Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

301

 


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Dura ad coquendum sunt difficilia, tarde descendunt, crassiusque alimentum corpori tribuunt, quinimo et [301] viscosum: alvum constipant, adeo ut Brasavolus referat, monachum quendam Franciscanum, cum in festo Paschatis collecta a se eiuscemodi ova alba, et rubra ad saturitatem edisset, astricto ventre, ut neque clysteribus, neque medicamentis cederet, obiisse[1]. Nostri eiusmodi ova testis suis exuunt, et in partes aliquot secant, ut alterius vitelli, ac albuminis segmentis lances acetariorum coronent. Idem Germanos tam superiores, quam inferiores factitare audio.

Le uova sode sono più difficili da digerire, percorrono l’intestino con lentezza e forniscono all’organismo un cibo piuttosto denso nonché vischioso: danno costipazione intestinale, tant’è che Antonio Brasavola riferisce che a un monaco francescano, dopo aver mangiato a sazietà siffatte uova bianche e rosse che lui stesso aveva raccolto in occasione della festività di Pasqua, gli si costipò l’intestino tanto da non rispondere né ai clisteri né ai farmaci, e morì. I nostri spogliano tali uova dei loro gusci e le tagliano in un certo numero di pezzi in modo da decorare con frammenti di tuorlo e di albume disposti alternativamente i piatti d'insalata condita con aceto. Sento dire che i Tedeschi sia del nord che del sud sono soliti fare la stessa cosa.

Ova assa, vel tosta, quae nempe in calidis cineribus coquuntur, vel potius assantur, Galeno, et aliis ὀπτά ἤ ὀπτηθέντα nuncupantur. Cavendum dum assantur, ne dissiliant, quamobrem perfundi frigida solent. Ita cocta parum laudantur: colorem enim ab igne acquirunt, et gravem odorem itaque magis siccant, minusque refrigerant, et ingratioris longe saporis sunt, quam elixa in aqua. Sed cum duobus modis assentur, in cineribus nempe, et inter carbones, Isaac ea quae in cineribus assantur, deteriora esse scribit: quoniam cum calor ignis circumeat ipsa, fumosos eorum halitus exire prohibet, quod super carbones non contingit.

Le uova arrostite o abbrustolite, cioè quelle che vengono cotte nelle ceneri calde, o meglio, che vi vengono arrostite, da Galeno e da altri vengono dette optá o optëthénta. Bisogna fare attenzione che quando vengono arrostite non si spacchino, motivo per cui vengono abitualmente immerse fredde – nelle ceneri. Quelle cotte in questo modo vengono poco apprezzate: infatti dal fuoco acquisiscono una colorazione nonché un odore sgradevole, e pertanto si asciugano di più e rinfrescano di meno, e hanno un sapore di gran lunga meno gustoso di quelle cotte in acqua. Ma dal momento che vengono arrostite in due modi, è cioè nelle ceneri e tra i carboni, Isacco Giudeo scrive che quelle che vengono arrostite nelle ceneri sono le peggiori: in quanto siccome il calore del fuoco le circonda, impedisce la fuoriuscita delle loro esalazioni fumose, cosa che non accade sui carboni.

Postremo τηγανιστ dicuntur ova in sartagine spissata, oleo scilicet, vel butyro fricta: nam teganon Graecis patellam, vel sartaginem significat. Nostri vulgo vocant ova nella teglia. Germani, teste Ornithologo eyer in ancken. Haec pessimum omnibus modis nutrimentum habere Galenus, et Symeon Sethi volunt, quoniam dum concoquuntur in nidorem, hoc est, ructus fumosos convertantur, ideoque non modo crassum, sed etiam pravum succum gignere, atque excrementium{:}<.> Et rursus alibi Galenus, Ova frixa, inquit, tarde descendunt, mali succi sunt, et corrumpunt etiam secum admixtos cibos, et inter deterrima earum rerum habentur, quae concoqui nequeunt. Isaac insuper mox in nidorem, et cholericos, seu biliosos humores, ac putredinem verti tradit, ideoque fastidium, et nauseam parere. Eiusmodi ovis vulgus plerunque vescitur, neque etiam nobiliores ab iis abstinent, sed in purum vas, idque stanneum, plerumque evacuant, dissoluto in eo prius butyro, ne fundo adhaereant, coquunt autem, donec album densari supra vitellos, et albescere coeperit. Haec meo iudicio Brasavolus perperam ova pnicta vocavit, inquiens: Ad ova pnictà coquenda Galenus oleo utitur, nos butyro; nam haec pnictà non esse ex praedictis patere arbitror.

