Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallo Gallinaceo

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

408

 


Si raccomanda l'opzione visualizza ->  carattere ->  medio del navigatore

In opertaneis sacris gallinae nigrae non videbantur purae, Idem[1]. Gallum nutrito quidem, ne tamen sacrificato: est enim Soli et Lunae dicatus. Hoc (inquit Lilius Gr. Gyraldus[2]) ab aliquibus inter symbola repositum est. Sunt qui dimidiatum tantum efferant, Gallos enutrias. Nonnulli praeceptum hoc non symbolum faciunt, nec aliud quam gallum ipsum intelligunt. Sed licet etiam symbolice interpretari: vel ut Picus, ut divinam animae nostrae partem, divinarum rerum cognitione, quasi solido cibo et coelesti ambrosia pascamus: Vel simplicius, gallos, id est milites ac bellatores homines in civitate habendos esse, et in contubernio retinendos, non tamen rei sacrae causa. seu urbis vigiles et custodes intelligas, quando ii per gallos significari videntur: et Soli ac Lunae dicati, quoniam tempori hoc hominum genus inserviunt, quod per Solem et Lunam intelligitur: vel quod nos gallus suo cantu admoneat. Alius aliam comminisci poterit expositionem, ut gloriosos et stolidos homines, nimiumque sibi arrogantes, habendos illos quidem, et non penitus eijciendos: non tamen ad sacra, id est arcana admittendos, minusque in seriis et gravioribus sermonibus habendos. Scribit Pausanias in Lacon. (lege, Corinthiacis[3]) Methanam urbem ad Isthmum, in qua cives contra Africum vineis florescentibus ac germinantibus infestum, galli pennis albis ac niveis (alas omnino candidas habentis, Loescherus Pausaniae interpres,) remedio usos fuisse: quem gallum homines in diversa trahentes, discerpebant, per vineas discurrentes: demum in eundem locum redeuntes, ubi discerpserant, gallum sepeliebant. Adeo hi diversi fuere a Pythagorae institutis, quem tradunt gallum album adeo amasse, ut si quando videret, fratris germani loco salutaret, et apud se haberet, (vide inter proverbia, Gallo albo abstineas) suis vero sectatoribus, qui civiles id est politici dicti sunt, permisisse ait Iamblichus, ut gallum, agnum et alia quaedam paulo ante nata, praeter vitulum, rite sacrificarent. Idem scribit Suidas.

Nei riti segreti le galline nere non erano ritenute pure, ancora Giraldi. Nutri senz'altro il gallo, tuttavia non sacrificarlo: infatti è dedicato al Sole e alla Luna. Quest'espressione (dice Giglio Gregorio Giraldi) da alcuni è stata posta tra i simboli di fede. Alcuni ne riferiscono solo una metà: Nutri i galli. Alcuni non ritengono quest'espressione un simbolo di fede, e non intendono altro che il gallo stesso. Ma è possibile interpretarlo anche simbolicamente: o come Giovanni Pico della Mirandola, affinché nutriamo la parte divina della nostra anima, attraverso la conoscenza delle cose divine, per così dire con cibo solido e ambrosia celeste: oppure più semplicemente, che in una città bisogna avere dei galli, cioè dei soldati e degli uomini bellicosi, e che vanno tenuti in una tenda in comune, tuttavia non per motivi sacri. Ma devi intendere come se si trattasse di sentinelle e custodi della città, e in tal caso appare chiaro che essi hanno il significato di galli: e dedicati al Sole e alla Luna, in quanto a tempo opportuno sono al servizio di questo tipo di uomini, e lo si capisce attraverso il Sole e la Luna: ossia, in quanto il gallo ci avvisa con il suo canto. Un'altra persona potrà escogitare un'altra spiegazione, affinché gli uomini vanagloriosi e stolti, e troppo arroganti con se stessi, debbono sì possederli, e non debbono gettarli via completamente: tuttavia non sono da usare per i riti sacri, cioè per le cerimonie segrete, e bisogna farli comparire di meno nei discorsi seri e di un certo peso. Pausania scrive in Laconia (leggi Corinto) che c'è la città di Methana vicina all'istmo di Corinto, nella quale gli abitanti contro il vento che soffia dall'Africa – il libeccio - devastante per le vigne mentre stanno fiorendo e mettendo i germogli, si servivano come rimedio delle penne di un gallo bianche e candide come la neve (che aveva le ali completamente bianche, Abraham Löscher, traduttore di Pausania): e gli uomini, correndo attraverso le vigne, laceravano questo gallo traendolo in direzioni opposte: infine, tornando nello stesso punto dove lo avevano lacerato, seppellivano il gallo. Persino costoro si comportarono in modo opposto alle regole di Pitagora, e riferiscono che costui tanto amò il gallo bianco che se per caso lo vedeva lo salutava come se fosse un fratello nato dagli stessi genitori, e lo teneva con sé (vedi tra i proverbi: astieniti dal gallo bianco), e Giamblico dice che permise ai suoi seguaci, che furono detti civili, cioè politici, che sacrificassero, secondo il rito prescritto, il gallo, l'agnello e alcuni altri animali appena nati, eccetto il vitello. La stessa cosa scrive il lessico Suida.

