Lessico


Caprifico e Fico


Genere Ficus

Anticamente l'albero del fico in italiano era detto figo che deriva dal latino ficus. Fico è il nome italiano del genere Ficus (famiglia Moracee) e in particolare del fico comune o domestico (Ficus carica var. domesticacarica = originario della Caria, in Asia Minore) nonché del falso frutto che produce, il siconio (dal greco sûkon = fico, nonché pene, vulva & vagina nella commedia La Pace di Aristofane).

Meno propriamente il termine fico si usa per indicare le infruttescenze di altre specie congeneri, appartenenti cioè al genere Ficus. Anticamente il termine fico indicava anche un tumore, un'escrescenza carnosa, e per Ippocrate il termine sûkon indicava l'orzaiolo. Sia ficus che sûkon derivano con ogni probabilità da un vocabolo mediterraneo. Più di così non è possibile addurre dal punto di vista etimologico.

Il genere Ficus della famiglia Moracee comprendente circa 600 specie (De Agostini) 900 specie (Curcio) che sono proprie delle regioni tropicali e temperato-calde. Sono piante perenni, legnose, arboree, arbustacee o lianose, persino epifite, con foglie semplici, intere o lobate, ruvide. Fusti e rami, tagliati o incisi, secernono un latice biancastro, gommoso, che in alcune specie riveste importanza economica dal momento che se ne estraggono caucciù, resine e lacche.

Le piante sono di solito monoiche e hanno infiorescenze formate da fiori molto piccoli, per lo più apetali, contenuti all'interno di ricettacoli cavi sferici o piriformi (siconi), forati all'apice. I fiori pistillati hanno un ovario unicellulare maturante in minuscoli acheni a pericarpo crostaceo, sovente commestibili.

Tra le numerose specie ornamentali, che sono circa una trentina, la più comune è Ficus elastica, dell'India, con fusto per lo più semplice e grandi foglie coriacee, lucide, ellittico-lanceolate. Per ornamento si coltiva anche Ficus parcellii, delle isole del Pacifico, con foglie sottili e membranacee marezzate di verde e di bianco, e Ficus pandurata, della Cina, dalle grandi foglie, a forma di chitarra.

Fra le specie che forniscono frutti commestibili la più importante è Ficus carica var. domestica (fico comune o domestico); meno pregiati i frutti del fico delle pagode (Ficus religiosa), del sicomoro (Ficus sycomorus), del baniano (Ficus benghalensis e Ficus religiosa) ecc.


Caprifico
Ficus carica var. caprificus

Dal latino caprificus, cioè fico per le capre. Forma selvatica di fico appartenente alla famiglia Moracee. È una pianta legnosa, spontanea nelle zone rupestri e asciutte del Mediterraneo e dell'Asia occidentale, con caratteristiche vegetative simili a quelle del fico domestico, dal quale si differenzia per le dimensioni ridotte, talora sotto forma di arbusto, e per le pseudoinfruttescenze (siconi) non commestibili.

Queste possono maturare in tre periodi, in primavera (fioroni), in estate (fòrniti o mammoni) e in autunno (cràtiri o mamme), e sono globose, cave, contenenti fiori maschili con 3-5 stami in prossimità dell'ostiolo e numerosissimi fiori femminili con uno stilo molto breve nei quali, producendovi galle, si sviluppano le larve della Blastophaga psenes, che possiede maschi atteri e femmine alate.

Queste, fecondate da maschi della medesima generazione - i maschi, usciti dalle galle prima delle femmine, perforano le galle in cui le femmine già mature e in attesa del maschio se ne stanno raggomitolate, e dopo aver introdotto l'organo copulatore le fecondano e quindi muoiono all'interno del siconio senza vedere la luce del sole - le femmine, dicevamo, uscendo dall'ostiolo dei fioroni si caricano di polline con il quale in seguito fecondano i fiori dei fòrniti estivi, dove penetrano a forza al fine di deporvi le uova.


