Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

248

 


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[248] COGNOMINATA.

SOPRANNOMI

Antiquissimus ille Italiae princeps, conditorque Comerus Galli cognomentum obtinuit. Regnavit hic, teste Beroso, et colonias suas posuit in regno, quod post Italia dicta est anno Saturni decimo, et regionem suam a suo nomine cognominavit, docuitque illos legem, et iustitiam. Fuit iste Comerus primogenitus Iapeti post diluvium, et Gallus paterno epitheto dictus Arameae, et Hebraeae originis quasi inundatus: Unde Ianigenas, qui Umbros vetustissimos Italiae genuerunt, Gallos veteres progenitores Umbrorum vocat Cato[1], et Solinus[2]{.} Veterum, inquit, Gallorum prolem Umbros esse M. Antonius asseverat. Hos eosdem, quia in clade aquosa imbribus superstites fuerunt, Graece ὄμβρους[3] dictos, scilicet epitheto paterno veterum Gallorum Ianigenarum[4]. Comerus locos, scilicet ubi Ianus avus ante colonias posuerat, a se cognominavit. Nam in {Vetuloniensi} <Volturrenensi[5]> agro est vallis Comera, et Ry Comer{i}us<,> in {Phaliscis} <Faliscis> est regio Comersan, a qua oppidum isola Comersana. {Elusium} <Clusium> quoque antea {Comer} <Camars> solum dicebatur, ut author est Livius[6]. Docuit autem Tuscos legem, atque iura, quae scilicet ante viginti annos, et amplius avus eius Ianus in scriptis illis mandaverat, licet brevibus absoluta.

Gomer - o Comer - quell’antichissimo sovrano dell’Italia e suo fondatore, ricevette il soprannome di Gallo. Come riferisce Beroso, egli vi regnò e fondò le sue colonie in un regno che poi fu chiamato Italia nel decimo anno di Saturno, e soprannominò la sua regione dal suo soprannome, e insegnò loro la legge e la giustizia. Dopo il diluvio questo Gomer fu il primogenito di Giapeto - di Iafet, e fu detto Gallo con un epiteto paterno di origine aramaica ed ebraica, come a voler dire inondato: Per cui Catone chiama i Galli, antichi progenitori degli Umbri, discendenti di Giano, i quali generarono gli Umbri che sono i più antichi dell’Italia, e Solino dice: Marco Antonio Gnifo afferma che gli Umbri sono la discendenza degli antichi Galli. Questi stessi, in quanto erano sopravvissuti alle piogge durante una calamità idrica furono detti ómbrous in greco, cioè con l’epiteto paterno degli antichi Galli discendenti di Giano. Gomer diede il suo nome ai luoghi dove ovviamente l'avo Giano aveva in precedenza fondato le colonie. Infatti nel territorio di Volturrena – non di Vetulonia - si trova la Val Comera e il Rei Comero - il fiume del Re Comero, nel territorio dei Falisci c'è la regione di Comersan, dalla quale deriva il nome della città Isola Comersana. Anche Chiusi prima veniva detta solamente Camars, come testimonia Livio. Egli – Gomer - insegnò agli Etruschi la legge e quel diritto che venti anni e più prima il suo avo Giano aveva tramandato loro per iscritto, sebbene espressi in modo conciso.

Adaeus quidam e Philippi Macedonum regis militibus Ἀλεκτρυὼν, id est, Gallus cognominabatur. Cuius Heraclides Comicus apud Athenaeum[7] his versibus meminit.
Ἀλεκτρυόνα τὸν τοῦ Φιλίππου παραλαβὼν
Ἀωρὶ κοκκύζοντα καὶ πλανώμενον
Κατέκοψεν· οὐ γὰρ εἶχεν· οὐδέπω λόφον.
Ἕνα κατακόψας μάλα συχνοὺς ἐδείπνισε
Χάρης Ἀθηναίους.

