Vol. 3° - X.

GENI attivi SU FUNZIONI E STRUTTURE

Capitolo 8
Pentadattilia europea: celtica o romana?
prima parte

 


Five-toed chickens: their origin, genetics,
geographical spreading and history

Elio Corti - Irina Moiseyeva - Michael Romanov
Izvestiya - 2010

Le razze attualmente pentadattile sono la Dorking, la Houdan, la Faverolles, la Sultano e la Silky, o Moroseta. Delle prime tre avremo modo di parlare diffusamente in seguito.

8.1. La razza Sultano e la Pavlov

Nella sezione XII-3.8. di questo volume, citando quel poco che conosciamo sulla storia della razza Sultano [1] , vedremo che secondo alcuni - tra i quali anche Darwin - questo pollo sarebbe originario della Turchia, secondo altri potrebbe essere originario della Russia e quindi allevato a Costantinopoli (Teodoro Pascal, 1905).

Fig. X. 9 - Sultano

Molto precise sono le parole di Bruno Dürigen, dal quale Pascal ha verosimilmente tratto la notizia della possibile origine russa del Sultano. Infatti Dürigen [2] così scriveva a pagina 211 del suo Die Geflügelzucht (1921):

54. Türken. Dieses Haubenhuhn mit Federfüßen und Bart - Gallus dom. barbato·cristatus, plumipes - erinnert von allen Türken Haubenhühnern am meisten an die mutmaßliche Stammform, nämlich das in Rußland seit Jahrhunderten heimische federfüßige Bart-Haubenhuhn (S. 212) [55. Pawlowa (Russen)].

54. Turchi. Questo pollo ciuffato dotato di piume alle zampe e di barba - Gallus domesticus barbato-cristatus, plumipes [Gallo domestico barbuto-ciuffato, con le piume ai piedi] - ricorda maggiormente, tra tutti i polli ciuffati, quello che con ogni probabilità ne è l'antenato, vale a dire il pollo dotato di zampe piumate, di barba e di ciuffo, da secoli di casa in Russia (pagina 212) [cioè, 55. Pavlov (Russi)]. (traduzione di Stefano Bergamo, 2003)

  

Fig. X. 10 – Pavlov pagliettata argento e pagliettata oro

E allora vediamo quali notizie forniva Dürigen a proposito della Pavlov [3] , da lui considerata l’antenato dei polli ciuffati, barbuti e dalle zampe impiumate, solitamente con 5 dita. Anche questo testo è contenuto in Die Geflügelzucht a pagina 212 ed è stato tradotto nel 2003 da Stefano Bergamo:

55. Pawlowa (Russen)

Das in den weiten Gebieten unseres östlichen Nachbarreichs entstandene und seit vielen Jahrhunderten heimliche und, wie auf Seite 139 besprochen, von uns als das Stammhuhn der Haubenhuhnrassen betrachtete federbärtige, auch federfüßige russische oder “sibirische” Haubenhuhn, Pawlows oder Pawlowa benannt - Gallus dom. barbato-cristatus, priscus - verliert neuerdings, wie ich bei meiner wiederholten Anwesenheit in Ruβland wahrnehmen konnte, in seiner Heimat zusehends an Verbreitung. Nach Deutschland wurde es nur vereinzelt, zuerst 1884 aus Moskau je ein Stamm goldlackfarbiger P. durch Herrn Otto Wogau nach Wien bzw. durch Herrn Ad. List jun. nach Leipzig, gebracht.

55. Pavlov (Russi)

Il pollo ciuffato russo o “siberiano” dotato di barba e di zampe impiumate, denominato Pawlows o Pawlowa - Gallus domesticus barbato-cristatus priscus [Gallo domestico barbuto-ciuffato, antenato] – formatosi nei vasti territori di quell’Impero che confina con noi a oriente, e ivi di casa da molti secoli, e, come si è detto a pagina 139, da noi considerato come l’antenato delle razze di pollo ciuffate, ultimamente nella sua patria sta perdendo in diffusione a vista d’occhio, come io stesso ho potuto constatare in occasione dei miei ripetuti soggiorni in Russia. Fu introdotto in Germania solo in casi isolati, e per la prima volta nel 1884 quando un ceppo di Pavlov color pagliettato oro fu portato da Mosca rispettivamente a Vienna ad opera del Signor Otto Wogau e a Lipsia dal Signor List.

In der Allgemeinen Erscheinung ähneln die P. durchaus den Türken und erscheinen auch infolge der tiefen Brust und der vollbefiederten Füße gedrungener und niedriger, als sie wirklich sind. Die auf dem runden, gewölbten kopf stehende Federhaube wünscht man jetzt rund und voll wie bei den durchgezüchteten Paduanern und Türken, indessen ist oft nur eine Halb-, Helm- oder Spitzhaube vorhanden, entsprechend der der alten Brabanter.

Nel loro aspetto generale le Pavlov assomigliano ai polli Turchi e, anche a causa del petto basso e delle zampe completamente ricoperte di piume, appaiono ancor più bassi e tarchiati di quanto siano in realtà. Il ciuffo di piume situato sulla sommità del capo rotondo e convesso adesso è richiesto tondo e pieno come si ritrova nei ceppi selezionati di galline Padovane e Turche, ma è spesso presente soltanto un mezzo ciuffo, ciuffo a elmo o ciuffo a punta, corrispondente a quello delle antiche Brabanter [4] .

Schnabel kurz, mit breiten, hoch umrandeten Nasenlöchern, hornfarbig; Kamm vorhanden in Form zweier dünner, von der Schnabelwurzel schräg auf und auswärts strebender, glatter Hörnchen; Ohrscheiben, größter Teil des Gesichts und die Kehle bedeckt von starkem Backen und Kinnbart; Kinnlappen sehr klein, nur beim Hahn bemerkbar; Auge dunkel; Hals kurz, leicht gebogen getragen, beim Hahn mit vollem, dichtem Behang; Körper kurz, gedrungen, mit breitem, flachem Rücken und runder, vortretender Brust; Flügel groß, breit (leicht herabhängend); Schwanz groß, voll, ziemlich aufrecht getragen, mit reichen Deckfedern und langen, breiten, schön gebogenen Sicheln; Beine niedrig, bestulpt, Läufe und Zehen (gewöhnlich 5) dicht befiedert, schieferblau; Gewicht des Hahns 1 ¾, das der Henne 1 ½ kg.

Becco corto, con larghe, alte narici, di color corno; cresta a forma di due cornetti sottili e lisci, che crescono obliqui verso l’alto a partire dalla radice del becco; orecchioni, gran parte della faccia e la gola ricoperti da folti favoriti e pizzo; bargigli molto piccoli, visibili solo nel gallo; occhi scuri; collo corto, portato leggermente ricurvo, nel gallo con mantellina piena, folta; corpo corto, compatto, con schiena larga e piatta, e petto arrotondato, sporgente; ali grandi, ampie (leggermente pendenti); coda grande, piena, portata abbastanza diritta, con abbondanti penne copritrici e con falciformi lunghe, larghe, ben arcuate; zampe basse, dotate di ghette, gambe e dita (solitamente 5) fittamente ricoperte di piume, blu ardesia; peso del gallo un chilo e tre quarti, quello della gallina un chilo e mezzo.

Man züchtet, und so war es nachgewiesenermaßen (P. Pallas 1768) schon vor 1 ½ Jahrhunderten, in der Hauptsache goldgetupfte und silbergetupfte, die aber nicht so vollkommen durchgezeichnet sind als unsere Gold und Silber Paduaner, - die Pawlowas sind eben nicht oder noch nicht die hochgezüchteten oder gar überzüchteten Rassehühner wie die letzteren, sondern tragen mehr das Gepräge oder die Zeichen des Naturwüchsigen, Ursprünglichen an sich wenngleich dies heute keineswegs mehr so offensichtlich erscheint wie noch vor weniger Jahrzehnten, als dies Huhn in Moskowien in bunter Reihe vorkam.

Come è stato dimostrato (P. Pallas 1768), si alleva già da un secolo e mezzo principalmente [nella varietà] pagliettata oro e pagliettata argento, ove tuttavia il disegno non si delinea chiaramente come nella nostra Padovana dorata e argentata, - le Pavlov non sono precisamente o non ancora quei polli altamente o perfino esasperatamente selezionati come per esempio gli ultimi [le Padovane], bensì portano l’impronta o il segno della riproduzione naturale, originaria, anche se questa oggi non si manifesta più in modo così evidente come alcuni decenni fa, quando questo pollo era presente nella regione moscovita in diverse varietà.

Fig. X. 11 – Brabanter o Brabantea

A questo punto viene quindi a inserirsi un’importantissima tessera nel polimorfo e intricato mosaico delle notizie storiche relative al pollo pentadattilo: si tratta di Peter Simon Pallas [5] , citato appunto da Dürigen. Pallas fu un attento osservatore e credo di poter affermare che fu anche molto obiettivo nel riferire i dati da lui rilevati. La genetica doveva ancora ricevere impulso da Mendel, eppure Pallas descrisse le varianti della polidattilia come se fosse un genetista a noi contemporaneo. Ciò che è più importante, non è il fatto che egli non osservò la polidattila nella Pavlov, allevata nei centri abitati, come invece accadde più tardi a Dürigen, ma che egli la riscontrò nei polli campagnoli, che erano quelli più frequentemente allevati in tutto il vasto Impero Russo. Per cui la polidattilia, ai tempi di Pallas, era una mutazione genetica che non rappresentava una rarità. Tutt’altro. E questa  sua vasta diffusione può essere spiegata con il fatto che molto verosimilmente la Russia era stata il corridoio attraverso il quale la polidattilia aveva raggiunto l’Europa, la Manica, la Britannia, e poi Roma, avendo come punto di partenza l’estremo orientale dell’Asia. La testimonianza di Pallas, nonostante non sia basata su reperti ossei, a mio avviso viene in parte a colmare quella lacuna di reperti archeologici russi che tanto ha angustiato Barbara West e Ben-Xiong Zhou durante le loro approfondite ricerche.

 

Fig. X. 12 – Il ritratto e il trattato di Peter Simon Pallas (Berlino 1741-1811)

Vediamo una parte del testo di Pallas contenuto da pagina 88 a pagina 92 del II volume della sua Zoographia Rosso-Asiatica (1811). Riportiamo solo ciò che è di nostro interesse, cioè i dati relativi ai polli pentadattili osservati da Pallas nel periodo 1768-1774, nonché la sua descrizione della Pavlov che non viene riferita come pentadattila, a differenza di quanto fece Dürigen circa 150 anni più tardi. Quindi, dopo l’elenco iniziale di tutte le razze che Pallas ebbe modo di osservare, troveremo l’analisi relativa alle razze di nostro interesse: α. Gallinaces rusticae - β. Gallinaces barbatae, vertice plumis cristato - δ. Gallinaces anglicae, pedibus pentadactylis, niveae - ε. Gallinaces cute et periostio nigris, plumis albis, setosis.

Pag. 88

232.  PHIASIANUS Gallinaceus

P. caruncula frontis compressa dentata, palearibusque gulae rubris, cauda surrecta, bivalvi.

Fagiano con escrescenza carnosa compressa e dentellata della fronte, con bargigli della gola rossi, con la coda sollevata, bivalve.

Gallus gallinaceus Auctorum, Willughb. orn. p. 109. tab. 26. Raj. av. p. 51.

Genus gallinaceum, Brisson. orn. I. p. 164.

Phasianus Gallus, Lin. syst. XII I. p. 270. sp. 1.

α. Gallinaces rusticae, fulvo-variae, nigrae, albae.

α. Galline di campagna, screziate di biondo rossiccio, nere, bianche.

Gallus versicolor, Brisson. orn. I. p. 166. sp. 1. Buffon,. orn. II. tab. 2.

Gallus hamburgensis, Albin. av. III. tab. 32. Frisch. av. tab. 127. 128.

β. Gallinaces barbatae, vertice plumis cristato, crista globosa et cranio in tuber prominulo stibiis [tibiis] plumosis.

β. Galline barbute, con la testa dotata di un ciuffo di piume, con il ciuffo globoso e con il cranio leggermente sporgente in una protuberanza, con le zampe impiumate.

Gallus cristatus, Raj. av. p. 51  Brisson. orn. I. p. 169. A. Pall. Spicil. Zool. IV. p. tab. Frisch. av. tab. 129.130. D’aubent. pict. tab. 1.

γ. Gallinaces procerae, maximae, plerumque nigrae vel nigro fulvae, crista carnea exili, facie papillosa rubra, cruribus validis; Persicae, Anatolicae, etiam proceriores sic dictis Bantamicis, motu et procreatione tardae.

γ. Galline di alta statura, molto voluminose, per lo più nere o fulve tendenti al nero, con una cresta piccola, con la faccia rossa rilevata in papille, dalle zampe robuste; Persiane, Anatoliche, di ben più alta statura rispetto alle cosiddette Bantam, lente nei movimenti e riguardo alla procreazione.

δ. Gallinaces anglicae, pedibus pentadactylis, niveae.

δ. Galline inglesi, con le zampe fornite di cinque dita, bianche come la neve.

Gallus et Gallina pentadactyli, Briss. orn. I. p. 169. B. Frisch. av. tab. 133. Buffon orn. II p. 124. n. 17.

ε. Gallinaces cute et periostio nigris, plumis albis, setosis, raris, Sinensibus etiam inquilinae.

ε. Galline dalla pelle e dal periostio neri, dalle piume bianche, setose e rade, che si trovano anche presso i Cinesi.

Gallus japonicus, Briss. orn. I. p. 175. sp. 6. tab. 17. fig. a. Buffon. orn. II. p. 121. n. 14. D’auhent. pict. n. 98.

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ζ. Gallinaces cute rubra, plumis plerumque recurvatis crispulis.

ζ. Galline dalla pelle rossa, con le piume per lo più curvate all’infuori e arricciate.

η. Gillinaces auruginosae, cute et pedibus flavis, a vulgaribus plerumque genitae; et dicuntur morbosae, ad propagationem haud eligendae.

η. Galline color ruggine, dalla pelle e dalle zampe gialle, per lo più nate da quelle comuni; e vengono dette malaticce, da non scegliere per finalità riproduttive.

θ. Gallinaces transversim cinereo fuscoque variegatae seu doliatae.

θ. Galline screziate trasversalmente di color cenere e di scuro, o barrate.

κ. Gallinaces pygmeae, anglicae dictae, pedibus pennatis, plerumque Gallinae albae, Galli fulvo varii.

κ. Galline pigmee, dette inglesi, dalle zampe impiumate, per lo più le galline sono bianche, i galli sono screziati di biondo rossiccio.

Rossice Petuch (Gallus), Kúriza (Gallina). Malorossis Pewèn, Petel (Gallus), Kurae (Gallina).

Tataris Casaniensibus Kuràss (Gallus), Taùk (Gallina); Bucharo-Persis Churùs et Taku. Tataris ad Ischimum Ajalek. Jacutis  Kuruptschà (a Rossorum Kuriza).

Calmuccis et Mongolis Takia.

Morduanis Ataeksch (Gallus), Saràs (Gallina); Votiacis Attas (Gallus), Kuraejik (Gallina); Tscheremissis et Tschuwachis Tschiche (Gallina), Autan (Gallus). Vogulis Kuaerih vel Koraech, itemque Tokoch, generice. Permaecis Kurága;. Siraenis Tschipan; Ostiacis Tyskurek.

Samojedis Luzechondéi (Lagopus rossica).

Armenis Worzak (Gallus), Gaf (Gallina).

Tangutis Wschawò.

Exoticae licet originis avis, propter universalitatem tamen in Fauna nostra locum meretur, praesertim, ut varietates exponantur. Apud omnes Imperii incolas agriculturae deditos frequens alitur ubique, praesertim rustica α. plerumque fulvo vario colore, utpote vulgatissimo et verosimillime specie: primigenio, qui ut in aliis avibus in nigrum et album, vel albo varium saepe et facile degene-

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rat; (non ex albis, ut Buffonius autumat, variae et nigrae oriri potuissent). Nigrae, praesertim macilentae, ova saepe sordide flavescenti vel pallida testa instructa pariunt, sed pinguiores factae, albissima. Nascuntur et inter rusticas pentadactylae, digito postico, vel apice tantum bifido vel usque ad articulum duplici, ramo altero etiam saepe praeter unguem biarticulato, imo triarticulato.

Sebbene sia un volatile di origine esotica, tuttavia a causa della sua universalità merita un posto nella nostra Fauna, e in modo particolare che vengano descritte le sue varietà. Viene comunemente allevato ovunque presso tutti gli abitanti dell’Impero dediti all’agricoltura, soprattutto la varietà campagnola α. che generalmente è di colore biondo rossiccio screziato, in quanto è quello più comune e molto verosimilmente appartenente alla specie: il colore originale, che come in altri uccelli spesso e facilmente degenera nel nero e nel bianco, o in un colore variegato di bianco; (le variegate e le nere non avrebbero potuto originare dai soggetti bianchi, come ritiene Buffon). Le nere, soprattutto se emaciate, spesso depongono uova fornite di un guscio giallastro sporco o giallastro, ma, una volta che siano diventate più pasciute, bianchissimo. Anche tra le campagnole nascono dei soggetti pentadattili, con un dito situato posteriormente, bifido solamente all’apice oppure sdoppiato fino a livello della giuntura, con una delle due ramificazioni spesso dotata di due articolazioni oltre all’unghia, persino dotata di tre articolazioni.

Varietas β. tantum in urbibus colitur, et quum albo guttata est Rossis Serebraenaja, cum luteo guttata, Solotaja Kuriza (argentea et aurea) appellari solet. Rarior huic affinis varietas, quam Hamburgensem Ornithotrophi angli appellant, tota atra, crista plumarum maxima alba, haud barbatae [barbata], pedibusqne nudis, inter omnes cura humana productas varietates me judice pulcherrima. — Minori gradu cristatae, imo et barbatae, hybridae ex prioribus vel casu natae inter vulgares plurimae generantur.