Sed et Laertius, Sacrificiis (inquit) utebatur Pythagoras inanimis. Sunt qui dicant, gallis gallinaceis, et hoedis etiam lacteolis quos teneros dicunt, agnis autem minime. Caeterum Aristoxenus apud Gellium, cuncta illum animata in cibum permisisse ait, bove aratore et ariete exceptis. Idem scribit Suidas: qui et illud ait, a Theoclea sorore, vel potius (ut est apud Laertium) Themistoclea, haec placita illum sumpsisse. At vero Christiani theologi nonnulli, per gallos concionatores [contionatores] et divinos homines intelligunt, qui nobis verba salutis enunciant: quique iacentibus in tenebris et umbra mortis, lucem, qui Deus est, praenunciant, et a nobis mentis nostrae veternum ac torporem suo cantu excutiunt, Haec omnia Gyraldus. Socrates in Phaedone[4] ad mortem se praeparans, Aesculapio (inquit) o Crito gallum debemus, quem reddite neque negligatis. Hoc votum tanquam hominis minime sapientis Lactantius lib. 3. Divin. instit.[5] et in Apologetico[6] Tertullianus reprehendunt: defendit Caelius Rhodiginus in Antiquis lectionibus 16. 12. his fere verbis.

Ma anche Diogene Laerzio dice: Pitagora si serviva di sacrifici inanimati. Alcuni sarebbero propensi a dire che si servisse di galli e di capretti anche se lattanti che dicono essere teneri, ma pochissimo di agnelli. D'altra parte Aristosseno in Aulo Gellio dice che lui diede il permesso di servirsi come cibo di tutti quegli esseri animati, fatta eccezione per il bue che arava e l'ariete. La stessa cosa scrive il lessico Suida: il quale dice pure che lui desunse questi precetti dalla sorella Teoclea, o meglio Temistoclea (come si trova in Diogene Laerzio). Ma a dire il vero alcuni teologi cristiani intendono per galli i predicatori e gli uomini consacrati a Dio, i quali ci annunciano le parole della salvezza: e i quali annunciano la luce, che è Dio, a coloro che giacciono nelle tenebre e nell'ombra della morte, e con il loro canto allontanano da noi l'apatia e il torpore della nostra mente, tutto questo lo scrive Giraldi. Socrate nel Fedone di Platone, mentre sta preparandosi alla morte, dice: O Critone, siamo in debito di un gallo ad Esculapio, e dateglielo e non venite meno all'impegno. Lattanzio nel III libro delle Divinae institutiones e Tertulliano nell'Apologeticus rimproverano questo voto come se fosse stato fatto da un uomo per nulla sapiente: lo difende Lodovico Ricchieri in Lectiones antiquae 16,12 più o meno con queste parole.

Oblitus est (inquit) Lactantius sententiae illius, Nunquam futurum Platonicum, qui allegorice Platonem non putet intelligendum. Quid vero illis involucris sibi Plato voluerit, iam nunc ex Platonicorum sententia promere adoriar. Prisci Aesculapio medico, Phoebi filio gallum sacrificabant, diei Solisque nuncium, id est divinae beneficentiae morborum omnium curatrici, quae divinae providentiae filia nominatur, cui diem, id est vitae lumen se debere fatebantur. Eiusmodi medicum in superioribus Socrates perquiri iusserat, morborum animi curatorem. praeterea priscorum oracula tradunt, animas remeantes in coelum paeana, id est triumphalem cantilenam Phoebo canere. Reddit ergo Deo votum, ut alacer paeana canens coelestem repetat patriam, Haec Rhodiginus. Socrates gallum Aesculapio sacrificandum testamento cavit, cuius rei ex Platone etiam Eusebius, Tertullianus et Lactantius meminere. Artemidorus quoque in libro Onirocriticon quinto, somnium cuiusdam narrat, qui gallum Aesculapio vovit, si sanus foret, Gyraldus[7]. Et rursus in libro de Symbolis Pythagorae. Aesculapio gallus immolabatur. sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus[8]. Ἀφίησι τῷ Ἀσκληπιῷ ἀνάθημά τε καὶ ἄθυρμα <εἶναι>, οἱονεὶ θεράποντα καὶ οἰκέτην περιπολοῦντα τῷ νεῷ [νεῴ] τὸν ὄρνιν, ὁ Ἀσπένδιος ἐκεῖνος, Suidas ex innominato, in Ἀλεκτρυόνα.

