari referunt. Varro[6] ab eisdem animalculis praeservandas iri tradit, si in cubilibus, cum pepe<re>runt, auferatur substramen, et recens aliud subijciantur.

La seconda malattia di cui si ammalano i galli o le galline è la ftiriasi, quando cioè vengono infestati dai pidocchi e dalle pulci, soprattutto quando covano. Ma questa malattia viene eliminata più facilmente rispetto alla pipita: infatti molto spesso, maestre di se stesse, se ne liberano facendo bagni di polvere. D’altronde anche gli antichi geoponici sia latini che greci prescrissero dei rimedi per coloro che sono affetti da questa malattia. Molti riferiscono che vengono curati con estrema facilità attraverso delle applicazioni di olio di lino, se l’affezione è lieve Palladio e Paxamus lodano la stafisagria e il cumino torrefatto in peso uguale pestati con vino, se invece è penetrata nelle parti intime delle penne un decotto di lupini. Alcuni, resi edotti da una sperimentazione personale, riferiscono che le galline si liberano prontamente da codesta malattia facendo dei bagni di polvere con una solerzia da donne, usando della sabbia di spiaggia oppure, il che dicono essere più efficace, usando le ceneri dei fabbricanti di sapone, ceneri che residuano dopo la preparazione della liscivia. Varrone riferisce che verranno preservate da questi stessi animaletti se una volta che hanno deposto le uova si toglie la lettiera e se ne mette sotto dell’altra nuova.

Aloisius Mundella Capos epilepsiae obnoxios esse prodidit[7]. An vero Gallus, et Gallina eodem morbo laborent, ignoro. Ex oculis autem laborare, utrumque certe scio, nam et eorum acie parum valere author est Aristoteles[8]. Si itaque ii male habeant, mulieris lacte, aut portulacae succo, vel sale ammoniaco, et cumino, et melle, aequis portionibus contusis illinito. Ipsas vero sub umbras deducito. Crescentiensis[9] haec remedia ita recitat, ac si prodessent etiam ad grana illa, quae sub oculis provenire solent ex esu Lupinorum amarorum, quod minime probo, quandoquidem ea, nisi acu leviter apertis pelliculis auferantur[10], visum extinguunt, tantum abest, ut tam levibus medicamentis cedant.

Luigi Mondella ha riferito che i capponi vanno soggetti all’epilessia. Io non so se il gallo e la gallina soffrono di questa stessa malattia. Ma so con sicurezza che ambedue si ammalano agli occhi, infatti Aristotele riferisce che essi non stanno molto bene per quanto riguarda la loro acutezza visiva. Pertanto, se gli occhi sono ammalati, dovrai spalmarli con latte di donna, oppure con succo di portulaca, oppure con cloruro d’ammonio pestato insieme al cumino e al miele in parti eguali. Ma dovrai trasferirle all’ombra. Pier de’ Crescenzi cita così questi rimedi, come se fossero utili anche per quelle granulosità che sogliono presentarsi sotto agli occhi per aver mangiato i lupini amari, ma non l’accetto assolutamente, dal momento che se non vengono asportate mediante un ago dopo aver aperto con delicatezza la pellicina che le ricopre, fanno perdere la vista, è quasi impossibile che se ne vadano con farmaci tanto leggeri.

Depravatur item huic avium generi appetentia, ac potissimum Gallinis, hisque {niti} <nisi> cum pariunt. Etenim tum quandoque cum propria tum aliena ova depascuntur. Si ergo ita laborent, ut a tam pravo more desuescant ex ovo albumen effundes, et in luteo ipso humidum gypsum inijcies, ut testae duritiem contrahat. Volentes quippe in subiecto ovo gulam explere, nec in eo amplius invenientes quid succi, ovorum aliorum fastidio capiuntur, atque ita tandem appetentia illa depravata corrigitur.

Parimenti a questo genere di volatili si altera il desiderio di cibo, e soprattutto alle galline, e in esse proprio quando depongono le uova. E infatti in tale periodo talora mangiano sia le proprie che le altrui uova. Pertanto se presentano questa malattia, affinché perdano una così perversa abitudine farai uscire dall’uovo l’albume e metterai sul tuorlo stesso del gesso bagnato in modo che raggiunga la durezza del guscio. Pertanto quelle che vogliono appagare la gola con l’uovo che è stato messo sotto di loro, e non trovandovi più nessun liquido, vengono prese da un’avversione per le altre uova, e così finalmente quel desiderio perverso viene guarito.