Infine, vengono dette tëganistà le uova rassodate in padella, fritte ovviamente con olio o con burro: infatti per i Greci tëganon significa tegame o padella. I nostri le chiamano comunemente uova nella teglia. Come riferisce l’Ornitologo, i Tedeschi le chiamano Eyer in Ancken - uova al burro. Galeno e Simeon Sethi sono dell’avviso che queste uova posseggono il peggior nutrimento rispetto a tutte le modalità di preparazione, in quanto mentre vengono digerite si trasformano in un odore puzzolente, cioè in eruttazioni fumose, per cui producono un sapore non solo greve, ma anche cattivo e fecaloide. E in un altro punto Galeno dice ancora: Le uova fritte percorrono l’intestino lentamente, hanno un cattivo sapore e alterano anche i cibi che vi vengono mischiati, e vengono ritenute come le peggiori tra le cose che non si riesce a digerire. Isacco Giudeo riferisce inoltre che si trasformano subito in un qualcosa dall’odore puzzolente e in esalazioni che sanno di fiele, cioè di bile, e in putrefazione, e che pertanto generano inappetenza e nausea. È la gente comune a nutrirsi per lo più di siffatte uova, e neanche i più abbienti se ne astengono, anzi, per lo più le versano in un recipiente pulito e di stagno, dopo avervi prima sciolto del burro affinché non aderiscano al fondo, e le fanno cuocere fintanto che il bianco si è rappreso sopra ai tuorli e ha cominciato a diventare bianco. Queste sono le uova che a mio avviso Brasavola ha erroneamente chiamato pnictá - soffocate, dicendo: Galeno si serve dell’olio per cuocere le uova pnictá, noi del burro; pertanto ritengo che in base a ciò che si è appena detto è lampante che queste non sono pnictá.

Sed antequam ad apponenda ea in mensa tempus, ac rationem accedam, superioribus velut pro epilogo hocce Baptistae Fierae epigramma adijcere visum est: est autem tale.

Flent leve cocta, tremuntque, et vix coeuntia mandi

Nollent, nata modo, si sapis, ova bibe.

{Vuid:} <Uda[2]> sunt, celerisque cibi flammaeque tepentis,

Sed durata time, nec requieta velis.

Pectus alunt, tussimque levant, sunt prandia raucis.

Insanoque thoro[3] prandia grata parant.

Demulcent renes, stomachumque alvumque dolentem,

Vesicam mira sedulitate fovent.

Sed moneo: haec marcent facile, et tot commoda perdunt,

Ut nihil ex omni parte beare solet.

Ma prima di accingermi a parlare di quando e come bisogna metterle in tavola, mi è sembrato opportuno riportare come epilogo di ciò che abbiamo detto precedentemente questo epigramma di Giovanni Battista Fiera: e suona così:

Piangono quando sono lievemente cotte, e tremano, e quando stanno per indurirsi non vorrebbero essere addentate, se hai un po’ di buonsenso bevi le uova appena deposte. Sono umide, e sono un alimento rapido e una fiamma che riscalda, ma abbi timore di quelle che sono diventate vecchie e non desiderare quelle che si sono riposate. Nutrono il petto e alleviano la tosse, sono dei cibi per chi ha la voce roca. E provvedono dei gustosi spuntini al forsennato sperma. Accarezzano i reni nonché lo stomaco e l’intestino dolente, curano la vescica con meravigliosa sollecitudine. Ma ti avviso: imputridiscono facilmente e perdono qualsiasi utilità, come sotto ogni aspetto il nulla è solito dare felicità.

