Vol. 3° - XI.

Mole corporea


Introduzione

Il peso corporeo del pollo domestico presenta ampie oscillazioni che possono andare dai 6 kg nel maschio Jersey Giant ai 600 gr nel gallo di Nana Olandese. Anche se i fattori che interferiscono nel determinare la mole sono molteplici, sono stati individuati singoli geni dotati di un’azione specifica sulle dimensioni dello scheletro.

Raggiunta la maturità, la mole corporea non dipende solo dallo scheletro ma anche dalle masse muscolari, dalla pelle, dalle piume e dal grasso di deposito. Le dimensioni scheletriche non mutano una volta raggiunta la maturità sessuale, ma gli altri parametri possono variare considerevolmente a seconda dei fattori ambientali.

A proposito della mole corporea e delle sue basi ereditarie, la prima cosa da fare è misurare accuratamente le dimensioni delle ossa, evitando l’errore di ricorrere alla determinazione del solo peso corporeo, in quanto, anche se il peso è un parametro di rapido rilievo e facile da quantificare, non risponde all’intento. Altro problema relativo allo studio della mole corporea è la naturale differenza legata al sesso, essendo il maschio più voluminoso, per cui si è reso necessario ricorrere a tabelle di conversione che permettono una correlazione tra peso maschile e femminile.

Una delle caratteristiche più importanti che distingue una razza dall’altra è la conformazione del corpo. Nonostante parecchie razze presentino conformazione simile, esistono specifiche differenze tra le varie razze, nonché conformazioni peculiari di ciascuna razza. La Livorno differisce certamente dalla Cornish, che a sua volta si diversifica dalla Rhode Island e questa dai Combattenti Moderni. Ma bisogna fare attenzione al piumaggio, che può falsare la valutazione, rendendo simili razze che di fatto non lo sono, o viceversa. Non bisogna inoltre dimenticare che la conformazione è influenzata dalle masse muscolari.

Kopec, nel 1926, fu il primo a interessarsi delle influenze genetiche sul soma. Egli concluse per l’esistenza di geni che agiscono soprattutto sulle dimensioni, ma che altri sono capaci di agire in modo indipendente sulla volumetria di distretti anatomici diversi. Così abbiamo geni che influenzano la lunghezza dello sterno, altri sono attivi sulla lunghezza delle gambe e a questo proposito Cock (1969) identificò i seguenti tratti:

§ incremento relativo delle ossa delle gambe rispetto alle restanti ossa

§ incremento della lunghezza solo a carico del tarsometatarso

§ incremento dello spessore di tutte le ossa lunghe

§ influenza sulla maggiore o minore rotondità della diafisi del tarsometatarso

§ influsso sulla lunghezza relativa della regione nasale e della mandibola rapportate a quella del cranio.

Probabilmente alcuni di questi fattori sono responsabili della particolare lunghezza delle gambe nel Combattente Moderno o della relativa brevità delle massicce zampe della Cornish. Si può pertanto dedurre che la conformazione somatica ha un’origine multifattoriale, grazie alla quale il fenotipo, a seconda dei casi, dipende dal modo in cui si combina l’effetto di geni responsabili della mole, delle dimensioni di alcuni distretti somatici e delle masse muscolari.

1. Ereditabilità della mole corporea

Allo scopo di studiare l’ereditabilità della mole corporea sono state incrociate razze con stazza diversa, ma che non differisse in modo tale da toccare i valori estremi, presentando invece oscillazioni contenute nel doppio, in più o in meno, l’una rispetto all’altra:

Amburgo spruzzata oro x Sebright argento

Amburgo pagliettata argento x Cornish bianca

Livorno bianca x Brahma bianco columbia

Silky x Cornish bianca

Faverolles x Livorno fulva

Le dimensioni ottenute in F1 corrispondevano a quelle dei genitori o si collocavano molto vicino alle razze parentali più voluminose. In F2 la variabilità era maggiore di quella osservata in F1. Gran parte dei discendenti F2 dotata di dimensioni uguali a quelle parentali rese possibile una deduzione: i geni coinvolti non sono molti e in genere non superano le 4 paia.

2. Geni attivi sulla mole corporea

2.1. Nanismo dominante legato al sesso

Z - dominant sex linked dwarfism

    Legato al sesso, dominante  
   Gruppo di associazione V - cromosoma Z

Nel 1935 Maw ebbe il becco di incrociare delle Sebright oro con delle Brahma bianco columbia cinque volte più grandi. I risultati ottenuti in F1 e in F2 dimostrarono senza ombra di dubbio che il responsabile della riduzione della mole corporea della Sebright è un gene legato al sesso e dominante. In F1 il peso era intermedio rispetto a quello dei genitori, e tendeva maggiormente verso quello del genitore di taglia minore. Lo stesso risultato fu ottenuto con l’incrocio tra Plymouth Rock barrata e Nana di Giava nera.

2.2. Nanismo recessivo legato al sesso

rg - recessive sex linked dwarfism

   Legato al sesso, recessivo  
 Gruppo di associazione V - cromosoma Z

L’ultimo incrocio citato a proposito del gene precedente fu eseguito su più larga scala da parte di Godfrey (1953) usando ben 2.399 soggetti. L’effetto esplicato da rg si manifesta con una riduzione della taglia pari al 10% e raggiunge la sua maggior espressione entro il nono mese d’età. Lo studioso dedusse anche la possibilità che siano implicati 16 alleli nel ridurre la taglia, ma che l’azione di rg sia abbastanza forte da prevalere, tanto da essere sufficiente a ottenere il fenotipo finale.

2.3. Nanismo legato al sesso

dw - dwM - dwB - sex linked dwarfism

Alleli legati al sesso e recessivi, strettamente legati al locus S
e al locus dell’impiumamento rapido  
Gruppo di associazione V - cromosoma Z

L’acronimo dw sta per dwarfism, che significa nanismo. Nel 1959 Hutt riferì di un nanismo particolare apparso in un ceppo di New Hampshire che è diventato il tipo meglio conosciuto e più studiato. Fu stabilito che è strettamente legato al locus S e al locus dell’impiumamento rapido.

Questo gene è dotato di un effetto miniaturizzante superiore a quello di qualunque altro gene scoperto in precedenza: i maschi si rimpiccioliscono del 43% e le femmine del 26-32%. Il suo effetto ritardante sulla crescita è già osservabile a 2 settimane d’età e si protrae sino all’età adulta. Questi nani sono perfettamente vitali e in buona salute, fertilità e schiudibilità sono identiche a quelle dei soggetti normali. Le uova sono di dimensioni minori, ma solo del 10% circa, e la deposizione è scarsamente ridotta. Non si sa se il gene dw faccia parte del corredo genetico di qualsiasi nana, tuttavia è auspicabile il suo impiego quando si vuole creare una razza in miniatura.

Sono stati proposti altri alleli del locus Dw+, tra i quali troviamo dwB, dove B sta per Bantam. Il maschio omozigote riceve una riduzione della taglia pari al 14%; la femmina emizigote si rimpicciolisce del 5-11%. Questo allele è dominante rispetto a dw.

L’allele dwM deve la lettera M al fatto che fu descritto in una linea meat-type, cioè da carne. Fonti ben più autorevoli dello scrivente, e naturalmente degne di fede, affermano derivare da MacDonald [1] , e la lettera maiuscola ne sarebbe testimone. È in grado di ridurre la mole femminile del 13,5% per cui si ritiene sia effettivamente un allele differente dai precedenti, coi quali non si sa in che rapporti di dominanza si trovi.

2.4. Nanismo autosomico

adw - autosomal dwarfism

    Autosomico recessivo  
   Gruppo di associazione sconosciuto

Riportato da Cole nel 1973, fu riscontrato nel ceppo Cornell K della Livorno bianca. I soggetti hanno una taglia ridotta del 30% e sono facilmente individuabili a 6-8 settimane d’età. Questi nani sono dotati di un’eccellente vitalità e raggiungono un peso adulto di circa 1,4 kg. Talora la maturità sessuale viene un po’ ritardata, il peso dell’uovo può raggiungere i 57 gr e l’entità della deposizione si aggira intorno all’87% del normale. L’entità di schiusa è anch’essa talora lievemente ridotta. Non si sa se questo gene faccia parte del corredo di qualsiasi razza nana.

3. il pollo nano nella storia

Eccoci a dover scegliere come al solito tra storia e leggenda. Solo possedendo la macchina del tempo potremmo dire la nostra a ragion veduta. Ma per ora la macchina del tempo è solo fantascienza, per cui dobbiamo affidarci agli esperti del passato.

3.1. Da Aristotele ad Aldrovandi - dal 384 aC al 1600 dC

Ciascuno degli autori cui ci affideremo ha espresso il proprio giudizio sul pollo nano. Cerchiamo di mettere all’erta le nostre cellule nervose se vogliamo trarre qualche conclusione soddisfacente da una lettura che talora si fa abbastanza ingarbugliata.

Non darò alcuna interpretazione personale ai problemi che emergono dai singoli testi. Mi preme sottolineare ancora una volta che l’interpretazione dei dati dipende dalla fonte dai quali essi vengono attinti. Così vedremo che Aldrovandi, citando Plinio a proposito delle galline nane, mette in bocca a Plinio qualcosa che Plinio non voleva assolutamente esprimere.

Vorrei pure puntualizzare che salvo casi eccezionali tradurrò con galline di Hadria quel pollo citato da Aristotele e del quale non si conosce con certezza la patria d’origine. Di questo problema si è ampiamente discusso nel primo volume.

Tralascio la biografia di Plinio e di Aldrovandi in quanto sono già presenti nel primo volume, tralascio anche quella di Aristotele in quanto facilmente reperibile, mentre puntualizzerò quella di Columella e di Pierre Belon, fornendo invece la biografia di alcuni studiosi che non abbiamo mai incontrato o che non abbiamo mai avuto modo di analizzare a fondo.

Columella

Lucius Iunius Moderatus Columella nacque nel I secolo dC a Cadice, in Spagna. Tribuno militare in Siria e in Cilicia forse nel 36 dC, era a Roma nel 41 dC. Sia ad Albano che in Etruria possedeva vasti terreni ai quali si dedicò, riversando poi la sua passione e le sue conoscenze tecniche nel De re rustica (databile fra il 60 e il 65 dC), un trattato completo di tecnica ed economia agricola ispirato a un sincero amore per la terra, redatto nello stile semplice della precettistica tecnica tradizionale, uno stile talvolta duro, ma spesso scorrevole ed equilibrato.

Dei dodici libri di cui è composto il De re rustica, a noi interessa il Liber octavus intitolato De villaticis pastionibus aviarius et piscator, che potremmo tradurre un po’ liberamente in Allevamento degli animali da fattoria: uccelli e prodotti ittici.

Columella servì da modello agli scrittori di agronomia dei secoli successivi e rappresenta una fonte utile per la conoscenza di autori perduti, come Magone Cartaginese. Nulla si sa di come e quando Columella morì.

Conrad Heresbach

Conrad Heresbach (1496-1576) era di origine olandese e divenne famoso per la sua opera intitolata Rei rusticae libri quatuor, tradotta in inglese dal poeta Barnaby Googe e pubblicata nel 1577 con il titolo Foure Bookes of Husbandrie, collected by M. Conradus Heresbachius, Counsellor to the high and mighty Prince, Duke of Cleve: conteyning the whole arts and trade of Husbandry, with the antiquitie and commendation thereof. Newly Englished and increased by Barnabe Googe, Esquire (At London, printed by Richard Watkins, 1577).

Il quarto libro del Rei rusticae è dedicato anche al pollo: “IIII. Of poultrie, fowle, fish, and bees, with the whole art (according to these last times) of breeding and dyeting the fighting cock, and the art of angling.” L’opera di Heresbach vide parecchie riedizioni: 1578, 1586, 1601, 1614, 1631 e 1658.

Gisbert Longolius

Gisbert Longolius, più propriamente Gijsbert van Langerack, nacque a Utrecht nel 1507 e morì a Colonia il 30 maggio 1543. Fu medico personale dell’arcivescovo di Colonia Hermann von Wied e primo professore di greco presso l’università di Colonia. La parte che si è conservata della sua produzione bibliografica contiene 123 titoli in cui trovano posto opere umanistico-filologiche e mediche, ma alcuni titoli di scienze naturali si riferiscono all’amicizia che legava Longolius a William Turner, il Padre della Botanica Inglese. Proprio a Colonia, nel 1544, veniva pubblicata l’opera di Turner Avium praecipuarum, quarum apud Plinium et Aristotelem mentio est, brevis et succincta historia, e sempre nel 1544 e presso lo stesso editore veniva stampata l’opera ornitologica di Longolius dal titolo Dialogus de avibus et earum nominibus.

Il nome di Longolius riceve da Aldrovandi diverse grafie: spesso viene abbreviato in Gyb., talora è Gylbertus, talaltra Gybertus. In italiano Longolius può benissimo essere chiamato Gilberto, in quanto Gilberto - o anche Giberto - proviene dal tedesco Gisbert che significa ostaggio brillante: dal germanico gisel (ostaggio) e beraht (brillante). Secondo Giuseppe Pittàno (1990) Gilberto è un nome di origine germanica portato in Italia dai Longobardi, ma la sua etimologia sarebbe diversa, e precisamente deriverebbe dalle radici gîsil (dardo, freccia) e berth (famoso, illustre), quindi un buon lanciatore di frecce.

William Turner

William Turner nacque nel 1508 a Morpeth nel Northumberland, pochi chilometri a nord di Newcastle upon Tyne e non molto distante dal confine scozzese. Fu uno dei primi scrittori di ornitologia e botanica in Inghilterra, ma i suoi studi non si limitarono alla Storia Naturale, dal momento che scrisse anche parecchio su argomenti teologici. Era un così strenuo sostenitore della Riforma e un così deciso antagonista della Chiesa di Roma che fu obbligato a cercare asilo all'estero per evitare di essere perseguitato. Affrontò gli argomenti teologici non senza cognizione di causa, essendo non solo medico ma anche teologo, e nel 1552 era stato ammesso agli ordini sacri dal vescovo Ridley suo conterraneo.

Nel 1544 aveva edito a Colonia un piccolo libro che intitolò Avium praecipuarum, quarum apud Plinium et Aristotelem mentio est, brevis et succincta historia. In questo lavoro non solo discusse i principali uccelli e i nomi di uccelli menzionati da Aristotele e Plinio, ma vi aggiunse anche descrizioni accurate e storie di vita di uccelli derivanti dalla sua vasta conoscenza ornitologica. Fu il primo libro stampato dedicato completamente all’ornitologia.

Turner era molto stimato da naturalisti stranieri, era amico e corrispondente di Conrad Gessner, tanto da contribuire all’Historia Animalium dell’amico svizzero con una breve relazione sui pesci dell’Inghilterra. Il suo A new herball (1551) è il più noto di tutti i suoi lavori e rappresentò una pietra miliare nella storia della botanica e dell’erboristeria: ne dissodò il terreno grazie alla completezza e all’accuratezza dei dati, fornendo ai medici la prima opportunità di leggere nella loro lingua, anziché in latino, un studio originale sulle piante che erano così importanti per la loro professione. Turner morì a Londra l’8 Luglio 1568 e nel 1790 gli fu attribuito il titolo di Padre della Botanica Inglese.

Pierre Belon

Il medico e naturalista francese Pierre Belon - alias Petrus Bellonius Cenomanus - nato nel 1517 a Soultière, nel Maine (che corrisponde a gran parte degli attuali dipartimenti di Sarthe e Mayenne), può essere considerato il fondatore dell’anatomia comparata e fu un osservatore acuto e preciso. Studiò medicina e scienze a Wittenberg e a Parigi, visitò le popolazioni del Medio Oriente descrivendone la vita e le usanze, sugli animali condusse osservazioni personali spaziando dall’Inghilterra sino all’Egitto. Nel 1555 a Parigi, presso Guillaume Cauellat, venne pubblicata L'histoire de la nature des oyseaux, avec leurs descriptions et naïfs portraicts retirez du naturel, escrite en sept livres, dedicata al re Enrico II che ne accettò la dedica. Quest’opera è considerata il primo trattato moderno di ornitologia, e Aldrovandi, che verosimilmente tanto stimava Belon da chiamare anche lui l’Ornitologo, la tradusse in latino. Morì a Parigi nel 1564, assassinato nel Bois de Boulogne.

Conrad Gessner

Zurigo 1516-1565. Medico e naturalista di grande erudizione, versato in tutte le scienze, dalla filologia alla medicina. Tuttavia si rivolse per lo più al mondo naturalistico, compiendo per esempio escursioni sulle Alpi per studiarne la flora e la fauna. Dall'osservazione diretta trasse intuizioni circa il rapporto tra la variabilità delle entità sistematiche e le caratteristiche ecologiche, ed ebbe abbastanza chiaro il concetto di genere nella gerarchia sistematica animale e vegetale. Famosa la sua Historia animalium (1551-1587), opera in cinque volumi, illustrata con pregevoli incisioni, una fonte preziosissima dalla quale Ulisse Aldrovandi attinse a piene mani. Ma Aldrovandi, rielaborando e riversando a iosa nella sua Ornithologia i testi di Gessner, più volte offuscò la chiarezza espositiva e concettuale del suo collega svizzero - che chiamò Ornithologus per antonomasia - compromettendone l’intelligibilità e l’attendibilità, talora in modo assai grave.

 

Aristotele

Historia animalium - Libro VI-1 (558b)

Gli uccelli sono tutti ovipari, ma la stagione dell’accoppiamento e le modalità della posa non sono uguali per tutti. Alcuni infatti si accoppiano e depongono le uova per così dire in ogni momento.

È il caso ad esempio della gallina e della colomba; la prima anzi genera tutto l’anno ad eccezione dei due mesi del solstizio invernale. Certe galline, anche di razza, depongono prima della cova una quantità di uova che può arrivare fino alla sessantina; e tuttavia le galline di razza sono meno prolifiche di quelle comuni.

Le galline di Hadria sono di piccole dimensioni ma depongono uova ogni giorno; hanno cattivo carattere e spesso uccidono i pulcini; i loro colori sono assai variati.

Certe galline di cortile depongono uova anche due volte al giorno, ed è accaduto talvolta che morissero in poco tempo per aver fatto troppe uova.

De generatione animalium - Libro III-1 (749b-750a)

Anche gli uccelli di piccole dimensioni, come talvolta anche le piccole piante, sono propensi al coito e prolifici. Ciò perché quello che servirebbe all’accrescimento del corpo diventa residuo seminale.

Perciò le galline di Hadria sono molto feconde: per la piccolezza del corpo l’alimento è destinato alla deposizione delle uova. E le galline comuni sono più prolifiche di quelle di razza perché il loro corpo è più umido e massiccio, mentre quello delle altre è più magro e asciutto; l’aggressività della razza si produce più in questo tipo di corpi.

Inoltre anche la sottigliezza e la debolezza delle gambe concorre a che la natura di questi uccelli sia propensa al coito e prolifica, come è per gli uomini: l’alimento destinato agli arti è volto in costoro in residuo seminale, perché ciò che la natura toglie di là, aggiunge qui.

 

Columella

De re rustica - VIII,2,14

Pumileas aves, nisi quem humilitas earum delectat, nec propter fecunditatem nec propter alium reditum nimium probo, tam hercule quam nec pugnacem nec rixosae libidinis marem. Nam plerumque ceteros infestat, et non patitur inire feminas, cum ipse pluribus sufficere non queat.

Le galline nane, salvo che a qualcuno piacciano le loro piccole dimensioni, non le apprezzo eccessivamente né per la loro fecondità né per un qualsivoglia altro tornaconto, così come certamente non apprezzo un maschio sia esso bellicoso che di libidine rissosa. Infatti per lo più molesta gli altri maschi e non permette loro di accoppiarsi con le femmine, mentre egli stesso non è in grado di bastare a parecchie di loro.

Plinio

Naturalis historia - X,146

Quaedam omni tempore coeunt, ut gallinae, et pariunt, praeterquam duobus mensibus hiemis brumalibus. Ex iis iuvencae plura quam veteres, sed minora, et in eodem fetu prima ac novissima. Est autem tanta fecunditas ut aliquae et sexagena pariant, aliquae cotidie, aliquae bis die, aliquae in tantum ut effetae moriantur. Hadrianis laus maxima.

Alcuni uccelli, come le galline, si accoppiano e si riproducono in ogni stagione, tranne che nei due mesi del solstizio invernale. Fra queste, le giovani ne depongono più delle vecchie, ma le uova sono più piccole, e, nell’arco di una stessa carriera produttiva, lo sono le prime e le ultime. Sono tanto feconde che alcune arrivano a deporre anche sessanta uova, alcune al ritmo di un uovo al giorno, altre due volte al giorno, altre ne fanno così tante che, spossate dal parto, muoiono. La massima lode va a quelle di Hadria.

