Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Mihi e contrario Gallus eam ob causam illi Deo sacer habitus videtur, vel quod pugnans summo studio victor e praelio discedere conetur, alteriusque servitium omni conamine pati [255] nolit, et ad necem usque pro eo dimicet, avis scilicet ad dimicandum nata, et a natura ad id instrumentis aptis, rostro nempe robustissimo, calcaribusque instructa, ut rhetor quidam, teste Eustathio scriptum reliquit his verbis {ἀλλὰ τοῦτο τις ὕστερον μυθοποιητικῆς οὐσεμνον ἐστί λάλημα} < ἀλλὰ τοῦτο τῆς ὕστερον μυθοποιητικῆς οὐ σεμνόν ἐστι λάλημα>[1], vel quod Gallos, id est, milites, ac bellatores homines in urbibus habendos esse significarent, et in contubernio retinendos, non tamen rei sacrae causa, seu urbis vigiles, et custodes intelligas, quando ii per Gallos significari videntur.[2]

Invece a me sembra che il gallo sia stato considerato sacro a quel dio - Marte - per questo motivo, ossia, siccome combattendo con sommo impegno ce la mette tutta per uscire vittorioso dalla tenzone e con ogni sforzo non vuole subire la sottomissione a un altro gallo, e per raggiungere questo scopo combatte fino alla morte, senza dubbio è un uccello nato per combattere ed è stato dotato dalla natura degli strumenti adatti a questo scopo, cioè di un becco molto robusto e degli speroni, come, in base a quanto riferito da Eustazio di Tessalonica, ha lasciato scritto un retore con queste parole allà toûto tês hústeron mythopoiëtikês ou semnón esti lálëma - ma questo successivo contenuto della favola non è degno di fede -, ossia in quanto volevano dire che nelle città bisogna avere dei galli, cioè dei soldati, e degli uomini bellicosi, e che bisogna tenerli nella stessa tenda, tuttavia non per motivi di religiosità, ma devi intendere come sentinelle e custodi della città, dal momento che essi - i soldati - sembra vadano intesi come i galli.

Hinc Romanos, ut milites suos vigilantiae admonerent, Marti Gallum appinxisse[3] historia docet, et apud Plutarchum[4] traditum est, Laced<a>emonios, cum hostes aperto Marte profligassent, Gallum Marti solitos sacrificare, sin aliquo {stratagemate} <strategemate> victoria potiti essent, bovem: id quod ab eis non sine ratione fiebat, quod pluris aestimabant incruentam victoriam, quam cruentam. Soli, et Lunae dicatum fuisse id indicat, quod tempori hoc avium genus inservit, quod per Lunam, et Solem intelligitur, vel quod nos Gallus cantu suo admoneat, quare magi cognatum Soli faciunt, ac inde fieri, ut eius cursus inflexiones sentiat, et cantu mortalibus annunciet.

La storia insegna che da ciò i Romani, allo scopo di esortare i loro soldati alla vigilanza, aggiunsero a Marte un gallo, e in Plutarco si è tramandato che gli Spartani, se avevano sconfitto i nemici con una battaglia in campo aperto, erano soliti sacrificare a Marte un gallo, ma un bue se si erano impadroniti della vittoria con qualche sotterfugio: ciò non veniva da loro fatto non senza una ragione, in quanto apprezzavano maggiormente una vittoria incruenta di una cruenta. Ciò indica che fu dedicato al Sole e alla Luna, in quanto questo genere di volatili è al servizio del tempo, e s’intende per la Luna e il Sole, ossia in quanto il gallo ci avverte con il suo canto, per cui i sacerdoti lo ritengono parente del Sole, e perciò accade che avverte i suoi cambiamenti di percorso e li annuncia ai mortali con il canto.

Insitum autem est Gallis, inquit Proclus, numen Apollinis velut propriis canticis advocare. Nos vero sacris hymnis canimus Gallicinio Luciferum venturae lucis praenuncium excitari, obductum caligine caelum aperiri, dari copiam, ut patefacta iam via errores ambagesque omnes declinemus, canente Gallo valetudinariis, aliquam salutis, aut saltem allevationis spem affulgere, meticulosos trepidatione liberari, et multa, quae per insidias parabantur, dissipari, quae omnia advenientis lucis beneficia sunt.

