Vol. 1° -  VIII.16.3.

È il momento di riabilitare Aldrovandi

Poche pagine addietro abbiamo visto che Ghigi fa un’affermazione non veritiera:

“L’Aldrovandi ha con ciò mostrato di non sapere che il tacchino è di origine americana...”.

Quanto segue è merito della pazienza e dell’amore per il vero del Professor Gabriele Baldan e dell’Istituto nel quale opera (Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente San Benedetto da Norcia - Padova).

 

Fig. VIII. 69 - In alto - Il tacchino e la tacchina di Aldrovandi: il maschio non ha sperone sull’unica zampa lasciata discretamente scoperta dall’ala. - In basso - Il tacchino di Conrad Gessner: ambedue le zampe di questo esemplare sono sfornite di sperone (tratto da pagina 464 della Historia animalium III, 1555).

Un giorno il Professor Baldan mi fornì uno stralcio dell’indice tratto dal secondo volume dell’Ornitologia di Aldrovandi. Alla voce Gallopavo iniziai a sospettare che Aldrovandi fornisse notizie esaurienti sul tacchino in pagine non in nostro possesso, pagine non presenti neppure nella traduzione di Lind del Libro XIV, e il sospetto si fece ancor maggiore quando incontrai Gallina Calekuttensis. Per un attimo mi tremarono le gambe, in quanto mi ero affidato completamente a Ghigi circa le conoscenze di Aldrovandi sul tacchino, anche se un forte, fortissimo sospetto mi era sorto quando nel Libro XIV - nel capitolo dedicato alla Faraona - Aldrovandi parlava in modo esplicito del granatello.

Non ci vollero molte parole per convincere il Professor Baldan a rubare tempo al tempo e tornare alla Biblioteca di Padova. Ottenuti i microfilm da pagina 1 a pagina 45 appartenenti al Libro XIII, mi gettai a capofitto nel testo latino, in quanto ero convinto di poter dimostrare che Aldrovandi il tacchino non se l’era solo visto passare sotto il naso, ma che l’aveva avuto davanti agli occhi.

A pagina 8 del libro XIII, quando parla delle differenze esistenti in seno al genere Pavo, Aldrovandi cita Pietro Martire, terra firma, Curiana, Darién, e dà alcuni cenni di uccelli osservati in quell’area americana. Penso si trattasse verosimilmente di Cracidi che avevano una chioma in testa, con maschi che poco si differenziavano dalle femmine, e dalle colorazioni del piumaggio diverse da quelle dei pavoni nostrani.

A pagina 36 Aldrovandi si abbandona a una lunga disquisizione per cercare di dimostrare che il tacchino era noto anche agli antichi. La sua dissertazione, a partire dalla riga 39, si basa sul fatto che esistevano dati discrepanti sui colori della testa di quegli uccelli descritti da Columella:

Contra antiquissimus Columella Meleagrides ab Africanis manifeste distinguit, quod Africanae sive Numidicae rutilam galeam et cristam, Meleagris utramque caeruleam habeat. Varro vero et Plinius disertissimis verbis Gallinas Africanas et Meleagrides easdem fecere.

Invece, l’antichissimo Columella distingue in modo chiaro le Meleagridi dalle Africane, in quanto le Africane, o Numidiche, hanno elmo e appendici di colore rosso acceso, mentre la Meleagride ha ambedue queste formazioni cerulee. Tuttavia Varrone e Plinio, usando precise parole, hanno fatto un tutt’uno delle Africane e delle Meleagridi.

Cum itaque carnosam illam cristam in Gallopavone varii coloris esse observamus, adeo ut modo albicans sit, aut cinerea, modo subcaerulea, modo adveniente sanguine, cum nempe velut ira percitus caudam in rotae modum expandit, rutula aut rubra evadat, fieri po­test, ut Columella eiuscemodi carunculae colorem non bene distinguens, diversas aves crediderit, seu potius, quod magis verisimile est, pro Africanis (est enim Columella Varrone recentior) Gallinas illas Chineas, pro Meleagride Gallopavonem intellexerit: quo modo doctissimus Bellonius quoque distinxisse videtur. Sed videamus tandem, num notae omnes, quas Meleagridi suae seu Gallinae Africanae antiqui tribuunt, nostro Gallopavoni exacte conveniunt.