Praeter iam dictos simplicis coctionis modos, unus superest, quo Babylonios venatores usos Caelius testatur: is autem est talis: Ova cruda fundae imponebant, et tam diu rotabant, donec ex eiusmodi motu coquerentur.

Oltre alle modalità di semplice cottura appena menzionate ne rimane una che Lodovico Ricchieri riferisce essere stata usata dai cacciatori babilonesi: consiste in questo: collocavano le uova crude su una fionda e le facevano ruotare tanto a lungo finché grazie a tale movimento risultavano cotte.

Quod modo ad apponendi ova tempus, ac rationem attinet. Athenaeus[4] scribit, bina secundae mensae apud priores solita inferri cum Turdis, etc. Apud Romanos vero, attestante Porphyrio, {coenae} <caenae> initia habeant ova: unde Horatius[5]: Ab ovo usque ad mala citaret <“io Bacche”>. Et in eodem sensu Tullius[6], Integram famem, inquit, ad ovum affero: itaque usque ad assum vitulinum (alias vitellinum) opera ista perducitur. Ubi integram famem ad ovum afferre iuxta Caelium non aliud esse videtur, quam ad secundam usque <mensam>[7] cibi appetentiam producere. Si itaque veteres acetaria in prima mensae apponebant, ova nondum locum mutaverunt, praesertim mollia, et in sartagine cocta, item dura, et assa. Sorbilia, ut diximus, pro ientaculo erant, et nostri paulo ante prandium ea accipiunt.

Adesso vediamo ciò che concerne il quando e il come mettere in tavola le uova. Ateneo scrive che presso gli antichi solitamente ne venivano messe in tavola due per ciascuno come seconda portata insieme ai tordi, etc. In verità, come testimonia Porfirio, presso i Romani le prime portate di un pranzo debbono avere delle uova: per cui Orazio dice: Avrebbe intonato dall’uovo alle mele "evviva Bacco". E con lo stesso significato Marco Tullio Cicerone dice: Porto la fame intatta fino all’uovo: e pertanto questa attività si prolunga fino al vitello (cioè al tuorlo) arrosto. Dove portare la fame intatta fino all’uovo per Lodovico Ricchieri sembra non significare altro che prolungare l’appetito per il cibo fino alla seconda portata. Se pertanto gli antichi mettevano nella prima portata l’insalata condita con aceto, le uova non hanno ancora cambiato posizione, soprattutto quelle molli e cotte in padella, e parimenti quelle dure e arrostite. Come abbiamo detto quelle da sorbire servivano da spuntino, e i nostri le mangiano poco prima del pranzo.

Quod si sanitatis rationem spectes, ova quoquo modo parata, tum a sanis, tum ab aegris priori loco sumi debent. A duris quidem sanos, et aegros, et hos quoque magis abstinere prorsus convenit, nisi cum alvus solutior est, quam si durius coctis ovis cohibere libuerit, ea quoque ante alios cibos esitari oportet: ut contra etiam si mollire alvum sorbilibus exha<u>riendis statueris, id quoque initio mensae faciendum.

E se consideri i motivi di salute, le uova preparate in qualsivoglia modo debbono essere mangiate in primo luogo sia dai sani che dai malati. Da quelle sode conviene che si astengano assolutamente i sani e i malati, e maggiormente questi, se non quando le feci sono un po’ liquide, e se si desidererà frenarle più energicamente con le uova cotte, è necessario che anch’esse vengano mangiate prima degli altri cibi: al contrario anche se avrai deciso di ammorbidire le feci tracannando quelle da bere, anche questo bisogna farlo quando si comincia a mangiare.

