Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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[195] Ab incubatione etiam differentiae capi queunt: siquidem aliae semel, aliae bis terve aliae multoties incubant. Florentinus author est in Alexandria illa, quae ad Aegyptum spectat Gallinas quasdam Monosiras dici, ex quibus pugnaces oriantur Galli, quae bis, aut ter incubent, post absolutionem scilicet pullis ipsis subtractis, seorsumque enutritis. Ita contingit, ut una Gallina quadraginta aut etiam sexaginta, et plures unico incuba{n}tu excludat.

Si possono ricavare delle differenze anche dalla cova: dal momento che alcune covano una sola volta, altre lo fanno due o tre volte, altre parecchie volte. Florentino è testimone che in quell’Alessandria che appartiene all’Egitto, certe galline sono dette monosire, dalle quali nascerebbero dei galli bellicosi, le quali coverebbero due o tre volte dopo che sono state liberate, cioè dopo che sono stati loro sottratti i pulcini, che vengono allevati separatamente. Così accade che una sola gallina con un’unica cova faccia nascere quaranta o anche sessanta e più pulcini.

Differunt denique moribus et ingenio: nam praeter quam quod aliae domesticae, aliae sylvestres vocantur, inter ipsas etiam domesticas quaedam suapte natura adeo mites, et cicures sunt, ut sine humano consortio vitam transigere quodammodo nequeant: cuius rei oculatus testis sum. Siquidem ante aliquot annos in suburbano meo Gallinam alebam, quae praeterquam quod tota die sola per domum absque caeterarum comitatu vagaretur, vesperi ad quietem sese receptura nullibi nisi prope me inter libros, eosque maiores, etsi aliquoties abacta, recubare vellet. Aliae contra adeo ferae sunt, ut homines prorsus fugiant, tantum abest, ut earum familiaritate gaudeant. Aliae in propriam sobolem saeviunt, aliae ova, postquam edidere, absumunt.

Differiscono infine per carattere e indole: infatti a parte il fatto che alcune sono dette domestiche, altre selvatiche, anche in seno alle domestiche stesse alcune per loro stessa natura sono talmente miti e mansuete da non essere in qualche modo capaci di trascorrere la vita senza la compagnia degli esseri umani: e di ciò sono testimone oculare. Infatti alcuni anni addietro allevavo nel mio podere una gallina, la quale, oltre al fatto di vagare tutto il giorno da sola per casa senza la compagnia delle altre, alla sera dovendo ritirarsi per riposare non voleva accucciarsi da nessuna parte se non vicino a me tra i libri, e in special modo i più grandi, anche se alcune volte era stata scacciata. Al contrario altre sono così selvatiche da evitare completamente gli esseri umani, i quali non ne godono assolutamente la familiarità. Alcune infieriscono sulla loro prole, altre mangiano le uova dopo averle deposte.

FORMA, ET DESCRIPTIO

Galli, et Gallinae in genere.

ASPETTO E DESCRIZIONE

del gallo e della gallina
da un punto di vista generale

Aristoteles[1], interprete Gaza Gallum Gallinaceum Alucone minorem esse prodidit: sed id olim doctissimi Petri Bellonii authoritate de maiori Alucone intelligendum esse monstravimus: alioqui revera Gallus Alucone multo maior est. Quod ad colorem attinet, is in toto gallinaceo genere ascribi non potest. Huic enim soli fidipedum[2] altilium colores diversi sunt. Nam aliis huiusce generis altilibus alius, atque alius color est, et in singulis vel color unus per totum corpus, vel varii: unde Solon a Cr<o>eso exquisitissime omnium ornamentorum genere splendente, sublimique in solio residente interrogatus, an pulchrius unquam spectaculum vidisset, respondisse fertur, teste Laërtio[3], Gallos Gallinaceos naturali nitore, et incredibili speciositate vestiri. Et Aelianus[4] in rationis expertibus naturam mari praerogativum honorem, atque praestantiam elargitam esse tradit: serpens, inquit, cristatus est: Gallus item formae excellentia illustratur. Verum etsi eiusmodi propositio ut plur{r}imum vera sit, et in Gallo nostro etiam locum habeat, universaliter tamen vera non est, siquidem, ut multis in locis in primo opere ostendimus in rapacium genere foeminae maribus, et praestantiores sunt, et pulchriores.