Pertanto, dal momento che osserviamo che nel tacchino quell’appendice carnosa si presenta di svariati colori, tant’è che ora è biancastra o cinerea, ora azzurrina, ora rossastra o rossa quando vi giunge il sangue, vale a dire nel momento in cui, come preso da ira, espande la coda a forma di ruota, potrebbe darsi che Columella non distinguendo bene il colore di tale caruncola, abbia creduto trattarsi di uccelli diversi; oppure, e ciò è più verosimile, potrebbe aver giudicato che quelle galline della Guinea sono Africane (infatti Columella è più recente di Varrone) e che il tacchino è la Meleagride: e anche il dottissimo Belon sembra abbia fatto la stessa distinzione. Ma tuttavia vediamo se tutte le caratteristiche che gli antichi attribuiscono alla loro Meleagride o alle loro Galline Africane si addicono in modo esatto al nostro tacchino.

Da questo punto in poi Aldrovandi cerca di trovare tutte le possibili similitudini fra il tacchino e la faraona dalle appendici rosse citata dagli antichi, notando che anche il tacchino è privo di speroni come la faraona (37,55), che anche le uova del tacchino sono maculate (38,26). Alla riga 27 di pagina 38 Aldrovandi, quasi esausto, è convinto di aver chiaramente dimostrato che le Meleagridi di Clito e di Varrone corrispondono al nostro tacchino:

Atque hisce hactenus satis dilucide Meleagrides Clyti et Varronis nostros Gallopavones esse probare videor...

Mi sembra che fin qui dimostro abbastanza chiaramente che le Meleagridi di Clito e di Varrone sono i nostri tacchini...

Clito di Mileto: storico del IV sec. aC, discepolo di Aristotele. La sua descrizione della meleagrís, della Numida meleagris, è riferita da Ateneo di Naucrati ne I Dipnosofisti 655 C-F.

e, alla riga 48:

...nihil amplius dubitandum est, quin Gallina Africana noster Gallopavo fuerit.

...non bisogna ulteriormente dubitare che la Gallina Africana sia stata il nostro tacchino.

Quest’ultima affermazione sta solo ad indicare un principio che dobbiamo evitare a ogni costo: essere riverenti verso l’autorità costituita anche se la realtà si oppone al buon senso. Aldrovandi non riuscì a staccarsi da Columella, Varrone, Plinio, Clito etc, come altri non sono riusciti e non riescono a staccarsi da Darwin quando è necessario.

Per altri risvolti, credo corrisponda al vero quanto afferma Sione Ake Mokofisi circa le capacità nautiche degli antichi Polinesiani, ritenuti da certe correnti scientifiche nulla più che uomini della pietra quando Colombo prendeva possesso del Nuovo Mondo in nome della corona di Spagna. Anche secondo Mokofisi, Colombo fu un eroe degno di tutto rispetto, che osò sfidare quello che la maggior parte dei suoi contemporanei riteneva impossibile.

Ma i Polinesiani navigarono attraverso il Pacifico fino all’America molto tempo prima non solo di Colombo ma anche dei Vichinghi, perché non avevano paura di precipitare nel nulla una volta raggiunta la periferia della Terra, che per gli Europei altro non era che un piatto. Infatti, la psicologia insegna che nulla è peggiore della paura nell'arrestare la creatività umana. Pertanto, se la scienza ha paura di muoversi a causa di vecchi preconcetti, guadagnerà le sue mete a tappe stentate.

A pagina 36 Aldrovandi si chiede perché il tacchino debba per forza chiamarsi Gallopavus invece di Pavogallus, essendo la parola composta da Gallus e da Pavus che possono benissimo essere scambiati di posizione. Passa quindi ad elencarne i sinonimi:

Gallina Indica e Gallus Indicus
Gallus peregrinus - Pierre Gilles
Gallo e Gallina d’India - gli Italiani
Pavòn de las Indias - gli Spagnoli
Poulle d’Inde - i Francesi
Indianisch o Calekuttisch o Vuelsch hun - i Tedeschi
hoc est, Indica, aut Calekuttensis, aut Italica Gallina
Kok of Inde - gli Inglesi

Aldrovandi stavolta non riporta il sinonimo delle Fiandre, Kalkoen, termine usato ufficialmente in Olanda dal 1567 come degenerazione di Calcoen, Kalkoensche henne (Junius, 1567) e Callecoetsche hinne (Plantijn, 1573). In lituano il tacchino è detto Kalakùtas, e nel Litauisches Etymologisches Wörterbuch troviamo che in tedesco il tacchino può suonare kalekutischer Hahn e anche Kalekut. Il nome deriva dalla città di Calicut, in India.

Aldrovandi prosegue:

Verum cum eiuscemodi avis vix ante octaginta ab hinc annos in Europa visa sit, et ex nova India ad nos delata...