Un certo Adeo che faceva parte delle truppe di Filippo II re dei Macedoni veniva soprannominato Alektryøn, cioè gallo. Ne ha fatto menzione Eraclide il Comico  in Ateneo con questi versi:
Alektryóna tòn toû Philíppou paralabøn
Aørì kokkýzonta kaì planømenon
Katékopsen; ou gàr eîchen oudépø lóphon.
Héna katakópsas mála sychnoùs edeípnise
Chárës Athënaíous.

Catturato il Gallo di Filippo, mentre cantava anzitempo, lo fece a pezzi mentre stava gironzolando; infatti non aveva ancora la cresta. Carete, dopo averne tagliata una, invitò a pranzo moltissimi Ateniesi.

Nam hic Chares, inquit Eustathius, Athenienses in foro epulis excepit, cum sacrificaret {epicenia} <epicedia> propter pugnam prospere contra Philippi peregrinos milites gestam. Dicit autem intempestive illum cecinisse, eo quod pugnam intempestive aggressus sit, et nondum cristam habuisse, hoc est, inermem sese periculo exposuisse. Super qua re vulgata satis paroemia[8] circumfertur, Φιλίππου ἀλεκτρυών, in eum, qui de levi, et nullius ferme momenti facinore quopiam, perinde ut maximo, laudandoque ab omnibus sese iactat. Apparet enim Charetem eius facti etiam nimium crebro, nimisque insolenter apud populum Atheniensem verba fecisse, quod Alectryonem Philippi confodisset.

Infatti questo Carete, dice Eustazio di Tessalonica, ospitò gli Ateniesi a pranzo nell’agorà, dal momento che offriva in sacrificio i canti funebri a causa della battaglia espletata con esito favorevole contro le truppe straniere di Filippo. Infatti dice che lui - Alektryøn - cantò fuori tempo, dal momento che intraprese anzitempo la battaglia, e che non aveva ancora addosso la cresta - il pennacchio dell’elmo, cioè, che si espose senza protezione al pericolo. A questo proposito viene fatto circolare un proverbio abbastanza noto, Philíppou alektryøn, rivolto a colui che si vanta di un’impresa di poco e quasi nessun conto, come se fosse di enorme importanza e da essere lodata da tutti. È chiaro infatti che Carete parlò al popolo ateniese di quel fatto anche troppo spesso e in modo troppo insolente, per il fatto di aver ucciso l'Alettrione di Filippo.

{Sulpitius} <Sulpicius> Gallus cognominatus consul Romanus cum M. Marcello insignis commemoratur {fnisse} <fuisse> astrologus, ut qui in exercitu P. Aemilii contra Perseum noctu {ecclypsim} <eclipsim> Lunae mirantibus militibus enarravit. De eo ita scribit Valerius Maximus[9]: {Sulpitii} <Sulpicii> Galli maximum in omni genere literarum recipiendo studium plurimum reipublicae profuit. Nam cum L. Pauli bellum adversum regem Persen gerentis legatus esset, ac serena nocte subito Luna defecisset: eo quod veluti {duro} <diro> quodam monstro perterritus exercitus noster manus cum hoste conserendi fiduciam amisisset, de caeli ratione, et siderum natura peritissime disputando, alacrem eum in aciem misit. Itaque illi inclitae Paulianae victoriae liberales artes Galli aditum dederunt: quia nisi ille metum nostrorum militum vicisset, imperator Romanus vincere hostes non potuisset. Meminit eiusdem Plinius[10] his verbis: Et rationem quidem defectus utriusque (Solis, et Lunae) primus Romani generis in vulgus extulit {Sulpitius} <Sulpicius> Gallus, qui Consul cum M. Marcello fuit: sed tum tribunus militum, solicitudine exercitu liberato, pridie quam Perseus Rex superatus a Paulo est, in concionem ab Imperatore productus ad {praedicandam} <praedicendam> {ecclypsim} <eclipsim>, mox et composito volumine.

