Vol. 1° -  VIII.2.4.

Palestina

2.4.a. Note introduttive

Semitico è un termine coniato da Schlözer nel 1781 per designare un insieme di lingue usate dai discendenti di Sem, uno dei tre figli di Noè. L'affinità delle lingue semitiche, che sono tra loro molto meno differenziate rispetto alle lingue indoeuropee, era già parsa chiara ed evidente ad alcuni Orientalisti del XVII secolo, come Bochart e Ludolf, e fu scientificamente confermata dagli studi posteriori. La classificazione più corrente delle lingue semitiche può essere così schematizzata:

·    ramo orientale: accadico, rappresentato da babilonese e assiro

·    ramo occidentale, che si articola in:

§   gruppo nord-occidentale: comprende amorritico, ugaritico, cananeo - ebraico, fenicio, punico, moabitico - e aramaico

§   gruppo sud-occidentale, a sua volta suddiviso in:

§  nord-arabico: comprende l'arabo e le sue varietà dialettali antiche e moderne

§  sud-arabico, distinguibile in una fase antica e in una fase moderna.

L’ebraico appartiene quindi al cananeo, sottogruppo del semitico nord-occidentale; fu adottato dagli Ebrei dopo il loro insediamento in Palestina nel XII secolo aC. La sua fase classica è rappresentata dai libri della Bibbia anteriori all'esilio - VI secolo aC - i quali mostrano varietà fonetiche e, in minor misura, morfologiche, sintattiche e lessicali, diverse a seconda delle regioni e delle epoche. Nel corso del primo millennio dC, quando l'ebraico non era più parlato, i Masoreti [1] aggiunsero al testo biblico le vocali in modo uniforme – mancanti negli originali – eliminando così ogni varietà dialettale. Diventa perciò difficile studiare l'evoluzione storica di questa lingua.

Possiamo suddividere l’ebraico in tre grandi periodi:

biblico (sec. XII aC - 587/6 aC)

postbiblico

moderno

Per molti secoli l'ebraico è stato utilizzato unicamente per motivi religiosi o letterari, tornando ad essere una lingua viva solo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Il principale fautore di tale rinascita fu Elizier Ben Yehuda (1858-1922) il quale, trasferitosi dalla Lituania in Palestina, introdusse l’ebraico nella sua casa, rendendo così quotidiano l’uso della lingua santa. Imitato da una cerchia di amici e conoscenti, diede origine alla prima famiglia di lingua ebraica, lasciando in eredità al suo popolo il Dizionario di ebraico antico e moderno, testo tuttora fondamentale. Attualmente l’ebraico è la lingua ufficiale dello Stato d'Israele, dove l’Accademia per la Lingua Ebraica presiede alle modifiche cui inevitabilmente è sottoposto, soprattutto per l’inserimento di nuovi termini.

L’aramaico appartiene anch’esso al gruppo nord-occidentale delle lingue semitiche. Si è frazionato in numerosi dialetti, fra i quali dobbiamo menzionare quelli della Palestina - giudaico, cristiano e samaritano - della Siria, della Mesopotamia settentrionale e meridionale. All’aramaico giudaico della Palestina appartiene anche il galileo, la lingua di Gesù. L’aramaico ha particolari somiglianze con l’ebraico e la sua scrittura deriva da quella antica dei Fenici. Gli Aramei sono uno dei grandi gruppi etnici e linguistici in cui si suddivide la stirpe dei Semiti. Nel XII secolo aC gli Aramei della steppa mesopotamica - tra il corso superiore del Tigri e dell’Eufrate - cercarono di spostarsi verso settentrione e oriente per stabilire le loro sedi nella Mesopotamia settentrionale, quindi si infiltrarono sempre più a occidente nella Siria e nella Palestina, e in Assiria e Babilonia a oriente, sovrapponendosi alle stirpi di questi paesi. L’espansione degli Arabi dopo la morte di Maometto pose fine al predominio dell’aramaico che fu dappertutto sostituito dall’arabo. Si può desumere com’era parlato l’aramaico ai tempi di Gesù dai Targûmín, che sono le parafrasi del Vecchio Testamento.