Varietà β. [Pavlov] Viene allevata solamente nelle città, e quando è chiazzata di bianco viene solitamente chiamata dai Russi Serebraenaja, quando lo è di giallo oro è detta Solotaja Kuriza (argentata e dorata). Una varietà più rara affine a questa, che gli avicoltori inglesi chiamano Amburghese, è tutta quanta nera, con un enorme ciuffo bianco di piume, non barbuta, con le zampe nude, a mio giudizio la più bella tra tutte le varietà prodotte dalla solerzia umana. —  Tra le galline comuni nascono moltissimi soggetti dotati di ciuffo di entità minore, persino anche barbute, ibridi provenienti dalle precedenti o nate per caso.

Varietas δ. Ex Anglia praesertim importata, admodum foecunda [fecunda] et sapida, bonae molis, monstrosam conformationem optime propagat.

Varietà δ. [Dorking] Importata soprattutto dall’Inghilterra, molto prolifica e saporita, di buona corporatura, trasmette molto bene la sua meravigliosa struttura.

Varietas ε. Astrachaniae e Persia, in Sibiria a Sinis, Petropoli ex Anglia importata, nigredinem cutis, cristae, menyngis, peritonaei et periostii diu, etiam in hybridis, licet alieno Gallo natis, propagat,

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quae plumas quidem ordinarias, non setaceas, sed plerumque tamen albas gerunt. Sunt autem sapidissimae, tenerrimae carnis, caponibus vix posthabendae, et femorum crassitie commendabiles. In melanodermis piloso-plumatis vidi varietatem pentadactylam, constanter sic propagantem.

Varietà ε. [Silky] Importata nella provincia di Astrahan [6] dalla Persia, in Siberia dalla Cina, a San Pietroburgo dall’Inghilterra; trasmette a lungo, anche negli ibridi, sebbene nati da un gallo diverso, il colore nero della pelle, della cresta, della meninge, del peritoneo e del periostio, i quali ibridi sono però dotati di piume abituali, non setose, tuttavia per lo più bianche. Inoltre sono di carne molto saporita, molto tenera, appena da posporre ai capponi, e raccomandabili per la grossezza delle cosce. Nei soggetti dalla pelle nera e con le piume pelose ho visto la varietà pentadattila, che si trasmetteva così in modo costante.

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Gallinae apud nomadicas gentes nullae. Coibalis, aestate tantum nomadicam vitam agentibus, Gallinae tum quasi spontaneae circa tuguria hyemalia vagantur et proprio marte victum quaerunt atque pullos tutantur. In Camtschatcam introductae Gallinae piscibus et ovis piscium ibi nutriuntur et eo quoque victu prosperant et propagantur, imo foecundissimae [fecundissimae] sunt. Caeterum calidis in regionibus foecundiores [fecundiores] esse solent. In arctica plaga circa Obdorsk et Chantaiskoi Pogost ad Jeniseam, ova quidem pariunt, sed non incubant apud Russos incolas.

Presso le popolazioni nomadi le galline non esistono. Presso i Koibal [7] , che conducono vita nomade solo in estate, allora le galline razzolano quasi spontanee intorno ai tuguri invernali e con le proprie forze vanno alla ricerca del cibo e proteggono i pulcini. Le galline introdotte in Kamčatka [8] vi si nutrono di pesci e di uova di pesci e anche a causa di tale alimentazione prosperano e si moltiplicano, anzi sono fecondissime. D’altra parte nelle regioni calde sono abitualmente più feconde. Nella regione artica intorno a Salehard [9] (ex Obdorsk) e a Chantaiskoi Pogost sullo Jenisej [10] , presso gli abitanti Russi perlomeno depongono uova, ma non le incubano.


E torniamo al Sultano. È tuttavia possibile che un pollo - oriundo comunque della Cina - abbia raggiunto Costantinopoli e la Turchia attraverso una via diversa da quella rappresentata dalla Russia: infatti nell’XI secolo i Turchi Selgiuchidi penetrarono in Anatolia dopo aver sconfitto l’esercito dell’imperatore bizantino Romano IV Diogene a Malazgirt (1071). John Peters (The cock, J. Ameri. Oriental Soc. 33:363-396, 1913) scrisse: “Tuttavia probabilmente è stato dalla Cina che il pollo passò ai Turchi e più tardi venne portato a occidente con loro, in un momento in cui già da lungo tempo era stato addomesticato in Occidente.”

8.2. Marco Polo

Prima di parlare della Silky, diamo uno sguardo alla vita di Marco Polo (Venezia 1254-1324). Figlio di Niccolò, facoltoso mercante che con il fratello Matteo svolgeva frequenti traffici commerciali con l'Oriente, partì nel novembre 1271 con il padre e lo zio alla volta della Cina, allora detta Catai, dove i fratelli Polo avevano già soggiornato. Ora tornavano alla corte del Gran Khan Qubilai anche per recargli doni e lettere da parte di Papa Gregorio IX. I tre veneziani giunsero nel 1275 a Cambaluc (l'attuale Pechino) dopo un lungo viaggio durato trenta mesi attraverso l'Anatolia, la Mesopotamia, l'altopiano dell'Iran, il Pamir, il Turkestan Orientale, il deserto del Gobi e infine le province cinesi di Gansu, Shaanxi, Shanxi e Hebei. Ricevuti a corte con grandi onori, essi entrarono ben presto nelle grazie del Gran Khan, il quale permise loro di osservare la vita del suo popolo in ogni particolare ma soprattutto apprezzò le doti di intelligenza e di coraggio del giovane Marco.

Nei 17 anni che seguirono, Marco Polo, come incaricato di fiducia dell'imperatore, ebbe modo di visitare gran parte dell'Oriente e studiarne la geografia, la storia e i costumi. Imparati i principali idiomi parlati nell'immenso impero del Catai, svolse importanti missioni diplomatiche e commerciali per conto del Gran Khan, che lo portarono a viaggiare in parecchie province cinesi, tra le quali la provincia del Fujian che solo nel 1276 Qubilai sottrasse all’impero dei Sung [11] , spingendosi fino al Tibet; e poi ancora lo Yunnan, nella Cina meridionale, la Birmania e le regioni indocinesi dell'Annam e della Cocincina. Agli inizi del 1292 il Gran Khan permise ai Polo di tornare in patria. Rientrato a Venezia nel 1295, dopo 24 anni di assenza, Marco riprese la sua attività di mercante. Scarse e incerte sono le notizie relative a questo periodo della sua vita. Fatto prigioniero dai Genovesi, probabilmente durante la battaglia di Curzola (1298), nel corso della prigionia dettò a Rustichello da Pisa Il Milione, l'opera cui è legata la sua fama di esploratore e di scrittore.

Marco Polo scoppierebbe dal ridere

Prima di addentrarci nel dedalo cinese a caccia della storia della Silky – e sono certo che non avrete a pentirvene – vorrei far ridere sia voi che soprattutto Marco Polo. Il tema delle risate è duplice. In primo luogo ci pensa l'Australian Poultry Standards (1ª edizione – 1998) e poi sarà la volta del settimanale Gioia che nel 2003 ebbe l'imbeccata da un gozzovigliatore di quattrini spillati grazie ai polli, l'ex amico e fornitore Alberino Passini.

Aristotele
alla tenera età di 4 anni
fu il primo a descrivere la Silky nel 380 aC

Lo spunto per questa accoppiata di panzane scaturisce da una mia ricerca su ciò che gli standard pretendono circa la maggiore o minore evidenza della bozza cranica nella Silky. Ai primi di agosto 2008 consultai anche l'Australian Poultry Standards di cui mi fece dono il 20 novembre 2000 l'amico Russell Parker di Tenterfield (nsw – Australia) e rimasi allibito nonché trasalii nel leggere che Aristotele menzionò la cinese Silky nei suoi scritti e che lo fece nel 380 aC, quindi alla tenera età di 4 anni, essendo nato nel 384. Neppure Mozart riuscì a superarlo: infatti alcune brevi pagine pianistiche, considerate le sue le prime composizioni, comparvero nel 1762 quando Wolfgang aveva già 6 anni, essendo nato nel 1756. E meno male che Amadeus morì nel 1791 a soli 35 anni, altrimenti la mia discoteca che contiene tutti i suoi capolavori, cioè tutte quante le sue composizioni dalla prima all'ultima, eccetto le operistiche, mi sarebbe costata un vero patrimonio. È quasi ovvio affermare che Aristotele giammai si sognò di parlare di polli dalle piume setose.

Il 27 maggio 1997, per onorare in qualche modo Bill Plant morto il 20 ottobre 1996, che così ebbe la fortuna di non leggere quanto appena riportato, ma la sfortuna di non stringere finalmente fra le mani l'Australian Poultry Standards che aspettava come manna dal cielo, per onorare Bill, appunto, avevo scritto quanto segue a Ian Pollerd (President - Victorian Poultry Fanciers’ Association Inc. - Eaglehawk – vic – Australia), ma venni debitamente frustrato. La mia collaborazione del tutto gratuita venne rifiutata. Chissà, magari avrei scovato i due madornali errori relativi alla Silky. Marco Polo starà contorcendosi dalle risate, Bill Plant non lo so, magari anche lui, visto come mi hanno trattato i suoi conterranei.

Dear Mr Pollerd,

I have read in Australasian Poultry (June/July 1997 issue) on your Australian Poultry Standards. I hope that you can realise your project into the due time and I’m available to co-operate with you for the reasons I’m explaining.

In May 1995 I was guest of William Plant (Maitland - nsw) because I was interested in searching information for the chicken genetics treatise I’m achieving. Bill had a very endless mine of information and we became big friends.

In 1996 I invited him in Italy for two months and he accepted. His dream was one day to have the opportunity to realise what you are realising. Bill left Italy June 24th and died October 20th. I promised to him, by phone, to co-operate in some way to a future Australian Poultry Standards.

So, what I’m able to do is, for example (like I expressed often to Bill), to correct the text which frequently can contain mistakes I am able to discover because my English is very bad. For experience, I know that also a computer corrector in unable to locate some mistakes.

This is a suggestion, but obviously you can decide if I can honour the memory of Bill Plant in some way. Enclosed the brochure of my treatise.

Sincerely yours,
Elio Corti

Marco Polo conobbe
ma solo visivamente
una Morosetta
anziché una Moro a seta

Era il luglio del 2003. Per l'ennesima volta mi reco in Canton Ticino per un consueto cordiale incontro con l'amica Antonella Comasini. Finita la cena, preparata come sempre con dovizie d'ingredienti e di talento, Antonella mi chiede le caratteristiche di un pollo a lei ignoto, la Morosetta, che ha scovato in un articolo a pagina 78 di Gioia del 14 luglio intitolato Co-co-colore. La Morosetta si trova a pagina 82.

Dico ad Antonella di non pronunciare la Moroseta con la s aspra e due t, altrimenti si trasforma in una piccola morosa, una fidanzatina. Antonella quasi si offende e mi mostra pagina 82 dove effettivamente la fidanzatina di Marco Polo è etichettata come Morosetta.

Or mi sovvien, cinguetto, e le sfodero il nome di un ex amico, Alberino Passini, il quale non diceva Moroseta, bensì Morosetta. Vuoi vedere che è lui la fonte dello strafalcione? Sfoglia che ti risfoglia, a pagina 132 ecco comparire l'indiziato, che sta ammannendo polli a partire da 25 € l'uno per finire con 50. Prezzi da mostre tedesche! Non certo olandesi, che hanno prezzi molto più contenuti e accessibili a tutti gli innamorati del pollo, anche della Morosetta. Oggi direi che come intuito fui superiore alla Vanna Marchi. Allora non era ancora possibile affermarlo. Fatto sta che scrissi a Gioia, ma non ebbi l'onore né il piacere di ricevere riscontro alcuno.

Ma la storia con Passini ha un retroscena che giustifica l'appellativo di ex amico. Il 22 agosto del 1992, quando mi mancava un giorno a collezionare 10 lustri d'età, gli telefonai e gli dissi di guardarsi ben bene di mettere ancora piede nella mia proprietà. Ero stufo di sborsare quattrini per sottrarre polli impuri alle mani del carnefice, mani in cui sarebbero senz'altro finiti e che gli sarebbero stati pagati come carne, non come riproduttori di razza pura.

Con questa telefonata il Passini veniva a perdere una bella fetta dei suoi guadagni, per cui poco dopo riesce a parlare by phone col mio collaboratore Eduardo Cani e quasi ce la fa a rimettersi sul piedestallo. Ma siccome i soldi erano miei e la burla la subivamo sia io che Eduardo, allora mi metto al computer e gli sfodero la lettera che segue. Il Passini indirizzò i suoi passetti altrove.

Caro Alberino,

Prima di porre le mie condizioni per una ripresa della nostra amicizia, o meglio, della sua non interruzione, come hai richiesto pochi attimi fa per telefono a Eduardo, vorrei precisare quanto segue.

1 – Alla non qualificata fiera di Biella edizione 1991 abbiamo acquistato una coppia di Olandesi giganti dal ciuffo, sterile, con una storia tutta da chiarire, ma alla fin fine chiarirla non importa, perché polemica per principianti. Abbiamo acquistato inoltre un gallo livornese arancio con una chiazza di piume scure sul collo, quindi un'arancia marcia.

2 - Il 16-4-92 l'acquisto di una coppia di Andalusa che ne porta solo il nome: ne sono nati pulcini slavati e anche bianchi. Una proposta da non propinare a un allevatore, anche se in erba! Vero? Inoltre, la femmina, aveva (e ha tuttora, salvo un viaggio a Lourdes) un occhio guercio. Lui è tossicoloso cronico, da sanatorio. Giustamente non l'hai ripreso.

3 - Ultimo atto da competente: una femmina Rhode Island del 1990 elargita a fine stagione riproduttiva a un allevatore sempre in erba che ha il difetto innato di fidarsi degli AMICI (tutto maiuscolo).

Ma veniamo ai dati economici:  25 agosto 1991: una coppia di Tolosa per 400.000 £ con le piume di agosto (quelle di Tiberio 100.00 l'una con le piume non so di quando né mi interessa); una coppia di cignoidi con barra bianca al petto per 120.000 £, forse del Loris; una coppia di conigli d'angora il cui maschio era già ammalato di mixomatosi.

Il 20-9-91 una coppia di maschi Lahore. Capisco la difficoltà di conoscere il sesso dei columbidi! Ma è da principianti il tentennare!

Quando eravamo già amicetti, il 20-12-91, una coppia di femmine Tolosa 300.000 £ con le piume di fine dicembre, 2 femmine Romagnole 110.000 £. Non parliamo delle tacchine barbaramente amputate e dall'aspetto orripilante!

Noi abbiamo buon cuore, e accettiamo, al termine della fiera alessandrina, una femmina di Plymouth Rock barrata col becco a virgola. Siamo dell'idea che gli amici vanno sempre aiutati. Non lo dico per scherzo! Ricordalo! L'ho sempre fatto.

Il 5-7-92, già amiconi, ma ancora un po' meno che ai tempi della Rhode Island, una femmina di Coci fulva per 45.000 £.

Ma, ormai amicissimi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e te lo giuro che è proprio così perché è un'offesa morale, è stato lo sminuire il lavoro di Eduardo: 60.000 £ per una coppia di Cignoidi, che solo per il peso vivo valgono 60.000!

Orbene, io sono convinto che tu credevi di aver trovato la tua oasi di rifornimento nel grande deserto della pollicultura a basso prezzo. Le tue parole a Eduardo risulterebbero vere profezie: è meglio non dedicarsi a questo hobby! Effettivamente con le tue valutazioni non solo non ne uscirebbe quello che mangiano i volatili, ma tanto meno l'acqua che bevono.

Polemiche a parte. Una ripresa dei rapporti normali tra noi scaturirebbe solo da un tuo ripianamento delle fregature elargite grazie, oltre che alla nostra inesperienza, al mio tergiversare e ritergiversare, per vedere fino a che punto saremmo giunti. Ecco la distinta di ripianamento:

2 maschi di Tolosa  200.000
2 femmine di Tolosa  100.000
1 coppia di Cignoidi  40.000
2 femmine Romagnole  50.000
1 coppia di olandese  88.000
1 coppia di livornese argento  88.000
1 coppia di Andalusa (?)  80.000
1 femmina di Coci fulva  20.000
1 coppia di Rhode Island  80.000 (oppure restituzione dei cambi)
Totale  746.000 salvo e. & o.

Naturalmente non attendo una tua risposta in merito.
Cordiali saluti.

8.3. La Silky

Rispetto a quella del Sultano, un po’ più ricca sembra la storia della Silky, portatrice di altre peculiari mutazioni genetiche oltre alla pentadattilia. Marco Polo vide le galline nere e pelose nel Reame di Fugiu [12] - la provincia del Fujian con capoluogo Fuzhou, Regione dell’Est, confinante a ovest con la provincia dello Jiangxi - e precisamente ebbe modo di osservarle nella città di Quenlinfu, l’attuale l’attuale Jian'ou (prefettura di Nanping, contea di Jian'ou) ma il cui toponimo è molto più variabile del vento: Chien-ou-hsien-ch'eng, Chien-ou, Chien-ning, Kienowhsien, Kienow, Kienningfu, Chien-ou-hsien, Kienning, Zhicheng. Noi continueremo a chiamare Kien-ning Fu questa città con circa 17.000 abitanti a 131 metri sul livello del mare e le cui coordinate sono: 27° latitudine  nord e 118° longitudine est, tralasciandone i decimali per non peccare troppo in meticolosità che stiamo elargendo in modo a dir poco nauseante.