Si diarrhoea infestat illas, ut fit quandoque, farinae tantum, quantum manu apprehendi possit, tantumdemque c{a}erae[11] vino levigabis, et pastam conficies atque ante alium cibum devorandum offeres: aut pomorum[12], Cydoniorumve decoctum bibendum dabis. Quae mala sub cineribus cocta in eodem casu auxiliantur.

Se la diarrea le tormenta, come talora accade, impasterai tanta farina quanta se ne può prendere con una mano e la renderai omogenea con vino e con altrettanta cera, e ne farai un impasto e lo darai da mangiare prima di qualsiasi altro cibo: oppure potrai dare da bere un decotto di mele oppure di mele cotogne. Queste mele fatte cuocere sotto le ceneri sono d’aiuto in questa stessa situazione.

Aegrotant praeterea Gallinae, teste Alberto, cum multa pariunt, et non incubant, eo quod non abstrahuntur a partu: quoniam ipsis omnis potentia, ac virtus ob nimium partum exhauritur. Quod, ut videtur, Albertus ab Aristotele mutuatus est, sed qui id universaliter de omnibus avibus prodidit. Rursus, quae incubant aegrotare quibusdam dicuntur, sed tunc animo potius, quam corpore languent. Nam nimius erga pignora sua amoris affectus, quem immutata vox acutior nempe facta indicat, morbi istius, si ita appellare placet, causa existit. Eodem tempore furere Aristoteles[13] eas dixit propter inediam. Cum mulieribus vero commune habent, quod abortiunt. Qui sane affectus heris maximo detrimento est, quod ova imperfecta, ac non debito saepe tempore pariant. His ita medetur: ovi candidum assatum, et uvas passas tostas aequo pondere terunt, et ante alium cibum offerunt.

Inoltre, stando ad Alberto, le galline si ammalano quando depongono molte uova e non covano, in quanto non vengono distolte dalla deposizione: poiché a causa dell’eccessiva deposizione si esaurisce ogni forza ed energia. A quanto pare Alberto l’ha desunto da Aristotele, il quale tuttavia ha riferito ciò a proposito di tutti quanti gli uccelli. Invece da parte di alcuni si dice che si ammalano quelle che covano, ma in quel periodo sono malate più nello spirito che nel corpo. Infatti l’eccessivo sentimento d’amore verso i loro figli, che rivela la voce immutata diventata però più acuta, è la causa di questa malattia, se vogliamo chiamarla in questo modo. Aristotele ha detto che sempre in quel periodo esse sono furiose a causa del digiuno. Ma hanno in comune con le donne il fatto che possono abortire. Senza dubbio questa malattia rappresenta un grandissimo danno per i padroni, in quanto depongono delle uova imperfette e spesso non a tempo debito. A queste cose si pone rimedio così: pestano dell’albume cotto e dell’uva passa abbrustolita in peso uguale e glieli danno da mangiare prima di qualunque altro cibo.

Atque hi ferme Gallorum, Gallinarumque affectus sunt. Quod modo ad pullos spectat, ii quasi primis infantiae diebus persedulo tractandi sunt, plumulaeque sub cauda clunibus subtrahendae, ne stercore coinquinatae durescant, et naturalia praecludant. Sed quanvis id caveatur, saepe tamen evenit, ut alvus exitum non habeat: itaque pinna pertunditur, et iter digestis cibis praebetur. Cavendum pariter, ne stercus etiam pedibus eorum adhaereat; nam podagram creat, sed qua Capi magis quam Galli afficiantur, quinim<m>o Capi miris modis, Galli non, si Scaligero[14] credimus, qui huius quaesiti etiam hanc rationem assignat: Quia Capis pusillus calor, edacitas multa: in Gallo calor multus, cibi abstinentia non minor.

E di solito sono queste le malattie dei galli e delle galline. Per quanto riguarda solamente i pulcini, essi sono da trattare con estrema cura quasi dai primi giorni di vita, e bisogna asportare il piumino dalle natiche sotto la coda affinché non si indurisca dopo essere stato contaminato dalle feci, occludendo la cloaca. Ma nonostante si prenda questa precauzione, tuttavia accade spesso che l’alvo non sia pervio: pertanto viene forato con una penna e viene fornito il transito ai cibi digeriti. Bisogna parimenti fare attenzione che lo sterco non aderisca alle loro zampe; infatti causa la podagra - pododermatite, ma della quale si ammalerebbero più i galli dei capponi, anzi, i capponi in modo straordinario e i galli no, se crediamo a Giuseppe Giusto Scaligero che dà anche questa spiegazione a questo quesito: Perché i capponi hanno poco calore e una grande voracità: nel gallo il calore è parecchio e la moderazione nel nutrirsi non è inferiore.