Naturalis historia - X,156

Gallinarum generositas spectatur crista erecta, interim et gemina, pinnis nigris, ore rubicundo, digitis imparibus, aliquando et super IIII digitos traverso uno. Ad rem divinam luteo rostro pedibusque purae non videntur, ad opertanea sacra nigrae. Est et pumilionum genus non sterile in his, quod non in alio genere alitum, sed quibus centra, fecunditas rara et incubatio ovis noxia.

La buona razza delle galline si riconosce dalla cresta eretta, talvolta anche doppia, dalle piume nere, dalla faccia rossa, dalle dita di differente lunghezza, e talvolta anche dalla presenza di un dito disposto obliquamente oltre agli altri quattro. Per i servizi divini non sono ritenute incontaminate quelle con becco e zampe gialli, quelle nere sono adatte per i riti misterici. Fra queste vi è anche una razza di galline nane non sterile, non presente in altre specie di volatili, ma le galline dotate di speroni sono raramente feconde e il loro covare è nocivo alle uova.

Pierre Belon

L'histoire de la nature des oyseaux - Des Poulles de diverses sortes. Chap. VIII. Pagina 246.

Nous en cognoissons seulement de deux sortes, comme aussi faisoit Aristote, lesquelles au premier chapitre du sixiesme livre des animaux, il distingue, appellant les unes genereuses ou fecondes, les autres non nobles, & infecondes. De celles que nous avons, l’une est de petite stature, commune en tous lieux: l’autre est de grande corpulence, qui n’est si commune que la precedente. Aristote au premier chapitre du sixiesme livre des animaux, & Pline au cinquante-troisiesme chapitre du dixiesme livre de l’histoire naturelle, entendent que les communes petites Poulles estoyent nommees Hadrianes: car ils dient en ceste sorte. Les Poulles Hadrianes sont de petite corpulence, & qui ponnent par chacun iour, & sont de diverses couleurs. Varro a nommé telles Poulles, Villatiques, c’est à dire, nourries en village: lesquelles Columelle appelle autrement Cohortales. Voila de nostre petite Poulle commune.

Noi ne conosciamo solamente di due tipi, come faceva anche Aristotele, che nel primo capitolo del VI libro sugli animali lui distingue chiamandole le une generose o feconde e le altre non nobili e infeconde. Tra quelle che noi possediamo una è di piccola statura, comune in tutte le località, l’altra è di grande corpulenza e non è così comune come la precedente. Aristotele nel primo capitolo del VI libro sugli animali e Plinio nel 53° capitolo del X libro della storia naturale affermano che le comuni piccole galline erano chiamate Adriane, in quanto essi si esprimono così: le galline Adriane hanno corpo piccolo e depongono ogni giorno e sono di diversi colori. Varrone ha denominato siffatte galline villatiques, cioè allevate in villaggio, che Columella altrimenti chiama cohortales. Ecco ciò che riguarda la nostra piccola gallina comune.

Gysbert Longolius - Gijsbert van Langerack

Dialogus de avibus - Köln 1544
pagine 20-22
trascrizione di Fernando Civardi -
2006
Pam. = Pamphilus Lon. = Longolius

Lon. Si Varronis villatica de pastione librum legas, desines mirari. Nam is ad seminium plane inutiles magnos illos gallinaceos arbitratur. Idque in omni genere animalium verum esse comperies, a magnis fere parva procreari.

Lon. Se tu leggessi il III libro del Rerum rusticarum di Varrone che parla dell'allevamento degli animali da cortile, smetterai di meravigliarti. Infatti lui giudica quei polli di grandi dimensioni come del tutto inutili dal punto di vista riproduttivo. E ti renderai conto che questa affermazione è valida per ogni tipo di animali: quelli di grandi dimensioni hanno una prole che per lo più è scarsa.

Pam. Ni me fallat mea opinio, apud Aristotelem Adrianicarum gallinarum mentio est: eas tamen nondum quisquam mihi indicare potuit. Leihennen.

Pam. Se non mi sbaglio, in Aristotele si menzionano le galline Adrianiche: tuttavia nessuno è ancora riuscito a mostrarmele. Leihennen - nella nota a bordo pagina.

Lon. Aristoteles lib. de animalibus sexto, Adrianicas descripsit, cuius loci si diligentius meminisses, haud [21] dubie variam illam rostro candidiusculo cognovisses. Cernis pullorum agmen?

Lon. Aristotele nel VI libro della Historia animalium ha descritto le galline Adrianiche, e se ti fossi ricordato con un po' più di attenzione di quel brano, senza dubbio avresti identificato come tale quella gallina dal piumaggio variopinto e dal becco bianchiccio. Lo vedi il gruppo dei polli?

Pam. Video, columbarum pipiones esse arbitrabar, ita coloris similitudine respondent. Sed cur Adrianicas vocat?

Pam. Lo vedo, pensavo si trattasse di giovani piccioni tanto sono simili per la colorazione. Ma perché le chiama Adrianiche?

Lon. Ab Adriano imperatore, qui eas in delitiis forte habuit.

Lon. Dall'imperatore Adriano, che forse gli furono care.

Pam. Rides tu me, ut soles, quasi Adriani tempore vixerit Aristoteles.

Pam. Come al solito ti prendi gioco di me, come se Aristotele fosse vissuto ai tempi di Adriano!

Lon. Non dubitat tamen monachus Polyphemus vester illud asserere.

Lon. Tuttavia il vostro monaco Logorroico non ha il minimo dubbio nell'affermarlo.

Pam. Sed extra iocum, dic quaeso quid sentias.

Pam. Ma, lasciando da parte l'ironia, ti prego, dimmi cosa ne pensi.

Lon. Ego certe arbitror Graecos, cum nondum ea esset inter Italos, illosque familiaritas et consuetudo, ab Adriaticis mercatoribus eas accepisse, in spem copiosi seminii, quemadmodum nos Medicas et Tanagricas et Rhodias, ob corporis amplitudinem. Quod autem ferocire Aristoteles eas scribit, factum esse puto ob patriae mutationem, cum in calidiores regiones devectae, et ferventioris ingenii redditae sunt.

Lon. Non ho dubbi nel pensare che i Greci, dal momento che tra loro e gli Italici non esistevano ancora familiarità e contatti, le acquisirono dai mercanti che solcavano l'Adriatico, con la speranza che fossero delle ottime riproduttrici, così come noi ci aspettiamo per i polli delle Media, di Tanagra e di Rodi a causa della loro corpulenza. Aristotele scrive che diventano aggressive, e ritengo che ciò sia avvenuto per aver cambiato il luogo d'origine: quando sono state trasferite in regioni più calde sono anche diventate di temperamento più aggressivo.

Pam. Illas vero, quae per terram reptant, potius claudicando, quam incedendo, vulgares esse et passim quoque extare novi: sed num et hijs peculiare aliquid nominis sit, id vero scire expeto.

Pam. Ma quelle che stanno strisciando per terra, più zoppicando che camminando, so che sono galline comuni e che sono presenti ovunque: ma voglio sapere se anche queste hanno un qualche nome specifico.

Lon. Est sane: nam gallinaceos ipsos pumiliones, gallinas pumilas cum Columella nominare licet. Kriel.

Lon. Certamente che ce l'hanno: infatti con Columella possiamo benissimo chiamare questi polli col nome di nani, di galline nane Kriel, nella nota a bordo pagina.

Pam. Nunc verum esse cognosco, in omni animantium genere nanos esse, ut dixit Theophrastus.

Pam. Adesso so che corrisponde al vero il fatto che in ogni genere di animali esistono dei nani, come disse Teofrasto.

Lon. Certe harum praeter caeteras nullus usus, nisi que plerosque delectent. Sed tibi nunc de villaticis gallinis satisfactum puta, aucupes invisamus, ut hiis praesentibus [22] de rusticis et agrestibus agamus.

Lon. Senza dubbio, escludendo le altre galline, di queste non si fa alcun uso, eccetto il fatto che rappresentano un diletto per parecchie persone. Ma adesso ritieniti soddisfatto circa le galline allevate in fattoria, andiamo a far visita agli uccellatori, in modo da discutere in loro presenza di quelle selvatiche e di quelle che vivono libere nei campi.

Polifemo in greco significa colui che parla molto. Si tratta verosimilmente di Alberto Magno per il quale Longolius non nutriva molta stima sotto il profilo naturalistico. Infatti all'inizio del dialogo esprime un elogio per il Volaterranus, cioè per Raffaelo Maffei (Volterra 1451-1522) autore del Commentariorum rerum urbanarum libri xxxviii (Roma, 1506; Parigi, 1516), un'enciclopedia di tutte le voci note a quel tempo, preparata con grande cura ma non sempre col giudizio migliore. Invece Alberto Magno - assurto nel 1941 a patrono dei cultori delle scienze naturali e al quale questa Summa Gallicana è dedicata - vuole addirittura ricacciarlo tra i barbari, cioè  nell'inferno degli scienziati. Longolius dice infatti che Alberto scrisse molto, ma tutte cose che né lui né chiunque altro avevano mai visto: un perfetto contaballe. – Ecco il testo originale di Longolius di pagina 10: Et quanquam ex professo nullus peculiariter avium singulas species attigerit: non possum tamen non laudare Volaterranum Raphaelem, qui id, quod potuit, praestitisse videtur. Albertus vero monachus, plane inter Barbaros reiiciendus est: nam et multa scripsit, quae neque ipse neque alius quispiam vidit: itaque mendaciis non potuit facile omnibus os non sublinere.

Conrad Gessner

Historia Animalium III (1555)

De Gallo Gallinaceo. Pagina 380

Et primum De Gallis sive Gallinis quae a regionibus et locis denominantur, nec aliter a villaticis communibus differunt quam magnitudine, aut etiam pugnacitate.

E in primo luogo parliamo dei galli o delle galline che ricevono il nome dalle aree geografiche e dalle località, e che non differiscono dai soggetti comuni da cortile se non per la mole corporea, o anche per la combattività.

Hadrianae gallinae (Ἀδριανικαί, nimirum a regione, non ut Niphus suspicatur quod forte ab Adriano Imperatore observatae sint, vixit enim Adrianus multo post Aristotelis tempora) parvo quidem sunt corpore, sed quotidie pariunt, ferociunt tamen, et pullos saepe interimunt, color his varius, Aristot. Et alibi, Multa admodum pariunt. Fit enim propter corporis exiguitatem, ut alimentum ad partionem sumptitetur.

Le galline di Hadria (in greco Adrianikaí, senza dubbio da un’area geografica, e non come suppone Agostino Nifo, in quanto forse sarebbero state osservate dall’imperatore Adriano, infatti Adriano visse molto dopo i tempi di Aristotele) sono di corporature piccola, ma depongono tutti i giorni, tuttavia sono aggressive, e spesso uccidono i pulcini, sono di diversi colori, Aristotele. E in un altro passo, Depongono moltissime uova. Infatti a causa dell’esiguità del corpo si verifica che l’alimento viene usato per la riproduzione.

Hadrianis laus maxima (circa foecunditatem,) Plinius.

La massima lode va alle galline di Hadria (per quanto riguarda la fecondità), Plinio [Naturalis historia X,146].

Adrianas sive Adriaticas gallinas (τοὺς Ἀδριατικοὺς ὄρνιθας) Athenienses alere student, quanquam nostris inutiliores, utpote multo minores. Adriatici vero contra nostras accersunt, Chrysippus apud Athenaeum lib.7.

Gli Ateniesi si industriano nell’allevare le galline di Hadria o Adriatiche (toús Adriatikoús órnithas), anche se più inutili delle nostre, in quanto sono molto più piccole. Invece le popolazioni dell’Adriatico si procurano le nostre, Crisippo in Ateneo libro 7 [VII23,285d].

Gallinae quaedam Adriani regis vocantur, quae apud nos dicuntur gallinae magnae, et sunt magni oblongi corporis, abundant apud Selandos et Hollandos, et ubique in Germania inferiore. Pariunt quotidie, minime benignae in pullos suos, quos saepe interficiunt. Colores earum sunt diversi, sed apud nos frequentius sunt albae, aliae aliorum colorum. Pulli earum diu iacent sine pennis, Albertus, sed hae forsitan Medicae potius vel Patavinae gallinae fuerint.

Certe galline vengono dette del re Adriano, che presso di noi vengono dette galline grandi, e hanno un corpo grande e allungato, abbondano presso gli abitanti della Zelanda e dell’Olanda, e ovunque nella provincia della Germania inferiore. Depongono tutti i giorni, non sono per nulla benevole verso i loro pulcini che spesso uccidono. I loro colori sono molteplici, ma presso di noi più frequentemente sono bianche, altre sono di altri colori. I loro pulcini se ne stanno a lungo senza piume, Alberto Magno, ma forse queste saranno state piuttosto galline della Media oppure Padovane.

Gallinae Adrianae non magno et oblongo corpore sunt, ut somniavit Albertus, sed contra ut Aristoteles et Ephesius tradiderunt, Niphus.

Le galline di Hadria non sono di corpo grande e allungato, come ha fantasticato Alberto, ma l’opposto, come ci hanno tramandato Aristotele e Michele di Efeso, Agostino Nifo.

Gyb. Longolius Germanice interpretatur Leihennen, Variae sunt (inquit) rostro candidiusculo. Pulli earum columbarum pipiones colore referunt. Ab Adriaticis mercatoribus primum in Graeciam advectae videntur, et inde nomen tulisse. Quod autem ferocire Aristoteles eas scribit, factum esse puto ob patriae mutationem, cum in calidiores regiones devectae et ferventioris ingenii redditae sunt, Haec ille.

Gisbert Longolius in tedesco le traduce Leihennen, Sono variopinte (dice) con il becco leggermente più bianco. I loro pulcini riecheggiano nel colore i piccoli dei colombi. Sembra che siano state portate per la prima volta in Grecia da mercanti dell’Adriatico e che da lì presero il nome. Ma riguardo al fatto che Aristotele scrive che esse sono aggressive, ritengo che ciò è accaduto perché hanno cambiato il luogo d’origine, e quando sono state trasferite in regioni più calde sono anche diventate di indole più focosa, Queste le sue parole.

Varro Africanas, quas non alias esse constat quam Hadrianas, varias et grandes facit, Turnerus. Ego Africanas ab Adrianis multum differre puto, cum Numidicis vero easdem esse.

Varrone descrive come variopinte e grandi le galline africane che risulta chiaro non essere altro che le galline di Hadria, William Turner. Io ritengo che le galline africane sono molto diverse da quelle di Hadria, e che corrispondono alle galline di Numidia.

Hispanus quidam amicus noster gallinam Adrianam, Hispanice gallina enana nominat. Nimirum quod corpore nana et pumila sit, quale genus in Helvetia apud nos audio nominari Schotthennen, alibi Erdhennle, alibi Däsehünle.

Un nostro amico spagnolo chiama in spagnolo la gallina di Hadria gallina enana. Certamente in quanto è di corporatura nana e piccola, e tale razza presso di noi in Svizzera sento dire che viene chiamata Schotthennen, in altri posti Erdhennle, altrove Däsehünle.

Sed Gyb. Longolius gallinas p{l}umilas Germanice vocat kriel. Vulgares sunt (inquit) et passim extant. Per terram reptant claudicando potius quam incedendo. Licebit autem gallinaceos huius generis pumiliones, gallinas pumilas cum Columella nominare. Sunt enim in omni animantium genere nani, ut dixit Theophrastus.

Ma Gisbert Longolius in olandese chiama kriel le galline di bassa statura. Sono comuni (dice) e si trovano dappertutto. Strisciano per terra zoppicando più che camminando. In verità insieme a Columella si potranno chiamare nani, galline nane, i gallinacei di questo genere. Infatti in ogni ordine di esseri viventi esistono dei nani, come ha detto Teofrasto.

Pumiliones, alias pumilas, aves, nisi quem humilitas earum delectat, nec propter foecunditatem, nec propter alium reditum nimium probo, Columella.

Le galline nane - pumiliones o pumilas -, salvo che a qualcuno piaccia il loro corpo minuto, non le approvo eccessivamente, né per la fecondità, né per qualsiasi altro provento, Columella [De re rustica VIII,2,14].

Est et pumilionum genus non sterile in iis, quod non in alio genere alitum, sed quibus {certa} <centra> foecunditas rara et incubatio ovis noxia, Plinius.

Vi è anche una razza di nane non sterile fra loro non presente in altre specie di volatili, ma quelle con gli speroni sono raramente feconde e il loro covare è nocivo alle uova, Plinio [Naturalis historia X,156].

 

Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - Liber decimusquartus

Cap. I. Sottocapitolo Synonyma. Pagina 190

Ornithologus Pumiliones simpliciter Gallinas alibi interpretatur: mihi contra illae diversum, ac peculiare genus esse videntur, ut post dicam, simpliciter vero Gallinas existimo quas Varro villaticas, Plinius villares, et altiles, Columella cohortales aves appellat.

In un passo l’Ornitologo - Conrad Gessner - interpreta le nane semplicemente come galline: al contrario a me pare che esse siano una razza diversa e specifica, come poi dirò, e sinceramente ritengo siano semplicemente galline quelle che Varrone chiama da cortile, Plinio di fattoria e da ingrassare, Columella uccelli da cortile.

Infatti Conrad Gessner così si esprime in Historia Animalium III (1555), pag. 380: Et primum De Gallis sive Gallinis quae a regionibus et locis denominantur, nec aliter a villaticis communibus differunt quam magnitudine, aut etiam pugnacitate. - E in primo luogo parliamo dei galli o delle galline che ricevono il nome dalle aree geografiche e dalle località, e che non differiscono dai soggetti comuni da cortile se non per la mole corporea, oppure per la combattività.

Cap. I. Sottocapitolo Genus. Differentiae. Pagine 191-192

Turnerus Africanas ab Hadrianis nihil differre existimans eas triplo, et amplius maiores facit, in tam foedum errorem impingens, ut redargutione plane non egeat. Nos de Africanis supra diximus.

William Turner, ritenendo che le Africane [Numida meleagris?] non differiscono per nulla da quelle di Hadria, rende queste galline tre volte più grandi e anche più, andando a cozzare in un così madornale errore da non aver assolutamente bisogno di una confutazione. Delle africane ho parlato in precedenza.

Qui vero e contrario id genus Gallinarum nanas interpretantur, sive pumiliones, ab eorum opinione recedere minime possum, cuius sententiae fuisse Hispanum quendam amicum suum Ornithologus tradit, ac Hispanice Gallina enana interpretari asserit, nimirum, quod corpore nana, et pumila sit, eo, ut videtur, argumento nixus, quoniam Aristoteles Hadrianas parvo corpore esse scribat.

A dire il vero non posso in alcun modo discostarmi dall’opinione di coloro che al contrario giudicano questa razza di galline come nane, ossia piccole, e l’Ornitologo - Gessner - riferisce che un suo amico spagnolo è stato di tale avviso, e afferma che in spagnolo viene tradotta in Gallina enana, certamente perché è di corpo nano e minuto, a quanto pare basandosi come prova sul fatto che Aristotele scrive che le galline di Hadria hanno un corpo piccolo.

Veruntamen ego nanas hic minime claudicantes illas, ut Longolius vocat, quae pariter nanae sunt, interpretor, sed genus quoddam caeteris minus: claudicantes enim illae licet caeteris foecundiores [fecundiores] sint, in omnibus passim locis reperiuntur, et genus suum non servant, aut propagant, sed ita nanae nescio quo casu nascuntur.

Tuttavia a questo punto io ritengo che le nane non sono assolutamente quelle [galline] zoppicanti, come le chiama Longolius, che parimenti sono nane, bensì una razza più piccola delle altre: ammesso che tali galline claudicanti siano più feconde delle altre, le si trovano dappertutto in tutti i Paesi, e non custodiscono la loro prole né la perpetuano, ma non so per quale motivo nascono così nane.

Praeterea verisimile mihi non videtur, quomodo, et cur Aristoteles, qui omnes animalium differentias diligentissime observavit, literisque mandavit, et hanc non annotaverit. Plinius Hadrianas a nanis etiam distinguere non videtur, quamvis diversis de his agat capitibus. Sed nanas non vocat, verum modo Hadrianas, modo pumiliones.

Inoltre non mi sembra verosimile come e perché Aristotele, che osservò con estrema diligenza tutte le caratteristiche degli animali e le mise per iscritto, non abbia annotato anche questa. Pare che anche Plinio non faccia distinzione fra le galline di Hadria e le nane anche se ne tratta in paragrafi diversi. Ma non le chiama nane, bensì ora galline di Hadria, ora piccole.

Postquam enim Hadrianis maximam laudem circa foecunditatem [fecunditatem] attribuisset, mox sententiam fusius explicans, de eisdem ita infit: “Est et pumilionum genus non sterile in iis [his]” (nimirum optimis) “quod non alio in genere alitum, sed quibus {certa} <centra> foecunditas [fecunditas] rara, et incubatio ovis noxia”: quasi dicat: ova illis non supponenda esse, quoniam pullos suos sint interempturae, ut dixit Aristoteles, qui colorem quoque addidit, varium nempe, quem omisit Plinius, forte quasi superfluum fuerit eum addere: quod vix crediderim. Philosophus enim nihil frustra dicere solet.