Localizzazione di Kien-ning Fu secondo Franklin P. Metcalf in uno studio dal titolo Travelers and explorers in Fukien before 1700 (1934). In questa cartina Metcalf mette in evidenza che secondo George Phillips (Notices of Southern Mangi in Proceedings of the Royal Geographical Society of London, Vol. 18, No. 2 (1873 - 1874), pp. 168-174) Marco Polo fece un percorso riconoscibile dalla linea continua, secondo il colonnello Henry Yule da quella tratteggiata. Robinson & McCaughey in The chemical and mineralogical examination of some Chinese tea soils (The journal of industrial and engineering chemistry, Nov. 1910) specificavano che Kien-ning fu si trova circa 100 miglia a nord di Fuzhou, alla giunzione dei fiumi Min Jiang e Sing ki.

Marco Polo narra così a proposito della città di Quenlinfu:

“E havvi belle donne, e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere, e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare.”

(cxxxiv Del reame di Fugiu - Il Milione, versione toscana della Crusca)

  

Fig. X. 13 – Le province cinesi di Jiangxi e Fujian

Il sito www.e2121.com afferma che il pollo dalla pelle e dalle ossa nere, con cinque dita e piume setose, quindi la Silky, è originario della Cina, e precisamente della contea di Taihe, a est dei monti Wuyi Shan, provincia dello Jiangxi (sottomessa dai Mongoli nel 1280), dove viene allevato da più di 2000 anni.

Le confinanti province cinesi di Fujian e Jiangxi si trovano comprese all’incirca fra il 30° e il 24° parallelo nord, e la provincia di Fujian, dalla quale Marco Polo si imbarcò per far ritorno a Venezia, si affaccia sul Pacifico. Quindi, vista la strettissima vicinanza geografica delle due province, reputo che l’attuale pollo di Taihe sia lo stesso pollo osservato da Marco Polo, già allevato in queste aree più di 1200 anni prima che egli visitasse tali contrade.

Taihe - prefettura di Ji'an, contea di Taihe, provincia di Jiangxi -
dista circa 173 km in linea d'aria da Jian'ou alias Kien-ning Fu nel Fujian.

L'affermazione del sito www.e2121.com - che cioè il pollo con pelle e ossa nere e piume setose è originario della Cina e vi è allevato da più di 2000 anni - non è affatto un'invenzione, come vedremo dalla documentazione del Professor Ning Yang (Professor of Poultry Genetics and Breeding, China Agricultural University, Beijing).

In Cina questo pollo ha fama di taumaturgo e viene addirittura chiamato Fenice bianca, quasi fosse in grado di assicurare l'immortalità. La Fenice in cinese suona Fenghuang: Feng è il termine per il maschio, simbolo di felicità e di buon governo, ma nella mitologia cinese la fenice è composta sia dal maschio che dalla femmina, detta Huang.

Subhuti Dharmananda (Director of Institute for Traditional Medicine - Portland, Oregon, usa) nell'ottobre 2005 pubblicava nel web un articolo intitolato Wu Chi Pai Feng Wan (letteralmente: Pollo nero, pillole della Fenice bianca) in cui ci racconta l'origine mitologica del pollo dalle ossa nere. Si dice che il celestiale Lu Dongbing - o Lu Dongbin, uno degli Otto Immortali della religione cinese nato nel 798 dC - confezionò pillole dell'immortalità sul Picco Naso della Tigre, noto anche come Picco delle Due Dita, che si trova a Taihe sui Monti Wuyi Shan. Il giorno in cui le pillole dell'immortalità erano state approntate con esito positivo, Lu Dongbing invitò gli altri esseri celestiali alla festa celebrativa. Mentre gli esseri celestiali stavano bevendo vino, una coppia di polli selvatici volò dalla foresta nello stagno dove venivano confezionate le pillole dell'immortalità e le mangiò. I due polli – senz'altro un gallo e una gallina - furono trasformati in una coppia di Fenice bianca.

Se Marco Polo è la prima fonte europea relativa alla Silky, a livello mondiale il primato spetta alla letteratura cinese, che per ovvi  motivi linguistici ci risulta difficilmente accessibile. Ogni tanto accade un miracolo: le porte della Cina sulla storia della Silky si sono improvvisamente spalancate grazie alla tenacia e alla dedizione del Professor Ning Yang, affiancato dalla sua allieva Katie Zheng. Solo chi come il sottoscritto si dedica ogni tanto a spulciare testi antichi può immaginare quanta fatica sia costata la loro ricerca storica che cercherò di sintetizzare da un punto di vista genetico.

1 – La prima menzione cinese della Silky risale al periodo compreso tra il 265 e il 420 dC, Dinastia Jin. Il pollo aveva barba e favoriti, le sue piume sembravano lana, aveva cinque dita, ma le zampe erano gialle. Quindi era indubbiamente omozigote per il gene h (hookless, assenza di uncini alle barbule) ma non possedeva ancora il gene Fm della fibromelanosi.

2 – Le ossa nere, dovute alla fibromelanosi, compaiono grazie al poeta Fu Du (618-907 dC, Dinastia Tang). Il periodo del poeta Fu Du concorda con quello della Fenice bianca di Lu Dongbing e si può supporre che anche il pollo fibromelanotico di Fu Du avesse le piume setose, anche se non vengono da lui citate.

Ecco in dettaglio quanto ho ricevuto il 18 dicembre 2006 da Ning Yang.

Dear Dr Corti,

Silky fowl, also named "white phoenix" in China, is famous at home and abroad and is thought as nutritional and healthy product. In the prescription of Chinese medicine, the silky fowl is specially bred and supplied, and has claimed to have remarkable effects on nourishing the liver and kidney, invigorating the vital energy and blood, nourishing the refined materials in the viscera and clearing away pathogenic heat. Thus, there are many unambiguous records related with silky fowl from ancient China. However, digging into ancient books is time consuming and exhausting. With the help of my Ph.D. student, Katie Zheng, we have found the following records in ancient literatures of China. The ancient Chinese has an old fashion of expression with many rare words and more concise sentence structure. We managed to show you some information as follows.

1 - Time: A.D. 265-420, Jin Dynasty
Book: Chinese name <<GuangZhi>>, meaning "The cyclopedia in Jin dynasty"
Author: Yi-Gong Guo
The content related to silky fowl: The chicken is bearded, with five toes, yellow shank and fluff feathers, and the line with larger bodily form named "Shu" a placename, and the smaller named "Jing" another placename. The chicken with white feather and yellow shank caw long and loudly.

2 - Time: A.D. 618-907, Tang Dynasty
Poem: Chinese name << Cui Zong Wen Shu Ji Shan >>, meaning "Fu Du commands his eldest son to build a chicken cage"
Poet: Fu Du
The content related to silky fowl: The black-bone chicken is a good medicine for treatment of my rheumatism. You'd better save eggs for hatching in spring, thus you can get more chickens and more eggs for food in autumn.

3 – Time: A.D. 976-984, Song Dynasty
Book: Chinese name << Tai Ping Yu Lan >>, meaning "The cyclopedia in Song dynasty"
Editor:Fang Li, Mu Li, Xuan Xu, et al.
The content related to silky fowl: HouHong Xia had used the white feather silky with black bone to cure the disease of splanchnic system at Jiang Ling County, also named Jing.

4 – Time: A.D.1037-1101, Song Dynasty
Book:Chinese name << Wu Lei Xiang Gan Zhi >>; meaning "The connection between the natural things"
Author: Dong-Po Su
The content related with the silky fowl: The color of silkies' tongue is closely related to bone color, but not to the color of meat.
Note: Some historians and litterateur thought the book was written by a monk named ZanNing Shi (A.D. 919-1001), who was older than Dong-Po Su.

5 - Time: A.D. 1126-1193, Song Dynasty
Author: Cheng-Da Fan
Book: Chinese name <<Gui Hai Yu Heng Zhi – Zhi Qin>>, meaning "The book that introduce the custom, special local products and folks in south of Guangxi Province – Poultry chapter"
The content related to silky fowl: The plumage of chicken was silky. Quill and fluff are all upright. Silky fowl are sedate, adapted well to domestication, and distributed in south of China.

6 - Time: 1174 - 1189, Song Dynasty
Author: Qu-Fei Zhou
Book: Chinese name <<Ling Wai Dai Da>>,meaning "General situation of GuangXi province"
The content related to silky fowl: Quill and fluff are all upright in both males and females. This chicken breed is distributed in south of China.

In conclusion, as the name of silky fowl mainly emphasize the characteristics of silky and fluff feather, we think the earliest record on the silky fowl is << Gui Hai Yu Heng Zhi – Zhi Qin>> written by Cheng-Da Fan from A.D. 1126 to A.D. 1193. Dong-Po Su mentioned only a similar color of skin, meat, bone and tough, but not the typical feature of the plumage of the silky fowl.

I hope these information can be of help to your work.
With regards,

Ning Yang, Ph.D.
Professor of Poultry Genetics and Breeding
China Agricultural University
Beijing 100094, China
Tel: +86-10-6273-1351
E-mail: nyang@cau.edu.cn

L’osservazione di Marco Polo sulla Silky a piumaggio nero viene riferita da Aldrovandi a pagina 193 del II volume della sua Ornithologia - senza peraltro segnalarne l’inconfondibile fonte - ed egli aggiunge al contempo una seconda osservazione che è quasi contemporanea a quella di Marco Polo, cioè quella del missionario francescano Odorico da Pordenone, il quale ebbe modo di vedere la varietà a piumaggio bianco della Silky nella stessa provincia in cui Marco Polo vide quella nera, cioè nel Fujian, e precisamente nella città di Fuzhou (o Foochow, Fu-chou, Fuchow) che ne è il capoluogo e che Aldrovandi denomina Fuch. Odorico soggiornò nella città di Quanzhou (o Chuanchow), situata 150 km a sudovest di Fuzhou, per cui possiamo essere certi che nella sua peregrinazione toccò il Fujian. Credo valga la pena dedicare un attimo alla biografia di questo avventuroso missionario.

Odorico da Pordenone (Villanova, frazione di Pordenone fra il 1265 e il 1270/74 - Udine 1331): forse membro della famiglia Mattiussi o Mattheussi, entrò a far parte dell’ordine dei frati minori francescani in giovane età. Dopo una prima escursione nel 1296 nel Mediterraneo orientale, nel 1318 partì da Venezia per l'Estremo Oriente dove, svolgendo intensa attività missionaria, rimase fino al 1328. Nel viaggio di andata passò per Trebisonda, Erzurum, Tabriz, Baghdad, Ormus, l'isola di Salsette dove si estende Bombay (1321), Ceylon, le Nicobare, Sumatra, Giava, il Borneo, il regno di Champa [13] , Guangzhou [14] (o Canton, 1324), Quanzhou  e Fuzhou nel Fujian, Hangzhou [15] , giungendo infine a Pechino (1325), dove sostò tre anni. A Pechino guidò l'attività di una delle chiese che il vescovo francescano Giovanni da Montecorvino (insediato a Pechino nel 1307) e i confratelli inviati dal papa Niccolò IV vi avevano fondato. Intrapresa nel 1327-1328 la via del ritorno in Occidente per procurare altri missionari, attraversò pare le province di Shanxi (cap. Taiyuan), Shaanxi (cap. Xi’an o Sian), Sichuan (cap. Chengdu) e il Tibet, della cui capitale, Lhasa, primo tra gli Europei diede una dettagliata descrizione. Raggiunta quindi la Persia, si imbarcò per Venezia dove giunse nella primavera del 1330. Fu accolto dalla comunità dei frati minori francescani e a Padova nel maggio 1330 dettava al confratello Guglielmo da Solagna il resoconto dei suoi viaggi. I manoscritti con la relazione di Odorico apparvero nel 1330 col titolo di Itinerarium Fratris Odorici de Foro Julii, Ordinis Fratrum Minorum, de mirabilibus Orientalium Tartarum. Dopo le descrizioni di viaggio fornite da Marco Polo - e che Odorico sostanzialmente completa - costituiscono per noi la più preziosa fonte di informazioni storiche e geografiche sull'Asia del sec. XIV. Una nuova stesura fu fatta da Guglielmo di Solagna nel 1331, quando vi annotò la morte di Odorico. La prima edizione a stampa, a cura dell’umanista Pontico Virunio, vide la luce a Pesaro nel 1513 col titolo di Odorichus de rebus incognitis. Noi attingeremo le notizie dal Memoriale Toscano, non anteriore al 1480 (Edizioni dell’Orso, 1990), che è una volgarizzazione in italiano del testo latino e che è un riassunto, ma non un rimaneggiamento dell’originale. Odorico fu beatificato nel 1755 da Benedetto XIV. I suoi resti sono stati collocati nella chiesa udinese della Madonna del Carmelo. 

E rivediamo il testo di pag. 193 di Aldrovandi, già citato nel I volume di Summa Gallicana:

Non enim omnes pennis teguntur, sed nonnullae, licet rarae, ceu lanis vestiuntur, unde lanigerae dictae sunt, nonnullae pilis, quales in civitate Quelim in regno Mangi reperiuntur, pilis more felis nigris vestitae, nostrat<i>um more parientes, et bonam edentibus carnem praestantes. Lanigeras Fuch urbs maxima versus Orientem, ut Odoricus ex foro Iulii testatur, producit, tanti candoris, ut vix nivi cedant.

Infatti, non tutte le galline sono ricoperte di penne, ma alcune, sebbene rare, sono rivestite come di lana, per cui son dette lanose; alcune sono ricoperte di peli, come quelle che si possono trovare nella città di Quelim - Quenlinfu, Kien-ning Fu - nel regno di Mangi, rivestite di peli neri come quelli di un gatto, le quali depongono come le nostrane, e danno una carne buona da mangiare. La grandissima città di Fuch - Fuzhou - in Oriente produce galline lanose di un tale candore, come testimonia il friulano [16] Odorico, che sarebbero appena da meno della neve.

A pagina 339 del II volume della sua Ornithologia Aldrovandi dedica un breve capitolo al piumaggio setoso - De gallina lanigera Cap. XIV - e ne fornisce anche l’iconografia desunta da una mappa cosmografica. Ripete sostanzialmente le stesse cose dette nel brano precedente che si trova a pagina 193. Però possiamo acquisire tre nuovi dati:

1) I galli di Fuzhou - e verosimilmente anche le loro consorti candide come la neve - sono di enormi dimensioni.

2) Secondo Lind (1963) la fonte relativa alle galline nere di Kien-ning Fu di pagina 339 di Aldrovandi potrebbe essere rappresentata - anche se in via puramente ipotetica -  dal Servita Paulus Venetus, al secolo Pietro Sarpi. Marco Polo non viene neppure ipotizzato da Lind, come risulta invece chiaramente dal testo del Milione, un testo che evidentemente Lind non conosce.

3) Le galline nere depongono ottime uova, ma non si accenna affatto alla prelibatezza della loro carne, come accade invece a pagina 193.

Prima di passare al testo di Aldrovandi relativo alla gallina lanigera, se ci resta un po’ di pazienza da dedicare a una terza biografia ci renderemo perfettamente conto che Paulus Venetus non si recò mai in Cina, e che pertanto - ammesso ma non concesso - avrebbe riportato nella sua Aggionta all’istoria degli Uscochi di Minuccio Minucci arcivescovo di Zara continuata sin all'anno 1613 non una sua personale osservazione sulle galline pelose (come ipotizzato da Lind), bensì quella di Marco Polo. Ecco come si esprime Lind nella nota a pie' pagina della sua traduzione di Aldrovandi: "M. Paulus Venetus: Paolo, Servita Pietro Sarpi. The reference may be to his Aggionta all’Historia degli Uscochi di M. Minucci...continuata sin' all'anno MDCXIII (1617?), although in some earlier form read by Aldrovandi before 1600. This is a mere conjecture." (Aldrovandi on Chickens, 1963, pag. 399)

Pietro Sarpi, alias Paulus Venetus: teologo, storico e uomo politico (Venezia 1552-1623). Nato da umili genitori e presto orfano di padre, entrò giovanissimo (1565) nell'ordine dei Servi di Maria. Il grande amore per lo studio lo portò a laurearsi all’Università di Padova nel 1579, a interessarsi di storia e di diritto, di matematica e di astronomia, di biologia e di fisica [17] . Il prestigio derivatogli da questa cultura eccezionale e precoce gli valse una rapida affermazione. Al centro di discussioni teologiche a Venezia e a Mantova, fu nominato dal duca Guglielmo Gonzaga suo teologo e dal vescovo della città lettore di teologia alla cattedrale. Dopo l'ordinazione sacerdotale lo si trova a Milano, dove conobbe il cardinale Carlo Borromeo e poté comprendere quanto cupo e sterile rigore producesse una rigida applicazione delle norme disciplinari e dottrinarie del Concilio di Trento e gli fu lanciata la prima accusa di eresia. Eletto procuratore generale del suo ordine nel 1585, a Roma, nonostante l'amicizia del cardinale Bellarmino e il favore di papa Sisto V, si rese conto del complicato e non limpido gioco politico e diplomatico nel quale era invischiata la Curia romana. Qui ancora fu colpito da una seconda accusa di eresia per la sua indipendenza di giudizio. Ritornò a Venezia nel 1589 e riprese gli studi prediletti, tenendo nel contempo una ricca corrispondenza con studiosi, interrogando viaggiatori e mercanti che allora rappresentavano una ricca fonte di notizie sui Paesi da loro visitati. Uno strascico dei suoi dissidi con Roma fu l'attentato subito nell'autunno del 1607: alcuni fanatici o prezzolati lo aggredirono lasciandolo a terra ferito. Non si seppe mai chi fossero gli autori, ma Sarpi vi riconobbe lo stylus Curiae. Nel febbraio 1609 riuscì a evitare un altro attentato e a un terzo sfuggì anche per l'intervento del Senato veneziano. Nel 1621-22 fra' Paolo manifesta i segni di un progressivo decadimento fisico e morirà nel 1623.