Proclo dice che nei galli è innato il fatto di invocare il favore di Apollo come se si servissero dei loro cantici. In verità noi all’alba con gli inni sacri esortiamo Lucifero, messaggero della luce che arriverà, di affrettarsi, di squarciare il cielo ricoperto di oscurità, che venga data l’abbondanza, affinché aperta ormai la strada possiamo evitare tutti gli errori e le incertezze, che col canto del gallo agli ammalati possa arridere una qualche speranza di salute o perlomeno di sollievo, che i timorosi vengano liberati dall’insicurezza, e molte cose, che venivano preparate attraverso l’insidia, di essere dissipate, tutte cose che sono dei benefici apportati dalla luce che sta arrivando.

Aelianus[5], Gallum Latonae quoque sacrum fuisse his verbis docet: Latonae in amore esse aiunt, et quod ei adfuerit parienti, et quod etiam nunc parientibus adsit, et felices[6] partus efficiat: eo quod Solis ad h{a}emisph<a>erium nostrum regressu, calor naturalis augeatur, partum vi sua promovens: quem quia nunciat Gallus Latonae merito gratus est. Maiae, quam et Proserpinam, et Cererem vocant, etiam Gallinaceum consecrarunt, Porphyrio[7] teste, quamobrem initiati huic Deae avibus cortalibus abstinebant. Nam et Eleusine abstinentia ex his alitibus, et piscibus fabisque praecipitur. Romanos quoque nocti Gallos mactasse Ovidius[8] docet, quia cantu suo diem nocti contrariam praenuncia<n>t, atque, ut inquit Plinius[9], Solis ortum non {patitur} <patiuntur> incautis obrepere.

Nocte Deae {noctis} <Nocti> cristatus caeditur ales

Quod tepidum vigili provocet ore diem.

Eliano con queste parole ci fa sapere che il gallo era stato sacro anche a Latona: Dicono che è amato da Latona sia perché si trovava al suo fianco quando stava partorendo, sia perché anche adesso si trova al fianco delle partorienti, e provoca dei parti con esito favorevole: in quanto con il ritorno del sole al nostro emisfero il calore naturale aumenta facendo progredire il parto con la sua forza: e poiché lo annuncia, giustamente il gallo è gradito a Latona. Consacrarono il gallo anche a Maia, che chiamano sia Proserpina che Cerere, come riferisce Porfirio, per cui gli iniziati a questa dea si astenevano dai volatili da cortile. Infatti anche da parte di Eleusi - i Misteri Eleusini - viene prescritta l’astinenza da questi volatili, dai pesci e dalle fave. Ovidio riferisce che i Romani sacrificavano i galli anche alla notte, in quanto con il loro canto annunciano il giorno che è contrario alla notte, e, come dice Plinio, Non permettono che il sorgere del sole ci colga alla sprovvista:

Di notte l’uccello fornito di cresta viene immolato alla dea Notte,

in quanto con la sua voce vigile richiama il tiepido giorno.

Mercurio item datus est ob diligentiam nunciationis, et vigilem eius curam, vel ob ipsammet mercatorum vigilantiam, quod omnis {negociator} <negotiator> lucro semper diligentissime invigilet, sive quod ab eius cantu surgant ad peragenda {negocia} <negotia>. Erat autem Mercurii forma homo sedens in throno gale{r}atus, cristatusque et pedibus Aquilinis, sinistra Gallum tenens, aut ignem.

Parimenti fu consacrato a Mercurio per la sua diligenza nel dare gli annunci e la sua vigile attenzione, oppure a causa della vigilanza stessa dei mercanti, in quanto qualsiasi commerciante vigila sempre con estrema diligenza sul guadagno, oppure in quanto a causa del suo canto si alzano da letto per svolgere le attività commerciali. Infatti la statua di Mercurio era rappresentata da un uomo che se ne stava seduto in trono, fornito di elmo e di cimiero e con i piedi di aquila, che aveva s sinistra un gallo o un fuoco.