Infatti, dopo aver attribuito una grandissima lode alle galline di Hadria a proposito della loro fecondità, in seguito, spiegando in modo più esteso la sua affermazione, così prende a dire di loro: Vi è anche una razza di nane non sterile fra queste (senza dubbio ottime) non presente in altre specie di volatili, ma quelle con gli speroni sono raramente feconde e il loro covare è nocivo alle uova: quasi voglia dire: non bisogna mettere sotto di loro le uova in quanto ucciderebbero i loro pulcini, come disse Aristotele, che aggiunse anche la colorazione, cioè variegata, che Plinio ha omesso, come se forse sarebbe quasi stato superfluo aggiungerla: cosa nella quale a stento sarei disposto a credere. Infatti il Filosofo è solito non dire nulla invano.

Gylbertus Longolius quasdam Gallinas Germanice Leihennen, quasi Gallinas parturientes dicas, appellari ait, et Hadrianas esse coniicit, colore vero varias esse, et rostro longiusculo [candidiusculo], pullos vero columbarum pipiones <colore> referre.

Gisbert Longolius dice che alcune galline in tedesco vengono chiamate Leihennen, come se tu dicessi trattarsi di galline che depongono [molte] uova, e conclude che sono galline di Hadria, che davvero sono di diversi colori e con un becco un pochino più bianco, che inoltre i pulcini riecheggiano nel colore i piccoli dei colombi.

Quod vero Aristoteles Hadrianas ferocire dicat, factum esse putat ob patriae mutationem, cum in calidiores regiones devectae, et ferocioris ingenii redditae sunt. Has ego (si modo tales ibi dentur) Hadrianas esse prius plane credebam. At cum ferocire eas neget, id vero Aristoteles aperte tradat, nimirum in proprios pullos, quos, ut inquit, saepe interimunt: et Plinius, ut ostendi, eandem ob causam tanquam incubationi ineptas, reiiciat: immutata opinione omnino censeo, nec tales Hadrianas esse.

A proposito del fatto che Aristotele dice che le galline di Hadria sono aggressive, egli - Longolius - ritiene che ciò è accaduto perché quando sono state trasferite in regioni più calde hanno cambiato il luogo d’origine, e sono anche diventate di temperamento più aggressivo. In precedenza io credevo proprio che queste galline (purché esistano simili galline) fossero galline di Hadria. Ma dal momento che egli - Longolius - nega che esse sono aggressive, mentre Aristotele riferisce ciò in modo esplicito, proprio nei confronti dei propri pulcini che, come dice, spesso uccidono, e anche Plinio, come ho dimostrato, le disprezza per lo stesso motivo come se non fossero adatte all’incubazione, senza dubbio alcuno io ritengo con parere immutato che neppure le suddette sono galline di Hadria.

Verum cum et ipse interim, quae certo Hadrianae dici possint nunquam viderim, itaque suum cuique liberum iudicium relinquo, aliorum opinionem tantum examinasse contentus. Video tamen plerosque viros doctos, forte quia et ipsi alias non haberent, quas Hadrianas dicere possent, Gyberti Longolii sententiam amplecti.

Tuttavia, dal momento che anch’io per ora non ho mai visto galline che possano essere chiamate con sicurezza galline di Hadria, lascio pertanto a ciascuno la sua libertà di giudizio, essendomi limitato a esaminare solamente l’opinione altrui. Noto tuttavia che la maggior parte degli uomini dotti, forse perché anche loro non possedevano altre galline che potessero chiamare di Hadria, abbracciano l’opinione di Gybertus Longolius.

Columella etiam quasdam Gallinas pumiliones vocat, quae nunquid eaedem sint cum pumilionibus Plinii, rursus subdubito. Etenim Columella nec propter foecunditatem [fecunditatem], nec propter aliud emolumentum eas nimium probat: hic, uti diximus pro foecundissimis [fecundissimis] habet: et inter nostri saeculi scriptores Conradus Heresbachius pumiliones, etsi vetustas cum ob infoecunditatem [infecunditatem], tum ob alias causas improbat: tamen pluribus locis foecundas [fecundas] reperiri, ovaque plurima edere asserens, et in Britannia hoc tempore ad cibos delicatos expeti.

Anche Columella denomina nane alcune galline, ma di nuovo ho dei dubbi se si tratti delle stesse galline nane di Plinio. Infatti Columella non le apprezza in modo straordinario né per la loro fecondità né per un qualsiasi altro vantaggio. Costui - Plinio, come abbiamo detto, le ritiene molto feconde: e, tra gli scrittori del nostro secolo, Conrad Heresbach disapprova le nane anche se vecchie, sia per la loro infecondità che per altri motivi: asserendo pure che se ne trovano di feconde in molte località e che depongono moltissime uova, e che di questi tempi in Britannia sono ricercate per preparare cibi delicati.

Quas vero Longolius pumilas vocat, et Germanice Kriel interpretatur, eae, ut paulo ante dixi, passim extant, per terram reptant, claudicando potius, quam incedendo, nos etiam na{i}nas appellamus. Flandri, ut audio gekrielde hennens. Aristoteles de suis Hadrianis loquens, cur multa admodum pariant, hanc rationem reddit, quod propter corporis exiguitatem, alimentum ad partitionem {sumptiterur} <sumptitetur>. Has, ut inquit, Chrysippus apud  Athenaeum, Athenienses alere studebant, quanquam nostris inutiliores: Adriatici vero contra nostras accersire solebant.

Quelle che Longolius chiama nane, e che in olandese viene tradotto con kriel, come dissi poco fa si trovano ovunque, strisciano per terra più zoppicando che camminando, anche noi le chiamiamo nane. Come sento dire, gli abitanti delle Fiandre le chiamano gekrielde hennens. Aristotele parlando delle sue galline di Hadria fornisce questo motivo alla domanda sul perché depongono moltissime uova: perché a causa dell’esiguità del corpo l’alimento viene usato per la procreazione. Come dice Crisippo in Ateneo Gli Ateniesi si industriavano nell’allevare queste galline, nonostante fossero più inutili delle nostre: invece, al contrario, le popolazioni dell’Adriatico erano solite procurarsi le nostre.

Cap. I. Sottocapitolo Forma et descriptio. Pagina 198

Aristoteles, Pliniusque Hadrianas in primis celebrant, quod multa admodum pariant: qua de re supra satis superque disputatum est. Idem Aristoteles vulgares Gallinas generosis foecundiores [fecundiores] esse scribit: corpora nempe illis [his] humidiora, his [illis] sicciora haberi, in quibus animus generosus potius consistit.

Aristotele e Plinio decantano in special modo le galline di Hadria in quanto depongono moltissime uova: sulla qual cosa in precedenza si è dissertato in modo più che sufficiente. Lo stesso Aristotele scrive che le galline comuni sono più feconde di quelle di razza: infatti il corpo di queste è più ricco di umori, quello delle prime è più asciutto, e in questo tipo - di corpo - risiede preferibilmente il carattere di qualità.

Pumiliones Gallinas etsi vetustas cum propter alias causas improbat Columella, Plinius eas laudat, sed de hac re etiam ante diximus. Si vero cibi futuri causa eligendae sint: sunt qui illas suavioris carnis esse existimant, quae cibo non abunde eis apposito, sed quem ipsae pedibus fodientes eruant, non absque labore, pastae fuerint. Alii ad saginam aptas potissimum autumant, quae in cervice pingui cute sunt.

Mentre Columella per altri motivi non apprezza le galline nane anche se vecchie, Plinio le loda, ma su ciò abbiamo già parlato in precedenza. Per quanto riguarda quali siano da preferire al fine di diventare cibo: vi sono alcuni che ritengono essere di carne più gustosa quelle che saranno state nutrite non con cibo abbondantemente fornito ma con quello che dissotterrano scavando con le zampe e non senza sforzo. Alcuni sostengono che sono soprattutto adatte a essere ingrassate quelle che presentano una pelle grassa a livello del collo.

Cap. III. De pumilione. Pagina 309

Quamvis communium Gallinarum aliam nos iconem exhibituros negaverimus, Pumilionis tamen, sive nanae, quam perperam multos pro Hadrianis habere diximus, etsi ex earum genere, exhibere placuit, quod minus frequentes sint. Erat autem haec Gallina tota nigra praeter alarum maiores pennas, quae in extremitatibus candicabant.

Nonostante avessi affermato che non avrei mostrato un’altra immagine di galline comuni, tuttavia per il fatto di essere meno frequenti mi è parso opportuno mostrare quella di una gallina di bassa statura, ossia nana , che abbiamo detto essere da molti erroneamente scambiata per una gallina di Hadria, anche se appartenente alla loro varietà. Orbene questa gallina era totalmente nera eccetto le penne maggiori delle ali che erano bianche alla loro estremità.

Hebebat [Habebat] pariter maculas in collo circumcirca candidas mediam lunam aemulantes, atque oculos denique macula sublutescentis coloris rotunda ambiebat. Caput erat cirratum. Paleae, et crista quae admodum erat exigua, intensius rubebant: pedes flavescebant: ungues parvi, coloris impense candidi. Sed quid describere exactius prodest, si plerunque im<m>o fere semper color in his, ut aliis variet?

Contemporaneamente tutto intorno al collo aveva delle chiazze bianche che riecheggiavano una mezzaluna e infine una macchia rotonda di colore giallognolo circondava gli occhi. La testa era fornita di ciuffo. I bargigli, e la cresta che era piccolissima, erano di colore rosso piuttosto intenso; le zampe erano gialle; le unghie erano piccole e di colore intensamente bianco. Ma a che serve descrivere in modo più accurato se per lo più, anzi quasi sempre, in queste galline il colore è variabile come accade nelle altre?

 

3.2. Bantam - Banten

Bantam - o Banten - è una località dell'Indonesia nella provincia di Giava Occidentale, 75 km a WNW di Jakarta. Antica capitale dell'isola di Giava, già residenza di un'antica dinastia giavanese, divenne successivamente la capitale di un potente sultanato maomettano che nel sec. XVI estese il proprio potere anche sulle vicine isole di Sumatra e di Borneo. Divenuta un attivo porto del commercio delle spezie, la città cadde in mano di mercanti portoghesi (1545) e nel 1596 fu conquistata dagli Olandesi che ne fecero il loro principale emporio nell'isola sino alla fondazione di Batavia (1619; ora Jakarta). Anche la Compagnia inglese delle Indie Orientali fondò a Bantam, nel 1603, una florida stazione commerciale che durò fino al 1682, quando il personale inglese venne scacciato dagli Olandesi i quali, ridotto in condizioni di vassallaggio il sultano di Bantam, vi costruirono il forte di Speelwijk, imponendo il loro monopolio sul porto, fino allora libero. Per più di un secolo Bantam fu una delle sedi principali della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, finché non cadde in mano degli Inglesi nel 1811 durante le guerre napoleoniche. Restituita agli Olandesi nel 1814, la città decadde dopo che la capitale del sultanato fu trasferita a Serang. Nel 1944 la città venne occupata dai Giapponesi.

3.3. La razza di Bantam
Gallus Banticus -
secondo Teodoro Pascal - 1905

“Nell’isola di Giava esisteva la città di Bantam, ora completamente distrutta, ove nel 1602 gli inglesi vi stabilirono una fattoria e da dove ne vennero scacciati verso il 1620 [2] dagli olandesi, i padroni del luogo. Nei pochi anni che rimasero a Bantam, gli inglesi allevarono con predilezione e spedirono sovente verso la madre patria una razza di polli indigeni, estremamente piccoli, non più grandi delle pernici, e che chiamarono col nome della città.

“Questi lilipuziani del pollaio erano a tarsi nudi, ed a differenza degli altri polli, avevano le ali pendenti e la cresta riccia. L’aspetto grazioso, il volume tanto ridotto e la vivacità petulante di questi nani pennuti, colpirono gli allevatori inglesi, e perciò la graziosa razza trovò, una volta acclimatata, molti amatori, che la trasformarono rapidamente in diverse varietà: a queste varietà la mano esperta degli allevatori inglesi aggiunse vere e nuove razze nane, sia colla selezione che coll’incrocio.

“Tutte le varietà inglesi derivate dalla Bantam antica, nonché tutte le razze nane che ne seguirono, vennero designate col nome generico di Bantam, e sin qui non era da meravigliarsene, poiché tutti i nuovi prodotti nani erano derivati più o meno direttamente dalla Bantam originale; ma non si può spiegare perché si vogliono comprendere nella categoria di Bantam tutti i polli nani che con questa razza non hanno null’altro di comune che il volume ridotto: è questione di moda e null’altro, quindi fa mestieri seguire la corrente. Così, per esempio, si comprende nella classe dei Bantam la razza nana di Pechino, miniatura della mastodontica razza della Cocincina, e la si chiama Bantam di Pechino, e che colla Bantam non ha nulla di comune; similmente ne è delle bellissime razze nane giapponesi e di altre: il nome generico Bantam indica in questi casi non la località, ma gli si dà invece il significato di nano, alludendo alla razza omonima che è nana.

“Di polli nani in Europa ne abbiamo a dovizia sin dal tempo dei Greci e dei Romani, ma costoro li apprezzarono sempre ben poco, tenendoli come animali di fantasia, di lusso. Certamente erano tali in quell’epoca, ma coll’enorme sviluppo che ha raggiunto attualmente la coltura di tanti uccelli selvatici, come i fagiani, i colins, ecc., le galline nane sono molto indicate a condurre le nidiate di simili uccelli. Ho già citato diversi polli nani di indiscussa utilità, questi sono i padovani nani, i polli mutilati, la gallina francese courtes-pattes, la scozzese di Dumpies. Il compianto mio genitore ebbe spesse volte dal Cremonese una razza nana di polli che erano né più né meno che la nostra gallina comune ridotta a metà del suo volume: questa razza, nonché le precedenti, non hanno proprio nulla del Bantam, nemmeno la statura, che è molto più rilevante, abbenché sempre ridotta di fronte alle razze comuni, quindi non vanno comprese nella categoria dei Bantam e si chiamano semplicemente polli nani.

“I giapponesi, maestri nell’arte di produrre le piante nane, non lo sono da meno nell’allevamento dei polli nani; i famosi Bantam giapponesi vengono da molti allevati in gabbie di bambou come uccelli da gabbia. Questo sistema di allevare da generazione in generazione i minuscoli Bantam sempre in locali troppo ristretti ha già dato da anni i suoi tristi effetti della degenerazione la più sfacciata, l’impotenza genitale: egli è così che si spiega il grande numero di uova chiare che si hanno dai Bantam, specialmente in talune varietà; ma ritornerò sull’argomento quando parlerò della varietà Sebright, i di cui galli possono chiamarsi a ragione gli eunuchi del pollaio. Ma vi è un altro importante fattore per la produzione di molte uova chiare nella razza dei diversi Bantam: ognuno sa per propria esperienza che per la riproduzione tutti gli allevatori di bestiame si tengono i più robusti animali. Gli allevatori di polli Bantam, naturalmente, in vista di conservare la piccola statura dei loro volatili, e magari in vista di renderla sempre più mignonne, scelgono per la riproduzione i soggetti i più minuscoli: ora questo allevare, questa elezione artificiale nel senso di rimpicciolire i prodotti, a lungo andare, doveva riuscire fatale alla specie, e così è successo che i Bantam sono sempre più degenerati e divenuti eunuchi.”

Senza riportare il testo integrale, si può riassumere il pensiero di Pascal dicendo che anch’egli, come Wright, è dell’idea che la Nana di Giava è la riproduzione fedele in miniatura della razza Amburgo, e che questa infusione di sangue nuovo ha senza dubbio giovato alla robustezza.

Possiamo notare che Pascal non accenna minimamente al costante inincrocio quale causa di ridotta fertilità, inincrocio che è reso necessario per congregare il maggior numero di geni responsabili della miniaturizzazione. Pascal attribuisce il tutto alle condizioni ambientali, cui si potrebbe obiettare che il pappagallino australiano se ne strafrega di riprodursi in gabbia, dimostrando una prolificità spaventosa. Ovviamente Pascal non conosceva ancora i risultati dello studio sulla cresta a rosa, dai quali si è potuto dedurre che l’omozigosi è causa di ridotta fertilità, e, vedi caso, la Sebright ha proprio una cresta a rosa.

Abbiamo già riferito nella parte storica che la Nana di Pekino scorrazzava nei giardini del Palazzo Imperiale e che esisteva come razza nana. Pascal non è di quest’avviso.

3.4. Le Bantams
secondo Alberto Brunoli - 1972

“È dall’isola di Java che ci è pervenuta la più famosa di tutte le galline nane, che dal nome dell’antica capitale ha ereditato il nome di Bantam. Bantam è diventato poi sinonimo di varietà nana. Per Bantam si intendono quelle gallinelle che sono per natura nane, oppure che provengono dalla miniaturizzazione di razze di maggior mole dopo un lungo e appassionato lavoro di incrocio e selezione.

“Ma, se la miniaturizzazione ha una storia che può quasi sempre essere raccontata perché si è svolta in Europa durante il secolo scorso, assai più difficile è dire dove, come e quando le razze per natura nane abbiano avuto origine. Unica cosa certa è che, da molti secoli, esse esistono in Estremo Oriente, derivate con tutta probabilità dalla Bankiva, la più importante delle capostipiti. In India, Tailandia, Laos, Malesia, razze nane autentiche popolano la foresta e sono abilissime nel sottrarsi all’uomo. È ben difficile che su queste razze si sia esercitata un’azione diversa da quella spontanea della natura nel condurre alla riduzione della mole.

“Diversa invece la situazione per alcune razze esistenti in Cina, Oceania, Giappone e in certe isole della Sonda, sulle quali l’opera dell’uomo ha in parte lasciato la sua traccia. La passione giapponese per i bonsai è stata certamente trasferita dagli alberi al pollo e tale pratica sembra risalire a prima di Cristo.

“In Europa le Bantam naturali fanno la loro comparsa verso la fine del 1700, importate, oltre che dagli Inglesi, da navigatori Olandesi e in minor misura da Tedeschi e Francesi. Fino alla 1ª guerra mondiale l’allevamento delle Bantam non ebbe uno sviluppo degno di nota. Nel 1810 Harrison Weir dava come esistente in Inghilterra la Java, nota come Rosecomb nera, quindi comparve la Sebright. Salvo l’eccezione di questa razza creata da Sir John Sebright, che si affermò rapidamente, sino alla fine del 1800 il progresso in avicoltura nana fu in genere piuttosto lento.

“Nel 1893 uscì il primo libro dedicato alle Bantam per merito di Verney: le Combattenti Inglesi non erano ancora distinte in antica e moderna. Nel 1899, sempre in Inghilterra, venne pubblicato il Manuale pratico di Avicoltura, in cui viene indicato Entwisle come colui che aveva riprodotto in forma nana quasi tutte le principali razze di grossa taglia. Fu lo stesso Entwisle a stabilire che la miniatura deve pesare 1/5 della sua controparte. Attualmente si accetta una valutazione ponderale meno rigorosa ed è sufficiente che il soggetto pesi anche soltanto ¼ del sosia gigante per essere considerato Bantam.”

3.5. Osservazioni utili

“Bisogna porre una netta distinzione tra una vera Bantam, caratterizzata da perfette proporzioni tra i vari segmenti corporei, e una nana dalle ali e dalle zampe accorciate. Le differenze nella mole corporea non influirebbero sulla fertilità. Questo è quanto dice la letteratura corrente, ma bisogna fare attenzione che molto spesso gli incroci si sono svolti tra un maschio grande e una femmina piccola. Nel novembre 1995, in Arabia Saudita, ho praticato degli incroci reciproci, e al mio ritorno, nel gennaio successivo, sono rimasto colpito nel sapere che avevamo ottenuto solo un 30% di fertilità. I soggetti erano suddivisi in 4 recinti con 4 maschi per recinto. La fertilità risultava depressa in tutti i recinti. Ho messo in cantiere un nuovo esperimento, usando femmine vergini della razza più gigante e giovani maschi nani della razza più piccola. Le dirò come sono andate le cose.” (Edmund Hoffmann - Comunicazione personale del 17-2-1996)

Siccome dwB è recessivo, può apparire relativamente semplice ottenere una riduzione della taglia con due generazioni partendo da un gigante e un nano. Chi l’ha fatto ha certo ottenuto un rimpicciolimento, che però non è così spettacolare come si sarebbe sentito in diritto di conseguire. Questa difficoltà di ottenere o mantenere delle nane piccole, si verifica quotidianamente. Gli appassionati della La Flèche nana, della Houdan nana, della Wyandotte nana, sanno come è difficile conservare i loro soggetti entro il peso voluto dallo standard, poiché tali polli hanno spesso la tendenza a crescere. Quest’osservazione è senz’altro valida a proposito della riduzione delle razze giganti, mentre le Nane Vere quali Java, Sebright, Barbute Belghe, Nana Olandese, Nana Calzata, Nagasaki, Pekin, hanno meno tendenza a sfuggire dalla loro taglia.