In verità, essendo apparso in Europa siffatto uccello appena un’ottantina di anni fa, portatoci dalla nuova India...

A pagina 41 ha inizio il paragrafo Forma - Descriptio, dove esordisce con queste parole:

Gallopavo, cum apud nullas non Europae gentes iam passim ita obvius sit factus, et exacte satis a Petro Gyllio sub peregrini Galli nomine descriptus, itaque allata ab illo descriptione acquiescemus: si quid tamen notatu dignum omiserit, id maioris delucidationis gratia de nostro addemus.

Il tacchino, essendo diventato talmente ovvio già in lungo e in largo presso molte popolazioni europee, ed essendo stato descritto in modo sufficiente ed esatto da Pierre Gilles sotto il nome di Gallo straniero, ci affidiamo alla descrizione tratta da lui: tuttavia, se avrà omesso qualcosa degno di nota, aggiungeremo del nostro per maggiori chiarimenti.

Per la descrizione del tacchino Aldrovandi si serve del testo delle accessiones - delle aggiunte - alla traduzione della Natura degli animali di Eliano di Pierre Gilles che l’aveva visto - is quem ex novo orbe delatum vidi - e, come promesso, aggiunge qualcosa di suo che non è qualcosa di riferito, in quanto tre pagine prima (38,38) Aldrovandi afferma chiaramente:

Gallopavo, quem nunc manibus contracto, smaragdi colore quidem non est...

Il tacchino, che ora tocco con le mani, in verità non è color smeraldo...

Gilles Pierre - Petrus Gillius o Gyllius: naturalista francese (Albi, dipartimento di Tam, 1490 - Roma 1555). Ebbe una predilezione per l’ittiologia e si dedicò all’esplorazione della vita marina delle coste meridionali della Francia e dell’Adriatico, tanto che scrisse un libro sui nomi francesi e latini dei pesci che fece parte di un volume in cui compare anche la traduzione in latino dell’opera di Claudio Eliano La natura degli animali, oltre a delle aggiunte - accessiones - cui fa riferimento Conrad Gessner. Ecco il titolo completo di quest’opera stampata a Lione nel 1533: Ex Aeliani historia per Petrum Gyllium latini facti, itemque ex Porphyrio, Heliodoro, Oppiano, tum eodem Gyllio luculentis accessionibus aucti libri XVI. De vi et natura animalium. Ejusdem Gyllii Liber unus, De Gallicis et Latinis nominibus piscium. Nel 1544 Gilles lasciò la Francia al seguito di un’ambasceria francese di cui faceva parte il cosmografo reale André Thevet d'Angoulême e sembra che abbia soggiornato a Costantinopoli dal 1544 al 1547, raccogliendo fonti letterarie e indagando i ruderi della città antica, scrivendo poi De Topographia Constantinopoleos et de illius antiquitatibus libri IV e successivamente De Bosphoro Thracio libri III che vennero completati dal nipote Antoine Gilles e stampati a Lione nel 1561. Pierre era morto a Roma il 5 gennaio 1555 e venne sepolto nella chiesa di San Marcello.

Ecco le aggiunte alla descrizione di Gilles (41,25):

Crura scilicet calcaribus carere, et marem a faemina, cum iam ad maturam aetatem pervenerint, setacea barba ante gulam distingui, carunculamque illam in faemina admodum exiguam esse. Quod vero pennas Accipitris similes esse dicit, id propter multiplices maculas intelligendum est.

Le gambe, appunto, non hanno speroni, e il maschio e la femmina, quando sono giunti alla maturità, possono essere distinti grazie ad una barba fatta di setole posta davanti all’esofago, e quella caruncola nella femmina è molto piccola. Circa il fatto che egli dice che le penne sono simili a quelle dello Sparviero, bisogna intendere che è a causa delle molteplici chiazze.

Se Aldrovandi insiste sull’assenza di speroni nel tacchino, sia Ghigi che le attuali monografie specifiche parlano invece della presenza di speroni, che sono certamente presenti nei maschi delle varie sottospecie selvatiche. Non è escluso che nel 1500, in mano agli Aztechi, nel tacchino si fosse verificata la perdita di un carattere genetico peculiare, come accadde alle Nane Belghe selezionate dagli Olandesi, i quali ormai sono diventati categorici: i galli di queste razze, se sforniti di speroni, non vengono ammessi alle mostre.

Tuttavia, in Poultry breeding and genetics di Crawford, nella sezione dedicata al tacchino, non troviamo alcun cenno a quella mutazione genetica che nel pollo va sotto il nome di spurlessness - assenza di speroni -; per cui possiamo solamente formulare delle ipotesi se vogliamo spiegare l’affermazione di Aldrovandi circa l’assenza di speroni nei soggetti da lui osservati.