Fico domestico
Ficus carica var. domestica

Lo stilo molto lungo del fiore femminile raffigurato in alto
fa pensare alla varietà domestica.

Il fiore maschile, raffigurato in basso, è assente nella varietà domestica pura,
salvo si tratti di ibridi ottenuti sperimentalmente.
Forse qui il disegnatore ha voluto rappresentare il fiore maschile del caprifico.

Il fico comune (Ficus carica var. domestica) è una pianta xerofila dei climi subtropicali temperati, appartenente alla famiglia delle Moraceae. Rappresenta la specie più nordica del genere Ficus.

Etimologia

Come già detto, anticamente l'albero del fico in italiano era detto figo che deriva dal latino ficus. Fico è il nome italiano del genere Ficus (famiglia Moracee) e in particolare del fico comune o domestico (Ficus carica var. domesticacarica = originario della Caria, in Asia Minore) nonché del falso frutto che produce, il siconio (dal greco sûkon = fico, nonché pene, vulva & vagina nella commedia La Pace di Aristofane). Sia ficus che sûkon derivano con ogni probabilità da un vocabolo mediterraneo. Più di così non è possibile addurre dal punto di vista etimologico.

Ficus/fici (II declinazione) e ficus/ficus (IV declinazione) sono sostantivi latini femminili, raramente maschili, e indicano sia l'albero del fico, o della fica che dir si voglia, sia il siconio. Ecco pochi esempi per avvalorare la tesi che per lo più in latino il siconio era di genere femminile:

- ficus prima (Orazio Epistole I, VII)

- pulla ficus (il fico nero, Orazio Epodi, XVI)

- Tum enim resticulam per ficos, quas edimus, maturas perserunt (Varrone Rerum rusticarum I,41)

- diceremus ut manibus, sic ficibus, et ut manuum, sic ficuum, neque has ficos diceremus, sed ficus, ut non manos appellamus, sed manus (Varrone De lingua latina IX,48)

- cum ficus aut uva inmatura nec ad satietatem permissa est (Columella De re rustica VIII,5,23)

- maturissimas ficos (Columella De re rustica XII,17,2)

- si maturam ficum vis serotinam facere (Palladio Opus agriculturae IV,10,31)

- Alii missas ficus recentes minus maturas in novo vase fictili (Palladio Opus agriculturae IV,10,33).

Il siconio passò, dal femminile ficus, al neutro ficum/fici in Celio Aureliano (V sec. dC), quindi poco dopo che Palladio, nel IV sec. dC, l'aveva usato ancora al femminile. Ecco perché gli italiani dovrebbero chiamare fica il siconio, come insegnano i genovesi e i leccesi, nonché gli antichi autori latini.

Se non bastasse, un secolo dopo Aureliano, Sant'Isidoro di Siviglia (ca. 560-636) usava ancora ficus al femminile per indicare il siconio - A senibus in cibo saepius sumptae ficus rugas eorum fertur distendere - e fa addirittura derivare ficus da fecunditas, essendo l'albero più generoso di tutti. Se, clericalmente parlando, non riusciamo a scorgere in quest'affermazione un addentellato anche con la fica quale organo deputato alla procreazione, significa che siamo proprio degli sprovveduti.

Riporto il brano di Isidoro tratto da Etymologiae XVII,7,17-18 relativo a fico e caprifico e lascio a voi il piacere di tradurlo. Vedrete che per ficus e caprificus si tratta di etimologie difficili da accettare, compresa quella dell'aggettivo carica (che non sta per stracarico, bensì per originario della Caria), ma forse ai tempi di Isidoro erano etimologie di origine popolare e di dominio comune, e il nostro sevillano addirittura afferma che i siconi si presentavano finanche quattro volte l'anno. Oggi un fico domestico tanto prolifico è del tutto sconosciuto.