Torah in ebraico significa direttiva impartita con autorità, quindi norma, legge. Nel giudaismo la Torah è la legge divina quale si trova codificata nei testi sacri. La sua osservanza è pertanto l'atto religioso fondamentale dei Giudei.

La legge biblica è presentata nel Pentateuco come la parola stessa di Dio, rivolta a Mosè sul Monte Sinai e rivelata agli Ebrei durante la loro peregrinazione nel deserto, racchiusa infine nel discorso di Mosè prima della sua morte. È in base all'origine divina che la Torah è una costituzione immutabile e intangibile. Buona parte di queste leggi si ricollega, sia per forma che per contenuto, alle antiche costituzioni mesopotamiche che risalgono all’inizio del secondo millennio, in particolare al codice di Hammurabi. Ma questa rassomiglianza nei dettagli non deve far dimenticare la sorprendente specificità della Torah: legge divina, nata dalla volontà di un Dio unico, con articoli assoluti, atemporali, immutabili e universali, poiché si applicano a ogni membro d'Israele, sia re che suddito. Costituzione del popolo e non dello stato, essa si impone indipendentemente dalle circostanze storiche (sovranità politica, occupazione, esilio).

Più di ogni altro codice antico, insiste sul legame tra leggi civili e leggi religiose: il giudaismo sarà dunque la religione nazionale. Infine, riserva un posto particolare a valori universali quali la giustizia sociale, il carattere sacro della vita umana, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, Ebrei o stranieri che siano. Questi principi sono fissati in un testo eccezionale, i Dieci Comandamenti, di cui è ben noto il ruolo nella formazione delle civiltà monoteistiche: il Decalogo riassume i tratti essenziali della costituzione divina che viene trasformata e sintetizzata in altrettanti precetti assoluti, da cui derivano necessariamente tutti gli altri testi che altro non sono che leggi interpretative o esecutive.

Il testo originale dell'Antico Testamento, secondo il canone ebraico, è scritto in ebraico, ad eccezione di poche parti in aramaico (Genesi 31, 47 - due parole; Genesi 10, 11; Daniele 2, 4-3, 23; 3, 91-7, 28; Esdra 4, 8-6, 18; 7, 12-26). Sono scritti nella koiné greca i libri di Giuditta, Tobia, I e II Maccabei, Sapienza, Baruk, frammenti di Ester, la lettera di Geremia, Daniele 3, 24-90; 13-14.

Il Nuovo Testamento è scritto nella koiné greca, ma taluni hanno ipotizzato una prima stesura in aramaico del Vangelo di Matteo. Di nessun libro della Bibbia - pur tenendo conto dei preziosi manoscritti ritrovati nelle caverne di Qumran - possediamo l'originale. A causa del grande numero di manoscritti di cui disponiamo, è inevitabile l’esistenza di circa 200.000 varianti, che tuttavia molto spesso sono riducibili solamente a lievissime variazioni.

Importantissima per il testo ebraico che sottintende, nonché per la sua antichità, è la traduzione in greco dei Settanta, che fu fatta ad Alessandria nei secoli III e II aC. Caduta la leggenda di 70 traduttori che avrebbero stilato la propria versione all'insaputa l’uno dell’altro e che alla fine avrebbero prodotto un testo in tutto e per tutto identico, la traduzione è opera di diverse persone che hanno lavorato in tempi diversi, con diversa perizia linguistica e filologica. 

Il raffronto con i testi di Qumran ha dimostrato che la Traduzione dei Settanta rappresenta un testo critico di prim'ordine. Altre traduzioni di cui il critico si serve per la ricostruzione del testo originale sono: in greco quelle di Teodozione (ca. 180dC), di Simmaco (ca. 200dC) e di Aquila (ca. 140dC); in aramaico i Targûmín; in siriaco la Peshitta; in copto; in latino la Vetus Latina e la celebre Vulgata di San Girolamo dichiarata autentica dal Concilio di Trento.