Quemadmodum autem apponendi, ita etiam ova aperiendi modus diversus est. Iudaei enim ea aperiunt parte acutiore, ut si qua illic gutta sanguinis apparuerit, abstineant; nos obtusiore plerumque, Germani in latere.

Per quanto riguarda il modo di presentarle, ugualmente esistono pure diversi modi di aprire le uova. I Giudei infatti le aprono dalla parte del polo acuto, in modo che se in questo punto si scorge una qualche goccia di sangue, possano astenersene; noi per lo più dal polo ottuso, i Tedeschi di lato.

Haec itaque de diversis ovorum cocturis, in aqua, sub cineribus, in sartagine, deque ovis pnictis dicta breviter nobis sufficiant: superest modo, ut de variis eorum apparatibus aliquid, maxime ex Apicio, et Platina dicamus: Ova frixa oenogarata {obelixa} <, ova elixa> liquamine etc. Apicius[8]: ubi {Hemelbergius} <Humelbergius> sic legit: Ova frixa {oenegaro} <oenogaro> (scilicet affuso inferuntur). Ova elixa liquamine, oleo, mero: vel ex liquamine pipere, lasere; In ovis hapalis nucleos infusos: suffundes mel, acetum, {temporibus} <temperabis> liquamine. Ova hapala, inquit Humelbergius vocat Apicius tenera, et mollia, quaeque sine cortice, et putamine cocta sunt in aqua: qualia, et [302] stomachum confortant, authore Scribonio Largo[9].

Pertanto ci bastino queste notizie esposte succintamente circa i diversi modi di cuocere le uova, in acqua, sotto le ceneri, in padella, e circa le uova soffocate: rimane solamente da dire qualcosa sui diversi modi di prepararle ricavandolo soprattutto da Apicio e dal Platina: Apicio riporta Uova fritte condite con salsa di vino e pesce, uova cotte con salsa di pesce etc. Questo passo Gabriel Hummelberg lo interpreta in questo modo: Uova fritte con salsa di vino e pesce (ossia, vengono servite dopo averle cosparse con questa salsa). Uova cotte con salsa di pesce, olio, vino puro: oppure condite con salsa di pesce, pepe e silfio; Nelle uova bazzotte con dentro i gherigli: cospargerai del miele, dell’aceto, condirai con salsa di pesce. Hummelberg dice che Apicio chiama hapalà le uova tenere e molli e che vengono cotte in acqua senza membrane e senza guscio: siffatte uova rafforzano anche lo stomaco, lo riferisce Scribonio Largo.


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[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 437: Monachus quidam Franciscanus cum in festo {paschatis} <Paschatis> collecta a se ova ad duritiem cocta, alba ac rubra (albumina et vitellos: solent enim eo tempore incisae minutatim utraeque hae partes in patinis digeri) ad saturitatem edisset, astricto ventre ut neque clysteribus neque medicamentis cederet, obijt, Brasavolus. § Anche stavolta è colpa di una virgola. Si tratta della virgola posta da Gessner dopo cocta, con successiva trasformazione di due aggettivi in due sostantivi neutri: alba e rubra. Aldrovandi – il cui testo è strutturato diversamente - non dà questa interpretazione personale di Gessner, lasciando così intendere che il monaco aveva mangiato uova sode il cui guscio - abitualmente bianco - veniva dipinto di rosso in occasione della Pasqua secondo un’usanza che potrebbe risalire a Maria Maddalena, come mi fu precisato dalla Dsa Irina Moiseyeva: “L’usanza di presentare uova rosse riguarda Maria Maddalena. Dopo l’ascensione di Cristo visitò Roma e presentò un uovo rosso all’imperatore Tiberio con queste parole: «Cristo ha una resurrezione». Un uovo è un simbolo di vita e il suo colore rosso è un simbolo del sangue di Cristo (Enciclopedia della Bibbia, 1991).” § Sia a causa della virgola incriminata che della sostantivizzazione dei due aggettivi il testo di Gessner è solo lievemente diverso da quello di Aldrovandi, ma possono essere effettivamente interpretati in modo del tutto differente. L’ideale sarebbe disporre del testo di Brasavola, ma sarebbe disumano leggerne tutte le opere alla ricerca di questo breve passo. § Ma Elio Corti - che, strano a dirsi, stavolta crede di più ad Aldrovandi - il 29 novembre 2007, essendo forse masochista, ha voluto frustrarsi attraverso una ricerca infruttuosa del monaco francescano nelle seguenti opere di Brasavola messe a disposizione nel web da Gallica: Examen omnium simplicium medicamentorum (1537) - Examen omnium catapotiorum, vel pilularum (1556) - Aphorismorum Hippocratis sectiones septem...De ratione victus (1543) - Examen omnium electuariorum, pulverum, et confectionum catharcticorum (1548) - Examen omnium syruporum, quorum publicus usus est (1545) - Examen omnium trochiscorum, unguentarum, ceratorum, emplastrorum (1560). § Per cui il problema della virgola gessneriana dopo cocta - collecta a se ova ad duritiem cocta, alba ac rubra – rimane per ora insoluto.