Ecco il testo di Aldrovandi di pag. 339 relativo al capitolo XIV, De gallina lanigera [18] :

Gallinae huius lanigerae icon desumpta est ex carta quadam cosmographica. Fuch civitas est maxima versus Orientem, in qua maximi Galli nascuntur. Gallinae sunt albae instar nivis, non pennis, sed lanis, ut testatur Odoricus e Foro Iulii, tectae, ut pecus. Item M. Paulus Venetus scribit in civitate Quelinfu in regno Mangi nomine, Gallinas inveniri, quae loco pennarum pilos habeant, ut ca<t>i, nigri scilicet coloris, et ova optima pariant.

L’immagine di questa gallina lanosa è stata desunta da una tavola cosmografica. In Oriente si trova la grandissima città di Fuch - Fuzhou, nella quale crescono dei galli grandissimi. Le galline sono bianche come la neve, ricoperte non di penne ma di lana come le pecore, come testimonia Odorico del Friuli. Parimenti il veneto Marco Polo scrive che nella città di Quelinfu - Quenlinfu, Kien-ning Fu - nel regno di Mangi si trovano delle galline che invece delle penne avrebbero dei peli come i gatti, cioè di colore nero, e deporrebbero ottime uova.

Come abbiamo già visto, Marco Polo nel Milione recita: E havvi belle donne, e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere, e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare. (cxxxiv Del reame di Fugiu - versione toscana della Crusca).

Aldrovandi anche a pagina 193 riferisce questa stessa notizia - desunta chiaramente da Marco Polo - senza tuttavia degnarsi di fornirne la fonte. Invece, nella citazione di pagina 339 - così come accade nel testo di Gessner e nelle versioni francesi del Milione - manca la carne buona di queste galline pelose, come viene invece specificato da Aldrovandi a pagina 193 (bonam edentibus carnem praestantes), una caratteristica gastronomica presente invece nella versione italiana del Milione, e la referenza che adesso Aldrovandi ci fornisce è del tutto incompleta (Item M. Paulus Venetus scribit...), diversamente da Gessner che specifica il libro II cap. 68 (In civitate Quelinfu, in regno Mangi nomine, inveniuntur gallinae, quae loco pennarum pilos habent, ut catti, nigri scilicet coloris, sed ova pariunt optima, M. Paulus Venetus 2. 68. - Historia animalium III pag. 466).

Sopra: il testo di Conrad Gessner di Historia animalium III (1555).
Sotto: una traduzione francese del Milione del 1556 che rispecchia quella latina di Gessner.

La quasi perfetta specularità del presente brano di Aldrovandi con quello di Gessner fa presumere che per il testo di pagina 193 Aldrovandi abbia rielaborato una notizia di cui non conosceva la fonte (assai più rispondente alla versione toscana della Crusca), mentre adesso, in questa citazione, sorge il sospetto che Aldrovandi non sapesse assolutamente chi fosse questo M. Paulus Venetus di Gessner, tralasciando pertanto libro II cap. 68, tanto da indurre Lind a supporre che l'autore fosse Pietro Sarpi alias Paulus Venetus.

Ma se Lind avesse conosciuto il Milione e avesse avuto a disposizione il testo di Gessner, non si sarebbe certo avventurato in una congettura causata dalla consueta aleatorietà dei dati forniti dal nostro Ulisse.

Infatti, nel 1555, quando Gessner faceva la citazione delle galline nere e pelose riprese da Aldrovandi, Pietro Sarpi aveva solo 3 anni d'età, essendo nato a Venezia nel 1552. Oltre che per i suddetti lampanti motivi cronologici circa Gessner/Sarpi, posso assicurare Lind che nell'opera di Sarpi relativa agli Uscochi le galline di Marco Polo non compaiono assolutamente, e ho potuto assodarlo grazie all'editore Laterza di Bari che ha messo a disposizione nel web il testo di Paulus Venetus curato da Gaetano & Luisa Cozzi e stampato a Palermo nel 1965.

Gessner non riporta Marco Polo – o Marcus Paulus - nel suo Nomenclator insignium scriptorum (1555). Sotto il nome di Marcus Paulus Venetus compare invece nella bibliografia di Historia animalium I (1551) e la sua citazione bibliografica recante il numero 209 viene inclusa nei Libri recentiorum mediocri aut etiam egregio stilo Latine editi: 209. Marci Pauli Veneti de regionibus Orientis libri 3.

Nel 1532 l'opera di Marco Polo si intitolava De regionibus Orientalibus libri III, edita in latino a Basilea da Simon Grynaeus e contenuta in Novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum. Questo Marco Polo venne ripubblicato da Georg Schulz nel 1671 sempre con il titolo De regionibus orientalibus libri III che costituisce un terzo del frontespizio della pubblicazione di Schulz la cui sintesi è la seguente: Marci Pauli Veneti historici fidelissimi juxta ac praestantissimi De regionibus Orientalibus libri III. Cum codice manuscripto Bibliothecae Electoralis Brandenburgicae collati ... Accedit, propter cognationem materiae, Haithoni Armeni historia Orientalis: quae & de Tartaris inscribitur; itemque A. Mulleri Greiffenhagii, de Chataja, cujus praedictorum auctorum uterque mentionem facit, disquisitio; inque ipsum Marcum Paulum Venetum praefatio, & locupletissimi indices. Coloniae Brandenburgicae [Berlino], ex officina G. Schulzii, 1671. – Non solo nel testo latino di Marco Polo consultato da Gessner, ma anche in una traduzione francese dal latino del 1556 le galline nere e pelose si trovano nel libro II cap. 68 (Description géographique des provinces & villes plus fameuses de l'Inde Orientale ... Par Marc Paule gentilhomme Venetien, et nouvellement reduict en vulgaire François, Paris, Iehan Longis, 1556) e lo stesso dicasi per un'altra edizione francese del 1888 contenuta in Deux voyages en Asie au XIIIe siècle par Guillaume de Rubruquis et Marco Polo (éd. par Eugène Muller, Paris, librairie Ch. Delagrave, 1888). - Quindi la referenza di Gessner è esatta, anche se la numerazione è diversa da quella de Il Milione della versione toscana della Crusca dove il testo italiano, come ripetutamente detto, suona così: E havvi belle donne, e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere, e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare. (cxxxiv Del reame di Fugiu)

Fig. X. 14 – Silky bianca

Ed ecco il testo di Odorico, che effettivamente parla di polli giganti:

“Partendomi di questa terra [dall’odierna Quanzhou] venni verso oriente a una città che si chiama Fozo, che gira ben trenta miglia: Quivi sono i maggiori galli del mondo, e le galline bianche come neve: ma non ànno penne, ma lana a modo di pecore.” (Memoriale Toscano, 33)

Probabilmente si trattava di polli dalla mole corporea effettivamente imponente, ma io sono quasi dell’avviso che Odorico stia ingigantendo tutto quanto cade sotto i suoi occhi meravigliati. Infatti a Teschola (l’odierna Canton o Guangzhou), dove fece tappa prima di raggiungere Quanzhou, tutto è enorme e abbondante e bello:

“All’India Superiore passamo navicando verso oriente per lo mare Oceano molte giornate, e pervenimo alla nobile provincia di Mançi, la quale è chiamata l’India di sopra. Nella quale provincia à dumila grandi cittadi, tra le quali Travigi e Vicenza non sarebbono nominate per cittadi; ed è tanta moltitudine di gente in quella India che sarebbe appo noi incredibile.

“In questa è gran copia di pane e vino e pesci e d’ogni vettuvaglia, come in alcuna terra del mondo. È gl’uomini artefici e mercatanti, e per nulla povertà che abbia alcuno di loro non adimanda limosina insino che possa aiutarsi colle loro mani. E gl’uomini di questo paese sono assai belli del corpo, ma sono palidi, avendo barba a modo di gatto; le femmine sono le più belle del mondo.

“In questa provincia la prima città che io trovai si chiama Teschola, la quale è maggiore che tre volte Vinegia, e di lunge dal mare una giornata, posta sopra un fiume. Questa città à tanto navilio che è incredibile cosa, che intra tutta Italia non n’à tanto.

“In questa terra sono le più belle e le maggiori oche del mondo, maggiori che le nostre ben per due, e bianche come latte: e ànno un osso sopra del capo, come un uovo e vermiglio; e sotto la gola pende una pelle bene per uno sommesso [19] . E àssi l’una cotta per uno grosso [20] , e come dell’oche, così dell’<anitre>; e galline vi sono sì grande che è cosa maravigliosa. In questa cittade s’à per meno d’uno viniziano ben trecento libbre di gengiovo [21] fresco. In questa contrada sono i maggiori serpenti che abbia il mondo, e piglianne e mangianne [22] : e non è convito da bene dove questo non è. Quivi à abbondanza d’ogni vettovaglia.” (Memoriale Toscano, 31)

Credo valga la pena citare un principio scientifico espresso in modo eccellente e con estrema pacatezza da Lewis Wright quando parla della Silky: chi è un vero scienziato non può essere categorico e, costi quel che costi, deve obbedire a un equo probabilismo, perché un giorno anche le cose più inverosimili potrebbero risultare vere:

The peculiar appearance of the Silky fowl would naturally attract attention from a very early date, and we accordingly find various old naturalists, besides our never-failing Aldrovandus, who describe fowls which, instead of feathers, are covered with wool, or, as others express it, "with hair like cats". Later on these accounts were thought fictitious, and Willoughby and Ray expressly declare them to be unworthy of credence; but it is somewhat singular to remark how many of the so-called "incredible" tales of old travellers and naturalists have been vindicated by a little more knowledge from the supercilious aspersions of even the most learned men, who have taken upon them to reject all alleged facts which did not fall within their own limited experience, or were contrary to their pet theories. Such a remark may have its moral even in the present day. Yet truly the Silky is a strange fowl. The soft and flossy appearance of the plumage, which fully justifies the old descriptions which have come down to us, are not the only points of difference.” (The illustrated book of Poultry, 1890)

Concludiamo questo excursus storico relativo al piumaggio setoso - o lanoso che dir si voglia - riportando quanto riferito nel I volume circa l’esperienza di Cristoforo Colombo. Durante le peregrinazioni del quarto viaggio - quello del 1502 - Colombo giunse nella terra di Cariai: “Llegué á tierra de Cariai...” in Costa Rica; il luogo dell’approdo è forse l’isola di Uva di fronte a Limón; nella terra di Cariai vide alcuni polli molto grandi, gallinas, forniti di piume lanose. Il testo è tratto da Cristóbal Colon: Los cuatro viajes; Testamento, Consuelo Varela, Alianza Editorial, Madrid 1984, pag.291:

De muchas maneras de animalias se uvo, mas todas mueren de barro; gallinas muy grandes y la pluma como lana vide hartas; leones, cierbos, corços y otro tanto y assí aves.

Trovammo molte altre sorte di animali, che tutti muoiono a causa di bubboni purulenti; vidi molte galline assai grandi dalle piume come di lana, leoni e cervi e caprioli e molti animali ancora, e così uccelli.

Cerchiamo di ricordare l’ipotesi dell’origine russa della razza Sultano e la verosimile origine cinese della Silky. Il perché di questo piccolo sforzo mnemonico sarà chiaro tra poco.

8.4. L’introduzione del pollo in Europa

Diamo nuovamente uno sguardo alle ipotesi sull’introduzione del pollo in Europa, ipotesi già dettagliatamente analizzate in I-VIII.3., ma che amplieremo ulteriormente. Il pollo è giunto in Europa secondo modalità non ancora del tutto chiarite. Edward Brown (Poultry breeding and production, 1929) affermò che il pollo raggiunse l’Europa seguendo due itinerari:

§    dall’India, attraverso Iran e Mediterraneo, documentabile attraverso letteratura e archeologia

§    dalla Cina, attraverso Asia Centrale, Siberia e Russia: il cosiddetto percorso nordico.

Anche altri studiosi hanno proposto due percorsi, ma ambedue attraverso l’Iran, e quindi a partenza dalla Cultura Harappa della Valle dell’Indo (2500-2100 aC): una via era rappresentata dal Mar Egeo la quale condusse ai Greci e ai Romani, l’altra era quella del Mar Nero e della Scizia, che raggiunse l’Europa centrale attraverso la Russia meridionale. Come abbiamo detto a proposito di Gorsium [23] , si è stabilito che perlomeno un tipo di pollo fu introdotto in Pannonia [24] dagli Sciti, il cui impero fiorì intorno al 500 aC. Queste due vie attraverso l’Iran troverebbero conferma anche in argomentazioni linguistiche.

La relazione di R.Nikolayev (1957) su una spedizione scientifica in Siberia organizzata dall’Università di Mosca - con destinazione le steppe dell'Altai in Khakasia, verso i confini con la Mongolia - parla di scavi di tombe che hanno messo in luce gusci di uovo di pollo risalenti al III-IV secolo dC. Non solo: furono rinvenuti anche due spilli in bronzo aventi il gallo per soggetto, databili intorno al II-I secolo aC. È da presumere che i polli di quest’area provenissero dalla Cina.

Barbara West & Ben-Xiong Zhou (Did chickens go North? New evidence for domestication, 1988) in base a reperti archeologici relativi alla domesticazione del pollo rinvenuti in Cina, in Asia e in Europa, come pure in base a dati paleoclimatici della Cina, hanno concluso che il pollo fu inizialmente domesticato nel Sudest Asiatico a partire dal Gallo rosso della giungla - Gallus gallus - e che ciò avvenne molto prima del VI millennio aC. Successivamente il pollo fu condotto a nord, così da stanziarsi in Cina intorno al 6000 aC, da dove più tardi venne introdotto in Giappone via Corea durante il periodo Yayoi (300 aC - 300 dC) [25] . I reperti cinesi più antichi provengono da Peiligang (lat. N 34°28’ - provincia di Henan [26] ) e Cishan (lat. N 36°32’ - provincia di Hebei [27] ) e risalgono a circa il 6000 aC, una data quindi anteriore di 4000 anni rispetto ai reperti di Mohenjo-Daro, e i ritrovamenti di ben 16 dei 18 siti cinesi sono anteriori a quelli indiani.

In aggiunta a questi 16 siti cinesi, 13 località distribuite tra Europa e Asia occidentale presentano reperti più antichi di quelli della Valle dell’Indo. Tali località si trovano in Iran, Turchia, Siria, Grecia, Romania e Ucraina. Si giunge così a un totale di 29 siti antecedenti a Mohenjo-Daro.

West e Zhou possono pertanto giungere all’affermazione che nonostante il maggiore periodo di diaspora del pollo attraverso l’Europa sia stato quello dell’Età del Ferro [28] , i dati suesposti dimostrano tuttavia che il pollo si era già spinto in alcune aree europee durante la fine del Neolitico e l’inizio dell’Età del Bronzo.

L’ipotesi che va per la maggiore è quella secondo cui il pollo dalla Valle dell’Indo si diffuse attraverso la Mesopotamia, raggiunse la Grecia e da qui i Celti lo diffusero in Europa, per portarlo infine in Britannia nella tarda Età del Ferro.

West e Zhou non sono d’accordo con questo punto di vista. Sono invece dell’avviso che, dopo la domesticazione nel Sudest Asiatico e dopo lo stanziamento in Cina, forse il pollo si è diffuso tra i Celti dell’Europa proprio dalla Cina. Infatti in base ai loro studi archeologici essi si sentono di prospettare che i più antichi reperti europei di pollo sono derivati dalla Cina attraverso la Russia, proponendo così anch’essi un itinerario nordico come suggerito da Brown, ma un itinerario nordico che si è svolto molto tempo prima di quanto supposto dallo stesso Brown. Infatti egli ipotizzò una prima tappa del pollo dalla Valle dell’Indo alla Cina intorno al 1400 aC, quindi una seconda tappa dalla Cina alla Russia che sarebbe avvenuta solo nel XIII secolo dC, quando le truppe di Batu, nipote di Gengis Khan, invasero la Russia, la Polonia e l'Ungheria (1236-41).

Zhou è incline a ritenere che, per raggiungere l’Europa prima della domesticazione indiana, il pollo abbia percorso la Via della Seta [29] , mentre West preferisce pensare a un itinerario molto più nordico, via Mongolia, attraverso le tribù delle steppe russe. I due studiosi concludono però che solo gli scienziati russi potranno fornire una risposta all’avvincente quesito.

Fig. X. 15 – Un tratto della Via della Seta (in nero). Descritta in parte anche da Marco Polo, percorsa da tempi immemorabili da lunghe carovane per mezzo delle quali non solo merci di valore, ma anche culture e religioni, piante e animali si diffusero da est a ovest e viceversa. Partendo da Singan-fu (l'antica capitale della Cina) e più tardi da Pechino, la Via della Seta, protetta dalla Grande Muraglia, attraversava il passaggio obbligato della Porta di Giada (che metteva in comunicazione le alte vallate della Cina con gli altopiani centro-asiatici). L’abituale punto di partenza sul confine della Cina vera e propria era Tunhuang. Poi la pista si divideva in due rami, di cui uno scorreva a sud e l’altro a nord del deserto di Taklamakan, e che si ricongiungevano a Kashgar, continuando poi attraverso il Pamir fino a Samarcanda e quindi a Merv. Un’altra pista meno frequentata, e utilizzabile solo quando l’Asia Centrale di trovava in condizioni di pace eccezionali, partiva da Anhsi e passava a nord dei monti T’ienshan, per ricongiungersi con la carovaniera principale a Kokand. (da Il Grande Atlante storico, Mondadori-The Times, 1979 - modificato)

Per quanto riguarda gli 8 siti britannici riportati nel lavoro di West e Zhou, essi sono tutti posteriori a Mohenjo-Daro. I reperti di 5 di tali siti risalgono all’Età del Ferro, dei quali 3 alla seconda fase. I rimanenti 3 siti sono databili rispettivamente al 150 aC, fine del I secolo aC, 200 aC-40 dC. Si tratta quindi di insediamenti del pollo in Britannia che in buona parte sono piuttosto antichi e quindi cronologicamente alquanto antecedenti all’arrivo di Giulio Cesare sull’isola.