Erat item Gallus Aesculapio dicatus, haud aliam ob causam, quam quod medico vigilantiam, sedulamque curam necessariam esse indicarent. Adde, si placet, quod ab hoc avium genere (nam, ut dicemus, Gallinas illi etiam vovebant) cum alimenta, tum medicamenta omnibus ferme corporis affectibus convenientia depromi queant, etsi interim minime inscius sim Plutarchum[10] alibi solius vigilantiae significandae causa id factum esse innuere, ubi ait: Sicut autem qui Gallum super manu Aesculapii pinxit, matutinum tempus voluit significare, et Solis ortum appetentem.

Parimenti il gallo era sacro a Esculapio, per nessun’altro motivo se non perché volevano indicare che a un medico è necessaria la vigilanza e una sollecita attenzione. Se ti aggrada, aggiungi il fatto che da questo genere di volatili (infatti gli dedicavano anche le galline, come diremo) possono essere ricavati sia gli alimenti sia i medicamenti adatti per quasi tutti i tipi di malattie del corpo, anche se nel contempo non sono assolutamente all’oscuro del fatto che Plutarco in un’altra opera accenna al fatto che ciò è accaduto per significare solo la vigilanza, quando dice: Come colui che ha dipinto il gallo sulla mano di Esculapio ha voluto significare il tempo mattutino e che esso sta desiderando il sorgere del sole.

{Socracem} <Socratem> Tertullianus, et Lactantius Firmianus ceu nimis superstitiosum redarguunt, quod moriens {Praedonem} <Critonem>[11] admonuisset, ut voto se liberans Aesculapio Gallum persolveret. Sane, inquit Tertullianus[12], Socrates facilius diverso spiritu agebatur. Siquidem aiunt daemonium illi a puero adhaesisse, pessimum revera pedagogum, etsi post Deos, et cum Deis daemonia deputantur penes poetas, et philosophos. Nondum enim Christianae potestatis documenta {praecesserant} <processerant>, quae vim istam {pernitiosissimam} <perniciosissimam>, nec unquam bonam, {antiqui} <atquin> <omnis> erroris artificem, omnis veritatis avocatricem sola traducit. Quod si idcirco sapientissimus Socrates secundum Pythii quoque daemonis suffragium, scilicet {negocium} <negotium> navantis socio suo quanto dignior {constantiae} <atque constantior> Christianae{, atque} sapientiae assertio, cuius afflatui tota vis daemonum cedit? Haec sapientia de schola caeli Deos quidem saeculi negare liberior, quae nullum Aesculapio Gallinaceum reddi iubens praevaricetur, nec nova inferens daemonia, sed vetera depellens, nec adolescentiam vitians, sed omni bono pudoris informans, ideoque non unius {verbis} <urbis>, sed universi orbis iniquam sententiam sustinens pro nomine veritatis, tanto scilicet perosioris, quanto plenioris, ut et mortem non de poculo per habitum iucunditatis absorbeat, sed de patibulo, et vivicomburio per omne ingenium crudelitatis exhauriat, interea in isto tenebrosiore carcere saeculi inter suos Cebetas, et suos Phaedonas, si quid de anima examinandum [256] est, ad Dei regulas diriget, etc.

Tertulliano e Lattanzio Firmiano rimproverano Socrate come troppo superstizioso, in quanto in punto di morte aveva ricordato a Critone che per rendersi libero da un voto doveva saldare il debito di un gallo a Esculapio. Tertulliano dice: Senza dubbio Socrate veniva mosso più facilmente da uno spirito diverso. Infatti dicono che fin dalla fanciullezza gli si era appiccicato un demone, che in realtà è un pessimo pedagogo, anche se presso i poeti e i filosofi i demoni vengono tenuti in considerazione dopo gli dei e allo stesso livello degli dei. Infatti non erano ancora state messe a disposizione le prove della forza cristiana che da sola è in grado di allontanare questa forza estremamente funesta, e giammai buona, eppure artefice di ogni errore e in grado di distogliere da ogni verità. Per cui se Socrate era molto sapiente, in base all’affermazione anche del demone pizio, che certamente era premuroso nei confronti del suo compagno, quanto più adeguata e salda è l’affermazione della dottrina cristiana, al cui soffio ogni potere dei demoni svanisce? Questa sapienza che proviene dalla scuola del cielo è più libera di negare gli dei del paganesimo, la quale non si permetterebbe di prevaricare nessuno ordinando che un gallo deve essere offerto a Esculapio, né introducendo nuovi demoni, ma scacciando i vecchi, né corrompendo l’adolescenza, ma educando ogni uomo onesto al pudore, e pertanto addossandosi l’ingiusto giudizio non di una sola città ma del mondo intero in nome della verità, cioè tanto più odiata quanto più è piena, cosicché non inghiotta anche la morte da una tazza con un atteggiamento di gioia, ma la porti a compimento con il patibolo e con il rogo attraverso ogni tipo di crudeltà, e nel frattempo in questo carcere più tenebroso del paganesimo se esiste qualcosa da esaminare relativo all’anima si diriga verso le regole di Dio rimanendo tra i suoi Cebeti. e i suoi Fedoni, eccetera.