Non dimentichiamo la Bibbia di Lutero, tradotta fra il 1522 e il 1534 dall'originale ebraico in un tedesco che ha per base la lingua della cancelleria sassone, ma che attinge largamente al linguaggio parlato dai diversi ceti e al patrimonio idiomatico popolare. La geniale opera di Lutero, quasi contemporanea all'invenzione della stampa, si diffuse - grazie a questa e per la forza della Riforma - in tutta la Germania protestante. Oltre ad aver contribuito in misura decisiva all'unificazione linguistica della Germania e alla formazione del Neuhochdeutsch - nuovo alto tedesco - grazie alla sua vitalità e bellezza è stata presa a modello da innumerevoli poeti tedeschi, non ultimo Brecht.

Talmud in ebraico significa studio. Poiché raccoglie i commenti rabbinici all’Antico Testamento per un arco di tempo che va dal III secolo aC al V secolo dC, è fonte primaria di ogni ricerca biblica; inoltre, contenendo la legge orale, è un complemento indispensabile alla Torah, la legge scritta. Il Talmud può essere sommariamente diviso in Mishnah e Gemara. La Mishnah, scritta in ebraico postbiblico, o neoebraico, presenta in forma succinta e schematica una legge o un precetto, mentre la Gemara, composta prevalentemente in aramaico, riporta sotto forma di verbale le discussioni e il dibattito dei rabbini sull'argomento, con le loro motivazioni che appaiono fondate sugli elementi più diversi, dalla fisica all'astronomia, dalla medicina all'astrologia, dalla filosofia alla magia e alla superstizione popolare. Il Talmud è diviso in 63 trattati, che per lo più vengono stampati in 12 volumi in folio [2] - secondo lo schema dell'editio princeps di Daniel Bomberg, che vide la luce a Venezia nel 1520 - per complessive 3.000 pagine.

Strix nel dizionario di latino del Georges viene tradotto con l’italiano strige, e si soggiunge che la strige era un uccello notturno, famoso nelle favole degli antichi; si credeva che esso succhiasse il sangue dei bambini nella culla e istillasse nelle loro labbra il proprio latte avvelenato; ritenuto quindi per una specie di arpia, di vampiro, di strega, ecc., citato da Plauto, Ovidio e Plinio.

L’italiano strige, e anche il latino strix, sono parole di origine onomatopeica.
A proposito di strix, Isidoro [3] afferma:
Strix nocturna avis, habens nomen de sono vocis; quando enim clamat stridet. (Etymologiae, XII,7)

La civetta ha una voce caratteristica: è stridente e acuta.
In inglese la strige è detta screech owl, dove screech significa grido, stridore, e owl - nome propinato a gufo, civetta, barbagianni - deriverebbe dal latino ululare, che in inglese antico e in medio basso tedesco suonava ule.
Ululare, in inglese, si dice to howl.

Il termine inglese owl, riservato ad alcuni uccelli predatori notturni, è troppo onnicomprensivo, in quanto essi hanno perlomeno una caratteristica distintiva appariscente: la forma della faccia.
Così la civetta e il gufo, avendo la faccia rotonda appartengono alla famiglia degli Strigidi, mentre il barbagianni possiede un viso a forma di cuore e appartiene a quella dei Titonidi.

Se qualcuno ha bisogno di orientarsi durante la consultazione di testi in inglese, possiamo aggiungere che i Titonidi sono denominati barn owls, cioè, rapaci notturni di granaio, mentre gli Strigidi costituiscono i typical owls.