Egli dice: Lattanzio si è dimenticato di quella massima che dice: Giammai diventerà un Platonico colui che non sia dell’avviso che Platone va inteso in modo allegorico. Ma cosa abbia voluto significare Platone con quelle coperture, adesso tenterò di esporlo deducendolo dal modo di pensare dei Platonici. Gli antichi sacrificavano al medico Esculapio figlio di Apollo - o Febo - un gallo, messaggero del giorno e del sole, cioè, della beneficenza divina che cura tutte le malattie, che viene detta figlia della provvidenza divina, alla quale riconoscevano di essere debitori del giorno, cioè della luce della vita. Socrate aveva comandato che venisse scelto fra le entità superiori un siffatto medico come curatore delle malattie dell’anima. Inoltre le massime degli antichi riferiscono che le anime che ritornano in cielo cantano a Febo un peana, cioè un ritornello trionfale. Adempie pertanto un voto al dio affinché cantando allegro un peana possa far ritorno alla patria celeste, queste le parole di Lodovico Ricchieri. Socrate nel suo testamento si preoccupò che venisse sacrificato un gallo a Esculapio, cosa di cui hanno fatto menzione anche Eusebio di Cesarea, Tertulliano e Lattanzio traendolo da Platone. Anche Artemidoro di Daldi nel quinto libro dell'Onirocriticon narra il sogno di un’altra persona che promise un gallo a Esculapio se fosse diventato sano, Giraldi. E ancora nel Symbolorum Pythagorae Interpretatio dice: Un gallo veniva immolato a Esculapio. Alcuni scrivono le galline, e queste dovevano avere il becco nero e le zampe nere, e le dita dispari. Se infatti avessero avuto becco o zampe gialli venivano ritenute impure dagli aruspici. Aphíësi tôi Asklëpiôi anáthëmá te kai áthyrma, hoioneì theráponta kaì oikétën peripoloûnta tôi neøi tòn órnin, ho Aspéndios ekeînos – Quel famoso uomo di Aspendo dedica a Esculapio, affinché sia un'offerta votiva e un trastullo, il gallo che vaga attorno al tempio come ministro e servitore, il lessico Suida da uno sconosciuto alla voce Alektryóna.

¶ Maiae, quam et Proserpinam et Cererem vocant, gallinaceum consecrarunt. quamobrem initiati huic deae avibus cortalibus abstinent, nam et Eleusine abstinentia ab his alitibus, et piscibus fabisque praecipitur, Porphyrius lib. 4. de abstinendo ab animatis. ¶ Gallus etiam Cybeli dicatus fuit, Gyraldus. ¶ Sunt qui tradant Pythagoram praeter sua instituta, bovem quandoque Musis, et Iovi gallum album immolasse: quoque vix crediderim, propter ea quae de eo in Symbolis retuli, Idem. ¶ Pecudem spondere sacello | Balantem, et laribus cristam promittere galli | Non audent, Iuvenalis Sat. 8. ¶ Gallum Latonae in amore esse aiunt, et quod ei affuerit parienti, et quod etiam nunc parientibus adsit, et faciles partus efficiat, Aelian[9]. Kiranides quidem gallinae cor ea adhuc palpitante exemptum, et coxae adalligatum, partum egregie accelerare scribit.

¶ A Maia, che chiamano anche Proserpina e Cerere, consacrarono un gallo. Motivo per cui gli iniziati di questa dea si astengono dagli animali da cortile, infatti anche a Eleusi viene prescritta l'astinenza da questi volatili, nonché dai pesci e dalle fave, Porfirio nel IV libro del De abstinentia ab animalibus. ¶ Il gallo fu dedicato anche a Cibele, Giraldi. ¶ Alcuni riferiscono che Pitagora, tralasciando i suoi precetti, talora immolò alle Muse un bue, a Giove un gallo bianco: anche questo farei fatica a crederlo a causa di ciò che ho riferito su di lui nel Symbolorum Pythagorae Interpretatio, ancora Giraldi. Non osano promettere in voto al santuario un animale belante e una cresta di un gallo ai Lari, Giovenale Satira XIII, vv. 232-34. Dicono che il gallo è amato da Latona, sia perché si trovava al suo fianco quando stava partorendo, sia perché anche adesso si trova al fianco delle partorienti, e provoca dei parti facili, Eliano. E Kiranide scrive che il cuore estratto da una gallina che sta ancora sussultando e allacciato alla coscia accelera in modo meraviglioso il parto.