Perché accade ciò? Perché le mutazioni genetiche, almeno per certi tipi di polli, sono partite dal Bankiva, che non è tanto più grande della maggior parte delle nane. Il Bankiva, incrociato con un soggetto dotato del gene dwB, comporta un pollo nano quando dwB sarà presente allo stato omozigote nel maschio o emizigote nella femmina, ma la perdita in peso e in taglia non è di molto superiore a 1/3. Al contrario, se partiamo da un pollo  domestico di 3-5 kg, il risultato è una nana, ma che pesa ancora 2-3 kg. Abbiamo ridotto il peso neanche della metà, ma abbiamo superato il Bankiva nella riduzione della mole. Inoltre, per le razze miniaturizzate, bisogna sempre tener presente che possono portare con sé una quota di geni modificatori che sopprimono in parte l’effetto del gene del nanismo. I polli sono prodotti di consumo, e dopo migliaia di anni gli allevatori hanno cercato di aumentarne taglia e peso, conservando e facendo riprodurre i polli più grossi. Questa pratica adottata in tempi in cui i termini genetica e selezione erano sconosciute, ha fissato, presso la maggior parte delle razze, alcune mutazioni che fanno aumentare taglia e peso, si sono accumulate e completate, e i genetisti non riescono ancora a sbrogliarle e a identificarle.

I polli appartenenti alle razze voluminose, che noi consideriamo normali, in realtà sono dei giganti, e c’è molta più differenza in cammino percorso e in mutazioni accumulate tra Orpington e Bankiva, che tra questa e la maggior parte delle nane. Da notare tuttavia che la natura, o selezione naturale che dir si voglia, tende a ricondurre la maggior parte delle razze verso una taglia media, e gli amatori di razze grandi come Langshan, Brahma e certi Combattenti, hanno tante difficoltà a mantenere l’imponenza dei loro animali come gli appassionati di nane ne hanno nel conservare le ridotte dimensioni delle loro creature. Se dobbiamo o vogliamo ridurre una razza, incrociamola sempre con una nana autentica come la Java. Inoltre, non riduciamo mai una razza grande, sempre suscettibile di conservare del suo atavismo qualche gene di gigantismo.

4. EFFETTI PLEIOTROPICI ed EFFETTI ASSOCIATI
DEI GENI CHE RIDUCONO LA TAGLIA

Per comprendere come un gene sia in grado di condizionare un fenotipo, è indispensabile una premessa che sarà sintetica e nello stesso tempo comprensibile, almeno si spera.

Ormone non è l’improntone del piedone del Faraone sul sabbione, bensì ogni sostanza sintetizzata da specifiche cellule presenti nelle ghiandole a secrezione interna, che cioè riversano il loro elaborato direttamente nel torrente sanguigno. Il prodotto agisce a livello di strutture bersaglio più o meno distanti dal luogo di sintesi, oppure regola processi metabolici che interessano tutto quanto l’organismo.

La parola ormone deriva dal greco ormào, che significa mettere in moto, eccitare, stimolare. Per fare l’esempio di una ghiandola a secrezione esterna, basta pensare a una salivare. Esistono ghiandole a secrezione mista, interna ed esterna, come il pancreas, che riversa i suoi succhi digestivi nel duodeno e i suoi ormoni nel sangue. Ghiandole ad esclusiva secrezione interna sono la tiroide, le paratiroidi, le surrenali, l’ipofisi.

La tiroide è una ghiandola a secrezione interna il cui nome deriva dal greco thýra, in quanto la cartilagine sulla quale è adagiata assomiglia a una porta. Questa ghiandola contiene il 20% dello iodio totale dell’organismo, e accumula per poi dismettere gli ormoni, i quali ricevono nomi differenti a seconda del numero di atomi di iodio contenuti in ciascuna molecola: T2, T3, T4. L’azione fondamentale di questi ormoni è quella di favorire i processi ossidativi, con distruzione delle proteine, degli zuccheri e dei grassi; essi servono a mantenere costante la temperatura corporea, influenzano la crescita in presenza di GH (ormone della crescita); favoriscono la differenziazione e lo sviluppo del sistema nervoso, tant’è che in caso di scarso funzionamento insorto in giovane età si verifica il cretinismo ipotiroideo.  

GH - growth hormone - ormone della crescita: inizialmente venne chiamato STH, cioè ormone somatotropo, in quanto giustamente si ritenne fosse un ormone anabolizzante destinato a promuovere sia l’accrescimento lineare dei tessuti - cioè l’altezza di un individuo - sia l’accrescimento dei tessuti nel corso della vita. La sua azione è essenzialmente anabolizzante proteica, ma possiede pure un effetto iperglicemizzante ed esercita un’azione antiinsulinica. Viene prodotto dall’ipofisi anteriore o adenoipofisi.

Somatomedina C - IGF1 - insuline-like growth factor: come dice il nome, questa sostanza fa da mediatrice, cioè, affinché il GH possa esplicare le sue funzioni è necessaria la sua presenza. Il nome inglese deriva dal fatto che possiede un’azione ipoglicemizzante simile a quella dell’insulina. Si tratta di un piccolo peptide che viene prodotto a livello di tutti i tessuti, dove promuove la proliferazione, la differenziazione e la mitosi cellulare. I recettori specifici per il GH deputati alla sintesi di IGF1 sono pressoché ubiquitari, ma sono particolarmente abbondanti a livello epatico; sono per esempio presenti a livello dell’osso e delle cartilagini di coniugazione dove si realizza il fenomeno dell’accrescimento lineare del soma. L’azione di IGF1 è anabolizzante proteica, ma nel senso di impedire il catabolismo delle proteine. La somatomedina A o IGF2 appartiene alla vita fetale.

La secrezione di GH, come per tutti gli ormoni, avviene in modo pulsatile e principalmente grazie all’interazione di due neurormoni: GHRH e somatostatina.

GHRH - GH releasing hormone: induce la sintesi e la liberazione di GH dalle cellule somatotrope dell’adenoipofisi.

Somatostatina: è in grado di inibire la secrezione di GH, e non ne inibisce la sintesi, bensì la liberazione. La somatostatina inibisce quasi tutte le secrezioni ormonali, specialmente di GH, insulina e glucagone.

La secrezione pulsatile di GH è tale proprio perché si alternano fasi di prevalenza stimolatrice da parte di GHRH a fasi di prevalenza inibitoria da parte della somatostatina. Quando la somatostatina è più alta e impedisce la secrezione di GH, il GHRH induce la sintesi di GH che viene immagazzinato e poi liberato quando la somatostatina decresce.

Per cui, l’alternanza tra GHRH e somatostatina determina la sintesi e la secrezione pulsatile di GH, il quale induce la generazione di IGF1. Il GH è fondamentale per la sintesi e la secrezione di IGF1, il quale dipende in modo non meno importante dallo stato nutrizionale: se un soggetto è malnutrito, specialmente dal punto di vista proteico, il fegato e gli altri tessuti periferici non sono in grado di tradurre l’ordine del GH verso la sintesi di IGF1. Questa resistenza periferica allo stimolo da parte del GH è acquisita e è dovuta a malnutrizione, ma è in grado di regredire con adeguata rialimentazione.

La resistenza periferica al GH può invece essere congenita se manca il recettore periferico al GH per motivi genetici. Si tratta del nanismo di Laron, in cui il bambino possiede tantissimo GH, ma per delezione genica non esprime il gene del recettore del GH, per cui non può sintetizzare IGF1 e quindi non può crescere. Questa patologia è balzata nelle cronache del 2001: Chiara, la bambina di Caltanissetta, è uno dei 5 casi italiani e uno degli 80-90 casi mondiali di nanismo che si giovano della somministrazione di IGF1 umano biosintetico ricombinante, che per gli enormi costi e gli scarsi profitti le ditte farmaceutiche non vorrebbero produrre.

Sebbene non sia chiara la determinazione genetica della statura dei Pigmei africani , alcune osservazioni fanno supporre che la loro altezza sia determinata da un unico locus codominante, che forse, ma non necessariamente, è lo stesso nelle diverse popolazioni di Pigmei.

I Pigmei presentano normali livelli di GH, ma livelli inferiori di IGF1; durante la loro adolescenza l’IGF1 rimane basso, mentre nei non Pigmei aumenta di circa 3 volte. Per cui la differenza principale fra la curva di crescita dei Pigmei e quella dei non Pigmei consiste nel fatto che i Pigmei non presentano il picco di crescita caratteristico dell’adolescenza, indicando così che l’aumento di IGF1 ne è il fisiologico responsabile e che la relativa carenza di IGF1 nella fase adolescenziale dei Pigmei è responsabile della mancanza del loro picco di crescita staturale.

Pigmeo deriva dal latino pygmaeus, a sua volta derivato dal greco pygmaîos, che significa alto un pugno, da pygmë che appunto significa pugno. Pigmei: si tratta di un insieme di popolazioni accomunate dalla bassa statura che è inferiore, in età adulta, ai 152 cm. Sappiamo che etnicamente, e oggi anche geneticamente, i Pigmei costituiscono popolazioni diverse tra loro. Popolazioni pigmee abitano le foreste tropicali dell'Africa centrale nonché della Penisola Malese (i Senang), le Filippine (gli Aeta e altri gruppi), la Nuova Guinea e le Isole Andamane nell'Oceano Indiano. Alcuni gruppi mantengono il loro stile di vita tradizionale, basato sulla caccia e la raccolta; altri sono sedentari e praticano l'agricoltura. Si ritiene che i pigmei africani – il gruppo più numeroso, stimato fra i 150.000 e i 300.000 individui – abitassero la valle del Congo prima dell'insediamento delle altre popolazioni. Il gruppo etnico più conosciuto, gli Mbuti o Bambuti, sono la popolazione più bassa del mondo, con una statura media di circa 130 cm. Secondo gli studiosi, tra cui Luigi Luca Cavalli-Sforza, le popolazioni che vivono nelle foreste tropicali sono di piccole dimensioni a conferma dell’ipotesi che la bassa statura rappresenti un adattamento agli ambienti caldi e umidi.

4.1. dw

Già sappiamo che questo gene fu descritto per la prima volta da Hutt nel 1959 e rappresenta una mutazione del selvatico Dw+. È presente in numerose popolazioni di polli, nei quali abbassa il tasso plasmatico di triiodotironina (T3) e di IGF1, mentre si accompagna a un leggero aumento del tasso di tiroxina (T4) e di ormone della crescita (GH). Altra caratteristica metabolica consiste nel fatto che la scissione epatica dello iodio dalle molecole degli ormoni tiroidei risulta ridotta, nonostante la presenza nelle cellule epatiche di deiodasi. Il legame dell’ormone della crescita agli epatociti è ridotto. Queste modificazioni biochimiche caratteristiche dei soggetti nani aiutano a comprendere l’effetto svolto da dw sulla velocità di crescita, che risulta depressa, attraverso un’influenza su T3, GH e IGF1. Le conseguenze sull’ovodeposizione sono d’interpretazione meno ovvia.

Peso e composizione corporea

Il gene dw non esplica effetti apprezzabili sulle dimensioni del pulcino di un giorno d’età, anche se è in grado di rallentare il riassorbimento del tuorlo. Col passare dei giorni si verifica una progressiva riduzione della mole corporea, paragonata a quella dei coetanei non_nani: raggiunte le di 8-10 settimane di vita, essa risulta ridotta di circa il 30% nelle femmine e del 40% nei maschi.

I pulcini nani sono più grassottelli rispetto a quelli normali, ma, nelle femmine mature, dw riduce il grasso addominale, probabilmente a causa di un maggior dispendio in lipidi rapportato al peso corporeo e dovuto all’ovodeposizione.

Produzione di uova

L’età media al primo uovo subisce un ritardo che oscilla da pochi giorni a 2 settimane. Il peso dell’uovo è ridotto in rapporto al minor peso corporeo, ma mediamente meno nelle linee broiler rispetto a quelle ovaiole.

Anche il numero di uova risulta ridotto nei ceppi di ovaiole, e più nella Leghorn di tipo leggero rispetto al tipo di media mole. Tale calo numerico non si verifica per i broiler. Ne consegue che nelle femmine fetatrici di broiler si verifica un miglioramento dell’efficienza della razione che si aggira intorno al 25% (per grammo di uovo), dal momento che il peso medio dell’uovo viene ridotto solo in modo modesto.

Nei ceppi di ovaiole di mole media, nonostante la riduzione numerica delle uova, l’efficienza della razione rispetto alle ovaiole normali mostra un incremento pari in media al 13%, e, se si tratta di Leghorn, è più frequente un miglioramento che un peggioramento dell’efficienza.

Il gene dw possiede alcuni effetti positivi sull’uovo: frequentemente è in grado di sopprimerne le anomalie, come il doppio tuorlo o il guscio sottile, riduce l’incidenza dell’incrinatura nelle uova deposte in batteria, forse per puri motivi meccanici legati al basso peso della gallina. Quest’ipotesi è dimostrata dal fatto che qualunque peso aggiunto al pavimento della gabbia è in grado di determinare un trauma all’uovo, il quale, al momento della deposizione, va a cadere in una specie di conca. Lo stesso accadrebbe con galline pesanti. Da non sottovalutare il fatto che la minor lunghezza dei tarsi accorcia la distanza tra cloaca e pavimento. Infine, il temperamento delle nane, che spesso è meno irrequieto, salvaguarda l’uovo da possibili traumi.

Il contenuto in trigliceridi delle uova nane sale dal 14,8 al 22,9% e il contenuto di acido oleico scende dal 51,8 al 43,3%. Per gli igienisti ad oltranza ad impronta organicista, si può affermare che si tratta di differenze non significative. Una massima, che andrebbe scolpita nella mente di chi ci governa, scaturisce dalla mia esperienza: ne uccide più la psiche che la gola.

Mortalità

La maggior parte degli studi effettuati non mostra differenze significative tra i soggetti dotati di Dw+ e quelli portatori di dw. Addirittura pare che i soggetti nani si trovino più spesso avvantaggiati. Sulla capacità ad ammalarsi, analizziamo la seguente tabella comparativa:

Caratteristica

effetto di dw

Risposta alle malattie

 

Morbo di Marek

più resistente

Pseudopeste

nessuna differenza

Coccidiosi

nessuna differenza

Salmonellosi

nessuna differenza

Micoplasmosi

nessuna differenza

Colibacillosi

nessuna differenza

Spirochetosi

più resistente

Incidenti da deposizione

minor suscettibilità

Rickettsiosi

maggior suscettibilità

Dermatiti alimentari

maggior suscettibilità

Produzione di anticorpi alle alte temperature

maggior produzione con ridotta mortalità

Fertilità e Schiudibilità

Non esistono differenze significative tra giganti e nani, anche se pare siano avvantaggiati i polli dotati di dw a causa della ridotta percentuale di uova anormali.

4.2. adw

Questo gene causa nella Livorno una riduzione del peso corporeo pari al 30%, riduce la schiusa, ritarda la maturità sessuale, abbassa del 10% il numero di uova deposte. Unico dato positivo è una buona sopravvivenza. L’impiego di questo gene deve attendere ulteriori ricerche sulle anomalie riscontrate agli arti inferiori: non si è ancora potuto stabilire se si tratti di un effetto peculiare oppure se sia in causa un’interazione con altri geni, magari strettamente associati.

4.3. dwB

Gli studi di Coquerelle e Mérat (1979) hanno dimostrato, nella Nana Ardennese, una riduzione del peso adulto intorno al 13%, riduzione del 4% del peso medio dell’uovo, nessuna depressione delle uova deposte, conversione della razione migliorata del 4%. Questi dati sono stati confermati anche da Yoshida e Saito nel 1983.

5. Latitudine e mole corporea

Spesso mi sono chiesto: perché i polli tedeschi, sia giganti che nani, sono più voluminosi dei nostri? E perché dopo poche generazioni, qui da noi, tendono a rimpicciolire nella taglia?

Ho udito molte risposte di Allevatori. C’è chi dice che in Germania si somministrano ormoni. L’unico ormone da usare sarebbe il GH, carissimo in passato, perché estratto dall’ipofisi di uomini deceduti; ora è di sintesi ma è pur sempre molto caro e ce ne vorrebbero di fiale per far crescere un pollo! È ugualmente da escludere, per ovvie ragioni economiche, l’eventuale impiego di IGF1. Se poi venissero usati gli anabolizzanti steroidei, come fanno i culturisti per accrescere le masse muscolari, tali sostanze inibirebbero anziché favorire la statura del pollo a causa della precoce saldatura delle cartilagini di coniugazione.

C’è chi dice che è in causa l’alimentazione. Potrebbe trattarsi solamente di un’alimentazione più razionale, perché i principi alimentari sono uguali a tutte le latitudini.

C’è chi dice trattarsi di una severa selezione. E qui potrei concordare, perché con la selezione si metterebbero in risalto i fattori genetici. Però, è mai possibile che in poche generazioni qui in Italia si perda geneticamente quello che i Tedeschi hanno selezionato con anni di lavoro?

Da parte mia - però molto empiricamente - ho pensato a fattori come la luminosità: durante la crescita i polli tedeschi e quelli nordici hanno più ore di luce. Tutti sappiamo che gli spinaci non debbono crescere con la luna nuova: vanno in canna. I discendenti dei Vichinghi sono spesso degli spilungoni. Gli alberi, per la loro fotosintesi, necessitano di luce: più hanno ore di luce a disposizione, più gli alberi crescono, naturalmente messi in identiche condizioni di terreno e di umidità. I Paesi Nordici hanno alberi che spesso suscitano la nostra invidia.

Ma, non sono forse famosi gli Olandesi per rendere più minute le razze nane? Anch’essi dispongono delle stesse ore di luce dei Tedeschi. Quindi il fattore luce non dovrebbe rivestire un ruolo particolare nel caso dei polli nani.

Gli antibiotici, presenti in certi mangimi, hanno solo il potere di favorire una miglior utilizzazione dei principi alimentari al fine d’incrementare la massa corporea. In altre parole, il pollo che si nutre con tali mangimi, mangia di meno per raggiungere un certo peso.

Forse alcuni dei fattori citati si combinano in modo vario e in definitiva l’effetto ottenuto non riconosce una causa singola.

Un’importante osservazione del 1905 è contenuta in Le razze della gallina domestica di Teodoro Pascal che così riferisce:

Gli stabilimenti di polleria in Belgio - Da un articolo di Chasse et Pêche

“Una nuova industria si è fatta strada nelle grandi fattorie del Belgio. I coloni, che non eran giunti finora a tenere utilmente più di 100 o 150 galline da uova, ora in molte masserie non solo se ne contano 500, ma in parecchie, da un anno in qua, questo numero si è decuplicato.

“Le pollastre s’importano dall’Italia e se ne raccolgono le uova per due stagioni, in capo alle quali le galline, ben nutrite e giunte al massimo del loro peso, sono vendute per la cucina ad un prezzo maggiore di quel che non costarono da pollastre, e sono sostituite da altre di recente importazione.

“Si vede dunque che la teoria è nuova e si basa sulla divisione del lavoro. Le pollastre sono allevate in Italia e sfruttate nel Belgio, e le uova sono spedite in Inghilterra in condizioni al sommo favorevoli. Non avviene altrimenti dell’industria lattifera, dell’ingrassamento del bestiame, dell’allevamento equino in certe parti del paese.

“È un fatto curioso e meritevole di osservazione che le galline italiane importate nel Belgio depongono, una volta che sienvi acclimatate, un maggior numero di uova che non in Italia, e queste, per soprammercato, più grosse. Le uova del Belgio che si portano in Inghilterra pesano infatti 63 a 64 chilogrammi al mille, e le più grosse d’Italia non arrivano invece che a 58 o 59 chilogrammi.”

A questo punto Pascal esprime il suo commento:

“Ciò non ci reca maraviglia se riandiamo al fatto che espongo con alquanto dettaglio nel mio lavoro L’incrociamento in avicoltura, ossia, Teoria dell’Allevamento apparso sul Pollicultore penultimo ed ultimo numero del 1904. Cioè, che il cambiamento dell’ambiente agisce come infusione di nuovo sangue negli animali: questi, trasportati in altro posto si rinvigoriscono al punto da produrre con maggiore abbondanza uova e carne, che non l’avrebbero fatto nel loro paese nativo.”

La mia domanda rimane ancora senza risposta, perché non si sa cosa sarebbe successo se galline belghe fossero state importate in Italia.

Stando all’asserzione di Pascal che cambiamento di ambiente = infusione di nuovo sangue, i polli che ci portiamo a casa dalle Mostre dei Paesi d’Oltralpe dovrebbero, se non dare prole più grande, almeno aumentare di peso se sono ancora in grado di farlo. Ma credo che questo non accada e non accadrebbe.

Sta di fatto che le pollastre italiane, all’inizio del ‘900, trasportate più a nord, se non aumentavano di taglia - parrebbe di no -, crescevano in peso e deponevano uova più grosse e in maggior quantità.