Stando alla traduzione di Gaza, Aristotele riferì che il gallo è più piccolo dell’allocco: ma in passato, basandomi sull’autorevolezza del dottissimo Pierre Belon, abbiamo dimostrato che si deve pensare all’Aluco maior - cioè a una specie più grande dell’Aluco: del resto in verità il gallo è molto più grande dell’Allocco. Per quanto riguarda la colorazione, essa non può essere fissata in tutta quanta la specie dei gallinacei. Infatti solo questo tra i volatili da ingrasso dal piede fesso possiede delle colorazioni diverse. Infatti i volatili di questa specie presentano gli uni un colore, gli altri un altro e un altro ancora, e nei singoli soggetti è presente o un solo colore in tutto il corpo, o diversi colori: per cui si racconta che Solone, interrogato da Creso risplendente in modo raffinatissimo di ogni tipo di ornamenti e seduto sull’alto trono, se non avesse mai visto uno spettacolo più bello, come ci testimonia Diogene Laerzio, egli rispose che i galli sono rivestiti di uno splendore naturale e di un’incredibile bellezza. Ed Eliano riferisce che negli animali privi di intelligenza la natura ha elargito al maschio un privilegio onorifico e una superiorità: il serpente, dice, è fornito di ciuffo: allo stesso modo il gallo viene abbellito dall’eccellenza dell’aspetto. Tuttavia, anche se una siffatta affermazione è assai spesso vera e trova posto anche nel nostro gallo, tuttavia non è vera in modo universale, dal momento che, come abbiamo mostrato in molti punti nel primo volume, in seno al genere dei rapaci le femmine sono sia superiori ai maschi, sia più belle.

Gallus cristam in capite gerit, eamque semper exertam, atque rubentem, dummodo integra sanitate fruatur, quare Theocritus[5] eum Φοινικόλοφον vocabat per periphrasim. Talem cristam solus, teste Aristotele[6], sibi peculiarem sortitus est: sic autem institutam, ut nec caro sit, nec a natura carnis omnino aliena. Spectatissimum insigne, inquit Plinius[7] elegantissime hanc cristam depingens, Aristotelemque periphrasticos explicans, Gallinaceis corporeum, serratum, nec carnem {id} <ita>[8] esse nec cartilaginem, nec callum iure dixerimus, verum peculiare.

In testa il gallo porta una cresta, che è sempre prominente e rosseggiante, purché goda di perfetta salute, per cui Teocrito ricorrendo a una circonlocuzione lo chiamava phoinikólophos - dalla cresta scarlatta. Come dice Aristotele, lui solo ha avuto in sorte una tale cresta a lui peculiare: in effetti è così costituita da non essere né carne, né del tutto estranea alla sostanza della carne. Plinio, descrivendo in modo molto appropriato questa cresta, e spiegando Aristotele con delle perifrasi, dice: - L’ornamento più notevole la natura l’ha dato - ai galli, carnoso, dentellato; né a buon diritto possiamo dire che è tale da essere carne o cartilagine o una callosità, ma qualcosa di peculiare.

Unde apud Aristophanem[9] κυρβασίαν cristam peculiarem potius quam cassidem {solus} <solum> rectam, ut vulgaris interpretatio habet in versu{.}<:>

Ἐπὶ  τῆς κεφαλῆς, τὴν κυρβασίαν τῶν ὄρνιθων μνος ὀρτήν

debemus interpretari: quoniam Upupa, Alauda cristata, similesque cristatae volucres alioqui cristam etiam erectam gerunt: quare recte Hesychius in hoc certe prudens κυρβαβίαν cristam Gallinaceam tra<n>stulit: puto autem κυρβασίαν legendum, typographique mendum esse. Facile enim fuit pro κυρβασίαν κυρβαβίαν legere. Politianus[10] cristam in Gallinaceo genere apicem vocavit. Aliqui barbare ruffas[11] appellant, et Sylvaticus nescio qua lingua ascil{l}i[12]: Graeci plerique λόφον; Aristophanes, ut dixi, κυρβασίαν, quanquam Varinus Cyrbasiam, <et Cyrbasiam>[13] quoque caput Gallinacei interpretetur. Hesichius κορυφήν ἀλέκτορος, id est verticem, vel cristam Galli. Hippocrates[14] Cyrbasiam vocat pileum acutum, ut videtur, alii tiaram erectam, qua soli Persarum Reges utebantur: unde alibi Suidas: Ὅ Περσικὸς ὄρνις, ὁ ἀλέκτωρ λέγεται διὰ τὴν λοφίαν[15],

Per cui in Aristofane dobbiamo interpretare kyrbasían - tiara, turbante aguzzo dei Persiani - come una cresta peculiare anziché solamente come un elmo appuntito, come mostra l’interpretazione corrente nel seguente verso:

Epì tês kephalês, tën kyrbasìan tøn órnithøn mónos ortën

Sulla testa, il solo tra gli uccelli che ha la tiara diritta.