[17] Ficus Latine a fecunditate vocatur; feracior est enim arboribus ceteris. Nam terque quaterque per singulos annos generat fructum, atque altero maturescente alter oboritur. Hinc et caricae a copia nominatae. Ficus Aegyptia fecundior fertur, cuius lignum in aquam missum ilico mergitur, et cum in limo aliquandiu iacuerit, deinde in superficiem sustollitur versa vice naturae, quando madefactum debuit humoris pondere residere. Antea athletae ficis alebantur, priusquam eos Pythagoras exercitator ad carnis usum, qui fortior cibus est, transtulisset. A senibus in cibo saepius sumptae ficus rugas eorum fertur distendere. Tauros quoque ferocissimos ad fici arborem conligatos repente mansuescere dicunt. [18] Caprificus appellata eo quod parietes quibus innascitur carpit; rumpit enim et prodit ex latebris quibus concepta est. Alii caprificum putant dictum quod ficus arbor eius remedio fecundetur.

Vogliamo una riprova che la rifemminilizzazione del siconio operata da Isidoro proseguì nei secoli a venire? Basta analizzare questi due piccoli frammenti dei Geoponica tradotti dal greco da Janus Cornarius intorno al 1540.

Immaturae ficus non decidunt, si arboris radice incisa, salis choenicem immiseris, et terram insuper aggesseris. (X,55)

Ficus post maturitatem in arboribus manere non possunt, quemadmodum alii pomorum fructus, sed perseipsas defluunt, etiam si nemo ipsas auferat. (X,56)

Cenni storici

L'aggettivo carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Mesopotamia, Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mar Mediterraneo.

Morfologia

È un albero dal tronco corto e ramoso che può raggiungere altezze di 4-10 m. La corteccia è liscia e di colore grigio-cenerino; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame brunastre.

Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, a 3-5 lobi e grossolanamente dentate, di colore verde scuro nella parte superiore, più chiare e ricoperte da una lieve peluria in quella inferiore.

Quello che comunemente viene ritenuto il frutto è in realtà una grossa infiorescenza carnosa, piriforme, ricca di zuccheri, di colore variabile dal verde al giallo al nero-violaceo (siconio), all'interno della quale sono racchiusi i fiori, piccolissimi, che di norma sono esclusivamente femminili.

Una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi. I veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza, sono dei piccoli acheni (achenio deriva dal greco a+chaínø = non mi apro, frutto secco indeiscente contenente un solo seme, con pericarpo coriaceo non aderente al seme) che si formano per partenocarpia (dal greco parthénos = vergine e karpós = frutto, processo di sviluppo dell'ovario in frutto che si svolge in assenza di atti fecondativi) oppure in seguito a caprificazione.

Come già detto, le pseudoinfruttescenze - cioè i siconi - hanno colore variabile dal giallo al verde al nero-violaceo e maturano in tre distinti periodi, distinguendosi così altrettanti tipi di siconi:

- fichi fiori o primaticci o fioroni prodotti da gemme dell'anno precedente, che maturano in giugno-luglio;

- fòrniti o mammoni o fichi propriamente detti prodotti da gemme dell'annata, che maturano da agosto a settembre;

- fichi tardivi o cràtiri, autunnali.

Tra i fichi coltivati alcuni danno tutte e tre le generazioni di siconi (varietà trifere), ma nella maggior parte dei casi le cultivar sono unifere (con la sola fruttificazione estiva) o bifere (producono sia fichi primaverili che estivi).

L'impollinazione con la Blastophaga psenes, ottenuta appendendo dei siconi di caprifico sul fico comune, pur accelerando la maturazione e aumentando la dimensione dei siconi eduli, comporta una colorazione rossastra della polpa con un aumento del numero e della consistenza degli acheni; per questo motivo nell'industria dei fichi secchi si tende a utilizzare varietà partenocarpiche che mantengono una polpa chiara.