West e Zhou riportano anche i dati relativi a Paestum [30] , dove sono state rinvenute dieci ossa di pollo databili intorno al VI secolo aC. Secondo i due studiosi questo dato fornirebbe la prima prova della correttezza della tesi di Thesing (1977), secondo il quale il pollo fu introdotto in Italia durante il periodo di espansione dei Greci nella nostra penisola.

8.5. L’allevamento presso i Celti nel II-I secolo aC

Prima di procedere nell’analisi di altri dati storici, è opportuno dare uno sguardo all’allevamento presso i Celti sotto la competente guida dello zooarcheologo Professor Sandor Bökönyi (Direttore dell’Istituto di Archeologia di Budapest) che ha collaborato al meraviglioso volume I Celti edito da Bompiani (1991).

“Nella vita e nell’economia dei Celti, l’allevamento del bestiame aveva parte ben più cospicua della caccia, cosa già posta in rilievo da autori antichi, come Strabone [31] , e confermata anche dalle ossa animali restituite da stanziamenti celtici: in questi campioni ossei, la percentuale di animali selvatici è risultata oscillante dallo 0,2 al 5 per cento del totale. Tuttavia, non mancano differenze, sotto questo profilo, tra i tipi di stanziamento. In un oppidum, per esempio in quello di Manching in Baviera presso la riva destra del Danubio, la caccia non aveva evidentemente luogo su larga scala, dal momento che gli animali selvatici della zona erano stati sterminati e i coltivi erano di vasta estensione, mentre cacciavano di più gli abitanti di piccoli villaggi, specialmente in regioni lontane, con dense foreste.

“L’allevamento dei Celti rispondeva al tipico quadro delle popolazioni stanziali: le specie più ampiamente rappresentate erano suini e bovini: i primi costituendo i loro principali animali da carne, servendo gli altri per il traino e quali principali produttori di latte. I suini non potevano essere condotti a pascolare a grandi distanze, e i bovini, essendo lenti, potevano percorrere solo brevi distanze. Nel libro IV della sua Geografia, Strabone afferma che l’alimentazione dei Celti “consiste in latte e vari tipi di carne, soprattutto quella di maiale, fresca e salata”, soggiungendo che esportavano grandi quantitativi di carni salate non solo a Roma, ma anche in altre regioni d’Italia. Pecore e capre erano un po’ più rare, e pochissimi i cavalli, sebbene i Celti a quei tempi fossero celebri come cavalieri. Non mancavano i cani, sia pure in numero ridotto, e una specie della moderna fauna domestica di particolare importanza, il pollo, anch’esso tipico della vita sedentaria, svolgeva del pari un certo ruolo nell’allevamento dei Celti i quali anzi, dopo che la specie era stata introdotta dagli Sciti, l’avevano a loro volta diffusa nell’Europa centrale e occidentale. Né si può escludere che tenessero anche anatre e oche, ancora una volta animali tipici della vita sedentaria, sebbene manchino a tutt’oggi prove dirette della loro presenza.

“Assente nella fauna domestica dei Celti è il gatto, animale inizialmente domesticato in Egitto, che, sebbene avesse raggiunto le sponde settentrionali del Mar Nero dove ricchi Sciti lo tenevano per diletto e anzi fosse comparso ancora prima in Grecia e in Italia, a quanto pare superò le Alpi solo all’inizio del I secolo aC, portato dai legionari romani. Ne consegue che resti di gatti sono reperibili solo in siti gallo-romani alla fine del tardo La Tène.

“L’asino, altro animale domestico proveniente dall’Egitto, era anch’esso assente negli allevamenti celtici, sebbene fosse giunto in Italia nella tarda Età del Bronzo. Con ogni probabilità fu portato in Gallia dall’esercito romano invasore, che se ne serviva in larga misura come bestia da soma.

“[...] L’allevamento celtico del bestiame rivela tratti alquanto modesti. Gran parte delle specie (bovini, ovini, suini, equini e pollame) sono molto piccole, indicazione di forme piuttosto primitive, la cui frequenza prova che la tecnica di allevamento era a basso livello. Invece è rilevabile un allevamento coscienzioso, selettivo, di cani, con l’uso di levrieri per la caccia e forse anche di cagnolini da grembo.

“[...] Come si è già detto, la vera diffusione del pollame in Europa si dovette ai Celti, ma ciò non toglie che i loro polli fossero animali piccoli, primitivi, che di rado raggiungevano il peso di un chilo e mezzo. Come riferisce Columella, polli di dimensioni maggiori, volutamente migliorati mediante incroci con razze greche e della Media, furono portati dai Romani nelle loro province di tutta Europa. È assai probabile che galline o galli di grosse dimensioni siano giunti tra i Celti già prima della conquista romana, come è suggerito dalla presenza di resti di animali del genere in alcuni siti celtici, cosa che non sorprende se si tiene presente che il trasporto di una coppia di polli non doveva essere certo difficile impresa, pur essendo forse impossibile lo spostamento di gruppi più numerosi.

“Certo è comunque che le galline allevate in stanziamenti celtici non erano molto numerose, e ovunque la percentuale relativa era esprimibile solo in millesimi. L’aspetto più importante della loro presenza consiste nella dimostrazione del carattere moderno di questo tipo di allevamento. Oggi, il pollo è la specie più numerosa negli allevamenti animali delle nazioni sviluppate. L’oca domestica ha una lunga storia, sebbene nessuno sappia esattamente quanto, perché è estremamente difficile distinguerne i resti da quelli della selvatica. L’ascendenza può essere rintracciata fino all’antico Egitto, nella seconda metà del III millennio aC, e in Asia Minore, fino al IV o V millennio aC. I Romani indubbiamente tennero oche fin da tempi molto remoti, come è provato dall’episodio delle oche capitoline, e anche i Celti ne avevano, e probabilmente di buone, tant’è che Plinio ricorda che ne venissero importate dalla Gallia Belgica.

“Le oche tuttavia non avevano parte importante nella zootecnia celtica: il loro numero - posto che ci fossero - doveva essere assai ridotto nel totale degli animali domestici degli insediamenti. Per la descrizione delle oche domestiche allevate dai Celti, è solo ipotizzabile che fossero più piccole che nella forma selvatica e che probabilmente conservassero la colorazione originale del piumaggio di questa.

“Ancora più arduo è il problema delle anatre domestiche, il cui numero era pure scarso. L’unica indicazione della loro presenza è data dal ruolo che avevano nell’immaginario cultual-religioso.

“Per quanto attiene allo sfruttamento degli animali domestici da parte dei Celti, ci si può rifare a tre fonti. Una è costituita dalle descrizioni di autori antichi, un’altra dalle raffigurazioni artistiche coeve, la terza dai resti degli animali stessi.

“Tuttavia, tutt’e tre hanno difetti: gli autori antichi spesso riferivano informazioni di seconda o terza mano, e sia le informazioni stesse che le descrizioni potevano essere imprecise. Gli artisti autori delle raffigurazioni a volte non conoscevano bene gli animali e, non essendone allevatori, non mettevano in risalto le caratteristiche di maggiore importanza. Infine spesso non erano affatto valenti artisti e di conseguenza le loro raffigurazioni di animali erano di qualità scadente. In effetti, i resti ossei sembrano essere la fonte più affidabile trattandosi di materiale biologico di prima mano, l’unico limite essendo in questo caso costituito dal fatto che la loro valutazione può essere inesatta e che bisogna pertanto procedere con estrema cautela.

“[...] Infine, si teneva il pollame domestico soprattutto per ricavarne carne, ma le galline servivano anche come ovaiole; la loro produzione era però ben inferiore a quella delle varietà moderne. A parte questo, polli interi venivano spesso collocati in tombe celtiche, vuoi quali sacrifici animali vuoi per servire da cibo al defunto per il ‘viaggio’ nell’aldilà.

“Si può senz’altro affermare, concludendo, che la zootecnia dei Celti costituì la fase finale dell’allevamento primitivo dei tempi preistorici. Nonostante queste specie domestiche fossero di basso livello in fatto di dimensioni (fenomeno constatabile in tutta Europa, e non dunque solo nei territori celtici, e che pertanto può essere a ragion veduta ritenuto il risultato di fattori come per esempio un ipotizzato peggioramento del clima), l’utilizzazione del bestiame già conteneva in sé il germe di una pratica di allevamento più esperta. Per il momento, tuttavia resta aperto l’interrogativo se questi primi tentativi fossero il risultato di uno sviluppo interno dell’economia agropastorale celtica, o non piuttosto il riflesso della ben più evoluta zootecnia greca o romana.”

8.6. I Celti, i Greci, i Bizantini e gli Sciti

Dei Celti - forse originari del bacino dell’alto e medio Danubio - e delle loro migrazioni attraverso l’Europa abbiamo già parlato nel I volume (VIII-2.5.). I Celti non costituirono mai uno stato unitario, ma singole nazioni, tra le quali emerse la Gallia. Il loro flusso migratorio si intensificò nella prima fase della civiltà di Hallstatt, durante i primi secoli dell'ultimo millennio aC: l'attrattiva per il ferro della Lorena e della Borgogna li spinse gradualmente nell'interno della Gallia. Ma la più grande espansione dei Celti si ebbe a cominciare dal VI secolo aC, durante la cosiddetta civiltà di La Tène, con penetrazioni in varie direzioni. I Celti erano molto progrediti nella lavorazione del ferro rispetto ai popoli mediterranei.

    

Fig. X. 16 – Penetrazione e migrazione dei Celti durante le culture di Halstatt e La Tène

Nel V secolo aC i Celti commerciavano già con il mondo mediterraneo ed erano in contatto con i greci di Marsiglia, fondata nel 600 aC da abitanti della Focide [32] . Sempre nel V secolo giunsero nella Russia meridionale. Mescolandosi ai popoli più antichi, i Celti produssero nazioni meticcie: Celtiberi nella penisola Iberica, Gallogreci in Asia Minore, Celtosciti nelle pianure dell’Europa orientale, Celtotraci, Celtoillirici.

La regione storica della Galazia si trova tra Frigia [33] e Cappadocia [34] , al centro dell'Asia Minore. Nel 25 aC Ankara [35] , in latino Ancyra, ne divenne capoluogo quando fu istituita la provincia romana della Galatia, nome dovuto ad alcune tribù celtiche [36] - dette dai Greci Keltòi, o Kèltai, o Galàtai - che dalla Tracia varcarono l'Ellesponto nel 278 aC invitati in Asia Minore da re Nicomede I di Bitinia [37] come mercenari contro il fratello Zipete e Antioco I di Siria [38] : un contingente di 20.000 persone che dopo alterne vicende legate a cinquant’anni di guerre, scorrerie, devastazioni e saccheggi furono confinate da Attalo I di Pergamo [39] nel 230 aC in un’area che si estendeva dal fiume Sangario a est del fiume Halys, in quella regione dove si parlò celtico fino al V secolo dC e ai cui abitanti San Paolo scrisse una delle sue Epistole nel 49 o nel 57.

Fig. X. 17 – Galatia

Dei Galati stanziati in Anatolia ci parla Strabone, Geografia, XII,5,1: “I Galati... sono a sud della Paflagonia [40] : dei loro tre popoli, due, i Trocmi e i Tolistobogi, traggono il loro nome da condottieri antichi; il terzo, i Tectosagi, ha conservato quello di un popolo celtico. I Galati occuparono questo paese dopo aver lungo tempo errato e fatto delle incursioni nei paesi sottomessi ai re Attalidi e di Bitinia, i quali finirono col cedere di buon grado il territorio denominato da allora Galatia o Gallogrecia. Il loro capo principale al momento del loro passaggio in Asia sembra essere stato Leonnorios. I tre popoli parlano la stessa lingua, e su tutti gli altri punti sembra che non ci sia tra loro nessuna differenza. Ciascun popolo si divise tuttavia in quattro parti che si chiamarono tetrarchie aventi ciascuna il suo tetrarca, un unico giudice, un solo capo militare, sotto l’autorità del tetrarca e due sottocapi militari. I dodici tetrarchi avevano un consiglio di trecento membri, che si riunivano in un luogo chiamato drynementon. Il consiglio giudicava gli affari criminali, gli altri erano di competenza dei tetrarchi e dei giudici.”

Dei Galati ci fornisce alcune notizie anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia V,146. Come al solito il testo di Plinio è alquanto ermetico, con l’aggiunta di una dose di accozzaglia geografica e storica. Infatti credo assai improbabile che i Trocmi, stanziati a ovest di Ankara, abbiano potuto occupare una parte della Meonia, in quanto la Meonia confinava a est con la Frigia, sulla quale si erano insediati i Tolistobogi. Poi, come abbiamo appena appreso da Strabone, le tetrarchie erano 12, e 12 erano i tetrarchi. Invece Plinio afferma che le comunità e le tetrarchie erano complessivamente 195: forse ai tempi di Plinio le comunità e le tetrarchie erano in tutto 195, ma credo che al massimo, aggiungendo le ipotetiche tetrarchie dei Voturi e degli Abitouti (non citati da Strabone), esse assommassero a 20 e non di più. Resta da sapere quante fossero le comunità. Vediamo il testo farraginoso di Plinio:

V,146 - Simul dicendum videtur et de Galatia, quae superposita agros maiore ex parte Phrygiae tenet caputque quondam eius Gordium. Qui partem eam insedere Gallorum Tolostobogi et Voturi et Ambitouti vocantur; qui Maeoniae et Paphlagoniae regionem, Trogmi. Praetenditur Cappadocia a septentrione et solis ortu, cuius uberrimam partem occupavere Tectosages. Ac toto tractu gentes quidem hae, populi vero ac tetrarchiae omnes numero CXCV. Oppida Tectosagum Ancyra, Trogmorum Tavium, Tolostobogiorum Pisinuus.

V,146 - Allo stesso tempo mi sembra opportuno parlare anche della Galazia che, situata più a nord [della Frigia], occupa territori in maggior parte della Frigia e Gordio [41] che un tempo ne era la capitale. Quei Galli che occuparono tale zona si chiamano Tolostobogi, Voturi e Ambitouti [42] ; quelli che occuparono il territorio della Meonia [43] e della Paflagonia, Trogmi. La Cappadocia si estende a nord e a est, la cui parte più fertile la occuparono i Tectosagi. E queste sono le popolazioni che si trovano su tutto quanto il territorio, e le comunità e le tetrarchie sono complessivamente 195. Ancyra è la città dei Tectosagi [44] , Tavio [45] dei Trogmi, Pessinunte [46] dei Tolostobogi.

Il vocabolario di greco di Lorenzo Rocci non fornisce alcuna etimologia di Galàtai. Credo sia interessante quanto riferisce Fabio Calabrese in Il ruolo dei Celti nell’Europa antica pubblicato il 15-11-2002 in www.bibrax.org, tenendo presente che in greco il sostantivo neutro gàla, genitivo gàlaktos (in latino lac, lactis), significa latte:

“[...] Un altro indizio importante che c’impone di rivedere le nostre opinioni sull’argomento, è questo: presso tutte le popolazioni umane, il latte è, nell’infanzia e nella prima giovinezza, un alimento di alto valore nutritivo e facilmente digeribile, ma, con il progredire dell’età, diminuisce la capacità di assimilarlo. Tuttavia, la diminuzione di questa capacità metabolica varia considerevolmente nelle diverse popolazioni: quelle dell’Europa centrosettentrionale la conservano praticamente intatta per tutta la vita, mentre essa tende a diminuire man mano che ci spostiamo verso sud, in direzione del Mediterraneo. Gli italiani, ad esempio, sono agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda il consumo di latte fresco da parte della popolazione adulta. In questo caso, però, non sembra trattarsi di un’abitudine alimentare che sarebbe saggio o giustificato cercare di correggere. A quanto pare, da adulti digeriamo il latte meno bene delle popolazioni del Centro e del Nord Europa [47] . Non grandi consumatrici di latte fresco, tuttavia le popolazioni dell’Europa mediterranea sono produttrici e consumatrici di latticini e formaggi in misura considerevole, ma se ci spostiamo fuori dell’ecumene europeo-mediterraneo, ecco un’altra sorpresa: nella cucina orientale i latticini sono del tutto assenti, come ben sanno, ad esempio, gli estimatori della gastronomia cinese, che negli ultimi anni ha guadagnato estimatori anche da noi.

“Si tratta, con ogni evidenza, di abitudini alimentari molto antiche. Ancora un dato che ce lo può confermare: i Greci chiamavano i Celti ‘Galati’, cioè né più né meno che ‘bevitori di latte’, così come i Tedeschi oggi sono chiamati da molti ‘mangiapatate’.

“Cosa significano questi dati? La spiegazione più probabile è che le popolazioni del centro e del nord dell’Europa siano state le prime ad allevare animali da pascolo, e, di conseguenza, ad impiegare il latte di questi animali come alimento, non solo per i bambini, ma anche per gli adulti. La selezione darwiniana che, non dimentichiamolo, continua ad agire all’interno della specie umana come di tutte le altre, avrebbe favorito in queste popolazioni quei geni che consentivano di metabolizzare il latte, anche di specie diverse da quella umana, ed anche in età adulta.