Mario Alinei suggerisce un’interessante iter semantico toccato alla strige che, da uccello benevolo, è riuscito a generare la parola strega.
Il passaggio dal latino amma = mamma ad amma = uccello notturno, è attestato da Isidoro, il quale dice che la strix è detta volgarmente amma, per il fatto che ama i bambini, in quanto si narra che offre il latte ai neonati. Pertanto il gufo veniva considerato la nutrice dei lattanti. Anche Plinio menziona la credenza popolare secondo cui il gufo avesse mammelle e nutrisse i bambini.
Il motivo della strige nutrice è presente anche nella mitologia greca attraverso Atena
, associata alla civetta che nutre l’uomo di saggezza.

Successivamente l’uomo vira di bordo e scaccia negli inferi un uccello benefico: comincia a diffondersi la credenza che il latte del gufo è avvelenato nonché quella secondo cui il gufo-vampiro succhia il sangue ai bambini, per cui il nome latino strix diventa simbolo di un essere magico-religioso di segno negativo. Da strix ecco derivare striga nel latino popolare e nei dialetti italiani.

La domanda che potremmo porci, ma alla quale non sapremmo rispondere senza l’aiuto di Alinei, è come mai un essere in origine positivo si sia specializzato nel male.
Alinei, in Origini delle lingue d’Europa, afferma che gli storici della religione ipotizzano che la data di questo passaggio corrisponda all’età dei Metalli, come riflesso del peggioramento dei rapporti sociali nell’ambito delle società stratificate, e quindi anche di un peggioramento dell’immaginario religioso. Le capacità della mente umana, quando sottoposta al torchio di tasse e fame, sono strabilianti: da amma, amare, si passa quasi impunemente al significato opposto!

Plinio non sa fornire dati utili per l’identificazione di quest’uccello, confessando:
sed quae sit avium, constare non arbitror.
Dello stesso avviso è Capponi, il quale consiglia, quando si incontra il vocabolo strix, di affidarsi alle descrizioni dei singoli autori per identificare correttamente il volatile in questione.

Strige viene così definita nell’Enciclopedia De Agostini:
sf. lett. [sec. XVII; dal lat. strix strigis, gufo, barbagianni]. Uccello notturno da rapina (come gufi, civette e sim.).

Il Dizionario Enciclopedico Treccani concorda fondamentalmente con la De Agostini senza però riportare le ulteriori notizie fornite dal Georges.

Genere Strix:
alla famiglia degli Strigidi appartiene la sottofamiglia degli Strigini, cui fa da capolista il genere Strix composto da 11 specie:

Strix aluco - Allocco o Gufo selvatico
Strix varia - Gufo vario
Strix uralensis - Allocco degli Urali
Strix nebulosa - Allocco di Lapponia

quindi le seguenti specie senza corrispettivo in italiano:

occidentalis - hylophila - rufipes - butleri - ocellata - leptogrammica - seloputo.

Il Gufo comune, Asio otus, era chiamato bubo dai latini; appartiene alla famiglia Strigidi e alla sottofamiglia Strigini, mentre il Gufo reale, Bubo bubo, appartiene a quella dei Bubonini.
Quasi tutti i gufi hanno ciuffi di piume sovraoculari oppure auricolari, mostrano una faccia rotondeggiante e conducono vita notturna.

Fig. VIII. 9 - Il Gufo reale, Bubo bubo
Così l’ha visto Eleazar Albin, secondo il quale quest’uccello è della grandezza di un’aquila;
la testa è grande e somiglia, per ampiezza e aspetto, a quella di un gatto.

La Civetta comune, Athene noctua, è anch’essa uno Strigide appartenente alla sottofamiglia di Bubonini. Era sacra ad Atena e, conducendo vita prevalentemente notturna, i latini la chiamavano noctua.

Il Barbagianni, Tyto alba, è uno Strigiforme che dà il nome alla famiglia dei Titonidi; è diffuso in tutto il mondo; per gli Italiani la Tyto alba è diventata barba Gianni, cioè lo zio Giovanni, denominazione tra lo scherzoso e lo spregiativo, come è accaduto in numerose altre utilizzazioni, sia italiane che straniere, del nome Giovanni.