Le notizie di Pascal mi paiono interessanti, perché lasciano supporre che al Nord c’era qualche fattore, non presente alle nostre latitudini, capace di migliorare le prestazioni di polli nati più a sud.

E su quelli nati al Nord, e che al Nord dimorano, potrebbe ugualmente agire tale ipotetico fattore nordico, senza che i polli abbiano necessità di uscire dal Paese natio ed emigrare al sud o in qualsiasi altra località per migliorare la loro performance?

Se la risposta fosse positiva, il fattore nordico potrebbe spiegare la taglia maggiore dei polli giganti ottenuta oltralpe.

Urs Lochmann, Giudice avicolo e Allevatore amatoriale di polli di Nedererlinsbach - a nord di Lucerna e nel cantone svizzero di Aargau - dà il suo contributo con i concetti seguenti.

Secondo la mia opinione il problema dipende da diversi fattori, ma il fattore ambiente è molto importante.

Fattori che possono influenzare la crescita

Composizione della razione

Un eccesso di fibre brute rallenta la crescita, un eccesso di proteine accelera l’apparato sessuale e la deposizione, e se questa è troppo precoce la crescita si arresta.

Influenza delle ore di luce

La durata dell’illuminazione accelera la crescita. Per i pulcini usciti dall’uovo in marzo, in Svizzera constatiamo che iniziano a deporre dopo 16-18 settimane, cioè molto presto. Se i pulcini sono nati in giugno, può accadere che essi non inizino a deporre nel corso dello stesso anno in cui sono nati, perché non hanno a disposizione lo stesso numero di ore di luce come quelli nati in primavera.

I miei amici svedesi Andersson e Hakansson mi hanno detto che essi hanno il sole di mezzanotte, quindi luce solare per 24 ore, e che le loro riproduttrici possono deporre solo in luglio. I pulcini nati da queste uova diventano rapidamente grandi, tant’è che possono partecipare alle mostre in dicembre.

Questo comprova che le ore di luce solare sono importanti per la crescita. In Svezia hanno molte ore di luce solare, ma non hanno una temperatura elevata.

Attenzione però: in Svizzera abbiamo constatato che se si lasciano crescere i pulcini con una lampada all’infrarosso, si hanno frequentemente delle deformazioni delle dita e dello sterno: essi mangiano 24 ore di seguito, ma la struttura scheletrica non ha il tempo di irrobustirsi per sopportare il peso della massa corporea.

Influenza della temperatura

L’eccesso di caldo e di freddo rallenta la crescita. In estate i polli non mangiano molto, al contrario bevono parecchio per eliminare calore. Se non mangiano in modo sufficiente, essi non possono crescere.

È possibile fare una prova: lasciar crescere i pulcini svizzeri dello stesso ceppo in parte presso un allevatore del Nord Italia in una zona alpina come Friuli o Alto Adige dove la temperatura è simile a quella svizzera, in parte in una zona con clima simile a quello padano. Si noteranno le differenze.

Oppure è possibile far nascere i pulcini in dicembre, come fanno gli Allevatori Tedeschi di razze pesanti. Infatti gli inverni in Italia non sono freddissimi. I pulcini cresceranno bene in primavera quando il clima è mite.

In effetti non posso che concordare con Urs sull’influenza del clima nel determinare la precocità sessuale: le nostre ragazze del Meridione hanno un menarca precoce rispetto alle ragazze di Milano, e queste anticipano senz’altro sulle Svedesi. Non è una novità quanto si dice a proposito della Madonna: pare abbia concepito Cristo all’età di 12 anni.

Le conoscenze acquisite attraverso l’osservazione degli uccelli si rivelano in gran parte valide per l’intero regno animale e di estrema importanza anche per la comprensione della filogenesi dell’uomo. Gli ornitologi hanno constatato che le sottospecie dei territori più freddi sono generalmente più grandi di quelle viventi in zone calde (legge di Bergmann) e che le prime hanno piedi e becco più corti rispetto alle seconde (legge di Allen). Entrambe queste caratteristiche sono da porsi in relazione al problema della dispersione termica: in rapporto al peso, i corpi più grandi hanno una superficie più ridotta e disperdono quindi una minor quantità di calore. Analogo significato hanno le piccole dimensioni di piedi e becco. Le due leggi sono applicabili anche ai mammiferi: quelli che vivono in paesi freddi hanno orecchie e coda più corte.

Credo sia utile meditare su quanto affermava nel 1931 il Reverendo inglese E. Lewis Jones, che era contrario a ulteriori incrementi ponderali fissati dal Club Inglese della Campine: 1.500 gr per le femmine, 2.400 gr per i maschi. Infatti, quasi lanciando un anatema dal pulpito, asseriva: “Dobbiamo ricordare che per ogni razza esiste un peso commerciale, oltrepassando il quale la Natura si vendica riducendo o la prolificità o il peso delle uova, oppure con ambedue le conseguenze negative. Non dobbiamo risvegliare Madame Natura.”  

6. POLLI E PSEUDOPOLLI SCANDINAVI

6.1. I polli scandinavi nel 1500

Pseudo galletti scandinavi così come appaiono in
Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642) di Bartolomeo Ambrosini

Le notizie storiche relative ai polli dei Paesi Nordici sono molto scarse, addirittura inesistenti. Anche se non intercorre alcun addentellato genetico con ciò di cui abbiamo appena disquisito, questa mi sembra la sede più opportuna per rendere omaggio a un misconosciuto storiografo svedese che parlò di polli: Olaus Magnus, il cui nome era Olof latinizzato in Olaus mentre il cognome Magnus era la latinizzazione di Månsson, figlio di Måns. Nacque  in Svezia a Linköping nel 1490 e morì a Roma nel 1557.

Spesso è necessario confinare le biografie in una nota a pie' pagina per non interrompere il fluire del discorso, ma per Olaus facciamo un'eccezione, e voglio altresì corredarla di un probabile autoritratto, come suggerisce Margareta Lindgren nella sua relazione al simposio sulla Carta marina svoltosi nel 2003 dal titolo Olaus Magnus, Carta Marina of 1539, and Historia, 1555. Infatti non possediamo alcun ritratto autentico di Olaus. Si può supporre che egli abbia raffigurato se stesso nel foglio E della Carta marina proprio al centro della mappa e forse è l'uomo che a piedi insieme al suo cavallo - ambedue con racchette da neve - sta attraversando il crinale che separa la Svezia dalla Norvegia.

Probabile autoritratto di Olaus Magnus mentre sta guidando il suo cavallo
attraverso le montagne che separano Svezia e Norvegia,
ambedue dotati di racchette da neve.
Carta marina (1539),
James Ford Bell Library, University of Minnesota.

Magnus Olaus alias Månsson Olof: vescovo cattolico, umanista, storico e cartografo svedese (Linköping 1490 - Roma 1557). Linköping è oggi capoluogo della contea di Östergötland, 170 km a sudovest di Stoccolma. Olof era fratello di Jöns Månsson alias Johannes Magnus (Linköping 1488 - Roma 1544) che nel 1523 era diventato arcivescovo di Uppsala. Dopo studi presso varie università straniere, nel 1518 Olof ebbe l'incarico di accompagnare attraverso il nord della Svezia il legato papale Giovannangelo Arcimboldi - che vendeva indulgenze a tutto spiano per costruire la basilica di San Pietro - acquisendo così conoscenze profonde del proprio Paese. Come cattolico Olof venne in conflitto con re Gustavo I di Svezia - Gustav Eriksson Vasa - salito al trono nel 1523, sostenitore della nuova Chiesa luterana, tant'è che nel 1524 Olof scelse di vivere in esilio prima a Danzica poi a Roma, imitato dal fratello Johannes che si unì a lui, e nel 1538 godettero anche dell'ospitalità del Doge di Venezia. Nel 1544, alla morte del fratello Johannes, Olaus fu nominato arcivescovo di Uppsala, ma non raggiunse mai la sua sede, preferendo vivere in esilio, durante il quale pubblicò due opere che lo resero celebre. La prima aveva il titolo di Carta marina et descriptio septentrionalium terrarum ac mirabilium rerum in eis contentarum in 9 fogli (1539) accompagnata da un commento in latino nella parte inferiore sinistra della mappa, nonché da due commenti stampati a parte, il più lungo in italiano, Opera breve, laquale demonstra, e dechiara, overo da il modo facile de intendere la charta, over delle terre frigidisseme di Settentrione, e quello più succinto in tedesco, Carta marina: Karte und Beschreibung der nordischen Länder mit ihren wunderlichen Dingen da cui forse Gessner attinse i dati per i suoi trattati di zoologia. La Carta marina costituì un abbozzo di ciò che sarebbe stato più tardi pubblicato col titolo di Historia de gentibus septentrionalibus (1555), una preziosa esposizione della vita, dei costumi, della fauna e della flora scandinava del Cinquecento, una descrizione di grande valore se si considera che fino ad allora le regioni nordiche erano note come terra incognita. L'Historia de gentibus septentrionalibus è corredata da circa 500 illustrazioni realizzate dallo stesso Olaus che, come già detto, ne prese spunto quando accompagnò nel 1518-1519 Giovannagelo Arcimboldi attraverso il Norrland, regione storica della Svezia settentrionale composta dalle attuali contee di Jämtland, Västernorrland, Västerbotten e Norrbotten. Dell'Historia stilata in latino vennero pubblicate edizioni integrali in italiano, tedesco, inglese, francese e olandese, nonché dei sunti, delle epitome, tant'è che - per esempio - in italiano i singoli capitoli erano preceduti dalla specifica abbreviamento.

Nemo propheta in patria!
I
nfatti la traduzione svedese di una parte dell'Historia venne pubblicata fra il 1909 e il 1925,
per essere ultimata solo nel 1951
.

La colpa – o il merito – di questa inaspettata digressione naturalistica in direzione nord è tutta di Aldrovandi, o se vogliamo, di uno dei suoi successori, Bartolomeo Ambrosini (1588-1657), il quale nel 1642 pubblicava Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium, un'appendice a tutto ciò che Aldrovandi aveva scritto nei suoi numerosi trattati sugli animali.

Ambrosini pubblica nei Paralipomena un'immagine che riconosce questo iter:

1 - Carta marina di Olaus Magnus
2 - acquarello di Aldrovandi basato sul disegno di Olaus
3 - successiva rielaborazione dell'acquarello di Aldrovandi e suo inserimento nei Paralipomena.

Se i volatili raffigurati da Olaus – che osserveremo più avanti - hanno sulla testa un qualcosa che somiglia più a un ciuffo che a una cresta, la loro rielaborazione pubblicata da Ambrosini nei Paralipomena depone in modo inequivocabile per galletti dotati geneticamente di cresta semplice.

Ma questi pseudo galletti che aprono il presente capitolo - e la cui paternità scandinavo-bolognese è stata difficile da appurare - non sono assolutamente galletti nordici descritti da Olaus, bensì dei membri assai trasfigurati della famiglia Tetraonidi - superfamiglia Fasianoidei – e perciò dei semplici parenti stretti della famiglia Fasianidi cui appartiene il genere Gallus.

Però Olof Månsson nella sua Historia de gentibus septentrionalibus (1555) parla anche del gallo, quello che fa chicchirichì, e del quale fornisce due immagini praticamente prive di cresta: un gallo lo troviamo al bordo di un laghetto in cui stanno trastullandosi delle anatre, l'altro fa compagnia a un'oca.

Prima di affrontare i Tetraonidi di Olaus – alias gli pseudo galletti riportati da Ambrosini - dedichiamoci ai galli della Scandinavia, il cui capitolo non venne però corredato da Olaus di alcuna immagine.

Gessner non poteva riferirci le notizie di Olaus relative al gallo scandinavo, in quanto il suo III volume sugli animali - in cui si parla del gallo e della gallina - veniva edito nello stesso anno in cui veniva pubblicata l'Historia di Olaus, cioè nel 1555. Invece Aldrovandi, quando nel 1600 dava alle stampe il II volume della sua ornitologia, aveva avuto ben 45 anni a disposizione per dare almeno uno sguardo al trattato di Olaus e desumerne le notizie sui polli scandinavi. Ma neppure Aldrovandi le riferisce. Il motivo è semplicissimo: Ulisse ebbe tra le mani un'epitome dell'Historia di Olaus, nella quale è inutile cercare il gallo. Sia la versione francese che quella italiana dell'epitome saltano il gallo a pie' pari. Un modo un po' strano di stilare un'epitome. Se per epitome si deve intendere un riassunto - un bigino, o meglio, un bignamino - allora tutti i capitoli di un trattato debbono comparirvi, ovviamente sintetizzati. Invece no: in queste epitomi dell'Historia una buona quota di capitoli viene omessa e i capitoli tramandati hanno un testo che corrisponde in toto a quello del capitolo originale.

Ci sono due dati interessanti da rilevare nel testo di Olaus relativo al gallo: la sua cresta era vittima obbligata del gelo e il colore del piumaggio era per lo più bianco, quello aborrito dagli antichi Romani.

Gallo nell'angolo inferiore destro che osserva anatre al bagno
da Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

Olaus Magnus Historia delle genti et della natura delle cose settentrionali (1565)

Liber xixDe Gallis – Cap. xii.

Libro xix - De li Galli - Cap. xii.

Galli etiam praecise in media nocte inchoant cantum, horisque (ut cunctis notum relinquitur) interpolatis continuant ad lucidum diem. eoque frequentius canunt, quo magis diei successerit hora. Crista plerunque consumitur gelu, pendetque abscindenda, ut stupida caro, ex albedine turpis, et pallida apparens. Tanta est Aquilonarium observantia in gallorum nocturno cantu, ut nullum horologium eligatur rectius in noctium progressione, vel distinctione. Sciunt etiam gallum facile sentire aurae mutationes, ex motu solis contingentes. cumque canit, se erigit, et alis percutit veluti nuntius (ut beato Ambrosio placet) vigilans, ad laborem solicitans dormientes: idque iucundius auditur in pagis, cavatisque montibus vicinis, ubi echo per ventum duplicat cantum: quo audito, tempestivius transitur ad opus. Veteri etiam observantia receptum est, et adhuc servatur, ut post gallicinium noctis, securiores a phantasmatibus, daemoniisque nocturnis, quam antea, sint viatores. Ideoque prima cura est novis inquilinis, aedes ingredientibus habitandas, ut rubei coloris potius habeant gallos, quam alterius: (nam fere omnes candidi sunt) quia caeteris omnibus perhibentur sagaciores. Canente gallo, latro fugatur, peregrinus et hospes solatur, et aegris incommodum alleviatur. Parientibus ergo foeminis, summaque aegritudine laborantibus, gallus non longe abest, ob felix omen, et temporis lapsum indicandum, ut probat Volater. lib. xxv: quos et dicit strepitu suo bellum, et faustam partubus nativitatem annuntiare. Utque tandem ad mensam convivantium meliores, crassioresque offerantur, iuniperi baccis, seu leguminibus, in toto Aquilone abundantibus, sicuti et aliae sylvestres volucres, saginantur. ut elegantiores, sanioresque carnes eorum reddantur.

Li Galli ancora precisamente incominciano il canto a mezza notte, e fino al giorno chiaro lo continuano, interponendo le hore: si come a tutti è manifesto, e tanto piu spesso cantano, quanto piu l'hora del giorno s'avvicina. Spesse fiate la cresta per il gielo si consuma, e pende per troncarsi, e cadere, mostrandosi come una carne stupida, e per la bianchezza brutta, e pallida. Tanta osservanza hanno gli Aquilonari – i Nordici -, al notturno canto de' Galli, che pensano che niuno horologio piu giusto si ritrovi nel misurare le hore, e procedere de le notti, e ne la distinzione del tempo. Sanno ancora che il gallo facilmente s'accorge quando il tempo dee guastarsi, o cangiarsi, per cagione del moto del Sole, e quando canta, si drizza, e si percuote con le ale, come un imbasciadore, stando vigilante <(come è opinione di Sant'Ambrogio)>, sollecitando quelli che dormono, che si levino a le fatiche. E questo ne le Ville con piu sollazzo si sente, e ne li vicini monti cavati, dove Echo, per cagion del vento, replica il canto, il quale udito, presto si levano ad operare. Ancora si è anticamente osservato, & ancora si osserva, che dopo il canto del gallo de la notte, li viandanti sono piu sicuri da le fantasme, e da li spiriti notturni, che prima non erano. Pertanto, quelli che nuovamente vanno ad habitare in un luogo, prendono particolar cura di haver piu tosto un gallo di colore rosso, che di altro (per che quasi tutti son bianchi) perche questi son tenuti piu sagaci de gli altri. Mentre che il gallo canta, li ladroni si fuggono, il pellegrino, e l'hospite si consola, & a quelli che sono in una grave infermità, e vicino il gallo, per il suo felice augurio, e per mostrargli quanto tempo sia trascorso: sì come pruova il Volterrano nel xxv. libro, il qual dice, che li Galli con il loro strepito annunziano la guerra, & a quelle che sono in parto, un felice partorire. Questi, accioche a le tavole de' conviti siano portati piu grassi, e migliori, si ingrassano con le granelle di ginepro, o con li legumi, che in tutto l'Aquilone sono abbondantissimi: come ancora si truova copia di tutti gli altri selvaggi uccelli; e ciò si fa, accioche le lor carni doventino piu sane, e piu soavi.

 

Gallo nel pollaio in compagnia di un'oca
da Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

6.2. Gli pseudo galletti scandinavi di Bartolomeo Ambrosini

Nel foglio F della sua Carta marina (1539) Olaus Magnus ha disegnato un nido occupato da uccelli e li sistema in Carelia, con lo sguardo rivolto verso Svezia e Norvegia. Sempre in Carelia, ma più a est, in cima a degli alberi colloca una coppia di Aves candidissimae in nivibus viventes. Gli uccelli nel nido e i due sull'albero saranno oggetto di trattazione separata nell'Historia de gentibus septentrionalibus, non foss'altro che per il colore del piumaggio. Infatti quelli del nido hanno piume nere, mentre in inverno quelli sull'albero hanno un piumaggio bianchissimo.

Nella Carta marina non si riesce a discernere se questi due diversi gruppi di uccelli siano dotati di cresta  dentellata come quella di un gallo, oppure di piume raccolte a mo' di cresta. Questo dubbio si rinnova anche a proposito dell'immagine presente in Historia de gentibus septentrionalibus, quella in cui nido e alberi stavolta sono giustapposti: infatti alcuni uccelli hanno una cresta, altri hanno un ciuffo sul quale forse gelo e umidità hanno prodotto lo stesso effetto di una lacca per capelli.

Nell'acquarello di Aldrovandi i nidiacei hanno tutti una bella crestolina dentellata e guardano a est verso la Russia. Nel rifacimento pubblicato da Ambrosini la cresta è inequivocabile e gli pseudo galletti guardano verso Svezia e Norvegia come nella Carta e nella Historia di Olaus.

Aves sub nive reclusae e Aves candidissimae in nivibus viventes in Carelia
da Olaus Magnus Carta marina (1539)

Aves sub nive reclusae e Aves candidissimae in nivibus viventes giustapposti
da Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

Aves candidissimae in nivibus viventes  o Aviculae nivales
da Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

Urogallus minor in septentrionalis cioè Aves sub nive reclusae rivolti verso la Russia
acquarello di Ulisse Aldrovandi - Bologna

Urogalli minores septentrionales cioè Aves sub nive reclusae rivolti verso la Russia
alias pseudo galletti di Ambrosini
da Bartolomeo Ambrosini Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642)

In base al piumaggio nero - absoluta nigritia in toto corpore, dice Olaus - e alla presenza di una cresta  - rossa nei maschi ma grigia nelle femmine, dice Olaus – nonché per il fatto che d'inverno costruiscono un igloo nella neve, dovrebbe essere facile identificare gli uccelli alloggiati nel nido avvalendoci della descrizione e non certo del disegno di Olaus. Quando la temperatura si abbassa al di sotto dei -4°C il Lyrurus tetrix – ma anche un altro Tetraonide, la Pernice bianca o Lagopus mutus - scavano delle buche nella neve per poter trascorrere dei periodi di riposo. Le buche sono lunghe circa 60 cm, vengono utilizzate una sola volta e permettono un notevole risparmio di energia. Infatti se all'esterno si osserva una temperatura dell'aria di -25°C, nella buca la temperatura raggiunge i +3.5°C. È comunque possibile che talvolta gli uccelli rimangano intrappolati nelle buche e muoiano.

Tutti gli studiosi di ornitologia, a cominciare da Gessner e da Aldrovandi per finire con Buffon, sono d'accordo sul fatto che nel caso di Olaus possa trattarsi di Tetraonidi, e precisamente del Lyrurus tetrix o Fagiano di monte o Gallo minore o Gallo forcello, detto anche Tetrao tetrix, oggi Black grouse in inglese, ma che in tempi passati suonava morhenna Anglorum e che Buffon nel 1771 chiamava Petit tetras ou Cocq à queue forchue.