“[...]I Celti si spinsero nelle loro migrazioni verso il sud e l’est, quindi seguendo la via esattamente opposta a quella che si suppone percorsa dalle ondate civilizzatrici di cui avrebbe beneficiato l’Europa, fino alla penisola anatolica. Dal nome che i Greci davano loro, Galati, è derivato quello di una regione dell’Asia Minore, la Galazia, da loro popolata, e quello di un quartiere di Istanbul, Galata.”

I dati etimologici di Fulvio Calabrese combaciano, sotto un certo profilo, con quelli di Ulisse Aldrovandi, che a pagina 185 del II volume della sua Ornithologia così si esprime: “Neminem interim latere existimo, Gallos Europae populos a candore dictos a Gala, quae vox lac Latinis dicitur. Nam montes, et rigor Caeli ab ea parte Solis ardorem excludunt, ut eorum corpora non colerentur [colorentur].” - “Ritengo invece che nessuno è all’oscuro del fatto che le popolazioni europee dei Galli prendono il nome dal candore, da gala, vocabolo [greco] che dai Latini è detto lac [latte]. Infatti le montagne e il rigore del clima tengono lontano l’ardore del sole da quelle zone, cosicché i loro corpi non si abbronzano.”

Un’interpretazione storica viene invece data da Isidoro di Siviglia, Etymologiae IX,2: “Item tribus filiorum Iafeth [48] . Filii igitur Iaphet septem nominantur: Gomer, ex quo Galatae, id est Galli. Magog, a quo arbitrantur Scythas et Gothos traxisse originem. Madai, a quo Medos existere putant. Iavan, a quo Iones, qui et Graeci. Unde et mare Ionium. Thubal, a quo Iberi, qui et Hispani; licet quidam ex eo et Italos suspicentur. Mosoch, ex quo Cappadoces. Unde et urbs apud eos usque hodie Mazaca dicitur. Thiras, ex quo Thraces; quorum non satis inmutatum vocabulum est, quasi Tiraces.” “Galatae Galli esse noscuntur, qui in auxilium a rege Bithyniae evocati, regnum cum eo parta victoria diviserunt; sicque deinde Graecis admixti primum Gallograeci, nunc ex antiquo Gallorum nomine Galatae nuncupantur.”

Se Fabio Calabrese è quasi perentorio nell’attribuire ai Galati l’etimologia del famoso e antico quartiere europeo di Istanbul, le notizie da me raccolte in alcuni siti internet e nella Guida alla Turchia del Touring Club Italiano (1999) non riescono a condurmi a tale conclusione toponomastica, nonostante mi sembri corretta e molto verosimile.

In History of Galata [49] si abbozza una prima ipotesi, secondo la quale il nome del quartiere Galata deriverebbe dall’esistenza in quell’area di latterie, dato che in greco gala significa latte, ma non sono disponibili evidenze storiche a supporto di questa congettura. Gli Italiani, come tanti altri popoli, furono di stanza a Bisanzio, e furono i Genovesi a costruire nel 1348 la Torre di Galata su questo promontorio che si frappone tra il Bosforo e il Corno d’Oro. Per cui si adduce l’ipotesi che Galata derivi dall’italiano calàta, “meaning the road leading down to the sea.” Si potrebbe obiettare all’autore dell’articolo che l’attuale sostantivo italiano calata significa sì discesa, ma in senso lato, e quindi non solo verso il mare. Dal punto di vista marinaresco calata indica il tratto delle banchine di un porto destinate all’imbarco o allo sbarco di merci e di passeggeri [50] . Salvo che, in passato, a Bisanzio, il vocabolo italiano avesse assunto prevalentemente il significato di strada che scende al mare [51] in quanto il quartiere di Galata ne era e ne è circondato da ogni lato grazie al Bosforo e al Corno d’Oro.

In The Galata area of Istanbul - The history of Galata [52] veniamo a conoscenza di notizie più precise. Nell’area occupata dall’odierna Istanbul sorgevano alcune colonie greche fondate in momenti diversi. La più antica fu la colonia megarese [53] di Calcedone che sorse nel 674 aC sul versante asiatico del Bosforo, dove oggi si trova il sobborgo di Kadıköy. Un’altra colonia fu quella di Chrysopolis, che in antico era un sobborgo di Calcedone e che si presume situata dove oggi sorge Üsküdar (Scutari), antistante alla Torre di Galata che svetta coi suoi 68 metri sull’altra riva del Bosforo. La terza colonia megarese, sorta nel 657 aC in territorio europeo, fu quella di Sykai [54] che è stata il nucleo iniziale dell’odierno quartiere di Galata.

Nella pagina internet Galatasaray [55] si leggono invece alcune discrepanze linguistiche e storiche, ma finalmente il toponimo Galata viene attribuito ai Galati: “Galatasaray. La victoire d'un premier club turc de foot en coupe UEFA a permis de connaître ce nom. Mais quel est-il? Saray en turc signifie château, et Galata vient des Galates qui étaient des mercenaires gaulois à la solde des Byzantins. Ces derniers, pour les remercier de leurs bons offices en Anatolie, leur ont offert à l'époque un terrain en face du vieux Stamboul. Ce quartier aujourd'hui a pris le nom de Galata. Il s'est érigé autour d'un immense bâtiment qui est le lycée de Galatasaray, qui depuis 4 siècles, forme l'élite de la nation turque. [...]”

Innanzitutto la traduzione della parola turco-persiana saray non è château (castello), bensì palazzo, in quanto in turco il castello è detto şato, e in quanto il castello è sì un palazzo adibito alla residenza del signore, ma è munito di torri e mura a scopo difensivo [56] . Poi, per quanto mi risulta, i Galati non furono mai mercenari dei Bizantini, anzi, i Galati di Comontorio tartassarono e vessarono i Bizantini con tali balzelli che dopo una cinquantina d’anni - nel 220 aC - furono il movente della guerra fra Bisanzio e Rodi. I buoni uffici - leurs bons offices en Anatolie - svolti dai Galati stanziati in Anatolia furono semmai a beneficio di re Nicomede I di Bitinia che occupava solo la riva asiatica del Bosforo.

Verrebbe pertanto da pensare che i Galati di Comontorio possano aver preteso da Bisanzio, oltre al denaro, anche una fetta della città, là dove si trovava Sykai, che così prese il nome dai Celti. Comunque stiano le cose, a Beyoğlu, l’antica Pera, sobborgo del quartiere Galata, sorge il Liceo Galatasaray - il palazzo di Galata - fondato dal sultano ottomano Beyazıt II nel 1482 [57] (1481 [58] ), e proprio in questo liceo nel 1905 venne fondato il Galatasaray Sports Club, la cui prima branca d’attività fu quella del football.

Per completezza, e per giustificare il mio sospetto che i Galati di Comontorio si siano in qualche modo accaparrati l’antica Sykai, vediamo di riassumere la storia dei Galati in relazione a quella di Bisanzio. I dati provengono in parte dal capitolo I Celti e i loro spostamenti nel III secolo aC di Miklós Szabó (I Celti - Bompiani, 1991), in parte dal libro IV,38-52 delle Storie di Polibio [59] riportato a fine capitolo.

Nell’ultimo decennio del IV secolo aC la spinta celtica divenne sempre più intensa in tutta la parte nordorientale dei Balcani. Pompeo Trogo [60] , citato da Giustino [61] , espone con estrema chiarezza la cronologia di questi eventi. Apprendiamo così che, all’insediamento in Pannonia e alle guerre condotte contro i vicini, fece seguito il periodo delle invasioni contro i Macedoni e i Greci. L’espansione celtica in Tracia fu tuttavia a lungo contenuta dagli eredi di Alessandro Magno, dapprima da Cassandro e poi da Lisimaco. Dopo la morte di quest’ultimo all’inizio del 281 aC nella battaglia di Corupedio contro Seleuco I Nicatore re di Siria, la barriera macedone cessò di rivelarsi efficace e ai Celti si spalancò la strada verso la terra greca.

A causa della perdita quasi totale delle opere degli storici del III secolo aC, le fonti più recenti, come il sunto di Giustino o la sintesi molto rapida di Pausania, vale a dire resoconti redatti in epoca imperiale, forniscono tuttavia una visione assai lacunosa e non di rado persino confusa dell’invasione celtica del territorio greco. Ignoriamo i particolari delle operazioni condotte dagli eserciti celtici, come del resto quelli della loro cronologia.

È lecito supporre un’offensiva simultanea di tre gruppi:

- nel 280 aC il territorio dei Triballi [62] e la Tracia [63] vennero invasi dai Celti di Kerethrios

- l’Illiria e la Macedonia dai guerrieri di Bolgios (o Belgios)

- la Peonia [64] dalla truppe di Brennos e di Akichorios.

Lo sfondamento decisivo venne compiuto dall’esercito di Bolgios, che all’inizio del 279 aC annientò i reparti - un pugno d’uomini - del giovane sovrano della Macedonia Tolomeo Keraunos. I Galati, come ormai sempre più spesso venivano chiamati i Celti, fecero prigioniero il re ferito e lo decapitarono. Il seguito non può non apparire sorprendente: i vincitori, sotto la guida del loro capo Bolgios, tornarono nel territorio da cui erano partiti.

Ormai però la strada verso la Grecia era aperta e fu imboccata dall’esercito di Brennos diretto a sud, che tuttavia si trovò a dover superare numerose difficoltà. In Dardania, secondo Tito Livio, Leonnorios e Lutarios, in seguito a una ribellione, con ventimila guerrieri abbandonarono il grosso dell’esercito di Brennos e nel 278 aC passarono in Asia su invito di Nicomede I di Bitinia. Inoltre in Macedonia le truppe di Brennos e di Akichorios subirono perdite probabilmente pesanti. Dopo aver superato le Termopili, Brennos con guerrieri scelti mosse contro Delfi, la cui fama fin dall’epoca arcaica trascendeva le frontiere del mondo greco. Il santuario di Apollo venne a trovarsi in una situazione disperata, e tuttavia l’assalto dei Celti fallì (erano gli ultimi mesi del 279 aC). Brennos stesso era stato gravemente ferito e, pur essendo riuscito a operare il congiungimento con le truppe di Akichorios, si suicidò. Dal canto suo, Akichorios optò a favore di una ritirata in direzione della Tracia, ma ci è ignoto il destino al quale andò incontro.

L’esercito di Kerethrios, vale a dire uno dei tre partecipanti alle offensive, va probabilmente identificato con quello che nel 277 aC venne poi sconfitto a Lisimachia da Antigono Gonata re di Macedonia (320-239 aC). Ebbe così termine la grande invasione celtica contro la Grecia dove, dopo il fallimento, la presenza dei Galati continuò in forma di mercenariato.

Ma con Brennos si erano mossi altri Galati, e precisamente quelli guidati da Comontorio, scampati sia alla disfatta di Delfi sia a quella inferta a Lisimachia da Antigono Gonata nel 277 aC. Bisanzio viveva in un rapporto di equilibrio precario nei confronti dei barbari - dapprima solo i Traci, poi anche i Celti - i quali immediatamente prima dei raccolti agricoli si abbandonavano a incursioni che si facevano sempre più frequenti e minacciose. La Tracia circondava tutt’intorno il territorio dei Bizantini e costoro, per il suddetto motivo, si trovavano in uno stato di guerra costante e impegnativa coi Traci. A un certo punto i Traci si trovarono in difficoltà quando giunsero i Celti guidati da Comontorio, e lo stesso può dirsi dei Bizantini, in quanto Comontorio, attratto dal luogo, si era stabilito a nord di Bisanzio, fondando il suo regno sulla costa occidentale del Mar Nero con capitale Tylis [65] . I Bizantini, a patto che i Galati di Comontorio non devastassero il loro territorio, dapprima sborsavano di tanto in tanto 3.000 o 5.000 stateri d’oro, e qualche volta anche 10.000. In seguito, e fino ai tempi di re Cavaro (220 aC) furono costretti a subire l’esborso di 80 talenti l’anno [66] .

Bisanzio venne così a trovarsi economicamente alle strette e decise pertanto di far pagare un dazio sulle merci che transitavano per il Bosforo, sollevando però le rimostranze dei mercanti, i quali si rivolsero agli abitanti di Rodi [67] che tentarono di comporre la vertenza: Ma gli sforzi non valsero a nulla, in quanto si arrivò a una guerra contro Bisanzio che vedeva schierati via terra i Bitini al comando di re Prusia I di Bitinia, mentre i Rodii agivano per mare. Prusia arrivò ad assoldare i Traci per impedire ai Bizantini di uscire dalle porte della città, e furono proprio i Traci a distruggere i Galati di re Cavaro. Costui doveva essere un filone, in quanto, prima della disfatta, si era recato a Bisanzio per far sì che la guerra cessasse: infatti, se fosse proseguita, sarebbe stato impossibile continuare a riscuotere il tributo dai Bizantini.

Ecco quindi che i Galati, a partire dai tempi di Comontorio fino ai tempi Cavaro, non dovettero mai suscitare particolari benevolenze nei Bizantini, se non quando apparvero per la prima volta all’orizzonte, dissipando per un attimo le paure dei Bizantini nei confronti dei barbari allora rappresentati dai Traci. Poi i Galati di Tylis approfittarono pesantemente dei Bizantini fino al 220 aC, per cui se il quartiere di Galata - come asserisce Fabio Calabrese - prese il nome dai Galati, bisogna presumere che i Galati se ne fossero in qualche modo appropriati, e non che l’avessero ricevuto in segno di riconoscenza.

Ma i Celti si addentrarono anche nelle pianure dell’Europa orientale mescolandosi con gli Sciti che abitavano la parte meridionale della Russia, e precisamente la regione compresa tra i Carpazi e il Don. La parte orientale di questa regione, quella compresa tra Don e Dnepr, era formata da steppe, che si prestano all'allevamento del bestiame e all'agricoltura [68] . Gli Sciti in senso stretto, che tra loro si chiamavano Skoloti, occuparono la Russia meridionale nel VII secolo aC; parte degli invasori occupò anche la Mesopotamia superiore e la Siria (ca. 650-620 aC) e un'altra schiera attraversò i Carpazi fino al corso medio del Danubio, anche se il nucleo degli Sciti rimase nella Russia meridionale. Ma i Celti non solo si mescolarono agli Sciti, in quanto dopo il 300 aC li espulsero dai Balcani e dall'Europa centrale.

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[1] Sultano: dall’arabo sultan: padrone assoluto. Il titolo non fu usato ufficialmente prima della seconda metà del sec. IX, quando un califfo abbaside di Baghdad ne insignì un suo fratello. Fu portato dai Gasnavidi (sec. X-XI), poi dai Selgiuchidi (sec. XI-XII). Si riteneva allora che il sultano dovesse farsi conferire il titolo dal califfo, quasi fosse un difensore della fede subordinato al califfo stesso. Portarono ancora il titolo di sultano gli Ayyubiti (sec. XII-XIII), poi i Mamelucchi d'Egitto (sec. XIII-XVI). Il sultano per antonomasia fu tuttavia il sovrano ottomano: pare che Murad I inaugurasse questo titolo (fine sec. XIV). Nel sec. XV il titolo divenne ufficiale e i monarchi osmanli se ne fregiarono sino al 1922, quando fu deposto Maometto VI. Oggi si fanno ancora chiamare sultano i sovrani di alcuni Stati musulmani, quali l’‛Oman e il Brunei. Califfo viene dall’arabo khalifa (successore, vicario), successore del profeta Maometto e capo supremo della comunità islamica.

[2] Dürigen Bruno (1853-1930), Die Geflügelzucht (1921) - pagina 211 - 54. Türken [oder Sultanshühner].

[3] Pavlov: nel XVIII secolo, attraverso la selezione, gli abitanti del villaggio russo di Pavlovo diedero origine a questa razza, che fu chiamata Pavlovna. Fu vista da Peter Simon Pallas durante la spedizione del 1768-1774 e la descrisse nelle due varietà, oro e argento. Venne descritta anche da Bruno Dürigen verso la fine del 1800, quando ormai questa razza stava perdendo in diffusione, per andare praticamente estinta dopo la rivoluzione russa del 1917. Attualmente è in avanzato grado di rifacimento. Pavlovo, che un tempo era un semplice villaggio sul fiume Oka, attualmente è una città della provincia di Niznij Novgorod. Pavlovo si trova a una latitudine nord di 56° e a una longitudine est di 43°. Quindi Pavlovo si trova appena più a sud e a ovest del capoluogo di provincia - Niznij Novgorod - situato alla confluenza dell’Oka con il Volga, e le cui coordinate sono lat N 56°20’ long E 44°. Per completezza riportiamo i dati di Mosca, situata intorno al 56° parallelo nord e al 37° meridiano est.

[4] Brabanter o Brabantea: probabilmente gli antenati di questo pollo furono portati in Olanda dalla Persia nel XVI e XVII secolo da marinai olandesi. Su un dipinto a olio di Melchior d’Hondecoeter si possono vedere questi soggetti dotati di una barba suddivisa in tre parti e di un ciuffo di piume molto piccolo e compatto.

[5] Pallas Peter Simon: naturalista e viaggiatore tedesco (Berlino 1741-1811). Su invito dell’Imperatrice di Russia Caterina II - la Grande - prese parte alla spedizione scientifica da lei patrocinata nella Russia orientale (regioni di Urali, Mar Caspio, Volga, la Siberia fino all’Amur) durata sei anni (1768-1774), durante la quale reperì i resti dei grandi mammiferi del Quaternario, tra cui il mammut, ed effettuò importanti osservazioni sugli strati rocciosi degli Urali, dando anche una spiegazione della genesi delle catene montuose. Nel 1792-1793 partecipò a una seconda spedizione in Crimea e nelle regioni del Caucaso. Stabilitosi in Crimea nel 1795, si mise all’opera per condensare l’enorme mole di osservazioni effettuate durante le due spedizioni scientifiche, dando così vita anche al testo relativo ai polli che è di nostro specifico interesse e che è contenuto in Zoographia Rosso-Asiatica. I tre volumi dell’opera vennero stampati a San Pietroburgo nel 1811. Pallas, trasferitosi da qualche anno a Berlino, proprio nel 1811 e poco prima della sua morte ricevette la prima copia del suo enciclopedico e preziosissimo lavoro.