Ecco le ipotesi:

· nel 1500 la mutazione spurlessness - autosomica e recessiva nel pollo - era posseduta anche dal tacchino e in questo volatile è successivamente scomparsa con un ritorno alla norma

· Aldrovandi ha avuto fra le mani tacchini giovani nei quali gli speroni non avevano ancora cominciato a crescere; infatti nel tacchino maschio lo sperone inizia la sua crescita intorno alle 30 settimane di vita, quando il soggetto ha già praticamente acquisito le fattezze dell’adulto.

Questa seconda ipotesi potrebbe essere la più plausibile.

Mettiamo fine a questa riabilitazione di Aldrovandi riferendo un dato scientifico che parrebbe un’inezia. Giambattista Della Porta diceva che i pavoni si accoppiano coi tacchini e che ne nascono bellissimi pulcini; inoltre, dall’unione di una tacchina con un pavone si sono ottenute uova feconde (42,17):

...nata sunt ova foecunda, ex quibus pulli omnium pulcherrimi exclusi sunt, pennas habentes nitidissimo colore fulgentes...

...sono uscite delle uova feconde, dalle quali sono nati dei pulcini tra i più belli, con penne rifulgenti di un colore brillante...

Se consultiamo pagina 111 di Bird Hybrids di Annie Gray questa possibilità viene riportata, anche se la relazione raccolta negli USA parla dell’accoppiamento di un tacchino maschio con una pavonessa.

Fig. VIII. 70 - Riabilitazione di Belon: anche Pierre Belon conosceva il tacchino e ne dà una prima raffigurazione in un’incisione del 1555, cui seguirà quella di Aldrovandi. La didascalia di Belon recita: Meleagris en Grec, Gibber en Latin, Coc d’Inde en Francoys. Gibber era l’aggettivo dato alla faraona da Varrone. Interessante il fatto che il soggetto in primo piano è fornito di speroni. Quello in secondo piano ne è privo: in base alle dimensioni e alla foggia della caruncola, nonché per l'assenza di un granatello ben visibile, dovrebbe trattarsi di una femmina, al massimo di un giovane maschio. Quest'immagine - antecedente ma praticamente coeva a quella di Aldrovandi - potrebbe essere la conferma che il maschio senza speroni da lui citato era verosimilmente un soggetto giovane, e non un portatore di un'ipotetica mutazione spurlessness.

Come ha accennato Alessandro Ghigi (VIII,15.11), gli errori interpretativi in campo ornitologico durante il Medio Evo naturalistico non erano affatto rari. Ma credo che neppure Conrad Gessner si sia lasciato trarre in inganno circa la vera identità e origine del Gallus Indicus - o Indianisch o Calekuttisch o Vuelsch hun -, in quanto aveva come supporto le osservazioni sul tacchino di Pierre Gilles.

Infatti anche Gessner potrebbe aver pensato - ma solo per un attimo - che Eliano avesse descritto il tacchino quando parlò di un grosso gallo dell’India in La natura degli animali XVI,2: “I galli [alektryónes] sono di straordinarie proporzioni e non hanno la cresta rossa [lóphon ouk erythrón] come quelli dei nostri paesi, ma screziata come una corona di fiori. Le penne della coda non sono ricurve né arrotolate, ma piatte, ed essi le trascinano come i pavoni, quando non le rizzano e le dispiegano. Le ali dei galli indiani sono dorate, con riflessi cerulei che ricordano quelli dello smeraldo.” (traduzione di Francesco Maspero, 1998).