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[1] Solo grazie a Gessner è possibile emendare l'allucinante greco di Aldrovandi o della tipografia Bellagamba, un testo greco che ha costretto Lind (1963) a tradurre il passo con but this is some later irreverent babble of storytellers anziché but this following content of the fable is not faithful. § Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pagina 404: Fabulam memorant Lucianus, et ex eo interpretatus Caelius Rhodiginus, et Aristophanis Scholiastes, et Eustathius in octavum Odysseae, et Varinus. Alectryonem aliquando Martis ministrum et militem fuisse etiamnum testantur, crista, animositas, calcaria, ut rhetor quidam scripsit. ἀλλὰ τοῦτο τῆς ὕστερον μυθοποιητικῆς οὐ σεμνόν ἐστι λάλημα, Eustathius. § Questo passo di Aldrovandi è inoltre caratterizzato da un rimescolamento di dati e notizie senza alcun nesso logico. Infatti la citazione greca di Eustazio ci sta come i cavoli a merenda, mentre assume il suo preciso significato in ciò che viene espresso chiaramente da Gessner: «Raccontano questa favola Luciano e Lodovico Ricchieri che l'ha tradotta dal suo testo, e il commentatore di Aristofane, ed Eustazio di Tessalonica nel commento al libro VIII dell'Odissea, e Guarino. Che Alettrione sia stato un tempo ministro e soldato di Marte lo testimoniano ancora oggi la cresta, la combattività e gli speroni, come scrisse un retore. Allà toûto tês hústeron mythopoiëtikês ou semnón esti lálëma - Ma questo successivo contenuto della favola non è degno di fede, Eustazio.» § Io penso che Eustazio, da buon vescovo, volle semplicemente opporsi alla credenza che un essere umano possa venir tramutato in gallo, come invece piaceva alla mitologia greca, che trasformò esseri umani anche in fiori, come accadde ad Adone. nonché a Narciso, il bellissimo figlio del dio fluviale Cefiso e della ninfa Liriope. Narciso, avendo rifiutato le gioie d'amore (di lui s’innamorò la ninfa Eco, ma non essendo corrisposta morì di dolore), per un eccessivo amore di sé morì prematuramente di vana passione. Infatti, come predetto ai suoi genitori dall’indovino Tiresia, il ragazzo sarebbe vissuto finché non avesse visto la propria immagine. Durante una battuta di caccia la dea Nemesi, personificazione della vendetta, lo indusse a sedersi sull’orlo di una fonte per dissetarsi. Il giovane vide la propria immagine riflessa, rimase colpito da quel viso bellissimo a lui sconosciuto (i suoi genitori avevano distrutto tutti gli specchi di casa) e se ne invaghì. Annegò cercando di raggiungere la propria figura riflessa nell’acqua. Eros ebbe pietà di lui e lo trasformò nel bellissimo fiore che ne porta il nome. Signori narcisisti fate quindi attenzione!