[2] Il testo ottenuto attraverso http://gallica.bnf.fr , e che qui non viene trascritto, risale a una stampa forse del 1489 e riporta Humida.

[3] Il sostantivo greco maschile thorós significa seme genitale. Il testo corrispondente di questo verso tratto da http://gallica.bnf.fr suona così: Gaudia noctis agunt.

[4] Deipnosophistaí XIV,49,641f. § Se fossero due uova ciascuno, oppure alcune uova, oppure un solo uovo, tutto dipende dai testi a disposizione. Georg Kaibel (Dipnosophistarum libri XV vol III, Teubner, Stuttgard,1985) riporta in prima istanza ᾠὸν, mentre dà ᾠὰ come alternativa. La traduzione di C.D.Yonge, (1854) che adotta ᾠὰ recita: Eggs too often formed a part of the second course, as did hares and thrushes, which were served up with the honey-cakes [...]. § Difficile sapere a quale testo greco avesse attinto il nostro Ulisse. È assai verosimile che si sia limitato a fare un download da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Pars VII. Ordo ovorum in cibo. Ova bina mensae inferri secundae apud priores solita scribit Athenaeus, cum turdis, etc.

[5] Satirae I,3,6-8: [...] si conlibuisset, ab ovo | usque ad mala citaret 'io Bacche' modo summa | voce, modo hac, resonat quae chordis quattuor ima. - Versi già citati da Aldrovandi a pagina 274. § La frase monca è tratta – come al solito – da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Unde Horatius, Ab ovo usque ad mala citaret, Sermonum I.

[6] Ad Familiares IX,20: [...] integram famem ad ovum affero, itaque usque ad assum vitulinum opera perducitur.

[7] Visto che in base alla nota fra parentesi alias vitellinum nonché all'aggettivo ista il testo è tratto da Gessner, si emenda in base a Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Integram famem ad ovum affero: itaque usque ad assum vitulinum (alias vitellinum) opera ista perducitur, Cicero in epist. ad Paetum. Ubi integram famem ad ovum afferre (inquit Caelius) non aliud esse videtur, quam ad secundam usque mensam cibi appetentiam producere.

[8] De re coquinaria VII,17. (Aldrovandi) - Da www.fh-augsburg.de: 1. Ova frixa: oenogarata. - 2. Ova elixa: liquamine, oleo, mero vel ex liquamine, pipere, lasere. - 3. In ovis hapalis: piper, ligusticum, nucleos infusos. suffundes mel, acetum, liquamine temperabis. § Il download tutt’altro che perfetto avviene come al solito da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 439: Ova frixa, oenogarata, obelixa liquamine, etc. Apicius 7. 17. Humelbergius sic legit. Ova frixa oenogaro (s<c>ilicet affuso inferuntur.) Ova elixa, liquamine, oleo, mero: vel ex liquamine, pipere, lasere.

[9] Compositiones medicamentorum 104. (Aldrovandi)