Lyrurus tetrix – Gallo forcello
Tetrao minor per Ulisse Aldrovandi – collezione di acquarelli
- Bologna

Durante la stagione invernale il Gallo forcello – specialmente nelle regioni nordiche – non si nutrirebbe durante i 2-3 mesi più rigidi dell'inverno. Buffon in Histoire naturelle des oiseaux II (1771) riferisce tale dato alimentare con una certa di diffidenza, ma è costretto ad accettarlo in quanto lo riporta anche Linneo che aveva aperto e chiuso gli occhi in Svezia: "[...] car on prétend qu'en Norwège, il passe cette saison rigoureuse sous la neige, engourdi, sans mouvement & sans prendre aucune nourriture (Linnaeus Syst. nat. edit. X, pag. 159)[...]".

Maschio e femmina di Lyrurus tetrix secondo Naumann
Naturgeschichte der Vögel Mitteleuropas, Band VI, Tafel 9 - Gera, 1897
Sembra che il maschio abbia qualche traccia cromatica di piumaggio d'eclisse

Maschio e femmina di Tetrao urogallus - Gallo cedrone
Scultura in legno - Artigianato di Ortisei (BZ)
foto di Simone Savastano e Claudia Mattioli - 15 agosto 2006

Il Gallo cedrone è il nostro Tetrao urogallus, detto da Gessner e da Aldrovandi Tetrao oppure Urogallus maior, mentre il Lyrurus tetrix questi studiosi lo chiamavano Tetrao oppure Urogallus minor.

Il Lyrurus tetrix non possiede – come dice Olaus –  una cresta, bensì un sopracciglio rosso presente in entrambi i sessi che si fa più evidente nel maschio durante l'epoca degli amori, tanto da sembrare una cresta senza dentellature se visto da lontano. Inoltre, Olaus fa di ogni sesso un fascio: infatti se maschio e femmina potrebbero lontanamente - ma molto lontanamente - somigliarsi quando il maschio assume il piumaggio d'eclissi, egli è invece abitualmente diverso dalla femmina. Il piumaggio nuziale del maschio è nero-bluastro lucido, con barra alare e sottocoda bianchi, il suo abito d'eclissi è di colore brunastro chiazzato. Invece la femmina mostra sempre una livrea di tonalità brunastra con fitte barrature e macchie nere, barra alare e sottocoda bianchi.

Berhard Grzimek riferisce che in pianura il periodo degli amori inizia in marzo e raggiunge il culmine in aprile; in alta montagna – nelle Alpi il Lyrurus tetrix lo si trova anche a 2300 m – il periodo degli amori inizia in genere ai primi di maggio e si protrae fino a giugno avanzato, caratterizzato dalle danze dei maschi che avvengono in località particolari, le femmine li raggiungono e dopo aver terminato l'accoppiamento si allontanano, riservandosi l'intero onere dell'incubazione e dell'allevamento della nidiata. Esse preparano il nido scavando una buca nel terreno al riparo della vegetazione oppure di rocce e covano le 6-10 uova deposte per 24-26 giorni.  In base a quanto riferisce Heinz-Sigurd Raethel in Hühnervögel der Welt (1991) – gentilmente tradottomi da Pascal Gratz - la trasformazione dell'abito maschile da nuziale in quello d'eclissi prende inizio quando la femmina sta terminando l'incubazione: le piume blu scuro della testa e del collo vengono sostituite da piume color castano con riflessi ramati bordate di nero, la gola diventa biancastra e compaiono sul dorso isolate penne marroni, e dopo due mesi questo piumaggio viene sostituito da quello nuziale.

Quindi, ammesso che gli Aves sub nive reclusae di Olaus siano effettivamente dei Lyrurus tetrix, nell'igloo non dovrebbero rintanarsi solo uccelli neri -  solo maschi - ma anche femmine, che hanno un piumaggio un po' diverso da quello dei loro compagni.

Ultima cosa: il maschio è spesso poligamo, ma soprattutto – contrariamente a come poetizza Olaus – non aiuta assolutamente la femmina né nella cova né ad allevare e difendere i piccoli.

Maschio di Lyrurus tetrix con verosimile piumaggio d'eclissi
Splendida immagine di Luciano Gaudenzio che mi ha autorizzato a pubblicarla

Ho chiesto a Luciano Gaudenzio se si tratta di un maschio con piumaggio d'eclissi. Effettivamente questa ipotesi potrebbe essere valida, come risulta dalla sua relazione su quando e dove la foto venne scattata:
"1) Il periodo dello scatto è inizio giugno: era la prima volta che fotografavo in quell'arena e quell'anno, il 2004, la neve aveva reso impossibile fino a quel momento il raggiungimento del posto, situato a circa 1.600 m nel cuore delle Alpi Carniche; tanto era tardi, che temevamo che non ci fosse più nessuna schermaglia tra i galli. In parte era vero, poiché erano rimasti solo pochi esemplari e ormai i rituali non contemplavano le furiose lotte che contraddistinguono il periodo clou dell'innamoramento.
2) Le galline da tempo non frequentavano l'arena: stiamo parlando dell'arena probabilmente più frequentata dell'arco alpino, collettore di galli friulani e austriaci, poiché giace proprio sul confine, che al suo culmine vede la contemporanea presenza anche di 15 galli e 5-6 galline.
3) Il momento dello scatto coincide con il sorgere del sole, h. 6.00 ca.: in quel momento la luce è particolarmente calda e rossa, tanto che il colore del piumaggio potrebbe evidentemente risentirne."

(e-mail  del 4 aprile 2006)

Area di distribuzione del Lyrurus tetrix

A Gessner è invece accaduto di fare il contrario di ogni sesso un fascio. Infatti, come ha successivamente chiarito Buffon, Gessner – anche se con molta cautela – aveva dato vita a un nuovo genere di uccelli, il Grygallus, distinto in Grygallus maior e Grygallus minor, che invece altro non erano che la femmina del Tetrao maior nel primo caso e del Tetrao minor nel secondo.

Dopo queste indispensabili premesse, passiamo ai testi di Olaus, Gessner, Aristotele, Aldrovandi e Ambrosini relativi agli uccelli che d'inverno si rintanano sotto la neve o che vanno in letargo, testi che così risulteranno meglio comprensibili, trascritti dall'instancabile Fernando Civardi, che giustamente preferisce il latino all'italiano antico.

Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus (1555)

Olaus Magnus Historia delle genti et della natura delle cose settentrionali (1565)

Liber xixDe Avibus sub nive reclusis – Cap. xxxiii.

Libro xix - De  gli uccelli rinchiusi sotto la neve - Cap. xxxiii.

Sunt in Septentrionalibus terris galli sylvestres, quantitate similes phasianis, licet multo breviore cauda, et absoluta nigritia in toto corpore, et candentibus aliquot pennis in extremitate alarum, et caudarum. Mares rubea et eminenti crista, foeminae vero humili ac lata, colore griseo decorantur. Hae aves mirabili natura sustinent frigus immensum in nemoribus, uti anates in aquis, prout supra dictum est cap. de anate. Verum cum nives instar collium terrae superficiem ubique cooperiunt, ramosque arborum diutius deprimunt, et condensant, certos fructus betulae arboris (Gatulo Italice dictae) in forma longi piperis vorant, et glutiunt indigestos: idque tanta aviditate, ac quantitate, ut repletum guttur toto corpore maius appareat. Deinde partitis agminibus sese inter medios nivium colles immergunt, praesertim in Ianuario, Februario, Martio, quando nives ut turbines, typhones, vel tempestates gravissimae e nubibus descendunt, prout superius cap. de nivibus lib primo est expressum. Cumque coopertae sunt, penitusque ut nulla videatur conglobatae, certis hebdomadis cibo in gutture collecto egesto, ac resumpto vivunt. Venatorum canibus non produntur. attamen sagacitate expertorum venatorum saepius evenit, ut canibus in odore errantibus, ipsi signis deprehensis maximum numerum vivarum avium comprehendant, extrahantque ad magnum lucrum. Sed id fieri oportebit celeriter: quia audito canum latratu, mox vigore alarum (non secus ac agmina apum) erumpunt, et se in sublime efferunt. Quod si praesentiunt nivem imminere maiorem, praedicto fructu iterum devorato, aliud domicilium captant, inque eo manent usque ad finem Martii, vel celerioris resolutionis nivium, sole Arietem egrediente: tunc enim nive liquefacta, naturae instinctu (ut multae aliae aves) a latebris surgunt, ova pullosque producturae: et hoc in montibus, ubi vepres sunt, et arbores densae. Mares et foeminae vicissim ova cubant, et uterque pullos observat, et praesertim mas, ne ab aquila, vel vulpe rapiantur.

Ne le terre Settentrionali, sono certi galli salvatichi, simili di grandezza a li Fagiani, quantunque habbiano la coda molto piu {torta} <corta>, et in tutto il corpo sono negri, e solo ne le estremità de le ale, hanno alcune penne bianche, e ne la punta de la coda. Li maschi hanno una cresta rossa, et eminente, le femine l’hanno bassa, e larga, di color grigio. Questi uccelli con mirabil natura sostengono ne le selve l’immenso freddo, come fanno le anatre ne le acque: come s’è detto nel cap. de le anatre. Ma quando le nevi cuoprono la superficie de la terra, in ogni luogo, e vi s’alzano come colline, et abbassano li rami de gli alberi, per lungo tempo, allhora mangiano li frutti de l’albero, detto Betula, che sono in forma di pepe lungo, e quelli gollano, senza altrimenti masticare; il che fanno con tanta avidità, et in tanta quantità, che quando il gozzo è pieno, è maggiore di tutto il resto del corpo. Quindi divisi in molte schiere, si sommergono in mezo a li monti di neve, e massime nel mese di Gennaio, Febraio, e Marzo, quando le nevi con turbini discendono in grandissima copia da le nuvile, e con tempeste: come di sopra nel primo libro, al cap. de le nevi si è espresso. E poi che sono ben ricoperti, et al tutto raccolti insieme, in modo che niuno se ne vegga, con il cibo, che nel gozzo hanno raccolto, per alquante settimane ripigliandolo, e masticandolo, si vivono. Questi uccelli non sono scoperti da li cani de’ cacciatori: ma per la sagacità di pratichi cacciatori, spesso avviene, che perdendoli li cani a l’odore, essi per li segni, che conoscono, gran numero di questi uccelli ritrovano, e fuori li cavano, onde fanno gran guadagno. Ma questo fa bisogno far presto, perche udito che hanno l’abbaiare de’ cani, subito per forza de le ale (come sciami di api) rompono la neve, e fuori se ne volano. E se si accorgono dover maggior neve cadere, di nuovo empitisi del predetto frutto, ritrovano un’altro ricovero, dove dimorano fino al fine di Marzo, overo quando le nevi piu tosto si risolvono, quando il Sole entra in Ariete, perche allhora essendo distrutta la neve, per istinto di natura (come molti altri uccelli fanno) escono fuori de’ luoghi, dove si sono ascosi, per produrre le uuova, e li pulcini; e questo fanno ne li monti, dove sono li vepri e gli alberi piu spessi, li maschi, e le femine, scambievolmente covano le uuova, et ambedue poi guardano li pulcini, e massime il maschio, accioche non siano da l’Aquila, o da la Volpe rapiti.

 

Come abbiamo già detto, per la stesura del III volume della sua Historia animalium Conrad Gessner non poteva consultare l'Historia de gentibus septentrionalibus di Olaus Magnus poiché ambedue i testi venivano editi nel 1555. Infatti nella bibliografia delle opere disponibili catalogata nel I volume dell'Historia animalium (1551) - costituita da 251 autori - tra gli Authores Germanici Gessner cita 242. Olai Magni tabula & libellus de insulis & regionibus Oceani Septentrionalis Europaei. Con ogni probabilità questo libellus corrispondeva al commento in tedesco alla Carta marina dal titolo Carta marina: Karte und Beschreibung der nordischen Länder mit ihren wunderlichen Dingen che forse non conteneva alcuna notizia relativa al colore del piumaggio degli uccelli rinchiusi sotto la neve di Olaus, per cui Gessner conclude il brano relativo all'Urogallus minor lasciando la possibilità di identificare gli uccelli di Olaus e di Aristotele con dei lagopedi, i quali in inverno hanno però piumaggio bianco e non nero. Se Gessner avesse letto che gli uccelli di Olaus avevano piumaggio nero - absoluta nigritia in toto corpore - non avrebbe concesso questa possibilità interpretativa. E vedremo che anche Aristotele non accenna minimamente al colore del piumaggio. La notizia del piumaggio absoluta nigritia in toto corpore è presente sia nell'edizione integrale che nell'epitome dell'Historia de gentibus septentrionalibus, ma verosimilmente non compare nel commento in tedesco alla Carta marina, il libellus consultato da Gessner.

Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 477
fine del capitolo De Urogallo minore

Urogalli minores in Septentrione (in Norvegia et finitimis regionibus) duobus aut tribus mensibus sub nive sine cibo latitant: interim tamen aliquando a venatoribus capiuntur, Olaus Magnus. Eaedem forte aut similes aves fuerint, de quibus Aristoteles in libro Mirabilium narrationum: In Ponto (inquit) aiunt per hyemem aves quasdam reperiri, quae neque excernant, neque cum pennae eis avelluntur, sentiant, neque cum veru transfiguntur, sed tum demum cum ab igne incaluerint. Nisi quis lagopodes potius accipiat, quae in summis & frigidissimis, ubi ne frutex quidem prae frigore ullus crescit, alpium iugis degunt.

Nelle regioni nordiche (in Norvegia e regioni confinanti) gli urogalli minori se ne stanno nascosti sotto la neve per 2-3 mesi senza cibo: tuttavia talora in quel periodo vengono presi dai cacciatori, Olaus Magnus. Forse si tratta degli stessi uccelli o di uccelli simili a quelli che Aristotele ha citato nei Mirabilia quando dice: Dicono che nella regione del Ponto durante l'inverno si trovano degli uccelli i quali né svuotano l'intestino, né si accorgono quando vengono loro tolte le penne, né quando vengono trafitti da uno spiedo, ma solo quando infine vengono scaldati dal fuoco. A meno che qualcuno preferisca intendere trattarsi di lagopedi, i quali vivono sulle sommità dei monti freddissimi delle Alpi dove a causa del freddo non cresce neppure un arbusto.

Aristotele Mirabilia 63, 1. Dicono che in inverno nel Ponto vi siano alcuni uccelli nascosti in letargo nel nido, che non si accorgono di evacuare, né di essere spennati, né di essere conficcati sullo spiedo, ma solo di essere bruciati sul fuoco. 2. Dicono che anche molti pesci non si rendano conto di essere colpiti e tagliati, ma si accorgono solo di essere bruciati dal fuoco.

Gabriella Vannotti così annota: Questo, come i capitoli successivi sino al 67, descrive le peculiarità di alcune specie animali in letargo. Quindi è probabile che questo gruppo di passi derivi dall’opera teofrastea sugli animali in letargo (così Giannini e Flashar). In particolare l’ultima parte del cap. 63 trova riscontro in Teofrasto (fr. 171, 8).

Carta fisica della Turchia che evidenzia molto bene la semiluna bianca dei Monti Pontici o Monti Eusini orientali
i quali fanno da sfondo a Trebisonda e culminano nei 3937 metri del Kaçkar dagi

Attenzione! Ci concediamo una divagazione ornitologica in quanto adescati da Gessner, non certo da Aristotele, il quale, non fornendo alcun fenotipo dei suoi uccelli che in inverno vanno in letargo nascosti nel nido, renderebbe alquanto assurda questa digressione. Grazie a Gessner questa parentesi arricchirà la nostra cultura e darà conforto alla sua ipotesi: che cioè gli uccelli di Olaus possano essere gli stessi o perlomeno dei parenti prossimi di quelli di Aristotele.

Sul Caucaso e sui Monti Pontici – o Monti Eusini – vive un Tetraonide strettamente imparentato con il Lyrurus tetrix. Si tratta del Fagiano di monte del Caucaso o Lyrurus mlokosiewiczi o Tetrao mlokosiewiczi, una specie sedentaria che a seconda della stagione vive a un'altitudine di 1500-3300 metri sulle pendici dei monti dove vegetano il rododendro e altri arbusti nonché ai bordi delle foreste di betulla. Heinz-Sigurd Raethel in Hühnervögel der Welt (1991), ancora gentilmente tradotto da Pascal Gratz , non accenna a costruzioni di igloo da parte di questo Tetraonide come invece riferisce a proposito del Lyrurus tetrix, e dice solo che in inverno si sposta ad altitudini minori.

Lyrurus mlokosiewiczi o Tetrao mlokosiewiczi di Keulemans

Nel 2004 si calcolava che in Turchia fossero presenti 1000-1500 individui di Lyrurus mlokosiewiczi. Il maschio, monogamo, ha sopracciglia rosse, piumaggio nero, una coda lunga, forcuta e arrotondata a forma di lira, mentre quella della femmina non è arrotondata. La femmina, dotata di un piumaggio grigio con barrature scure, depone fino a 10 uova in piccoli avvallamenti del terreno che lei stessa crea raspando, e si assume la completa responsabilità della cova - che dura circa 28 giorni - e dell'allevamento dei piccoli. Il nome scientifico ricorda il naturalista polacco Ludwik Mlokosiewicz (1831-1909).

Area di distribuzione del Lyrurus mlokosiewiczi
o Tetrao mlokosiewiczi

Aldrovandi non consultò il testo integrale di Olaus, ma solo una sua epitome, di cui esistono – come già detto – almeno due traduzioni, una italiana e una francese. Quella italiana, tradotta da Remigio Nannini, porta il titolo di Storia dei popoli settentrionali (1561) e quella francese di Histoire des pays septentrionaux (1561). In entrambe le epitomi sappiamo che è inutile cercare il capitolo dedicato al gallo, essendo presente solo nella versione integrale di Historia de gentibus septentrionalibus.

Come vedremo tra poco, la preparazione ornitologica di Aldrovandi fa brodo da tutte le parti. Gessner non si oppone all'affermazione di Olaus che 'sti benedetti uccelli possano svernare sotto la neve, Aldrovandi invece dissente totalmente da Olaus e solo per rispetto, per doveroso rispetto nei confronti dell'Ornitologo, non può esimersi dal riferire l'ipotesi di Gessner che gli uccelli del Ponto siano simili a quelli di Olaus, cioè degli Urogalli minores.

Ulisse Aldrovandi Ornithologiae tomus alter (1600) pag. 69
fine del capitolo De Urogallo minore

Olaus Magnus – l. 19 Epitome Historia de gentibus septentrionalibus – in Septentrione (in Norvegia et finitimis regionibus) Urogallos minores tradit sub nive duobus aut tribus mensibus sine cibo latitare, interim tamen a venatoribus capi. Verum numquid id nostris Urogallis minoribus competat, mihi minime constat: Ornithologus similes aves illis putat, de quibus alibi Aristoteles – in Mirabilibus -, aut eius simius, mirabilium scilicet author, ita scribit: In Ponto, aiunt, per hyemem aves quasdam reperiri, quae neque excernant, neque cum pennae eis avelluntur, sentiant, neque cum veru transfiguntur, sed tum demum cum ab igne incaluerint. At quis amabo ita mentis inops, qui istaec credat? horrere membra frigore ita concesserim ut nihil sentiant, id similiter in gliribus expertus; veru vero transfigi sine laesione nec Cicero, eloquestissimusve alius mihi unquam persuaserit.

Olaus Magnus – nel libro xix dell'epitome di Historia de gentibus septentrionalibus – riferisce che nelle regioni nordiche (in Norvegia e regioni confinanti) gli urogalli minori se ne stanno nascosti sotto la neve per 2-3 mesi senza cibo: tuttavia talora vengono presi dai cacciatori. Ma a me non risulta assolutamente che ciò sia una caratteristica dei nostri urogalli minori. L'Ornitologo – Conrad Gessner – ritiene trattarsi di uccelli simili a quelli sui quali Aristotele – in Mirabilia – o il suo scimmiottatore, cioè l'autore dei Mirabilia, così scrive: Dicono che nella regione del Ponto durante l'inverno si trovano degli uccelli i quali né svuotano l'intestino, né si accorgono quando vengono loro tolte le penne, né quando vengono trafitti da uno spiedo, ma solo quando infine vengono scaldati dal fuoco. Ma, di grazia, chi ha così poco cervello da credere a simili fandonie? Sarei pronto a concedere che le loro membra tremano a tal punto per il freddo da non avvertire nulla, così come ho potuto constatare nei ghiri; ma che vengano trafitti senza danni con uno spiedo non mi convincerebbe né Cicerone o un'altra persona altrettanto assai eloquente.

 

Bartolomeo Ambrosini, appena dopo aver citato Aristotele, ci mette una pulce nell'orecchio: alcuni uccelli extraeuropei hanno effettivamente la possibilità di ibernare. Uno spunto assai interessante, avvalorato da ben più recenti osservazioni scientifiche. Da notare che Ambrosini accusa anche Aldrovandi di incredulità, & quamvis aliqui id sibi persuadere nequeant, un'incredulità dovuta ovviamente al fatto che – mettiamola così – essendo Aldrovandi morto nel 1605 non poteva conoscere quegli uccelli americani che andavano in ibernazione tanto come quelli di Olaus.