Gaio Sulpicio soprannominato Gallo, console romano insieme a Marco Claudio Marcello, viene ricordato per essere stato un insigne astronomo, come colui che quando faceva parte dell’esercito di Paolo Emilio Lucio contro Perseo spiegò di notte ai soldati stupiti l'eclissi di luna. Così scrive Valerio Massimo di lui: Il grandissimo zelo di Sulpicio Gallo nell’apprendere ogni tipo di sapere fu di grandissima utilità allo Stato. Infatti mentre era luogotenente di Lucio Paolo che stava facendo la guerra contro il re Perseo e durante una notte serena la luna si era improvvisamente eclissata, tant’è che il nostro esercito atterrito come da un mostro terribile aveva perso il coraggio di venire alle mani col nemico, dissertando in modo molto esperto sulle dottrine celesti e sulla natura degli astri lo mandò pieno di entusiasmo in battaglia. Pertanto le arti liberali di Gallo fornirono il primo passo a quella famosa vittoria di Paolo: in quanto se egli non avesse sopraffatto la paura delle nostre truppe, il generale romano non avrebbe potuto sconfiggere i nemici. Plinio fa menzione dello stesso con queste parole: E Sulpicio Gallo fu il primo della stirpe romana a fornire al popolo il motivo dell’eclissarsi di ambedue (della luna e del sole), il quale fu console con Marco Claudio Marcello: ma allora era tribuno militare, e avendo liberato l’esercito dall’ansietà il giorno prima che il re Perseo fosse sconfitto da Paolo, in quanto era stato fatto salire dal generale sulla tribuna per predire l’eclissi, in seguito se ne fece anche un libro.

Galli cognomine gavisus est Cornelius poëtarum laudatissimorum haud infimus, nemini non notus, quem adeo adamavit {Virgilius} <Vergilius>, ut quartum Georgicorum librum a medio in finem usque in illius honorem conscripserit, quem postea, iubente Augusto in Aristaei fabulam commutavit. {Hunc Gallum} <Valerium Largum[11]> tantae procacitatis fuisse ferunt, ut Dion[12] historicus tradat, Procule<i>um cum illi aliquando occurreret, nasum et os manu compressisse, id scilicet significantem, non alicui tutum esse, illo praesente, nec loqui, nec respirare, tam petulantis, et parum modestae linguae erat: quare procacissimum eum appellavit Ovidius[13], et vulgo etiam Anser dicebatur. Hunc et {Virgilius} <Vergilius> intellexit, dum ait[14]: Inter strepere Anser Olores. Quod mox proverbii loco usurpatum est, cum indoctus inter doctos disputat. De hoc ansere ita etiam Propertius[15].

Nec minor {his} <hic> animis, {a}ut si<t>  minor ore, canorus

Anseris indocto {carminis} <carmine> {esset} <cessit> Olor.

Cornelio Gallo, non ultimo tra i poeti più lodati e a nessuno ignoto, si compiacque del soprannome di Gallo, e Virgilio. lo amò appassionatamente a tal punto da comporre in suo onore il quarto libro delle Georgiche, dalla metà sino alla fine, che successivamente, per ordine di Augusto, tramutò nella leggenda di Aristeo. Dicono che Valerio Largo sia stato di una così grande sfrontatezza da indurre lo storico Dione Cassio a riferire che Proculeio Gaio quando talora si imbatteva in lui si comprimeva il naso e la bocca con la mano, cioè a voler significare che in sua presenza per nessuno era prudente né parlare né respirare, tanto aveva la lingua insolente e poco moderata: per cui Ovidio lo chiamò sfrontatissimo, e comunemente era anche chiamato Oca. Virgilio ha voluto alludere a lui quando dice: Un’oca che schiamazza in mezzo a dei cigni. Il che è stato subito adottato come proverbio quando un ignorante si mette a disputare in un consesso di dotti. Di quest'oca dice così anche Properzio:

E costui non è inferiore in quanto a ispirazione, per quanto sia inferiore riguardo alla voce,

il cigno melodioso si è sottomesso al rozzo canto dell’oca.