[6] Astrahan: città (519.000 ab.) della Russia, capoluogo della provincia omonima, situata nella regione deltizia del Volga, a 90 km dallo sbocco del fiume nel Mar Caspio.

[7] Koibal: era una popolazione del territorio dell’Altaj. Il territorio dell’Altaj si estende nella Siberia meridionale, al confine con la Mongolia, su gran parte del sistema montuoso omonimo e sulla regione steppica a nordovest di questo.

[8] Kamčatka: penisola (ca. 350.000 km2) della Siberia nord-orientale (Russia); si allunga in direzione meridiana per circa 1200 km tra il Mare di Bering a est e il Mare di Ohotsk a ovest. Larga al massimo 450 km, è percorsa da due catene montuose parallele, la Catena Centrale e la Catena Orientale, tra le quali si apre l'ampia valle del fiume Kamčatka (lunghezza 758 km; bacino 56.300 km2), il più importante della penisola. Numerosi sono i vulcani, di cui una ventina attivi.

[9] Salehard, ex Obdorsk: città (21.900 ab.) della Russia, capoluogo del Circondario autonomo Jamalo-Nenec, alla confluenza del fiume Poluj nell'Ob, all'altezza del Circolo Polare Artico. Industrie alimentari e del legno. Fino al 1933 si chiamò Obdorsk.

[10] Jenisej: fiume (lunghezza 4092 km; bacino 2.580.000 km2) della Siberia centrale, tributario del Mare Glaciale Artico. Si forma a Kyzyl (Repubblica autonoma di Tuva) dall'unione del Grande Jenisej (Bolsoi Jenisej) col Piccolo Jenisej (Maly Jenisej) e assume, circa 200 km più a valle, l'orientamento verso NNW che conserva fino alla sua foce a estuario nella baia dello Jenisej nel Mare di Kara.

[11] Sung: dinastia imperiale cinese (960-1279), denominata fino al 1127 Sung settentrionale; dal 1127 Sung meridionale. Fu fondata da Ch'ao Kuang-yin, generale al servizio della dinastia Chou posteriore che si proclamò imperatore (960) col nome di T'ai-tsu. Sotto i suoi successori la vita politica fu dominata dall'aspra lotta tra il partito conservatore e quello innovatore che sfociò in massicce rivolte popolari. Debole e diviso, l'impero crollò davanti all'offensiva dei Jurcin. Perduta la capitale Pien-liang (1127), la dinastia si trasferì a sud ponendo la propria nuova capitale a Hang-chou. Tuttavia, a partire dal 1210 anche l'impero meridionale divenne oggetto di incursioni da parte dei Mongoli. Ripetutamente sconfitti, i Sung meridionali furono definitivamente battuti nel 1279.

[12] Il Reame di Fugiu apparteneva al Regno di Mangi o Terra dei Mangi. Mangi corrisponde alla voce araba “Manzi”, dal cinese man-ci, cioè i barbari del sud. Venivano così indicate dapprima le tribù non cinesi meridionali, poi la Cina meridionale in genere e il regno dei Sung (960-1276).

[13] Regno di Champa: (Huang-wang, Chang-ch'eng) regno indocinese fortemente indianizzato, sorto sul territorio dell'odierno Viet Nam centrale e in parte di quello meridionale, la cui fondazione, secondo le fonti cinesi (da cui è denominato Lin-yi) risale al 192 dC a opera di un certo K'iu-lien o Sri-Mara. Dalla fine del sec. XII al 1220 Champa subì la dominazione dell'impero Khmer, divenendone una provincia (intorno al 1203); seguirono poi nuove invasioni e attacchi vietnamiti interrotti temporaneamente dalla comparsa dei Mongoli che, sotto Qubilai, invasero due volte Champa (1283 e 1287) ma che alla fine dovettero ritirarsi. Nel 1471 Champa cessò in pratica di esistere come Stato e contemporaneamente la popolazione emigrò in massa verso il meridione.

[14] Guangzhou: capoluogo della provincia di Guangdong, confinante a nord con le province di Fujian e di Jiangxi.

[15] Hangzhou: capoluogo della provincia di Zhejiang, confinante a sud con la provincia di Fujian, a est con la provincia di Jiangxi.

[16] Friuli: i Longobardi, che presero possesso del territorio friulano tra il 568 e il 570, posero la loro capitale a Forum Iulii, l'odierna Cividale del Friuli. Fu il nome latino di Cividale a conferire il toponimo alla regione, essendo Cividale un antichissimo centro veneto del periodo pregallico che dal I secolo aC fu sede di una colonia romana, che da Cesare o da Ottaviano prese il nome di Forum Iulii. A conclusione della sua narrazione del viaggio, Odorico si firma Frate Odorico del Friuli.

[17] Cercò di essere sempre pienamente informato degli sviluppi in ogni campo, compreso quello scientifico. Rilevò, e in parte spiegò, le valvole venose, importanti per la successiva scoperta della circolazione del sangue; fu il primo in Italia a venire a conoscenza dell'invenzione olandese del telescopio e tenne un quaderno di speculazioni scientifiche e filosofiche, molte delle quali sul moto. Incontrò Galileo probabilmente alla fine del 1592 e da allora fino al 1606, quando l'interdetto lo coinvolse interamente, partecipò alle sue principali indagini scientifiche. Discusse con lui e Sagredo in particolare di calamite, avendo letto con grande attenzione il De magnete di Gilbert. Sarpi fu una figura-chiave nei rapporti che Galileo ebbe nel 1609 con il governo veneziano in relazione al telescopio.

[18] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 466: De Gallinis Lanigeris. Icon haec desumpta est ex charta quadam Cosmographica. Fuch civitas est maxima versus Orientem, in qua maximi galli nascuntur. Gallinae sunt albae instar nivis, non pennis sed lanis tectae ut pecus, Odoricus de Foro Iulii. In civitate Quelinfu, in regno Mangi nomine, inveniuntur gallinae, quae loco pennarum pilos habent, ut catti, nigri scilicet coloris, sed ova pariunt optima, M. Paulus Venetus 2. 68.

[19] Sommesso: un mezzo piede, circa 15 cm.

[20] Grosso: moneta veneziana di 2 grammi d’argento, poco dopo detta viniziano, per antonomasia.

[21] Gengiovo è lo zenzero.

[22] È sottinteso che sono gli abitanti a prendere e a mangiare questi enormi serpenti.

[23] Gli scavi della città romana di Gorsium hanno fornito reperti databili dal 30 al 350 dC. Con le misurazioni si è giunti a stabilire la presenza di almeno 2 tipi di pollo a Gorsium: il più leggero, di 1-1,5 kg, potrebbe essere stato un ceppo locale non sottoposto a miglioramento selettivo, grande pressapoco come il Gallo Rosso della giungla, introdotto in Ungheria dagli Sciti; l’altro tipo, più grande, di circa 2 kg, potrebbe essere un ceppo romano sottoposto a selezione.

[24] I Pannoni costituivano un antico popolo di razza illirica fortemente mescolato a elementi celtici. Essi abitavano a est dell’Italia e a nord della Dalmazia fino al Danubio e nei territori della Sava e della Drava: Quando vennero in contatto con Roma, la loro civiltà era ancora allo stadio corrispondente a quello di La Tène, tranne nei territori più direttamente a contatto con la romanità. Dopo l’oscura e sfortunata spedizione di un non meglio noto Cornelio (metà del II sec. aC), mosse contro di loro Ottaviano nel 35-34 aC, ma l’impresa fu continuata da Tiberio che in tre campagne li sottomise (12-11 aC). Tutta la regione fu allora compresa nella provincia dell’Illirico, successivamente (9dC) suddivisa in Illirico superiore (Dalmazia) e Illirico inferiore (Pannonia). La Pannonia, insieme con la Mesia superiore, fu il centro principale della vita militare dell'Impero romano sulla frontiera danubiana: esposta continuamente alle minacce barbariche, fu gradualmente abbandonata dai Romani a partire dal 395 e fu quindi occupata dai Goti e dagli Unni nel 441.

[25] Yayoi: periodo preistorico del Giappone succeduto a quello Jomon, e che prende il nome da Yayoi-cho (Tokyo) dove furono rinvenute le prime testimonianze archeologiche. La civiltà Yayoi era essenzialmente fondata sull'agricoltura.

[26] Provincia di Henan o Honan: si trova nella Cina centro-orientale, il capoluogo è Zhengzhou, è estesa sul basso bacino dello Hwang Ho, o Fiume Giallo.

[27] Provincia di Hebei o Hopeh: nella Regione del Nord, affacciata a est sul golfo di Bo Hai, con capoluogo Shijiazhuang.

[28] Età del Ferro: periodo iniziatosi nel Medio Oriente verso la fine del II millennio aC e caratterizzato dalla scoperta e diffusione della metallurgia del ferro, entrato nell'uso corrente per la fabbricazione di armi e utensili. In Europa abbraccia il I millennio, dagli inizi alla dominazione romana, e viene distinta in due fasi successive: la prima Età del Ferro, che abbraccia la prima metà del I millennio aC e che prende nome dalla stazione eponima di Hallstatt (in Austria, nel Salzkammergut), e la seconda Età del Ferro, che prende nome da La Tène (sulle rive del Lago di Neuchâtel in Svizzera), con particolare diffusione in quei Paesi che conobbero la dominazione celtica preromana.

[29] Via della Seta: descritta in parte anche da Marco Polo, percorsa da tempi immemorabili da lunghe carovane per mezzo delle quali non solo merci di valore, ma anche culture e religioni, piante e animali si diffusero da est a ovest e viceversa. Partendo da Singan-fu (l'antica capitale della Cina) e più tardi da Pechino, la Via della Seta, protetta dalla Grande Muraglia, attraversava il passaggio obbligato della Porta di Giada (che metteva in comunicazione le alte vallate della Cina con gli altopiani centro-asiatici). L’abituale punto di partenza sul confine della Cina vera e propria era Tunhuang. Poi la pista si divideva in due rami, di cui uno scorreva a sud e l’altro a nord del deserto di Taklamakan, e che si ricongiungevano a Kashgar, continuando poi attraverso il Pamir fino a Samarcanda e quindi a Merv. Un’altra pista meno frequentata, e utilizzabile solo quando l’Asia Centrale di trovava in condizioni di pace eccezionali, partiva da Anhsi e passava a nord dei monti T’ienshan, per ricongiungersi con la carovaniera principale a Kokand. Da Samarcanda, attraverso l'altopiano iranico e l'Asia Minore, la Via della Seta giungeva in Occidente a Costantinopoli o sulle coste del Mediterraneo. Per la storia della seta si consiglia di leggere l’articolo di Marco Cattaneo in www.tuttocina.it/Cina-tour/VdS/Vds_storia.htm. I Romani conobbero la seta nel 53 aC quando Marco Licinio Crasso fu ucciso e sconfitto dai Parti a Carre in Mesopotamia: del suo esercito di 30.000 uomini, 20.000 morirono e 10.000 furono fatti prigionieri. Per quanto funesto, quell'episodio segna la prima occasione in cui i Romani vennero in contatto con la seta, con la quale erano tessute le cangianti insegne innalzate dai guerrieri Parti. Nemmeno mezzo secolo dopo il sericum - cioè la seta, così detta perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri come a Roma venivano chiamati i Cinesi - era il più ambito status symbol della nobiltà romana, che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità. Separate da altri due grandi imperi - dei Parti in Persia e dei Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan - in quel periodo Roma e la Cina non vennero in contatto diretto, sebbene entrambe tentassero di inviare ambasciatori nell'altra parte del mondo. Fu così che per secoli i Romani non seppero nulla circa l’origine della seta e della lavorazione necessaria per tesserla. Ce lo dimostra Plinio in Naturalis historia VI,54: “Primi sunt hominum qui noscantur Seres, lanicio silvarum nobiles, perfusam aqua depectentes frondium canitiem, unde geminus feminis nostris labos redordiendi fila rursusque texendi: tam multiplici opere, tam longinquo orbe petitur ut in publico matrona traluceat. Seres mites quidem, sed et ipsi feris similes coetum reliquorum mortalium fugiunt, commercia exspectant.” I primi uomini dei quali [nelle estreme regioni orientali dell’Asia] si abbia notizia sono i Seri, celebri per la lana delle loro foreste, che ricavano togliendo con un pettine la bianca lanugine delle foglie dopo averla bagnata con acqua, da cui deriva per le nostre donne il doppio lavoro di disfare i fili e di tesserli di nuovo: è attraverso un’operazione di questa complessità e un viaggio in terre così lontane che si ottiene che una nostra matrona possa presentarsi in pubblico con vesti trasparenti. I Seri sono miti, ma anch’essi, simili ad animali selvatici, fuggono il consorzio degli altri mortali e attendono che i commercianti vadano da loro.”

[30] Paestum: frazione con 181 abitanti del comune di Capaccio (prov. di Salerno), presso il litorale tirrenico. È l'antica colonia latina fondata dai Romani nel 273 aC nel golfo di Salerno sul fiume Sele, dove già nel secolo VII era stata fondata una colonia greca, col nome di Posidonia, da Sibari, la potente e ricca città della costa ionica nella Magna Grecia. Il flusso di Greci in Italia si svolse in forme regolari e massicce nell’VIII secolo aC, o per effetto dei rapidi incrementi demografici nelle città greche di provenienza, o per contrasti di fazioni scoppiati in esse, o per attivismo piratesco o commerciale, e si sviluppò specialmente in alcune direzioni: i Calcidesi verso la Campania e lo stretto di Messina (Cuma, Velia, Reggio), i Dori nella Sicilia (Siracusa, Agrigento), gli Achei del Peloponneso verso la costa calabra (Sibari, Crotone, Metaponto), gli Spartani verso il golfo di Taranto.

[31] Strabone: storico e geografo greco (Amasia, Ponto, 64-63 aC - ca. 20 dC). Studiò a Nisa col grammatico Aristodemo e, forse nel 44, si trasferì a Roma, dove ebbe come maestri Senarco e Tirannione. In filosofia praticò prima l'aristotelismo, poi lo stoicismo; fu grande ammiratore di Roma e del suo impero. Sono andati perduti i suoi Schizzi storici, che comprendevano 47 libri e riguardavano gli ultimi secoli della Repubblica romana; ci rimane invece la Geografia in 17 libri: dopo una specie di introduzione sulla scienza geografica e sui suoi predecessori (libri 1-2), Strabone inizia, nell'ordine, la descrizione dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa. L’universo immaginato da Strabone è geocentrico e la Terra è circondata tutta dall'oceano. Le informazioni geografiche sono date in forma facilmente leggibile e interessante; scarsi i dati astronomici, mentre abbondano quelli storici ed etnografici e le considerazioni filosofiche; abbondano anche le digressioni, su diversi argomenti che apparivano notevoli allo scrittore. L'opera è assai importante per la massa di dati che ci trasmette anche al di là della pura scienza geografica.

[32] Focide: regione storica della Grecia centrale, tra la Ftiotide a N, l'Etolia a W e la Beozia a E, affacciata a S sul golfo di Corinto. Abitata fin dall'età neolitica, fu occupata sul finire del II millennio aC da una popolazione di dialetto dorico, i Focesi, che nel sec. VII aC fondarono in Occidente numerose colonie tra cui Elea e Massalia (Marsiglia).

[33] Frigia: Regione storica dell'Asia Minore, il cui nome è oggi riferito alla regione montuosa corrispondente agli alti bacini dei fiumi Meandro, Gediz e Sakarya, tra la Bitinia a N, la Pisidia a S, la Lidia, la Caria e la Misia a W e la Licaonia e la Galazia a E.

[34] Cappadocia: Regione storica dell'Asia Minore, nella Turchia centrale. Situata nel cuore dell'altopiano anatolico e priva di sbocco al mare, è compresa fra i rilievi del Ponto a N, le catene dell'Antitauro e del Tauro di Cilicia a S, l'Armenia a E, la Licaonia e la Galazia a W. Il territorio è costituito dall'alto e medio bacino del fiume Kizilirmak (Halys), che l'attraversa in direzione NE-SW.

[35] Ankara - o Àngora in alcune lingue europee a partire dal sec. XVIII - è posta in una zona di antichissimo popolamento, come attestano reperti litici dell'epoca neolitica. Si fa però risalire ai Frigi l'origine della città, che secondo la leggenda sarebbe stata fondata dal re Mida, il quale, sconfitti gli Ittiti, si sarebbe impadronito dell'Asia Minore. Nel sec. III aC fu occupata dai Tettosagi, popolo gallico venuto dalla Tracia, che ne fecero il proprio capoluogo. Il nome Ankara, o Ancyra, o Ankyra, deriverebbe dalla redice ank frequente nella maggior parte delle lingue indoeuropee, che significa gola, burrone, curva, a indicare le caratteristiche del sito in cui si sviluppava allora l’antica città (Turchia, TCI, 1999). Anche angolo e àncora - detta ànkyra in greco - derivano dalla stessa radice. Non si può escludere quindi che anche quella regione anatomica denominata anca abbia la stessa etimologia, essendo una caratteristica dell’anca quella di presentarsi più o meno curvilinea.

[36] Tettòsagi, Trocmi e Tolistobogi sono le tribù celtiche che si stanziarono in Galazia.