[2] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Gallum nutrito quidem, ne tamen sacrificato: est enim Soli et Lunae dicatus. Hoc (inquit Lilius Gr. Gyraldus) ab aliquibus inter symbola repositum est. Sunt qui dimidiatum tantum efferant, Gallos enutrias. Nonnulli praeceptum hoc non symbolum faciunt, nec aliud quam gallum ipsum intelligunt. Sed licet etiam symbolice interpretari: vel ut Picus, ut divinam animae nostrae partem, divinarum rerum cognitione, quasi solido cibo et coelesti [caelesti] ambrosia pascamus: Vel simplicius, gallos, id est milites ac bellatores homines in civitate habendos esse, et in contubernio retinendos, non tamen rei sacrae causa. seu urbis vigiles et custodes intelligas, quando ii per gallos significari videntur: et Soli ac Lunae dicati, quoniam tempori hoc hominum genus inserviunt, quod per Solem et Lunam intelligitur: vel quod nos gallus suo cantu admoneat. Alius aliam comminisci poterit expositionem, ut gloriosos et stolidos homines, nimiumque sibi arrogantes, habendos illos quidem, et non penitus eijciendos: non tamen ad sacra, id est arcana admittendos, minusque in seriis et gravioribus sermonibus habendos.

[3] Lilius Gregorius Gyraldus, Historiae Deorum Gentilium Syntagma X: Romani summo cultu Martem venerabantur, quod existimarent parentem ipsum fuisse Romuli. Sacerdotesque Salios illi attribuerunt, et carmina saliaria. Ardentem vero eum effingebant, nunc in curru, nunc in equo, armatum cum hasta et flagello. Tum illi etiam interdum gallum appingebant, ob militum videlicet vigilantiam: vel propter Alectryonis fabulam, Martis satellitis, in eam avem conversi, ut in eius nominis festivo libello Lucianus scribit, et Ausonius poeta uno pene versu attigit: Ter clara instantis Eoi,/Signa canit serus deprenso Marte satelles. (Basileae, Oporinus 1548)

[4] Plutarco Vite parallele, Marcello 22,5: And it is worth our while to notice that the Spartan lawgiver appointed his sacrifices in a manner opposite to that of the Romans. For in Sparta a returning general who had accomplished his plans by cunning deception or persuasion, sacrificed an ox; he who had won by fighting, a cock. For although they were most warlike, they thought an exploit accomplished by means of argument and sagacity greater and more becoming to a man than one achieved by violence and valour. How the case really stands, I leave an open question. (published in the Loeb Classical Library, 1917) Per le notizie su Marcello vedi Marcello Marco Claudio. - Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408-409: Romani Marti interdum gallum appingebant, ob militum videlicet vigilantiam: vel propter Alectryonis fabulam, Martis satellitis, in eam avem conversi, ut in eius nominis Festivo libello Lucianus scribit, et Ausonius poeta uno pene versu attigit: Ter clara instantis Eoi, Signa canit serus deprenso Marte satelles, Lilius Gr. Gyraldus. Lacedaemonii cum aliquo strategemate victoria potiti essent, Marti bovem immolabant: si vero aperto Marte vicissent, gallum. Id quod ab eis non sine ratione fiebat, quod [409] pluris aestimabant incruentam victoriam, quam cruentam, Lilius Gr. Gyraldus: ut duces suos exercerent, non bellicosos tantum esse, sed etiam stratëghikoùs (lego stratëghëmatikoùs,) Plutarchus in Laconicis.

[5] La natura degli animali IV,29: Il gallo, così dicono, diventa particolarmente eccitato e saltella quando spunta la luna. Non lascerebbe mai passare inosservato il levar del sole; quando appare egli supera se stesso nell’intonare il suo canto. So che il gallo è l’uccello favorito da Latona. Il motivo è dovuto al fatto che esso assisteva la dea quando, presa dalle doglie, partorì felicemente i suoi due gemelli. Per questa ragione anche adesso viene posto un gallo accanto a una partoriente e sembra che ciò giovi a un felice evento [euødinas – generato facilmente]. (traduzione di Francesco Maspero)

[6] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Gallum Latonae in amore esse aiunt, et quod ei affuerit parienti, et quod etiam nunc parientibus adsit, et faciles partus efficiat, Aelian.

[7] De abstinentia ab animalibus IV. (Aldrovandi) § Esatta la referenza di Aldrovandi. Se volessimo essere pignoli: IV,16.