¶ Gallus sacer erat Marti, et in templis dedicabatur, Eustathius. Hinc forte Aristophanes in Avibus gallum Ἄρεως νεοττόν, hoc est Martis pullum cognominat. Scholiastes quidem sic vocari ait, tanquam fortem et pugnacem. Romani Marti interdum gallum appingebant, ob militum videlicet vigilantiam: vel propter Alectryonis fabulam, Martis satellitis, in eam avem conversi, ut in eius nominis Festivo libello Lucianus scribit, et Ausonius[10] poeta uno pene versu attigit: Ter clara instantis Eoi, | Signa canit serus deprenso Marte satelles, Lilius Gr. Gyraldus. Lacedaemonii cum aliquo strategemate victoria potiti essent, Marti bovem immolabant: si vero aperto Marte vicissent, gallum. id quod ab eis non sine ratione fiebat, quod [409] pluris aestimabant incruentam victoriam, quam cruentam, Lilius Gr. Gyraldus: ut duces suos exercerent, non bellicosos tantum esse, sed etiam στρατηγικούς (lego στρατηγηματικούς,) Plutarchus in Laconicis.

¶ Il gallo era sacro a Marte e veniva dedicato nei templi, Eustazio. Forse per questo Aristofane negli Uccelli soprannomina il gallo Áreøs neottón, cioè pulcino di Ares. E lo scoliaste dice che viene così chiamato come per dire che è forte e pugnace. Talora i Romani rappresentavano un gallo accanto a Marte, evidentemente  perché i soldati vigilavano: oppure per la favola di Alettrione, guardia del corpo di Marte, trasformato in questo uccello, come scrive Luciano nel divertente opuscolo dallo stesso nome - Il sogno ovvero il gallo - Òneiros ë alektryøn -, e che il poeta Ausonio ha menzionato con a malapena un verso: Dopo che Marte è stato scoperto, la tonta guardia del corpo canta tre volte gli squillanti segnali dell’Aurora che incalza, Giglio Gregorio Giraldi. Gli Spartani, se si erano impadroniti della vittoria con qualche sotterfugio, immolavano a Marte un bue: ma se avevano vinto con una battaglia in campo aperto, immolavano un gallo. Una cosa che veniva da loro fatta non senza una ragione, in quanto apprezzavano maggiormente una vittoria incruenta di una cruenta, Giglio Gregorio Giraldi: per addestrare i loro comandanti a essere non solo bellicosi, ma anche stratëghikoús – degli strateghi (io interpreto stratëghëmatikoús – esperti in stratagemmi), Plutarco in Laconica apophthegmata.


408


[1] Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Seclusa sacra dicebantur, quae Graecis dicebantur mysteria, ut docet Festus. Initiationes vocat Cicero, Livius, aliique. Sunt et qui opertanea sacra huc transferant, quorum et Plinius meminit, in quibus gallinae nigrae non videbantur purae. Dici vero videntur opertanea, quod seorsum ab hominum conspectu et in operto fierent: vel quod mystica essent, et ἀπόῥῤητα.

[2] Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Et quanquam in symbolo Pythagorae, quod est, Gallum nutrias, ne tamen sacrifices, pleraque attuli de galli gallinacei sacris:[...].