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[1] In fragmen. 2 orig. (Aldrovandi) § Il brano di Catone citato da Aldrovandi è irreperibile sia in Originum libri septem a cura di Albertus Bormann (Brandenburgii mdccclviii) che in Origines ed. Hermann Peter, Historicorum Romanorum Fragmenta (Leipzig: Teubner, 1883 - pp. 40-67) presente nel web grazie a www.forumromanum.org. Non c'è due senza il tre: assente il brano anche in Vitae et fragmenta veterum Historicorum Romanorum – composuit Augustus Krause (Berolini mdcccxxxiii). § Credo si tratti di uno stralcio elaborato come se fosse di Catone ma dedotto da Descrittione di tutta l'Italia (Bologna 1550) di Leandro Alberti e che riguarda l'Umbria: [84v] Ella è molto antica questa Regione, et hebbero gli Ombri molto antico principio, come dimostra Plinio nel 3. libro dicendo esser quella di tanta antichità, che gli Ombri da i Greci furono nominati, sì come Imbri, per esser quelli solamente rimasi vivi sopra la terra ne i tempi del diluvio universale. Il che conferma Catone nelle origini, dicendo qualmente passasse nel continente della Terra (hora Italia detto) della Scithia Giano con Dirino, overo Atlante (secondo i Greci da gli Hetrusci Atlano nomato) co i Galli primogeniti de gli Ombri. Erano questi Galli antichi inondanti, cioט quelli che rimasero sopra l’onde dell’acque, come narra Senofonte ne gli Equivoci, quando scrive fosse Oggige attavo di Nino da i Babiloni dimandato Gallo, perché egli solamente restò vivo con alquanti altri in tanta rovina, et inondatione delle acque. Il qual generò molti figliuoli. Parimente dice G. Solino con autorità di M. Antonio. Sono adunque gli Umbri detti, come Imbri. De i quali gli avoli furono gli antichissimi Gianigeni, che rimasero salvi fra tante procelose onde del Diluvio universale, come dimostra Catone. Et per tanto vogliono costoro, che così Umbri siano nominati de gli Imbri, overo dall’acque dell’universal Diluvio, sopra le quali con l’Arca navigarono, cioè Noè, et gli figliuoli, come chiaramente ramenta Beroso Caldeo nel 1. libro dell’antichitati, quando dice, che Noè fabricò una nave coperta, nella quale entrò con tre figliuoli cioè Samo, Giapette, et Chem, et con loro moglie, cioè Titea magna, Pandora, Noela, et Neoglasse. Et che doppo il diluvio passò Giano con i Galli antidetti in questo paese detto Umbria. (trascrizione in elettronico di Dario Giannozzi, Elena Macciocu, Sergio Martino, Ruggero Volpes e Vittorio Volpi - 10 giugno 2007)