[8] Fasti I,455-456: Nocte deae Nocti cristatus caeditur ales, | quod tepidum vigili provocet ore diem. § Quasi perfetto, per carenza di un errore (provocet/provocat), il download da Gessner, dove è contenuto lo stesso errore noctis invece di Nocti: Nocte deae {noctis} <Nocti> cristatus caeditur ales, | Quod tepidum vigili {provocat) <provocet> ore diem, Ovidius in Fastis. (Historia Animalium III (1555), pag. 409)

[9] Naturalis historia X,46: Proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera mortalibus rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera et ternas distinguunt horas interdiu cantu. Cum sole eunt cubitum quartaque castrensi vigilia ad curas laboremque revocant nec solis ortum incautis patiuntur obrepere diemque venientem nuntiant cantu, ipsum vero cantum plausu laterum.

[10] De Pythiae oraculis. (Aldrovandi) Ma Lind dissente da Aldrovandi: «But it has nothing of the sort in it.» (1963)

[11] Platone, Il Fedone, LXVI: “Ô Krítøn,” éphë, “tôi Asklëpiôi opheílomen alektryòna· allà apòdote kaì më amelësëte.” - Il passo è famoso: ad Asclepio si era soliti offrire un gallo per riconoscenza di una guarigione ottenuta, così qui Socrate pensa simbolicamente alla sua guarigione, che è la morte. In coerenza con tutto lo svolgimento del Fedone che ha indicato nell’esistenza terrena una vicenda travagliosa da cui la morte è liberazione, Socrate ora, nel momento di emettere l’ultimo respiro, conferma con il suo solito buon umore e la sua lucida immaginativa, la fiduciosa credenza. Un gallo ad Asclepio egli deve, e Critone lo sacrificherà, perché lasciando, in pace, la sua esistenza terrena egli sta conseguendo la sua guarigione definitiva. Altre interpretazioni, come di chi ritiene il ricordo di un voto espresso nella battaglia di Delo e non ancor soddisfatto, appaiono qui meschine e stonate. (Nilo Casini, Il Fedone, Felice Le Monnier, Firenze, 1958) - Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Socrates in Phaedone ad mortem se praeparans, Aesculapio (inquit) o Crito gallum debemus, quem reddite neque negligatis.

[12] De anima I,4-6: Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis de industria venerat consultae aequanimitatis, non de fiducia compertae veritatis. Cui enim veritas comperta sine deo? Cui deus cognitus sine Christo? Cui Christus exploratus sine spiritu sancto? Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento? Sane Socrates facilius diverso spiritu agebatur, siquidem aiunt daemonium illi a puero adhaesisse, pessimum revera paedagogum, etsi post deos et cum deis daemonia deputantur penes poetas et philosophos. [5] Nondum enim Christianae potestatis documenta processerant, quae vim istam perniciosissimam nec unquam bonam, atquin omnis erroris artificem, omnis veritatis avocatricem sola traducit. Quodsi idcirco sapientissimus Socrates secundum Pythii quoque daemonis suffragium scilicet negotium navantis socio suo, quanto dignior atque constantior Christianae sapientiae adsertio, cuius adflatui tota vis daemonum cedit? [6] Haec sapientia de schola caeli deos quidem saeculi negare liberior, quae nullum Aesculapio gallinaceum reddi iubens praevaricetur, nec nova inferens daemonia, sed vetera depellens, nec adulescentiam vitians, sed omni bono pudoris informans, ideoque non unius urbis, sed universi orbis iniquam sententiam sustinens pro nomine veritatis tanto scilicet et perosioris quanto plenioris, ut et mortem non de poculo per habitum iocunditatis absorbeat, sed de patibulo et vivicomburio per omne ingenium crudelitatis exhauriat, interea in isto tenebrosiore carcere saeculi inter suos Cebetas et suos Phaedonas, si quid de anima examinandum est, ad dei regulas diriget, certa nullum alium potiorem animae demonstratorem quam auctorem. A deo discat quod a deo habeat, aut nec ab alio, si nec a deo. Quis enim revelabit quod deus texit? Unde sciscitandum est? Unde et ignorare tutissimum est. Praestat per deum nescire, quia non revelaverit, quam per hominem scire, quia ipse praesumpserit.