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[1] De re rustica VIII,5,22: Atque haec remedia mediocriter laborantibus adhibentur. Nam si pituita circumvenit oculos et iam cibos avis respuit, ferro rescinduntur genae, et coacta sub oculis sanies omnis exprimitur. Atque ita paulum triti salis vulneribus infria[n]tur.

[2] Il latino sanies deriverebbe dall'ebraico snh = che deve essere cambiato, in quanto si tratta di sangue che si è tramutato. Si tratta, in parole povere, di sangue putrido o di secrezione putrida. Saniosità è un termine inabituale in italiano, essendo noto l'aggettivo sanioso, ma è correntemente usato dai discepoli di Esculapio.

[3] De plantis liber 3, caput 13. (Aldrovandi)

[4] Dal greco phtheír, pidocchio, dal verbo phtheírø = distruggo.

[5] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 3: Pediculos earum perimit staphis agria et torrefactum cyminum pari pondere, et pariter tunsa cum vino, et amari lupini aqua, si penetret secreta pennarum.

[6] Rerum rusticarum III,9,8: In cubilibus, cum parturient, acus substernendum; cum pepererunt, tollere substramen et recens aliud subicere, quod pulices et cetera nasci solent, quae gallinam conquiescere non patiuntur; ob quam rem ova aut inaequabiliter maturescunt aut consenescunt.

[7] Epistolae medicinales (1543) pag 63: Extremum illud addam, multos profecto mihi affirmasse, praesertim Totum nostrum plurimae sane lectionis, nec vulgaris iudicii virum, se videlicet propriis oculis vidisse, qualeas [sic!] comitiali morbo corripi: traditum enim a Plinio de coturnicibus, a nullo vero de alpinis nostris coturnicibus, quod sciam, nec hactenus visum, nec auditum. Plinii vero sententia illa, coturnices animalium solas, praeter hominem, talem morbum sentire, nobis profecto dubitandi occasionem praebuit: nonnulla enim alia sunt animalia, quae hoc afficiuntur malo, quemadmodum quos saepe nos vidimus, catti, &, ut ab aliis accepi, capi gallinacei, alaudae, equi, picae.

[8] Aldrovandi a questo punto dà un’indicazione bibliografica che potrebbe essere riferita alla Historia animalium di Aristotele. Lind la riferirebbe invece ad Aloysius Mundella, e precisamente alle Epistolae medicinales 2.2 e non a un’ipotetica Historia di Mondella aldrovandesca, in cui ovviamente Mondella non parlerebbe di occhi, ma di epilessia. Comunque sia, la mia ricerca nella Historia animalium non ha trovato alcuna affermazione di Aristotele circa il fatto che l’acutezza visiva oppure il vigore oculare dei polli sarebbero scarsi. Aldrovandi dà la referenza al libro II, capitolo 2. I dati di Aristotele relativi all’occhio dei polli - a occhi sani dei polli - li ho invece trovati in Historia animalium II,12: Al pari degli altri animali, tutti gli uccelli hanno due occhi, privi di ciglia. Gli uccelli pesanti [i gallinacei, secondo Mario Vegetti] chiudono gli occhi con la palpebra inferiore, ma tutti hanno il movimento nittitante grazie a certa pelle che copre l’occhio a partire dall’angolo; gli strigiformi lo chiudono anche con la palpebra superiore. Lo stesso fanno anche gli animali a squame cornee, come le lucertole e gli altri animali di questo genere: tutti chiudono gli occhi con la palpebra inferiore, ma non presentano però, a differenza degli uccelli, il movimento nittitante. (traduzione di Mario Vegetti)

[9] È inutile che Aldrovandi si metta a mistificare le fonti allo scopo di glorificare un concittadino. Infatti questa terapia oculare è di Palladio Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 3: Oculos portulacae suco forinsecus et mulieris lacte curemus, vel ammoniaco sale, cui mel et cyminum aequale miscentur. - Pier de’ Crescenzi si limita a ripetere pedissequamente quanto riferito da Palladio. Per cui non vale neppure la pena citare quanto contenuto nel suo Ruralium commodorum - Libro IX - Di tutti gli animali che si nutricano in villa - capitolo LXXXVI - Delle galline - pagina 241 (traduzione italiana stampata nel 1490, di proprietà della Army Medical Library (n° 32563) Washington DC, USA - pubblicata da http://gallica.bnf.fr)

[10] Se ne è già parlato a pagina 232.