Però Gessner, che pubblicava la sua ornitologia 45 anni prima di Aldrovandi, si comportò ben diversamente dal Bolognese: si comportò sempre da probabilista, come dev'essere qualsiasi scienziato che voglia fregiarsi di questo titolo.

Urogalli minores septentrionales
 da Bartolomeo Ambrosini Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642
)

Bartolomeo Ambrosini Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642) pag. 13-15
De Gallinis et Urogallis

De Urogallo postea tam maiori, quam minori in secundo Ornithologiae tomo fusius egit Ulysses Aldrovandus quos Tetraonem maiorem, & minorem appellavit. Verum Olaus, Magnus, praeter memoratos, alios Urogallos minores, in septentrione, nimirum in Norvegia, & regionibus finitimis, degere scripsit, qui sub nive duos aut tres menses, absque cibo latibulantur, fortassis eo modo, qui pingitur in superiori icone: ideoque tunc a Venatoribus facile capiuntur.

Successivamente nel II volume di ornitologia Ulisse Aldrovandi ha fatto una lunga trattazione dell'urogallo sia maggiore che minore, che chiamò tetraone maggiore e minore. Ma Olaus Magnus oltre agli uccelli testé citati ha scritto che in Norvegia e nelle regioni confinanti vivono altri urogalli minori che si nascondono sotto la neve per 2-3 mesi senza cibo, forse nel modo in cui li si raffigura nella precedente immagine: e che pertanto in quel periodo vengono facilmente catturati dai cacciatori.

Hos igitur si attente Lector meditabitur proculdubio discrepare ab illis asseverabit quos Clarissimus Aldrovandus loco citato delineavit.

Pertanto se il lettore li analizzerà con attenzione senza dubbio si renderà conto che sono dissimili da quelli che l'illustrissimo Aldrovandi ha descritto nel capitolo che abbiamo indicato.

Hae autem aves, iuxta sententiam Ornithologi, non erunt absimiles illis, de quibus in libro mirabilium Aristoteli adscripto, haec habentur. In Ponto per hyemem quaedam aves reperiuntur, quae neque excernunt, nec si pennae avelluntur sentiunt, nec etiam si veru transfigantur, sed tantummodo quando ab igne incaluerint, & quamvis aliqui id sibi persuadere nequeant: attamen quando inferius de avicula epilepsiae verba fient, & illius proprietates narrabuntur, procul dubio id etiam credent.

In verità questi uccelli, a giudizio dell'Ornitologo, non dovrebbero essere diversi da quelli di cui si parla nel modo seguente nel libro dei Mirabilia attribuito ad Aristotele. Nella regione del Ponto durante l'inverno si trovano degli uccelli i quali né svuotano l'intestino, né si accorgono quando vengono loro tolte le penne, e neppure se vengono trafitti da uno spiedo, ma solo quando vengono scaldati dal fuoco. E nonostante alcuni non riescano a crederci, tuttavia quando più avanti si parlerà dell'uccellino dell'epilessia, e verranno riferite le sue proprietà, senza dubbio crederanno anche quanto riferito da Aristotele.

 

La curiosità è fonte del sapere, per cui non possiamo non voler indagare sull'identità  delle aviculae epilepsiae di Ambrosini. Oltretutto questi uccellini renderebbero giustizia ad Aristotele. Dopo aver descritto alcuni uccelli di piccole dimensioni del Nuovo Mondo, tra cui il colibrì, così prosegue Ambrosini:

Bartolomeo Ambrosini Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium (1642) pag. 17-18
De avibus parvis Indiae

Sunt tamen hae aviculae diversae speciei, quarum unam Indi {Hoitzitziltototl} <Huitziltototl> appellant: nos variam avem diceremus, quia plumis tegitur vario colore infectis, quibus postea artificiose copulatis, & contextis Divorum effigies, & quarumlibet aliarum rerum imagines Indi artifices eleganter exprimunt. His aviculis talis est natura, ut eatenus volitent, quatenus herbae, & flores perdurant virides, quorum succo aluntur: quandoquidem adventante hyeme ad Pinus, vel alias arbores confugiunt, & de earum ramis tamquam mortuae rostro se suspendunt, donec vernantibus agris, & reflorescentibus herbis, denuo reviviscant, seu potius expergiscantur; indeque ad florulenta loca evolent, similes vices pluries subiturae, neque hoc nugamentum videri debet: siquidem hoc multorum virorum fide dignissimorum testimonio compertum est [...]. Insuper referunt huius avis concrematae pulverem epilepticis summo esse adiumento [...] propterea non immerito avis epilepsiae esse nuncupanda.

Tuttavia questi uccellini appartengono a specie diverse, una delle quali gli Amerindi la chiamano Huitziltototl – colibrì: noi lo chiameremmo uccello variopinto, in quanto è ricoperto da piume di diversi colori, e successivamente, dopo averle giustapposte e intessute con gusto artistico, gli artigiani Amerindi raffigurano in modo elegante gli Dei e qualsiasi altra cosa. Questi uccellini sono dotati di un comportamento tale per cui continuano a volare fintanto che erbe e fiori, della cui linfa si nutrono, continuano a vegetare: ma con l'avvicinarsi dell'inverno si rifugiano sui pini o su altri alberi e col becco si appendono immobili ai loro rami come se fossero morti finché ricominciano a vivere, o meglio, si destano, quando i campi rinverdiscono e le erbe rifioriscono; quindi volano verso luoghi ricchi di fiori, e sarà un continuo andirivieni, e ciò non deve sembrare una presa in giro: dal momento che ciò è stato assodato in base alla testimonianza di molte persone assai degne di fede [...]. Inoltre riferiscono che le ceneri di questo uccello cremato giovano moltissimo agli epilettici [...] motivo per cui giustamente deve essere chiamato uccello dell'epilessia.

 

Buffon parla degli uccelli mosca – o colibrì – in Histoire naturelle des oiseaux VI (1779) e non è assolutamente d'accordo con l'ipotesi che durante l'intera brutta stagione questi uccelli vadano in letargo appendendosi col becco agli alberi come se fossero morti. Così scrive Buffon a pagina 9: "[...] on a dit qu'ils mouroient avec les fleurs pour renaître avec elles: qu'ils passoient dans un sommeil & un engourdissement total toute la mauvaise saison, suspendus per le bec à l'écorce d'un arbre; mais ces fictions ont été rejetées par les Naturalistes sensés (voyez Willughby), & Catesby assure avoir vu durant toute l'année ces oiseaux  à saint-Domingue & au Mexique, où il n'y a pas de saison entièrement dépouillée de fleurs."

Vediamo se ha ragione Buffon e se a Bartolomeo Ambrosini hanno raccontato panzane. Verificheremo nel contempo se il Lyrurus tetrix vada o meno in letargo.

Il termine letargo deriva dal greco lëthargos, da lëthë = oblio + argós = pigro, cioè, essere dimentichi di tutto e di tutti rimanendo inattivi. Nell'uomo per letargo si intende un sonno profondo e protratto di origine patologica. Al di fuori degli esseri umani per letargo si intende uno stato di quiescenza o di vita latente in cui cadono periodicamente molti animali il cui habitat è soggetto a forti variazioni climatiche stagionali e che pertanto consente loro di superare quei periodi dell'anno altrimenti sfavorevoli al loro organismo.

Il letargo viene impropriamente detto ibernazione in quanto le prime osservazioni furono svolte su mammiferi (ghiri, marmotte) che cadono in letargo nel periodo invernale. Esiste una forma di letargo che si verifica invece d'estate, e in tal caso si parla di estivazione.

Il vero e proprio letargo è caratteristico di vari invertebrati, dei vertebrati terrestri eterotermi - una volta detti a sangue freddo o pecilotermi, cioè dalla temperatura variabile - e di alcuni mammiferi, specialmente roditori, insettivori e chirotteri (o pipistrelli). Gli uccelli non vanno in letargo, in quanto con le migrazioni periodiche moltissime specie si sottraggono agli effetti negativi delle variazioni climatiche. Al massimo alcuni uccelli presentano un torpore, che è un letargo all'acqua di rose.

Anche i pesci migrano, ma quei pesci che non sono in grado di compiere migrazioni né orizzontali né in profondità possono andare in letargo estivo, detto appunto estivazione, che consiste nel parziale rallentamento delle attività metaboliche per mancanza di acqua. Un esempio è rappresentato dal Dipnoo africano o Protopterus dolloi, un pesce d'acqua dolce la cui caratteristica peculiare è quella di possedere un rudimentale polmone derivante da un’estroflessione ventrale dall’esofago e che gli consente di respirare aria e di sopravvivere per lunghi periodi anche in assenza di acqua. Ma durante l’estivazione il dipnoo secerne un bozzolo costituito da muco e sali e va incontro a uno stato di torpore caratterizzato da modificazioni metaboliche e cardiorespiratorie, quali il decremento del consumo di ossigeno, la riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna nonché un risparmio di acqua corporea. Il tutto in attesa di tempi migliori, cioè di piogge.

Ecco alcuni mammiferi a noi più noti che cadono in letargo invernale o ibernazione: echidna (il più arcaico tra tutti i mammiferi viventi), ornitorinco, marmotta, ghiro, criceto, riccio, quasi tutti i pipistrelli. Anche istrice, orso bruno, orso polare e tasso presentano periodi di immobilità invernale, ma si tratta di un fenomeno meno profondo di un vero letargo, che è ereditario, e la cui prima origine può forse ricondursi a un adattamento ai periodi glaciali da parte di animali abituati al clima caldo del Pliocene. Il Pliocene è il più breve dei periodi cenozoici: il suo limite superiore è posto intorno a 2 milioni di anni fa, l'inferiore intorno a 7 milioni di anni orsono, quando comparve il genere Gallus.

Nei vertebrati a sangue freddo – eterotermi, pecilotermi – i problemi che l'animale deve risolvere per entrare in letargo sono piuttosto semplici in quanto i meccanismi della termoregolazione non necessitano di sostanziali modificazioni.

Invece nei mammiferi ibernanti il problema è molto complesso. La temperatura corporea può scendere da 37-38°C dello stato di veglia fino a 4°C del letargo, il metabolismo basale può ridursi allo 0,2% di quello abituale e la frequenza cardiaca al minuto rallentare sino a 1-2 battiti. La capacità di termoregolazione non è andata perduta, in quanto se la temperatura esterna cala anche parecchio al di sotto dello zero, la temperatura dell'animale ibernante resta fissa a qualche grado sopra lo zero. Quando l'animale ibernante viene risvegliato, la sua temperatura risale rapidamente fino a 38°C grazie a un'intensa produzione di calore bruciando zuccheri nonché i grassi del tessuto adiposo bruno.

Il letargo è preceduto da un accumulo di grassi che comporta quasi il raddoppio della massa corporea. Il tessuto adiposo in cui i grassi si accumulano serve da fonte energetica per il letargo. Inoltre, al fine di ridurre l'eccessiva disidratazione, pare si instauri un aumento della secrezione di ormone antidiuretico (ADH) da parte del lobo posteriore dell'ipofisi.

L'accumulo di lipidi di riserva in previsione del letargo titilla i miei pallidi ricordi di matricola di medicina, quando appresi una notizia che incamerai nei recessi della mente e che utilizzai molto di rado. In sostanza: anche nell'uomo esiste un particolare tipo di tessuto adiposo che è parente stretto di quello degli orsi e che non scompare mai, anche se un soggetto si riduce – o viene ridotto - a fattezze tipo Mauthausen. Mi pare anche di ricordare che questo tessuto adiposo venga detto grasso bruno. Rispolvero subito i testi di anatomia normale e patologica, di fisiologia – non quello di istologia che si è volatilizzato - ma non trovo conferma al mio pallido ricordo. Stai proprio invecchiando, caro Corti! Al che mi ribello: cellularizzo al mio bibliotecario elettronico fresco di studi di medicina – alias Simone Savastano – e anche lui la pensa come me. Mi chiede solo un breve lasso di tempo. Dopo poche ore mi telefona: rientrato a casa – prima stava maneggiando cuori – sfodera il sacro testo di istologia di Emilio Casasco (che fu mio docente) e mi propina quanto segue, che voglio propinare anche a voi.

"Il tessuto adiposo è abbondantemente rappresentato nell'organismo umano (costituisce circa il 10-15% del peso corporeo); la sua quantità è molto variabile a seconda della regione del corpo, della costituzione, dell'età, del sesso e dello stato di nutrizione. [...] Nel forte dimagramento il tessuto adiposo può diminuire notevolmente; in alcune regioni tuttavia non scompare neppure negli stati di più avanzata denutrizione (bolla adiposa della guancia, corpo adiposo dell'orbita, grasso della fossa temporale, del pericardio, della loggia renale, della pianta dei piedi, dei genitali esterni femminili).[...] Vi sono due tipi di tessuto adiposo: il tessuto adiposo bianco o giallo detto anche tessuto adiposo univacuolare o grasso bianco o grasso secondario, che costituisce la maggior parte del grasso dell'organismo umano, e il tessuto adiposo bruno o tessuto adiposo multivacuolare o grasso bruno o grasso primario, che si trova localizzato in piccola quantità solo in alcune regioni del corpo. Le due varietà sono rappresentate in quantità differenti nelle varie specie animali: il grasso bruno è abbondante negli animali ibernanti, mentre è molto scarso nell'uomo. [...] Mentre il grasso bianco svolge un ruolo fondamentale nel trofismo dell'organismo costituendo un'importante riserva di materiale energetico, il grasso bruno ha invece il compito di produrre calore che viene utilizzato dagli animali all'atto del risveglio dopo l'ibernazione. [...] L'intenso colore rosso-marrone è conferito al tessuto adiposo bruno da un lipocromo ma specialmente dai citocromi presenti nei mitocondri, grossi e ricchi di creste, che, numerosissimi, occupano gran parte del citoplasma. [...] Il grasso bruno si trova accumulato in particolari regioni (principalmente in quella interscapolare) del corpo di vari animali, specie di quelli ibernanti, e nell'uomo neonato; nell'adulto la sua presenza è dubbia o comunque si riscontra in quantità molto limitata (nella capsula adiposa del rene e nel cavo ascellare)." (Emilio Casasco, Citologia Istologia, La Goliardica Pavese, 1992)

Disegno da microfotografia di tessuto adiposo bruno – Le cellule adipose, di forma poligonale, contengono un elevato numero di gocciole lipidiche e per questo il tessuto adiposo bruno è detto anche multivacuolare. Infatti il tessuto adiposo bianco è detto univacuolare in quanto le sue cellule contengono un'unica goccia di grasso che conferisce loro una forma non poligonale, ma tendenzialmente rotondeggiante. (da Emilio Casasco, Citologia Istologia, La Goliardica Pavese, 1992)

Viene un sospetto: che anche l'uomo, alcuni milioni d'anni fa, anziché andare a sciare, si prendesse delle vacanze metaboliche ricorrendo a un qualche letargo per ridurre l'affanno esistenziale? Oddio, spesso diciamo: sei proprio un orso. Ma il riferimento non è metabolico, bensì comportamentale. Per non essere degli orsi nel senso anzidetto, cercate di avere rispetto del tessuto adiposo perenne che state ghermendo fra indice e medio quando fate uno sganascino: state vellicando la bolla adiposa della guancia, così prominente nei bimbi, detta anche bolla adiposa del Bichat, descritta dal medico francese Marie François Xavier Bichat (Thoirette, Giura, 1771 - Parigi 1802). Se sarete delicati, a Xavier sembrerà un atto di rispetto anche nei suoi confronti.

Per alcuni interventi di neuro e cardiochirurgia si pratica nell'uomo l'ibernazione artificiale o ipotermia controllata: di solito immergendo il paziente in un bagno di acqua a 0ºC si porta la temperatura corporea a livelli non inferiori a 25°C, ma che con tecniche aggiuntive può essere fatta scendere al di sotto di 20°C. Mediante l'adeguato abbassamento della temperatura corporea si ottiene un rallentamento dei processi vitali e di conseguenza una più prolungata e più sicura anestesia generale, con il vantaggio di poter interrompere la circolazione sanguigna per un tempo relativamente lungo, il che è particolarmente utile in interventi sul cervello e sul cuore.

Sono soprattutto i piccoli uccelli a basare la loro alimentazione su nettare e insetti, e quando le risorse alimentari diventano scarse l'ipotermia permette alla loro temperatura corporea di scendere al di sotto dei livelli normali. Gli uccelli hanno un metabolismo basale elevato e quindi consumano elevate quantità di energia. E gli uccelli più piccoli - come i colibrì - hanno un metabolismo basale che è più elevato rispetto a tutti gli altri uccelli. Infatti in linea di massima il metabolismo basale è in relazione inversa con la massa corporea, per cui gli uccelli più grossi consumano meno energia per unità di peso. L'ipotermia viene generalmente scatenata da una ridotta disponibilità di cibo, oppure da una riduzione delle riserve energetiche, oppure da ambedue i fattori. Negli uccelli esistono due tipi fondamentali di ipotermia: l'ipotermia notturna e il torpore.

      

Metallura "Heterocerca" a sinistra – Oreothrochilus estella a destra
due colibrì di John Gould
(Lyme Regis, Dorset, 1804 - Londra 1881
).

Il colibrì Metallura aeneocauda - Sanctuario national de l'Ampay, Perù
aprile 2005 – foto di Valère Claverie

Colibrì: nome comune degli Uccelli Apodiformi, detti anche uccelli-mosca, della famiglia Trochilidi. I colibrì comprendono i più piccoli uccelli, annoverando specie che non superano i 6 cm di lunghezza, con valori estremi di lunghezza totale pari a 6-22 cm e un peso di 2-20g. La loro temperatura corporea varia fra 39,6 e 40°C a seconda delle specie (come si può desumere da un elenco di Fritz Geiser). La colorazione è resa particolarmente vivace da riflessi iridescenti. Il loro regime alimentare è unico in quanto si nutrono in prevalenza di nettare, che suggono rimanendo librati in volo con un rapidissimo battere di ali al di sopra dei fiori. Contemporaneamente essi assumono anche i minuscoli artropodi che sorprendono nelle corolle e si coprono di polline favorendo così l'impollinazione dei fiori visitati. I colibrì posseggono un capo minuscolo, munito di un becco sottile, le cui dimensioni e la cui forma (ve ne sono di perfettamente diritti e di grottescamente ricurvi all'ingiù) variano da specie a specie . Perfettamente adattata al peculiare regime alimentare è la lingua: lunghissima, in condizioni di riposo viene tenuta arrotolata, per essere svolta quando l'uccello si nutre. Il tronco è breve e robusto; le ali e la coda sono variamente sviluppate a seconda delle specie; le zampe sono molto brevi e munite di unghie ben sviluppate. I colibrì sono distribuiti in tutto il continente americano, pur essendo particolarmente abbondanti nelle zone calde (Colombia, Guyana, Venezuela, Perú, Bolivia e Brasile).

Gli uccelli hanno una temperatura corporea che a seconda delle specie oscilla fra 37,7 e 43,6°C. Si intende per temperatura corporea quella degli organi vitali – cervello, cuore, visceri – che deve rimanere il più costante possibile. Se a una temperatura ambiente di 23,3°C un pollo ha una cresta con 35°C e dei bargigli con 33°C, quella dei suoi organi vitali deve rimanere fra 39,6 e 43,6°C.

pollo

39,6-43,6

anatra

41-42,5

piccione

41,3-42,2

tacchino

41-41,2

oca

40,6-41,3

 

Temperatura in °C degli organi vitali in uccelli domestici adulti
da Bell D.J. & Freeman B.M. Physiology and Biochemistry of the Domestic Fowl vol. 2 (1971)

Nell'ipotermia notturna la temperatura corporea può scendere di 8-10 gradi e mai al di sotto di 30°C. L'ipotermia notturna la si può osservare in tortore e piccioni, nell'avvoltoio dal collo rosso (Cathartes aura), in numerosi passeriformi compresi i Paridi (come la cinciallegra) e permette di risparmiare energia in caso di ridotta disponibilità di cibo oppure facilitare in alcuni casi l'accumulo di grassi in previsione di una migrazione.

Torpore deriva dal verbo latino torpeo = irrigidirsi, raggelarsi. Il torpore – o ipotermia spiccata –  consiste in una maggiore riduzione della temperatura corporea, che in certi casi può scendere al di sotto di 10°C, e in una caduta sostanziale della frequenza respiratoria e cardiaca al minuto. Per tornare ai nostri colibrì: da 300-400 atti respiratori si può passare a 1-2 e da una frequenza cardiaca superiore a 500 si può scendere a 30. Ciò consente all'uccello di ridurre il consumo energetico per valori oscillanti fra il 10 e il 60%. Il torpore è stato documentato nei succiacapre o Caprimulgidi, nei colibrì, nei Nettariniidi, nonché nei rondoni adattati a un'esistenza esclusivamente aerea e a un volo ultraveloce.