Vediamo il testo latino di Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 464-465: In India gallinacei nascuntur maximi: non rubram habent cristam ut nostri, sed ita variam et floridam, quemadmodum coronam ex floribus contextam. Pennas posteriores (caudae, πτερά τὰ πυγαῖα - pterá tà pygaîa) non inflexas habent, neque in orbem revolutas, sed latas, quas cum non erigunt, ut pavones trahunt: eorum pennae smaragdi colorem gerunt, (χρόαν δὲ ἔχει τὰ πτερά αὐτῶν χρυσωπούς τε καὶ κυναναυγεῖς - chróan dè échei tà pterá autøn chrysøpoús te kaì kynanaugeîs [forte, χρυσωπήν τε καὶ κυαναυγῆ - chrysøpën te kaì kyanaugê] κατὰ τὴν σμάραγδον λίθον - katà tën smáragdon líthon,) Aelianus 16. 2. in translatione P. Gillii. et sane gallus hic Indicus non alius quam noster pavogallus videtur, vel certe omnino congener. Rursus in Gillii accessionibus, gallopavum nostrum his verbis descriptum invenio: De gallo peregrino: Is quem ex novo orbe deportatum vidi, eadem est qua pavo colli proceritate, quod ipsum simul cum capite a plumis omnino nudum est: tantum purpurascente pelle obducitur: et tam valde crassum est, ut pellem quae antea laxa et vacua spectabatur, cum vocem mittit, sic contendat et instet, ut ad brachii crassitudinem accedat. Vox cum fragore per collum longe lateque vagans redditur, ut liquorem in dolium infusum diceres strepere: in sua tamen voce quiddam gallinaceum recinit. Eius capitis vertex colore partim albo, partim caeruleo, partim purpureo distinctus, crista caret: quaedam rubra appendicula carnea ex eius summo rostro per superiorem rostri acclivitatem, tantopere eminet, ut digiti longitudine inferius dependeat quam rostrum ipsum, quod quidem ipsum ea superintegitur, ut [465] nisi e transverso videri non queat. Hanc quidem appendiculam cum pastum capessit contrahit, ut quae antea digito longior, quam rostrum propendebat, modo contracta ad rostri longitudinem non accedat. Huius plumae tum accipitris speciem similitudinemque gerunt, tum extremae albae visuntur. Cruribus est procerissimis, eiusdemque ungues similiter ut nostratium aduncitatem habent, et distinctionem. Illius quem vidi corpus et rotundum erat, et pavonis excelsitatem superabat. Oculorum ambitus coeruleo et purpureo colore efflorescebat, et perinde ut accipitres acri atque acuto videndi sensu vigebat. Cum quispiam ad gallinam appropinquat, totus inhorrescit, plumis et gradu superbo exterrere accedentes conatur: gallina illius alba erat, et pavonem cum is plumas caudae amisit, referebat, Haec omnia Pet. Gillius.

Come abbiamo appena detto, Gessner, leggendo il testo della traduzione di Eliano fatta da Gilles, pur non accondiscendendo, potrebbe aver pensato per un attimo a un tacchino dell’India descritto da Eliano circa 1300 anni prima. C’è chi, invece che a un tacchino, ha addirittura pensato a un Gallus gallinaceus ciuffato, con tutte le implicazioni storiche e cronologiche relative al percorso seguito da questa mutazione per raggiungere l’Europa. È probabile che il ciuffo del pollo abbia avuto origine in Asia e che raggiunse l’Europa dall’Asia, ma è verosimile che questa mutazione non attraversò mai l’India e il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Probabilmente la notizia di Eliano dei galli indiani forniti di ciuffo proviene da Ctesia, medico e storico greco del sec. V aC. Per non cadere in erronee interpretazioni vale la pena accennare a cosa si rimugina circa l’identità di questi enormi galli dell’India, che poi enormi non sono. D’Arcy Thompson (1895) dice: “The large fowls of Ctesias, fr. 57.3, and Ael. xvi.2, with plumage chrysøpòn te kaì kyanaugê katà tën smàragdon líthon, were Impeyan Pheasants; cf. Cuvier in Grandsaigne’s Pliny, vii, p. 409, and Yule’s Marco Polo, i, p. 242”.

L’uccello che Eliano descrisse, forse grazie a Ctesia, non era certamente un tacchino, e se era effettivamente il Lophophorus impeyanus, cioè il Lofoforo splendente, o Himalayan monal come lo chiamano gli anglofoni, siamo di fronte sì a un fasianide come il pollo domestico, ma le sue dimensioni in lunghezza non erano e non sono assolutamente spropositate come sembrerebbe dal testo di Eliano, in quanto la lunghezza del maschio è di circa 700 millimetri, equivalente quindi a quella dei maschi delle quattro specie selvatiche del genere Gallus attualmente riconosciute.

Infatti, stando ai dati di Jean Delacour (1977):

Gallus gallus: 650-750 mm

Gallus sonnerati: 700-800 mm

Gallus lafayettei: 660-725 mm

Gallus varius: 700 mm

Sia il Lophophorus impeyanus che i quattro Galli della giungla avrebbero da invidiare le dimensioni di due loro conterranei, che sono effettivamente imponenti. Infatti, sempre secondo Delacour, ecco la lunghezza dei maschi delle due specie di pavoni:

Pavo cristatus: 1800-2300 mm

Pavo muticus: 1800-3000 mm  

Lophophorus impeyanus
Lofoforo splendente o Himalayan monal

 

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