[11] L'impiego della cera in caso di dissenteria era consigliato anche da Dioscoride (II,76 nell'edizione di Pierandrea Mattioli, 1554). Se mettiamo a caerae la c maiuscola, ci troviamo di fronte al sostantivo Caerae che non esiste. Esiste solamente Caere, indeclinabile, che significa Cerveteri. Dal testo di Aldrovandi - tantumdemque caerae vino levigabis – sembrerebbe che si deve usare vino non di caerae, bensì di Caere, di Cerveteri, che oggi produce 3 vini DOC. Ma l'errore tipografico diventa palese disponendo del testo di Conrad Gessner (Historia animalium III, 1555, pag, 431): Diarrhoea correptas curabis, si farinae (ἀλφίτων. polentae, Cornarius) quantum manu apprehendi possit tantundemque ex cera vino laevigans, atque pastam coficiens, ante alium cibum obtuleris devorandum: aut pomorum etiam, [432] cydoniorumve decoctum bibendum. Quae mala, etiam sub cineribus cocta, auxiliantur, Paxamus. § Per cui l'errore tipografico di Aldrovandi sta in caerae invece di cerae. § La conferma che non si tratta di vino di Cerveteri ci viene, oltre che da Gessner, anche dal testo originale di Paxamus e dalle corrette traduzioni di Laguna e Cornarius. Eccone i brani. § Paxamus: Διάῤῥοιαν δὲ ἰάσῃ ἀλφίτων χειροπληθὲς καὶ κηροῦ τὸ ἶσον οἴνῳ μίξας, καὶ μάζας ποιήσας, καὶ διδοὺς πρὸ τῆς ἄλλης τροφῆς· (Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De Re Rustica Eclogae - recensuit Henricus Beckh - Teubner – Stoccarda e Lipsia – 1994) § Andrés de Laguna: At diarrhoea correptas curabis, si farinae quantum manu apprehendi possit, tantundemque ex cera vino levigans, atque pastam conficiens, ante alium cibum obtuleris devorandum: [...] (Geoponica libri XIII-XX, 1541) § Janus Cornarius: Alvi pro<>fluvio medeberis, polentae manus plenae mensura et cerae pari copia, vino ammixtis, et in massas coactis, si has ante reliquum cibum praebueris. (Cassii Dionysii Uticensis de agricultura libri XX, 1543) § Lind - grazie all'inaffidabile Aldrovandi, che giace agli antipodi di Gessner - non essendo in grado di risalire alla fonte della ricetta, cioè Paxamus, non può fare un controllo sul testo greco, per cui emenda l'inesistente caerae con caepae, traducendo con onion anziché con wax: If diarrhoea troubles them, as sometimes happens, take a handful of meal and pulverise it with the same amount of onion in wine. Make a paste and feed it to the hens before they eat any other food, [...] (Aldrovandi on Chickens, University of Oklahoma Press, 1963)

[12] Paxamus ha μήλων = pomi, mele, con cui pertanto si traduce pomorum.

[13] 10 Probl. 73 (Aldrovandi). § Non si capisce a chi faccia riferimento Aldrovandi in questa nota a bordo pagina. Verosimilmente si tratta dei Problemata di Aristotele, o dello Pseudo Aristotele come oggi si afferma. Tuttavia il rimando potrebbe essere 10,37 anziché 10,73. Infatti in Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 423 possiamo leggere: Gallinae cum incubant, non cum peperint, furiunt, ratione inediae, Aristot. in Problem. 10.37. § La conferma viene dalla traduzione dei Problemata di Teodoro Gaza (Problematum Aristotelis sectiones duaedequadraginta Theodoro Gaza interprete Lugduni mdli) che, cronologicamente, potrebbe essere quella consultata da Gessner per la stesura del testo relativo agli uccelli. Infatti nell'edizione di Gaza la citazione appartiene alla sezione X paragrafo 37. Se non bastasse, la sezione X arriva al massimo a 67 paragrafi e non a 73. § In base al testo di Gaza contenuto nel paragrafo 37 e alla suddivisione della sezione X dei Problemata al massimo in 67 paragrafi, si opta per una citazione corretta di Gessner e incorretta di Aldrovandi (anche se probabilmente tratta da Gessner, come era solito fare), citazione incorretta dovuta magari non al povero pluripeccaminoso Ulisse, bensì alla tipografia bolognese.

[14] Exercitationes 277.2. (Aldrovandi)