  

Il succiacapre di Nuttall - Phalaenoptilus nuttalli – caratteristico dei deserti del Colorado
diventato improvvisamente famoso nel 1946 grazie all'ornitologo Edmund Jaeger

Ma uccelli con dimensioni e peso maggiori rispetto al Succiacapre di Nuttall (20 cm - 35 g) possono benissimo andare incontro a torpore. Fritz Geiser (University of New England, Armidale, NSW, Australia) insieme a Gerhard Körtner e a Mark Brigham ha studiato un Caprimulgiforme, un insettivoro che vive in Australia e che raggiunge i 556 grammi di peso, il Podargus strigoides, e gli studiosi hanno pubblicato i risultati in Torpor in free-ranging tawny frogmouths (Podargus strigoides) (Physiological and Biochemical Zoology 74(6):789–797, 2001). Quest'uccello si serve del torpore – cioè della riduzione controllata della temperatura corporea – come strategia per sopravvivere in inverno, nonostante abbia dimensioni circa 10 volte maggiori rispetto a qualsiasi altro uccello che adotta questa tattica, una strategia che permette di risiedere nel proprio territorio durante tutto l'anno senza dover migrare in cerca di risorse energetiche.

Il caprimulgiforme Podargo strigoide – Podargus strigoides – e la sua distribuzione in Australia

Allora ho posto la domanda a Fritz Geiser: se a suo avviso, in base alle attuali conoscenze, si possa affermare che il Lyrurus tetrix entri in uno stato di torpore come certi Caprimulgiformi. Secondo Geiser il Fagiano di monte non entra in torpore. Non può escludere che invece se ne servano certi uccelli citati da Aristotele: "I doubt that grouse go into torpor. Work by Barnes and Co-workers (not sure whether it is published) suggest grouse remain warm throughout winter and use snow as thermal blanket. However, I believe that several other bird species believed by Aristotle to be heterothermic (e.g. swallows - which has now been confirmed for some species) do enter into torpor, but migration may confuse the issue whether torpor is short- or long-term. Sincerely, Fritz Geiser."(e-mail del 2 aprile 2006)

E quando John F. Schwaller mi ha illuminato circa hoitzitziltototl = huitziltototl = colibrì, allora mi sono messo a verificare se anche questi uccelli possano, se non ibernare, perlomeno entrare in stato di torpore. Come abbiamo visto il colibrì può benissimo servirsi del torpore per sopravvivere.

Allora ho reinterpellato Geiser. Per un ornitologo inesperto come me, quanto riferito da Ambrosini sembrerebbe corrispondere a un'ibernazione, a un letargo dei colibrì: gli Amerindi li vedevano penzolare come morti durante la stagione senza fiori, e perciò ininterrottamente per qualche mese. Geiser ha detto che il colibrì non va in letargo, ma entra in un torpore che oltretutto è esclusivamente notturno: "Nocturnal torpor is well known in hummingbirds, but prolonged torpor (hibernation) has not been described in this group. Fritz Geiser." (e-mail del 2 aprile 2006)

Quindi è assai verosimile che gli Amerindi li vedessero sì penzolare i loro huitziltototl, e credevano che la loro immobilità si protraesse per tutto l'inverno, ma se al sorgere del sole avessero lanciato uno sguardo sugli alberi, di colibrì appesi non ne avrebbero visti, salvo in particolari momenti della giornata.

In sintesi: il Gallo forcello se ne sta rintanato in un igloo e non adotta né il torpore né tanto meno l'ibernazione, e sarà talmente intirizzito dal freddo da lasciarsi acchiappare facilmente e magari infilzare vivo su uno spiedo. Il colibrì, alias hoitzitziltototl = huitziltototl di Ambrosini, può adottare il torpore, che al mattino scompare ai primi raggi di sole.

Sì, lo so, salvo che quel mattino, attraverso le dense nubi, di sole non ne trapeli affatto.

Basta, altrimenti sopravviene la nausea!

 

 sommario 

  top  

 avanti 



[1] Descritto da Lague Dr Paul, Dept of Animal Science, MacDonald College, S.te Anne de Bellevue, Quebec, Canada (1975).

[2] La data è in netto contrasto con quella desumibile dall’Enciclopedia De Agostini.

Deipnosophistaí VII,23,285d: Χρύσιππος δ’ ὁ φιλόσοφος ἐν τῷ περὶ τῶν δι’ αὑτὰ αἱρετῶν 'τὴν ἀφύην, φησὶ, [τὴν] ἐν Ἀθήναις μὲν διὰ τὴν δαψίλειαν ὑπερορῶσι καὶ πτωχικὸν εἶναί φασιν ὄψον, ἐν ἑτέραις δὲ πόλεσιν ὑπερθαυμάζουσι πολὺ χείρω γινομένην. εἶθ' οἱ μέν, φησίν, ἐνταῦθα τοὺς Ἀδριατικοὺς ὄρνιθας τρέφειν σπεύδουσιν ἀχρειοτέρους ὄντας, ὅτι τῶν παρ’ ἡμῖν πολὺ ἐλάττους εἰσίν· ἐκεῖνοι δὲ τἀναντία μεταπέμπονται τοὺς ἐνθάδε.' - Il filosofo Crisippo, nel trattato relativo alle cose che si debbono preferire di per sé, dice: "L'acciuga ad Atene la disprezzano a causa dell'abbondanza e dicono essere un cibo destinato ai poveri, mentre in altre città l'apprezzano molto, pur essendo di qualità molto scadente. Del resto, dice, qui ci sono coloro che bramano allevare i polli del mare Adriatico che sono alquanto inutili, dal momento che sono molto più piccoli di quelli che abbiamo noi; al contrario, quelli – che abitano lungo l'Adriatico - importano quelli che abbiamo qui. (frammento 2, svF III pag. 195, presso Ateneo VII,23,285d – traduzione di Elio Corti con la collaborazione di Roberto Ricciardi)

L'olandese è una lingua germanica occidentale parlata in Olanda e derivata dai dialetti del basso germanico dei Franchi e dei Sassoni. Fino al 1600 anche le parole in olandese erano dette germaniche, in quanto con germanico – o tedesco - si indicava tutto ciò che non era latino. Per cui in questo caso è corretto tradurre Germanice con “in olandese” anziché con “in tedesco”, in quanto kriel è un vocabolo prettamente olandese mentre il suo equivalente tedesco è zwerg. – L'input per questa precisazione mi è giunto grazie all’acume del Dr Stefano Bergamo che da alcuni lustri respira aria olandese e magari ogni tanto si abbuffa di patatine kriel. Infatti così mi ha precisato in una e-mail del 2 maggio 2006: "Kriel indica la nanezza in genere, si usa anche per le patatine rotonde che si consumano piccolissime (dimensioni max come una ciliegia)." - Tedesco deriva dall'antico germanico theodisk che significa del popolo, a sua volta derivato dal protogermanico *theudo = popolare, nazionale. Theodisk esprimeva una contrapposizione alla lingua usata dal ceto colto, cioè il latino, e in tedesco moderno è diventato Deutsch. Anche l'inglese Dutch = Olandese riconosce la stessa etimologia di Deutsch. Solo che l'inglese Dutch, usato per la prima volta intorno al 1380, inizialmente indicava tutti quanti i Tedeschi, e solo dopo il 1600 cominciò a indicare solo gli Olandesi, quando nel 1579 si erano uniti in uno Stato indipendente: con la proclamazione dell'Unione d'Utrecht del 1579 l'Olanda entrò a far parte della Repubblica delle Province Unite e la sua capitale L'Aia divenne in pari tempo la capitale della Repubblica. L'Unione di Utrecht consisteva nell'alleanza politico-militare delle province settentrionali dei Paesi Bassi (Olanda, Zelanda, Utrecht, Overijssel, Frisia, Gheldria, Groninga), conclusa appunto nel 1579. Nel 1581 l'Unione si organizzò in Confederazione repubblicana indipendente sotto la guida di Guglielmo di Orange-Nassau.

Arcimboldi Giovannagelo: arcivescovo di Milano (Milano ca. 1485 - 1555). Laureato in legge, assolse diversi incarichi presso il duca Massimiliano Sforza, ma passò ben presto a Roma, dove Leone X lo nominò protonotario e nel 1514 nunzio apostolico: così lo inviò nei Paesi Bassi, in Germania e negli Stati scandinavi (1518) a vendere indulgenze per la costruzione della basilica di San Pietro iniziata nel 1506 durante il pontificato di Giulio II e terminata, con la facciata, nel 1612. Nel 1526 Clemente VII nominò Giovannagelo vescovo di Novara e nel 1550 divenne arcivescovo di Milano.

Per bignami o bignamino si intende un volumetto che riassume in forma piana le nozioni basilari delle varie materie di insegnamento scolastico, derivato dal nome dell'editore, il professore Ernesto Adamo Bignami (1903-1958), che dal 1931 curò la pubblicazione di questi libretti tascabili. Talora si dice bigino anziché bignamino, ma in origine con bigino si intendeva quel libretto contenente la traduzione letterale, specialmente interlineare, di testi di autori greci e latini, e si tratta di un vocabolo di origine milanese – bigin – cioè un libricino, per lo più scritto a mano, che lo scolaro teneva nascosto per ricorrervi allorquando aveva un compito o un esame da fare. Bigin è di origine oscura, ma quasi certamente da connettere con bigiare, visto il significato attribuito alla locuzione milanese bigià la lezione = saltare la lezione, non recarsi a scuola.

Maffei Raffaelo - Raphael Volaterranus - Maffeus Volaterranus - Raffaello Volterrano: umanista, storico e teologo (Volterra 17 febbraio 1451 - 25 gennaio 1522). Dalla primissima gioventù si dedicò allo studio delle lettere e nel 1466 fu chiamato a Roma coi suoi fratelli dal padre Gherardo Maffei che Pio II aveva nominato professore di legge all'Università di Roma e aveva preso più tardi per suo segretario, ruolo che mantenne anche sotto Paolo II e Sisto IV. A Roma Raffaelo si tenne a distanza dalla corte, dedicando il proprio tempo alle pratiche di pietà e allo studio di filosofia e teologia, nonché di greco sotto la guida dell'umanista greco Giorgio da Trebisonda (Creta 1396-Roma 1484). Nel 1477 si recò in Ungheria con il cardinale Luigi di Aragona in missione presso il re Mattia I detto Corvino. Al suo rientro Raffaelo fu persuaso da Gaspare da Firenze a non farsi Minore Francescano Osservante, come invece era intenzione di Raffaelo, che allora si sposò e stabilì la sua residenza a Volterra. Il resto della sua vita fu speso nello studio, nella pratiche di pietà e di penitenza e nell'esercizio di opere di carità. Nella sua casa costituì un'accademia tenendo conferenze su filosofia e teologia e fondò il convento delle Clarisse di Volterra. Morì in odore di santità e contrariamente ai suoi desideri suo fratello eresse alla sua memoria uno splendido monumento. La sua opera più importante è rappresentata dal Commentariorum rerum urbanarum libri xxxviii (Roma, 1506; Parigi, 1516), un'enciclopedia di tutte le voci note a quel tempo, preparata con grande cura ma non sempre col giudizio migliore. Consiste di tre parti: nella prima, Geografia, scrive in modo estensivo su Spagnoli e Portoghesi; la seconda parte, Antropologia, è dedicata in modo speciale alla storia contemporanea; la terza parte è dedicata alla Filologia.

Carelia: repubblica autonoma della Russia di 172.400 km2 e 787.000 abitanti con capoluogo Petrozavodsk, confinante a ovest con la Finlandia. A nord il territorio si spinge sin oltre il Circolo Polare Artico, in corrispondenza del golfo di Kandalaksa; affacciato a nordest al Mar Bianco e alla baia di Onega, è limitato a sud da una linea quasi parallela al corso del fiume Svir che unisce i laghi Onega e Ladoga. Geologicamente è costituita da un basamento cristallino (gneiss, graniti) che all'inizio del Quaternario fu interessato dall'azione erosiva e di deposito dei ghiacciai e che ora si presenta irregolarmente ondulato da basse colline moreniche e ricchissimo di bacini lacustri. Caratterizzata da un clima freddo e asciutto, nella sezione settentrionale è ricoperta dalla tundra, in quella meridionale da vasti boschi di conifere il cui sfruttamento costituisce la principale risorsa economica della popolazione costituita per il 71% da Russi, per l'11% da Careli (noti anche come Carels o Karjalaiset, di stirpe finnica), per l'8% da Russi Bianchi, per il 2,7% da Finni. Diffusi l'allevamento e la pesca; giacimenti di mica ad Ambarny. La costruzione del canale che unisce il Mar Baltico con il Mar Bianco e della ferrovia San Pietroburgo-Murmansk e inoltre la ricchezza di risorse idroelettriche hanno favorito un discreto sviluppo delle industrie chimiche, metallurgiche (alluminio a Nadvoicy), della carta, meccaniche e alimentari.

Igloo: termine derivato dall'eschimese iglu = casa, trasmesso alle lingue europee attraverso l'inglese igloo. Si tratta della capanna invernale degli Eschimesi, il cui nome deriva dal termine Wiyaskimowok (mangiatori di carne cruda) con il quale venivano indicati gli Eschimesi del Labrador dagli Algonchini. Fra di loro gli Eschimesi si designano col termine generale Inuit (uomini) e con l'equivalente Yuit riferito però solo ai gruppi asiatici. La loro capanna ha forma generalmente ellittico-circolare, il cui ingresso si prolunga in un tunnel che funge da camera d'aria; la capanna viene realizzata con un traliccio a cupola, di rami od ossa lunghe di cetacei, sul quale vengono disposte pelli e stuoie, lasciando un foro sulla sommità quale camino; su queste vengono ammassati la neve e, durante il disgelo, terra, rami, e alla base sassi. Se costruito in blocchi di neve disposti a spirale decrescente, viene detta più propriamente igloolak.

Lagopedi: che hanno i piedi simili a quelli della lepre. La Pernice bianca - Lagopus mutus - della famiglia Tetraonidi vive sulle montagne europee, spingendosi dai limiti della vegetazione arborea sino oltre tremila metri; sulle Alpi è presente con la sottospecie Lagopus mutus helveticus. Durante la stagione invernale entrambi i sessi hanno piumaggio bianco, tranne la coda che è nera; in estate ali, gola e porzioni inferiori del corpo si mantengono candidi, mentre il resto del piumaggio diviene grigiastro nel maschio, bruno nella femmina. I lagopedi nidificano tra le rocce o tra i cespugli.

Ponto: regione storica dell'Asia Minore, affacciata a nord sul Mar Nero e limitata dall'Armenia a est, dalla Cappadocia a sud, dalla Galizia a sudovest e dalla Paflagonia a ovest. In greco Póntos; in latino Pontus. Satrapia dell'impero persiano già nel sec. VI aC, nel corso del sec. IV divenne di fatto indipendente con Mitridate I (337-302 aC) ergendosi a regno (281 aC) sotto il successore Mitridate II. Una costante politica di espansione e di rafforzamento portò in breve il Ponto a inserirsi da protagonista nelle intricate vicende dei regni dell'Asia Minore, per altro come fedele alleato di Roma con Mitridate IV, e ancor più con Mitridate V (150-120 aC). Ma l'espansionismo romano nella regione finì per scontrarsi drammaticamente con le mire e le ambizioni di Mitridate VI (132-63 aC) culminate nel massacro di 80.000 Italici d'Asia, nella conquista delle isole Egee, di quasi tutta la Grecia (compresa Atene) e nelle conseguenti tre guerre mitridatiche (88-85; 83-81; 74-63) che videro impegnati, per parte romana, generali famosi, come Silla, Fimbria, Murena, Aurelio Cotta, Lucullo, Acilio Gabrione e Pompeo Magno, e conclusesi con il suicidio del re. Il Ponto fu allora diviso tra Bitinia e Galazia. Poi (36 aC) venne in parte assegnato a Polemone I (Ponto Polemoniaco) sotto i cui discendenti rimase sino al 64 dC. Annesso alla Cappadocia, fu infine diviso da Diocleziano in Ponto Polemoniaco e Diosponto.

Caucaso: sistema montuoso dell'Asia occidentale che si allunga nei territori della Georgia e dell'Azerbajdzan, con direzione wnw-ese tra il Mar Nero e il Mar Caspio, limitato dalle valli dei fiumi Kuban e Terek a nord e Araks (Aras) a sud; secondo alcuni autori il Caucaso segnerebbe il confine tra l'Europa a nord e l'Asia a sud, confine che però viene solitamente posto lungo la depressione del Manyč-basso Kuma. Il sistema, la cui formazione è legata all'orogenesi alpina, è costituito da due catene: il Grande Caucaso (in russo, Bolšoj Kavkaz) e il Piccolo Caucaso (Maly Kavkaz), separate dalla depressione percorsa in direzioni opposte dai fiumi Rioni e Kura. L'Elbrus (5642 m) è la massima elevazione europea e si trova nel Grande Caucaso.

Monti Pontici o Monti Eusini o Dogukaradeniz Daglari: sistema montuoso della Turchia settentrionale che orla a nord l'altopiano anatolico. Costituito da diverse catene disposte in più ordini parallelamente alla costa del Mar Nero, è diviso dal fiume Kizilirmak in Pontici orientali e Pontici occidentali. Gran parte delle cime più alte dei Pontici orientali oscillano fra i 3000 e i 4000 metri. Massima elevazione è il Kaçkar dagi (3937 m) nei Pontici orientali, un poco a est di Trebisonda o Trabzon, l'antica Trapezunte,  che pare venne fondata nel 756 aC, famosa per la produzione di nocciole.

Il testo viene emendato in base a quanto mi è stato specificato da John F. Schwaller (University of Minnesota, Morris ) in una e-mail del 2-4-2006: "Dear Dr Corti, I will look into this in greater detail tomorrow when I am in my office. At first glance you are dealing with: Huitziltototl or the hummingbird. Huitzilin is the common Nahuatl word for hummingbird, but it is perfectly acceptable to also call it a huitziltototl, with tototl being the basic word for bird. What is curious is the added -tzi- in the middle." E in un'altra e-mail del 7-4-2006: "I have consulted with colleagues, and indeed there is a bird that is described as a huitzitzitl and would be a type of hummingbird. The reduplication of the -tzi- is found both in classical Nahuatl sources and in modern dialect." - Colibrì proviene dal francese colibri (1640), a sua volta di origine caraibica, e precisamente delle Antille francesi, cioè Guadalupa, Martinica e la parte occidentale di Hispaniola (isola oggi politicamente divisa tra la Repubblica di Haiti a ovest e la Repubblica Dominicana a est). – In Nahuatl il colibrì, oltre che huitzilin, è detto anche huitzitzilin e a quanto pare l'etimologia fa riferimento a qualcosa di sottile e aguzzo come può essere appunto il becco di un uccello mosca: infatti in Nahuatl huitztli significa spina. - Il Nahuatl era un’antica lingua amerinda parlata in Messico, appartenente alla famiglia uto-azteca, di cui restano iscrizioni ideografiche o geroglifiche, nonché una ricca letteratura, che a partire dai secoli XVI-XVII è stata scritta nell'alfabeto latino, usato secondo la pronuncia spagnola. Sopravvivono ancora dialetti nahuatl e varietà dialettali molto simili, dette nahual e nahuat. Da questi dialetti lo spagnolo messicano ha derivato non pochi prestiti lessicali.

Caprimulgo o succiacapre: deve il nome al latino caprimulgus, da capra+mulgere, mungere la capra. Utilissimo come distruttore di insetti, il succiacapre è stato ovunque perseguitato per il suo strano aspetto che ha dato origine alla credenza secondo cui succhierebbe il latte di capre e pecore. - Nel 1946 il Succiacapre di Nuttall, Phalaenoptilus nuttalli, caratteristico dei deserti del Colorado, lungo 20 cm e del peso di 35 g, divenne improvvisamente noto in tutto il mondo allorché in una piccola nicchia ben protetta della roccia l'ornitologo Edmund Jaeger scoprì un esemplare in letargo. L'uccello fu portato in una stanza calda e dopo qualche tempo aprì gli occhi riprendendosi completamente. Venne inanellato e rimesso in libertà. Nei tre inverni successivi ci si imbatté nuovamente nello stesso soggetto, sempre in una nicchia rocciosa e irrigidito dal freddo e gli esami cui fu sottoposto indicarono che temperatura corporea, battito cardiaco, respirazione e tutte le altre funzioni vitali erano ridotte al minimo. Si poté calcolare che le riserve di grasso accumulate in autunno erano sufficienti per sopravvivere a un digiuno di tre mesi. In seguito altri studiosi hanno continuato a occuparsi della rigidità invernale del Succiacapre di Nuttall, ma non è ancora certo che questa specie dorma realmente per tre mesi in uno stato che in questo caso si potrebbe quasi chiamare ibernazione. Forse già da molto tempo gli Hopi erano a conoscenza di questo strano comportamento, in quanto avevano battezzato l'uccello col nome di Hölhke = quello che dorme.