[3] Pausanias, Description of Greece, Corinth, II,34,1-3:[1] Stretching out far into the sea from Troezenia is a peninsula, on the coast of which has been founded a little town called Methana. Here there is a sanctuary of Isis, and on the market-place is an image of Hermes, and also one of Heracles. Some thirty stades distant from the town are hot baths. They say that it was when Antigonus, son of Demetrius, was king of Macedon that the water first appeared, and that what appeared at once was not water, but fire that gushed in great volume from the ground, and when this died down the water flowed; indeed, even at the present day it wells up hot and exceedingly salt. A bather here finds no cold water at hand, and if he dives into the sea his swim is full of danger. For wild creatures live in it, and it swarms with sharks. [2] I will also relate what astonished me most in Methana. The wind called Lips, striking the budding vines from the Saronic Gulf, blights their buds. So while the wind is still rushing on, two men cut in two a cock whose feathers are all white, and run round the vines in opposite directions, each carrying half of the cock. When they meet at their starting place, they bury the pieces there. [3] Such are the means they have devised against the Lips. The islets, nine in number, lying off the land are called the Isles of Pelops, and they say that when it rains one of them is not touched. If this be the case I do not know, though the people around Methana said that it was true, and I have seen before now men trying to keep off hail by sacrifices and spells. (Description of Greece with an English Translation by W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 Volumes. Volume 1. Attica and Corinth, Cambridge, MA, Harvard University Press; London, William Heinemann Ltd., 1918)

[4] Platone, Il Fedone, LXVI: “Ô Krítøn,” éphë, “tôi Asklëpiôi opheílomen alektryòna· allà apòdote kaì më amelësëte.” - Il passo è famoso: ad Asclepio si era soliti offrire un gallo per riconoscenza di una guarigione ottenuta, così qui Socrate pensa simbolicamente alla sua guarigione, che è la morte. In coerenza con tutto lo svolgimento del Fedone che ha indicato nell’esistenza terrena una vicenda travagliosa da cui la morte è liberazione, Socrate ora, nel momento di emettere l’ultimo respiro, conferma con il suo solito buon umore e la sua lucida immaginativa, la fiduciosa credenza. Un gallo ad Asclepio egli deve, e Critone lo sacrificherà, perché lasciando, in pace, la sua esistenza terrena egli sta conseguendo la sua guarigione definitiva. Altre interpretazioni, come di chi ritiene il ricordo di un voto espresso nella battaglia di Delo e non ancor soddisfatto, appaiono qui meschine e stonate. (Nilo Casini, Il Fedone, Felice Le Monnier, Firenze, 1958)

[5] Il III libro delle Divinae institutiones porta il titolo di De falsa sapientia e non è pubblicato nel web. Uno stralcio relativo a Socrate contenuto nel De falsa sapientia possiamo desumerlo da Aldrovandi che lo riporta a pagina 256 di Ornithologiae tomus alter (1600): Lactantius in eundem Socratem ob id invectus ita infit: Quis iam superstitiones Aegyptiorum audeat reprehendere, quas Socrates Athenis authoritate confirmavit sua? Illud vero nonne summae vanitatis, quod ante mortem familiares suos rogavit, ut Aesculapio Gallum, quem voverat, pro se sacrarent? Timuit videlicet, ne apud Rhadamanthum recuperatorem voti reus fieret ab Aesculapio. Dementissimum hominem putarem, si morbo perisset. Cum vero hoc sanus fecerit, et ipse insanus, qui eum putet sapientem.