[2] Possiamo essere quasi certi che Aldrovandi disponesse del testo di Solino così come poi sarebbe stato edito da Mommsen nel 1864, dove Bocco rimane fuori dalla mischia relativa all'origine degli Umbri dai Galli. Il solo responsabile di questa genealogia, nonché del perché si chiamassero Umbri in quanto sopravvissuti alle piogge durante una calamità idrica, è un Marco Antonio che ci permettiamo di identificare con Marco Antonio Gnifo del I secolo aC, di origine gallica, ma che sapeva parecchio di greco e latino, essendo stato insegnante anche di Giulio Cesare giovincello. Altri tre Marcus Antonius (tutti e tre Gordianus, noti come imperatori romani Gordiano I, II e III), erano appena antecedenti a Solino (vissero fra il 157 e il 244 dC), ma non credo avessero afflato per l'etimologia, specialmente greca. Ecco le due versioni del brano di Solino che ci interessa. § Collectanea rerum mirabilium II,4,11 Hoc in loco Orestes oraculo monitus simulacrum Scythicae Dianae, quod de Taurica extulerat, prius quam Argos peteret consecravit. A Zanclensibus Metaurum locatum, a Locrensibus Metapontum quod nunc Vibo dicitur, Bocchus absolvit. Gallorum veterum propaginem Umbros esse M. Antonius refert; hos eosdem, quod tempore aquosae cladis imbribus superfuerint, Umbrios Graece nominatos. (Mommsen edition 1864 & 1895 - The Latin Library) § De mirabilibus mundi II - Hoc in loco Orestes oraculo monitus simulacrum Scythicæ Dianæ, quod de Taurica extulerat, prius quam Argos peteret, consecravit. A Zanclensibus Metaurum locatum, a Locrensibus Metapontum, quod nunc Vibo dicitur. - Bocchus absolvit Gallorum veterem propaginem Umbros esse; Marcus Antonius refert eosdem, quod tempore aquosæ cladis imbribus superfuerint, Umbrios Græce nominatos. (C.L.F. Panckoucke edition Paris 1847 - The Latin Library)

[3] Il sostantivo greco maschile ómbros significa pioggia, acquazzone.

[4] Credo che scilicet epitheto paterno veterum Gallorum Ianigenarum sia un'aggiunta di Aldrovandi, salvo fosse presente nell'edizione di Solino di cui disponeva.

[5] Nel 1549 Aldrovandi risulta coinvolto in un processo per eresia quale presunto seguace dell'antitrinitario anabattista Camillo Renato. Arrestato con altri 7 sospetti il 12 giugno 1549, il 1° settembre pronuncia pubblica abiura, senza con ciò per altro evitare di venir condotto a Roma per la prosecuzione del processo. Quivi rimane circa otto mesi (settembre 1549-aprile 1550), parte dei quali trascorsi in carcere, parte in libertà, approfittandone per studiare filosofia e medicina. Il domenicano e suo concittadino Leandro Alberti (1479-1552) forse non fu responsabile di tutto ciò, ma potrebbe aver sobillato l'Inquisizione contro Ulisse, in quanto ne fece parte nel 1550 e nel 1551. Ecco forse spiegato perché Ulisse non rende alcun merito ad Alberti: infatti si astiene dal citare come fonte di queste sue intricate, fantasmagoriche ed errate notizie geografiche il trattato che rese Alberti maggiormente famoso, Descrittione di tutta l'Italia (Bologna 1550, traduzione latina 1567). Ed ecco il testo che ci interessa, dal quale possiamo evincere che senz'altro Aldrovandi si basò su Alberti, in quando oltretutto ne deduce l'errore Comers, anzi, lo aldrovandizza in Comer, invece di Camars come scrisse Livio. Se non bastasse, trasforma l'irreperibile catoniana Volturrena (documentata più avanti da Alberti) in Vetulonia: [59v] Caminando poi verso le Chiane, appar Sarteano illustrato da Alberto singolare predicatore dell’ordine de’ minori. Più oltre scorgesi sopra l’alto, et difficile monte l’antichissima città di CHIUSI annoverata fra le prime 12. Città di Toscana, Clusium dimandata da Catone, Strabone, Polibio, Plinio, Appiano Alessandrino nel 1. lib. Procopio nel 2. lib. delle guerre de’ Gotti, Tolomeo, et da Antonino, che dice esser detto Comersol. Onde scrive Annio nel 7. lib. de’ comentari, che fu nominato Chiuso vecchio dalla battaglia; conciò fosse cosa che gli antichi (secondo Plinio nel 29. c. del 15. lib.) dicevano cluere il combattere. In vero io ritrovo che questa città fu primieramente detta Comersol, come chiaramente dimostra Livio nel 10. lib. quando così scrive, Clusium, quando Comers olim appellabant. Et fu così nominato Comersol da un capitano, secondo Catone col qual si concorda Beroso Caldeo nel 5. lib. delle antichità, quando dice, che Giano constituì Comero Gallo Re di Vetulonia, dal qual poi furono dimandati i luoghi, et la regione, ove rimasero i vestigi di Chiuso, che prima fu detto Comersol, cioè giogo di Comero, et anche ritrovavasi nel territorio di Volturrena, la valle detta Comera, et il Rei Comero, cioè il fiume del Re Comero, et ne i Falisci, l’Isola Comersana. (trascrizione in elettronico di Dario Giannozzi, Elena Macciocu, Sergio Martino, Ruggero Volpes e Vittorio Volpi - 10 giugno 2007)