Infatti l’Upupa, l’Allodola ciuffata - Alauda arvensis - e uccelli ciuffati consimili in qualche modo portano anche un ciuffo eretto: per cui giustamente Esichio, certamente esperto in ciò, ha glossato kyrbabían con cresta del gallo: ritengo tuttavia che vada letto kyrbasían, e che si tratta di un errore tipografico. Infatti sarebbe stato facile leggere kyrbabían invece di kyrbasían. Nel pollo Angelo Poliziano chiamò apice la cresta. Alcuni in una lingua straniera le creste le chiamano ruffas, e Matteo Silvatico ascili non so in quale lingua: la maggior parte dei Greci lóphos; Aristofane, come ho detto, kyrbasía, sebbene Guarino traduca cyrbasia e anche cybarsia con testa del gallo. Esichio koryphën aléktoros, cioè la sommità o la cresta del gallo. Come sembra, Ippocrate chiama cyrbasia il pileo appuntito, altri la tiara diritta di cui si servivano solamente i re dei Persiani: per cui in un punto il lessico Suida riporta: Hó Persikòs órnis, ho aléktør léghetai dià tën lophìan,


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[1] Errato il riferimento di Aldrovandi al libro IX, cap.8 della Historia animalium. Si tratta invece del libro VIII,3,592b dove si dice che il gufo (o una specie di esso) è più grande di un gallo (ho mèn eleòs méizøn alektryònos). Aluco è termine del latino medievale che Ducange glossa hibou; in realtà poco prima Aristotele, nominando i rapaci notturni, ha menzionato nyttikórax, glaýx e býas, che il traduttore francese (P. Louis) rende con hulotte, chouette e hibou, cioè gufo comune (corvo notturno), civetta e gufo reale (A 7), nelle classificazione di Linneo Strix bubo. Di qui si ricava che Aldrovandi ha unificato le varie specie di gufi: quello che nel testo di Aristotele è propriamente l’eleòs, data la citazione letterale, sembra confuso con il býas, in un rapporto di varietà della stessa specie, mentre nel Medioevo il falco reale (francese hibou) è l’aluco. Per Keller eleós è forse il gufo delle paludi mentre býas è il gufo reale (o barbagianni). Quanto è sicura l’identificazione dell’allocco con il gufo reale? Allocco deriva secondo Devoto dal latino tardo ulūcus, uluccus, analizzato quale ampliamento di un presunto *luccus, stolto (aluco è quindi voce medievale). Resta il fatto che l’allocco sia effettivamente una specie di gufo. - Vediamo anche alcuni dati riferiti da Lind. Aldrovandi’s reference to Aristotle H. A. 9. 8 has nothing about the aluco, which Ducange, Glossarium, s. v., defines as French, hibou, owl; see also L. Diefenbach, Glossarium Latino-germanicum mediae et infimae aetatis (Frankfurt am Main, 1857), s. v. See Aldrovandi Ornithologia I, 534-39, where the aluco is discussed on the basis of Pierre Belon, Histoire naturelle des oiseaux (1555), which Aldrovandi Ornithologia I, 7, said he translated into Latin. (Lind, 1963)

[2] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 381: Gallinaceo generi soli fidipedum altilium colores diversi, nam et aliae huius generis alites aliis coloribus visuntur, et in singulis vel color unus per omne corpus, vel varii. - pag. 466: Otis avis fidipes est, tribus insistens digitis, magnitudine gallinacei grandioris, capite oblongo, oculis amplis, rostro acuto, lingua ossea, gracili collo. - L’aggettivo fidipes non è attestato nei lessici, ma esiste fissipes usato da Ausonio in Epistulae 5,3: Tertia fissipedes renovavit Luna iuvencas, - 7,49: Nec iam fissipedis per calami vias. - Secondo noi fidipedum può essere accettato, in quanto la sua radice risale comunque al verbo find-o (fid-i, fess-um), ěre.