[6] Si riportano alcuni brani dedotti dall'Apologeticus in cui viene citato Socrate. - XI: Quot tamen potiores viros apud inferos reliquistis! aliquem de sapientia Socratem, de iustitia Aristiden, de militia Themistoclem, de sublimitate Alexandrum, de felicitate Polycraten, de copia Croesum, de eloquentia Demosthenen. – XIV: Taceo de philosophis, Socrate contentus, qui in contumeliam deorum quercum et hircum et canem deirabat. Sed propterea damnatus est Socrates, quia deos destruebat. Plane olim, id est semper, veritas odio est. Tamen cum paenitentia sententiae Athenienses et criminatores Socratis postea afflixerint et imaginem eius auream in templo collocarint, rescissa damnatio testimonium Socrati reddidit. Sed et Diogenes nescio quid in Herculem ludit, et Romanus Cynicus Varro trecentos Ioves, sive Iupitros dicendos, sine capitibus introducit. – XXII: Atque adeo dicimus esse substantias quasdam spiritales. Nec novum nomen est. Sciunt daemones philosophi, Socrate ipso ad daemonii arbitrium exspectante. – XLVI: Socratis vox est: Si daemonium permittat. Idem et cum aliquid de veritate sapiebat deos negans, Aesculapio tamen gallinaceum prosecari iam in fine iubebat, credo ob honorem patris eius, quia Socratem Apollo sapientissimum omnium cecinit. O Apollinem inconsideratum! Sapientiae testimonium reddidit ei viro qui negabat deos esse. [...]Ceterum, si de pudicitia provocemus, lego partem sententiae Atticae, in Socratem corruptorem adolescentium pronuntiatum. – Le invettive contro Socrate sono contenute anche nel De anima I,4-6: Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis de industria venerat consultae aequanimitatis, non de fiducia compertae veritatis. Cui enim veritas comperta sine deo? Cui deus cognitus sine Christo? Cui Christus exploratus sine spiritu sancto? Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento? Sane Socrates facilius diverso spiritu agebatur, siquidem aiunt daemonium illi a puero adhaesisse, pessimum revera paedagogum, etsi post deos et cum deis daemonia deputantur penes poetas et philosophos. [5] Nondum enim Christianae potestatis documenta processerant, quae vim istam perniciosissimam nec unquam bonam, atquin omnis erroris artificem, omnis veritatis avocatricem sola traducit. Quodsi idcirco sapientissimus Socrates secundum Pythii quoque daemonis suffragium scilicet negotium navantis socio suo, quanto dignior atque constantior Christianae sapientiae adsertio, cuius adflatui tota vis daemonum cedit? [6] Haec sapientia de schola caeli deos quidem saeculi negare liberior, quae nullum Aesculapio gallinaceum reddi iubens praevaricetur, nec nova inferens daemonia, sed vetera depellens, nec adulescentiam vitians, sed omni bono pudoris informans, ideoque non unius urbis, sed universi orbis iniquam sententiam sustinens pro nomine veritatis tanto scilicet et perosioris quanto plenioris, ut et mortem non de poculo per habitum iocunditatis absorbeat, sed de patibulo et vivicomburio per omne ingenium crudelitatis exhauriat, interea in isto tenebrosiore carcere saeculi inter suos Cebetas et suos Phaedonas, si quid de anima examinandum est, ad dei regulas diriget, certa nullum alium potiorem animae demonstratorem quam auctorem. A deo discat quod a deo habeat, aut nec ab alio, si nec a deo. Quis enim revelabit quod deus texit? Unde sciscitandum est? Unde et ignorare tutissimum est. Praestat per deum nescire, quia non revelaverit, quam per hominem scire, quia ipse praesumpserit.

[7] Negativa la ricerca in Historiae Deorum Gentilium, per cui è verosimile che la notizia sia contenuta nel Symbolorum Pythagorae Interpretatio. – Infatti nel novembre 2006 Roberto Ricciardi è riuscito a reperire il Symbolorum Pythagorae Interpretatio contenuto in Lilii Gregorii Gyraldi Operum quae extant omnium tomus secundus (Basileae per Th. Guarinum, mdlxxx) e a pagina 483 la frase di Giraldi suona così: Nec te id hoc loco latere velim, quod etiam de gallo gentes rem sacram facere consueverunt, eumque vel in primis Aesculapio mactabant: quod et Socratem testamento cavisse, apud Platonem legimus: cuius rei et Eusebius, Tertullianus et Lactantius meminere. Artemidorus quoque in libro Onirocriticon quinto, somnum cuiusdam narrat, qui gallum Aesculapio vovit, si sanus foret.

[8] Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Aesculapio de capra res divina in primis fiebat, quoniam capra nunquam sine febre esse dicitur: salutis vero deus Aesculapius. Sed et gallus illi immolabatur, ut est alibi a me dictum. Sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus. - Karin Zeleny nel suo studio sulle Historiae Deorum Gentilium del 1999 riporta che Giraldi scrisse il trattato citato da Gessner, contenuto in Libellus in quo aenigmata pleraque antiquorum explicantur - Paroeneticus Liber adversus ingratos - Symbolorum Pythagorae Interpretatio, cui adiecta sunt Pythagorica Praecepta mystica a Plutarcho interpretata - Libellus quomodo quis ingrati nomen et crimen effugere possit (Basileae 1551). Nulla vieta che la stessa frase riportata da Gessner e tratta dal liber de Symbolis Pythagorae sia contenuta pari pari nel Syntagma XVII delle Historiae Deorum Gentilium.

[9] La natura degli animali IV,29: Il gallo, così dicono, diventa particolarmente eccitato e saltella quando spunta la luna. Non lascerebbe mai passare inosservato il levar del sole; quando appare egli supera se stesso nell’intonare il suo canto. So che il gallo è l’uccello favorito da Latona. Il motivo è dovuto al fatto che esso assisteva la dea quando, presa dalle doglie, partorì felicemente i suoi due gemelli. Per questa ragione anche adesso viene posto un gallo accanto a una partoriente e sembra che ciò giovi a un felice evento [euødinas – generato facilmente]. (traduzione di Francesco Maspero)

[10] Griphus ternarii numeri 2.