Fig. VIII. 10 - Il Barbagianni, Tyto alba: da The Birds of America (1827-38)
di John James Audubon (Las Cayes, Santo Domingo, 1785 - New York 1851),
il quale, oltre a essere pittore e disegnatore, si dedicò allo studio degli animali.

Se questa è l’interpretazione corrente del perché spesso gli animali vengono denominati ricorrendo al nome proprio di persone, Mario Alinei fornisce una spiegazione ben più esauriente e veritiera:

"Nel momento in cui un animale oggetto di caccia si è trasformato in oggetto di culto, quando cioè è assurto al rango di totem, il suo vero nome, diventato innominabile a causa del tabù magico-religioso che colpisce gli animali totemici, viene sostituito con nomi di parentela, o con vezzeggiativi, oppure con descrittivi di qualità caratteristiche. Questi nomi - usando un termine polinesiano - vengono detti nomi noa, che sono dei sostitutivi."

Si tratta di un procedimento che sta agli antipodi rispetto a un altro tipo di scelta fatta dall’uomo: quella di assumere il nome di animali, come è dimostrato dagli eroi dei film western, nei quali troviamo Toro Seduto, Cavallo Pazzo e così via. Un esempio sudamericano dello stesso modo di sentire gli animali è offerto da Atahualpa, del quale avremo modo di discutere.

 sommario 

 avanti 



[1] Masòra o massòra deriva dall'ebraico massorah, tradizione. Questa denominazione fu attribuita a tutto il vasto apparato critico formatosi intorno al testo ebraico dell'Antico Testamento, grazie alle scuole rabbiniche, già a partire dal II secolo aC, e affidato alla tradizione orale, da cui probabilmente il termine massora. Nella seconda metà del primo millennio, in Babilonia, in Palestina e in particolare a Tiberiade, sorsero scuole di editori del testo ebraico dell'Antico Testamento, i Masoreti. Essi si proponevano di stabilire il testo più autorevole mediante registrazione delle varianti a quello consonantico da essi ricevuto e mediante l'aggiunta di punti diacritici indicanti le vocali e gli accenti, in quanto i testi semitici occidentali e meridionali sono in origine solamente consonantici.

[2] In folio: locuzione avverbiale usata come aggettivo, che propriamente significa (stampato) su di un foglio. Serve a indicare il formato di un libro ottenuto piegando a metà il foglio di cartiera. La Bibbia delle 42 righe di Gutenberg e molti incunaboli furono stampati in questo formato, le cui dimensioni tradizionali furono tenute sui 26x40 cm. Normalmente prendono questo nome le edizioni librarie la cui altezza è compresa fra i 38 e i 50 cm.

[3] Isidoro di Siviglia: santo, vescovo, teologo e storico spagnolo (Siviglia circa 560 - 636). Proveniente da nobile famiglia ispano-romana che diede alla Chiesa quattro santi, alla morte dei genitori crebbe sotto la guida del fratello Leandro, vescovo di Siviglia, succedendogli nella cattedra vescovile nel 601 e svolgendo una funzione di primo piano nella Chiesa spagnola. Nel 633 fu tra le figure più eminenti del Concilio di Toledo, in cui venne data unità teologica e organizzativa alle varie liturgie allora esistenti in Spagna e durante il quale si trovò una delle formule teologicamente più indovinate per la definizione dei dogmi trinitario e cristologico. La sua opera letteraria non ha l'impronta dell'originalità, ma dimostra una profonda conoscenza del passato e grande abilità nell’organizzare l'immenso materiale che rappresentava tutto lo scibile dell'epoca e che fu da lui raccolto nell'opera enciclopedica Etymologiae, scritta in latino e divisa in venti libri da San Braurio. Sant’Isidoro si festeggia il 4 aprile.