[3] Diogenes Laertius Life of Solon I, 51. (Lind, 1963)

[4] Aldrovandi non annota a quale brano delle opere di Eliano sta facendo riferimento. Dovrebbe senz’altro trattarsi di La natura degli animali XI,26, (A quanto sembra, anche tra gli animali la natura ha favorito quelli di genere maschile. Ad esempio il drago (dràkøn) di sesso maschile ha il ciuffo (lòphon) e la barba (ypënën), anche il gallo ha la cresta (lòphon) e i bargigli (kàllaia); il cervo ha le corna, il leone la criniera e la cicala il canto.) per la cui analisi si rimanda alla voce serpente con il ciuffo del lessico. – Il nostro Ulisse doveva avere una biblioteca assai misera, per cui non poteva controllare le citazioni. Infatti l’errata citazione, che non è di Eliano, è pedissequamente tratta da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 381: In rationis expertibus mari praerogativum honorem atque praestantiam quandam natura largita est. serpens cristatus est: gallus item formae excellentia illustratur, Aelian.

[5] Idyllia XXII 72. (Lorenzo Rocci) – Gessner dà come riferimento l'Idillio XXVII.

[6] Historia animalium II,12,504b: Inoltre certi uccelli presentano una cresta, che normalmente consiste di piume erette; unica eccezione il gallo, che ha una cresta particolare, formata non proprio di carne ma di qualcosa non molto dissimile dalla carne. (traduzione di Mario Vegetti)

[7] Naturalis historia XI,122: Per medium caput a rostro residentem et fulicarum generi dedit, cirros pico quoque Martio et grui Balearicae, sed spectatissimum insigne gallinaceis, corporeum, serratum; nec carnem ita esse nec cartilaginem nec callum iure dixerimus, verum peculiare datum.

[8] Plinio ha ita, ma Aldrovandi desume id da Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 381: Spectatissimum insigne gallinaceis, corporeum, serratum: nec carnem id esse, nec cartilaginem, nec callum iure dixerimus, verum peculiare, Plinius.

[9] Aristophanes Birds 487. (Lind, 1963)

[10] Angelo Poliziano Rusticus, in Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano (ed. by Isidoro del Lungo, Firenze, G. Barbera, 1867), 324, line 401. I have written short notes on Poliziano’s poetry, both Latin and Italian, in two of my books, Lyric Poetry of the Italian Renaissance (New Haven, Yale, 1954), and Latin Poetry in Verse Translation (Boston, Houghton, Mifflin Co. 1957). On the rooster’s crest, see Varro, 3. 9. 4. 5; Pliny, 10. 29. 44. 86; 10. 56. 77. 156; 27. 5. 23. 40. (Lind, 1963) - Il Rusticus fu composto da Poliziano nel 1483-84. Egli così scrive a proposito del gallo: cui vertice purpurat alto|fastigiatus apex. Questo brano verrà riportato da Aldrovandi a pagina 197.

[11] Verosimilmente si tratta di un raddoppiamento della f del latino rufus, che significa rosso. Lo stesso vocabolo viene riferito da Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Gallorum cristas aliqui barbare ruffas nominant.

[12] Gessner riporta ascili. Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Ascili, id est crista galli, Sylvaticus. - In Opus pandectarum medicinae di Matteo Silvatico (Vicenza, Hermannus Liechtenstein, Levilapsis,1480) al capitolo 66 – Asterion – viene riportato: Ascili .i. crista galli. Non ne viene fornita la fonte. – Ascili è stato usato anche con un particolare significato, come viene riferito da Johann Jacob Hofmann (1635-1706) in Lexicon Universale (Leiden, 1698): Ascodrogili, vel Ascili: Haeretici, qui Paracletô Montani se plenos iactitantes, Bacchanalia in Ecclesiam introducebant, et circa lagenam vinô repletam circumibant solenni pompâ. Augustin. haer. 62. Philastrius de haeret.

[13] Aldrovandi ha amputato il testo di Gessner, non eliminando, ma adattando il quoque al proprio testo. Così riporta Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: [...] quanquam Varinus Cyrbasiam et Cybarsiam quoque caput gallinacei interpretatur, κεφαλὴν ἀλέκτορος:[...]

[14] Mulierum II 186.

[15] Il lessico Suida riporta effettivamente λοφίαν, ma per lo più gli antichi autori usarono λοφιά, ᾶς, che significa criniera, ciuffo di peli o di setole.