[37] Bitinia: regione storica dell'Asia Minore corrispondente alla sezione nord-occidentale della Turchia, affacciata al Mar Nero e al Mar di Marmara. Abitata dal sec. VIII aC dalla popolazione dei Bitini di origine tracia, assurse presto a grande prosperità per i contatti col più evoluto mondo greco delle città della costa, tra le quali Eraclea Pontica, ma anche per la ricchezza del suolo. I Bitini riuscirono a mantenere una certa autonomia durante la supremazia persiana instaurata da Ciro, difendendosi successivamente, grazie anche ai Galati chiamati in aiuto, dai Seleucidi, espandendosi anzi verso la Paflagonia e le città costiere. I loro re, recanti per lo più i nomi di Nicomede e Prusia, ormai ellenizzati, diedero impulso ai commerci, promossero l'agricoltura, fondarono nuove città: Prusias, Nicea e Nicomedia. Nel 74 aC Nicomede IV lasciò il regno di Bitinia in eredità ai Romani e Pompeo lo organizzò poi nella provincia di Bitinia e Ponto. In età imperiale assurse a grande importanza la strada che dalla costa portava ai confini orientali dei territori soggetti a Roma. Difficoltà economiche e sociali sopravvennero nel sec. II dC e se ne fece portavoce anche Plinio il Giovane, governatore sotto Traiano. Nicea ospitò nel 325 il famoso concilio che da essa prese nome. In età bizantina l'intera regione ebbe un ruolo ragguardevole nelle vicende del tempo.

[38] Antioco I Sotere o Salvatore (324-261 aC): re di Siria dal 281 al 261 aC. Antioco era figlio di Seleuco I Nicatore, il fondatore della dinastia siriana di origine macedone dei Seleucidi e re di Siria dal 305 nonché creatore del più vasto e potente Stato ellenistico. Antioco I venne associato al potere a partire dal 293 e dopo l’assassinio del padre (281) restò unico sovrano. Nel 277 sconfisse i Galati e per questo ricevette il soprannome di Salvatore, ma morì mentre nel 261 di nuovo combatteva contro i Galati che aveva in precedenza sconfitto. I Seleucidi ebbero il momento di più alto splendore con Antioco III il Grande (242-187 aC) e si estinsero nel 64 aC. La morte di Antioco I viene ricordata da Eliano, La natura degli animali, VI,44: “Tralascerò anche di parlare del cavallo di Antioco che vendicò la morte del padrone uccidendo il Galata che in battaglia aveva trucidato Antioco (il nome del Galata era Centoarate).” Ne parla anche Plinio, Naturalis Historia VIII,158: “Phylarchus refert Centaretum e Galatis, in proelio occiso Antiocho, potitum equo eius conscendisse ovantem, at illum indignatione accensum domitis frenis, ne regi posset, praecipitem in abrupta isse exanimatumque una.” - “Filarco racconta che uno dei Galati, Centoarate, dopo aver ucciso in battaglia Antioco, impadronitosi del suo cavallo gli salì in groppa trionfante, ma l’animale, preso dallo sdegno, strappate le briglie perché non potesse essere guidato, si lanciò a capofitto in un burrone e morì insieme [a Centoarate].” Filarco: storico greco (Atene sec. III aC), è autore di una storia della Grecia nel III secolo, di cui ci sono pervenuti solo frammenti, largamente citata e utilizzata dagli scrittori antichi.

[39] Attalo I di Pergamo Soter o Salvatore (269-197 aC): re di Pergamo dal 241 al 197 aC, fu il fondatore della dinastia degli Attalidi, i quali riconoscevano come loro fondatore Eumene I, nipote di quel Filetero di Tios che, ribellatosi a Lisimaco, aveva ottenuto per Pergamo, sotto la protezione dei Seleucidi, una semi indipendenza. Succeduto a Eumene I, Attalo I assunse il titolo di re dopo la grande vittoria sui Galati (240 circa) che gli valse il titolo di difensore dell’ellenismo e che pose fine alla loro espansione disordinata. I Galati furono nuovamente sconfitti da Attalo I nel 230 quando rifiutò ai Galati il tributo che di solito veniva loro pagato dai dinasti dell’Asia Minore. Di qui la guerra non solo contro i Galati, che sconfisse ripetutamente, ma anche contro Antioco Ierace, loro protettore, che vinse in tre battaglie (229-228 aC). I Galati si erano alleati con Antioco Ierace di Siria detto lo Sparviero (in greco iérax significa sparviero, falco) che si era impossessato dell’Asia Minore: così Attalo I conquistò la maggior parte dei possedimenti che erano stati dell’avversario. Antioco Ierace (ca. 255-227aC) si rifugiò in Cappadocia, poi in Egitto, e quindi in Tracia, dove finì per morire combattendo proprio contro i Galati nel 227 aC.

[40] Paflagonia: regione storica dell'Asia Minore compresa tra la Bitinia a ovest, la Galazia a sud e il Ponto a est, affacciata a nord sul Mar Nero (Ponto Eusino).

[41] Gordio: antica città dell'Asia Minore, capitale della Frigia, alla destra del fiume Sangario (odierno Sakarya), a una trentina di km a nordovest dell'attuale città di Polatlı. Fu fondata da un leggendario dinasta eponimo che, salito al trono, consacrò a Zeus il carro su cui si trovava al momento dell'elezione. Un nodo stringeva il giogo al timone del carro di Gordio e, secondo una predizione, chi avesse sciolto il nodo avrebbe ottenuto il dominio sull'Asia. Nel 334 aC Alessandro Magno, che sostò a Gordio nel corso della campagna contro Dario III, troncò il nodo con la spada assicurandosi l'impero.

[42] Voturi: non sono stato in grado di reperire notizie relative a questa tribù. Ambitouti: Otro término interesante es el nombre tribal Ambitouti, que también puede ser interpretado a partir del galo y el antiguo irlandés: latin ambi-, irlandés. imm- 'alrededor'; germanico teuto, antiguo irlandés túath 'tribu, pueblo'. (www.geocities.com)

[43] Meonia: antica regione dell'Asia Minore e presunta patria di Omero. È proprio Omero che designa col nome di Meonia quel territorio usualmente chiamato Lidia, antica regione e regno dell'Asia Minore affacciata a ovest sul Mar Egeo e compresa tra la Misia a N, la Frigia a E e la Caria a S. In scrittori e poeti posteriori a Omero, Lidia e Meonia sono in genere termini equivalenti. Dai più si ritiene che la vera e propria Meonia fosse in origine la parte NE della Lidia e che l’estensione di quel toponimo a designare tutta la regione sia dovuta al prevalere di una popolazione di nome Meoni. Col progressivo affermarsi dei Lidi, la Meonia si sarebbe poi ristretta nei primitivi confini.

[44] Ancyra o Sebaste Tectosagum: in greco sebastòs, che significa venerato, venerando, assunse anche il significato di augusto e quindi di imperatore. Il verbo sebàzomai significa temere, avere religioso timore, venerare. Sebaste fu il nome di alcune città dell'Oriente fondate in onore dell’imperatore Augusto, altre erano antiche città rifondate. Fu così che Ancyra ai tempi di Augusto, dopo l’annessione della Galazia all’impero romano nel 25 aC, si chiamò anche Sebaste Tectosagum.

[45] Tavio: antica città della Galazia orientale a est di Ankara, probabilmente sul luogo dell’odierna Büyük Nees che si trova circa 20 km a S-SO di Boğazköy. Tavio era una delle principali città dei Trocmi, famosa per il santuario di Zeus Tavianus, e sotto i Romani conservò grande importanza. Nel III secolo dC vi era già una cospicua comunità cristiana. Boğazköy, che si trova 150 km a est di Ankara, è sorta nei pressi di Hattusa, capitale del regno ittita a partire dalla fine del XVII sec. aC.

[46] Pessinunte, in latino Pessinus, nuntis: antica città dell'Asia Minore, in Galazia, a ovest di Ankara, sull'alto corso del fiume Sangario (Sakarya). Oggi sull’area di Pessinunte sorge il modesto villaggio di Ballıhisar, che si trova 16 km a sud dell'attuale città turca di Sivrihisar. Pessinunte, fondata all’inizio del I millennio aC dai Frigi, passò in seguito sotto la giurisdizione del re di Pergamo, divenne la capitale dei Tolistobogi e declinò rapidamente dopo l’invasione dei Goti (260-270 dC). Era famosa per il tempio che custodiva il simulacro di forma conica in pietra nera meteorica di Cibele, la Grande Madre, dea della fecondità, dei tesori racchiusi nella Terra, degli ordinamenti civili della vita umana e dell’edificazione di città. Nel 204 aC il simulacro di Cibele, richiesto dal Senato romano al re Attalo I di Pergamo, in obbedienza al responso dell'oracolo di Delfi fu portato solennemente a Roma. Il tempio di Cibele a Pessinunte è stato riportato alla luce nel 1967.

[47] Da quando avevo 16-17 anni ho dovuto piegarmi ineluttabilmente a questa situazione enzimatica del mio apparato digerente.

[48] Jafet, insieme a Cam e a Sem, era uno dei tre figli di Noè, i quali ebbero dei figli dopo il diluvio. Genesi 10,2-5: “I figli di Jafet sono: Gomer, Magog, Madai, Javan, Tubal, Mosoc e Tiras: I figli di Gomer sono: Askenaz, Rifat e Togorma. I figli di Javan: Elisa, Tarsis, Chittei e Rodiani. Da essi vennero i popoli che si sparsero per le isole delle genti, secondo i loro diversi paesi, ciascuno con la propria lingua, secondo le loro famiglie e nazioni.”

[49] www.sanalistanbul.com/virtualistanbul/Galata.htm

[50] Enciclopedia De Agostini e Dizionario Treccani.

[51] Calata, nell’accezione di “luogo per cui si scende”, è attestato nel XVI secolo, ma allo stesso tempo è attestato nel latino medievale ligure col significato di “banchina per il carico e lo scarico delle navi”. Ecco cosa riferisce a questo proposito il Dizionario Etimologico di Cortelazzo e Zolli. Calata: s.f., ‘atto del calare o del calarsi, invasione’ (1615, G. B. Marino; sicuramente falsa l'attest. di Fra Giordano riportata in Crusca 4,5, TB e Batt.: Volpi Fals.), ‘luogo per cui si scende’ (sec. XVI, Mattio Franzesi), ‘cadenza dialettale’ (1942, Migl. App.), ‘banchina per il carico e lo scarico delle navi’ (1797, D'Alb.; calata è attest. nel lat. mediev. ligure: Rossi 31). Lat. tardo calare ‘sospendere’, dal gr. chalân ‘allentare’ (di etim. sconosciuta). Calo è un dev. a suff. zero. Per la loc. calare a fondo ‘sommergere, sommergersi’ si veda l'art. di I. Castellani Pollidori pubblicato negli SLI XII (1986) 240-248.

[52] ww.thegalatahouse.com/histgal.htm

[53] Megara: città con 20.800 abitanti della Grecia, nel nomós dell'Attica, 40 km a ovest di Atene, nel retroterra del golfo omonimo. L'antica Megara, situata nella Megaride, sull'istmo di Corinto, quasi a cerniera fra il Peloponneso e la Grecia continentale, in età arcaica fu una delle più fiorenti metropoli coloniarie, e contese con successo ad Atene il possesso dell'isola di Salamina. Particolarmente potente divenne nel sec. VII sotto il tiranno Teagene. Entrò in seguito a far parte della Lega Peloponnesiaca, sotto l'egemonia di Sparta. In età classica decadde lentamente.

[54] In greco sûkon significa fico. Che abbia preso il nome da un’abbondanza di fichi?

[55] http://perso.estat.com

[56] Il latino castellum è un diminutivo di castrum, che significa fortezza.

[57] www.galatasaray.org.tr

[58] www.cimbom.org

[59] Polibio: storico greco (Megalopoli ca. 200-ca. 120 aC). Ereditò dal padre Licorta, uno dei capi della Lega Achea (di cui la città natale faceva parte), la passione per la vita politica. Ambasciatore in Egitto nel 181-180, nel 169-168 fu comandante della cavalleria achea e dopo la sconfitta di Pidna a opera dei Romani fu deportato in Italia con altri mille ostaggi a garanzia della politica filoromana dei suoi compatrioti. La protezione del console Emilio Paolo gli aprì l'ingresso nella società colta di Roma, soprattutto del circolo filoellenico degli Scipioni. Divenuto amico di Scipione Emiliano, iniziò sotto i suoi auspici la composizione della sua opera storica. Nel 151 lo accompagnò in Spagna e in Numidia; dopo un breve ritorno in Grecia, fu ancora con Scipione in Africa e più tardi all'assedio di Numanzia. Morì per una caduta da cavallo. Al di là di alcune operette minori, tutte perdute, sono fondamentali le sue Storie, in 40 libri, comprendenti il periodo che va dal 220 al 144 aC; a noi sono giunti per intero i libri 1-5, e solo estratti dei successivi.

[60] Pompeo Trogo, Trogus Pompeius: storico romano del I secolo dC originario della Gallia Narbonese. La sua opera, le Historiae Philippicae, giuntaci solo in un'epitome di Giustino Giuniano, trattava la storia degli imperi orientali, della Grecia, della Macedonia e delle conquiste romane, secondo una tendenza cara alla cultura greca di considerare la romanità come un semplice sviluppo della grecità d'età macedone.

[61] Giustino Marco Giuniano: forse del II secolo dC, autore di un compendio delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo, in 44 libri come l’originale, sunteggiate liberamente con particolare riguardo alla parte aneddotica, trascurando cronologia e precisa determinazione dei fatti.

[62] Triballi: antica tribù illirica del basso Danubio. Sottomessi dalla Macedonia (339 aC), furono sconfitti nel 110-108 aC da Minucio Augurino.

[63] Tracia: Regione storica dell'Europa meridionale corrispondente al settore orientale della Penisola Balcanica, politicamente divisa fra Turchia, Grecia e Bulgaria. Le prime notizie sulla regione e sulla gente sono di Erodoto: i Traci erano politicamente frazionati e soggetti a regoli (piccoli re) locali violenti e rissosi. I costumi erano estremamente rozzi e così pure la religione, che comunque annoverava tra i propri numi alcune divinità dell'Olimpo ellenico. L'origine della loro stirpe è misteriosa, anche se i loro dialetti appartengono al gruppo traco-frigio. I Traci raggiunsero l'unità sotto il re Teres, della tribù degli Odrisi, il più importante tra i gruppi etnici che occupavano il Paese. I suoi successori aggiunsero al regno nuovi territori. In epoca ellenistica la Tracia divenne un regno sotto Lisimaco, generale di Alessandro, e alla sua morte nel 281 aC la regione ritornò di nuovo alle proprie usanze riconquistando l'indipendenza.

[64] Pèoni: popolazione di stirpe greca, proveniente dalla valle dell'Assio in Macedonia, che nel sec. V aC, al tempo della spedizione di Serse in Grecia, abitavano lungo lo Strimone. Per la loro ubicazione, si trovarono spesso a dover combattere contro i Macedoni, dei quali, alla morte di Perdicca III (359 aC), giunsero a invadere ripetutamente i domini. Combattuti e ricacciati al nord da Filippo II, furono definitivamente vinti da Alessandro Magno. Perduta ogni indipendenza politica sotto Antigono Gonata, entrarono a far parte del regno macedone.

[65] Tylis: difficile è l’identificazione di questa località, che secondo alcuni potrebbe corrispondere all’odierna Tulowo o Tulovo (lat. 42°34’ N - long. 25°33’ E) che si trova in Bulgaria, distretto di Stara Zagora, poco più a nordovest della città di Stara Zagora che era un antico centro macedone allora chiamato Berea di Tracia. Il distretto di Stara Zagora si trova nella provincia di Khaskovo o Haskovo. Secondo il sito www.ifrance.com/Encycl-celt/chrono.html, il regno di Tylis ebbe fine nel 213 aC.

[66] Secondo John Thornton (Polibio, Storie, BUR, 2001) si trattava appunto di stateri d’oro, probabilmente di tipo attico (8,6 g), del valore di 20 dracme d’argento. Per quanto riguarda i talenti, erano talenti d’argento, e poiché ogni talento equivaleva a 6.000 dracme, gli 80 talenti annui corrispondevano a 24.000 stateri d’oro.

[67] Rodi: isola greca (1.398 km2) del Mar Egeo, nel gruppo delle Sporadi Meridionali, di cui è la più estesa, compresa amministrativamente nel nomós del Dodecaneso, situata circa 20 km a sud della costa anatolica.

[68] Černozëm: sm., che in russo significa terra nera. Černozëm equivale alla dizione terre nere di steppa, con il quale si indica un particolare tipo di suolo dal caratteristico colore nerastro e proprio delle regioni temperate subaride a inverno lungo e freddo, primavera umida, in conseguenza del disgelo e della fusione delle nevi, ed estate calda e asciutta. L'area classica del černozëm si estende dal Mar Nero, interessando la Romania e l'Ucraina, alla Siberia meridionale e all'Asia centrale fino alla Mongolia. In Europa altre aree si trovano in Bulgaria, Ungheria, Iugoslavia e Cecoslovacchia. Il černozëm è un terreno il cui orizzonte superiore (orizzonte eluviale) è particolarmente ricco di sostanze umiche, notoriamente nerastre, e può raggiungere spessori fino a un metro. Inferiormente si passa, tramite un livello più chiaro, a un orizzonte di accumulo di carbonato o, talora, di solfato di calcio. Nel černozëm, che può originarsi da qualsiasi tipo di substrato, la concentrazione di sostanze umiche è favorita dalle condizioni climatiche che ne facilitano la genesi e ne impediscono, data la scarsa circolazione d'acqua, la dispersione.