[6] Ab urbe condita X,25: Vere inde primo relicta secunda legione ad Clusium, quod Camars olim appellabant, [...]

[7] Deipnosophistaí XII,43,532e.

[8] Aldrovandi cita già di questo proverbio a pagina 184.

[9] Factorum et dictorum memorabilium VIII,11,1: Sulpicii Galli maximum in omni genere litterarum percipiendo studium plurimum rei publicae profuit: nam cum L. Pauli bellum adversum regem Persen gerentis legatus esset, ac serena nocte subito luna defecisset, eoque velut diro quodam monstro per<ter>ritus exercitus noster manus cum hoste conserendi fiduciam amisisset, de caeli ratione et siderum natura peritissime disputando alacrem eum in aciem misit. Itaque inclytae illi Paulianae victoriae liberales artes Galli aditum dederunt, quia, nisi ille metum nostrorum militum vicisset, imperator vincere hostes non potuisset.

[10] Naturalis historia II,53: Et rationem quidem defectus utriusque primus Romani generis in vulgum extulit Sulpicius Gallus, qui consul cum M. Marcello fuit, sed tum tribunus militum, sollicitudine exercitu liberato pridie quam Perses rex superatus a Paulo est in concionem ab imperatore productus ad praedicendam eclipsim, mox et composito volumine. - Cicerone De officiis I,19: Alterum est vitium, quod quidam nimis magnum studium multamque operam in res obscuras atque difficiles conferunt easdemque non necessarias. Quibus vitiis declinatis quod in rebus honestis et cognitione dignis operae curaeque ponetur, id iure laudabitur, ut in astrologia C. Sulpicium audimus, in geometria Sex. Pompeium ipsi cognovimus, multos in dialecticis, plures in iure civili, quae omnes artes in veri investigatione versantur, cuius studio a rebus gerendis abduci contra officium est.

[11] Si veda il lessico alla voce Proculeio Gaio dove si mette in chiaro il madornale errore di Aldrovandi circa l'identificazione dei personaggi implicati nel tapparsi il naso e la bocca: Proculeio quando incrociò Valerio Largo.

[12] Storia romana LIII, 23-24. Proculeio non si tappò la bocca e il naso incrociando Cornelio Gallo, bensì quando una volta ebbe modo di imbattersi in Valerio Largo. Per il testo di Dione Cassio si veda Proculeio Gaio.

[13] Tristia II,435-436: Non fuit opprobrio celebrasse Lycorida Gallo,|sed linguam nimio non tenuisse mero. § Probabilmente si tratta di Cornelio Gallo e di una mima, la liberta Volumnia, cantata dal poeta col nome di Licoride. Donna bella e dissoluta, dovette far soffrire il poeta per i suoi numerosi tradimenti.

[14] Eclogae IX,32-36: Et me fecere poetam|Pierides; sunt et mihi carmina; me quoque dicunt/vatem pastores: sed non ego credulus illis;|nam neque adhuc Vario videor nec dicere Cinna|digna, sed argutos inter strepere anser olores. - But Servius, the commentator on Vergil, says the poet attacked a bad writer of the name Anser here. (Lind,1963)

[15] Elegiae II,34,83-84: Nec minor hic animis, ut sit minor ore, canorus | anseris indocto carmine cessit olor.