Varietà

La coltivazione del fico si è sviluppata in diverse zone del pianeta, ma per via naturale e in maniera significativa solo nei distretti climatici analoghi all'ambiente mediterraneo, caldo e arido. Nel bacino del Mediterraneo oltre all'Italia abbiamo importanti coltivazioni in Turchia, Grecia, Algeria, Spagna, Libia, Marocco, Egitto, Palestina, Francia; altri paesi di notevole importanza produttiva sono: Portogallo, Siria, Russia, Arabia, India, Giappone, California, Argentina, Australia e molti altri.

Le varietà di fico coltivate sono innumerevoli e citeremo solo alcune varietà italiane:

Unifere - Producono solo fichi estivi-autunnali sui rametti dell'anno:
Marchesano
Cantano
Pazzo
Coppa
Meloncello
Arneo
Della penna
Brogiotto nero

Bifere - Producono generalmente fioroni sui rametti dell'anno precedente e fichi estivo-autunnali su quelli dell'anno:
- Caprificabili:
Fracazzano
Sessune
Napoletano
- Partenocarpiche:
Ottano o Dottato
Del Vescovo

Coltivazione

Il Ficus carica gradisce climi caldi non umidi, si adatta a qualunque tipo di terreno purché sciolto e ben drenato, non tollera a lungo temperature sotto i -10°C. È peraltro da considerare che la resistenza al freddo è fortemente condizionata dalla maturazione del legno, cioè dalla trasformazione dei rami succulenti ed erbacei in legno compatto, disidratato e soprattutto ricco di resine e amidi che sono eccellenti antigelo (tali accumuli, che possono essere determinanti per la resistenza al freddo, si hanno con ricche insolazioni estive).

Enormi differenze si verificano con piante giovani, succulente e in intensa crescita dovuta a eccesso di umidità nel suolo o per eccesso di concimazione, e piante adulte in siti aridi e poveri, dove queste ultime hanno mostrato resistenze senza gravi problemi a temperature di -18/-20°C. È da notare che la coltivazione di specie necessitanti la fecondazione da Blastophaga psenes sono limitate dalla temperatura di sopravvivenza della stessa, che è di circa -8/-9°C. In assenza di fecondazione i frutti acerbi cadono. In ambienti dove sia assente l'agente fecondatore è praticata la coltivazione delle sole varietà che hanno la caratteristica di maturare i frutti anche se non fecondati (persistenti o partenocarpici).

Per quanto riguarda il caldo a +50°C e con bassa umidità, la pianta arresta i processi vegetativi. Le notti calde favoriscono la produzione, mentre il ristagno di acqua la pregiudica. Dotata di un apparato radicale potente, resiste bene alla siccità e ai terreni salsi e incolti, in particolare, come apparato radicale di una pianta da clima semidesertico, è particolarmente efficace nella ricerca dell'acqua. Le radici sono molto invasive: in un giardino possono penetrare in cisterne, condotti o scantinati. È una delle poche piante da frutta che resista senza problemi ai venti salini in tutte le fasi vegetative, condizione che la accomuna al solo Fico d'India, (Opuntia ficus-indica). Nessun altro fruttifero principale dell'ambiente italiano ha tale capacità.

Si concima con fertilizzanti complessi o, nelle colture industriali specializzate, ricorrendo al sovescio di leguminose con aggiunta di perfosfato, calciocianamide, solfato ammonico.

Fico del recinto del merlo - giovedì 30 agosto 2007
Questa pianta è nata spontaneamente da seme intorno al 1999

Questo fico è nato insieme ad altri due dai semi contenuti nei siconi dei quali il mio merlo indiano Memè era assai ghiotto e che gli offrivo quotidianamente finché ce n'erano a disposizione. L'albero deve essere annualmente tosato affinché i rami non si incastrino nelle fini maglie della rete. Così è obbligato a produrre solo siconi estivi, dato che gli eventuali fioroni vengono eliminati durante la potatura. Grazie a Franco Omodeo è in corso un esperimento per vedere se da questi siconi nasceranno piante.

La riproduzione per semina è agevole ma complessa circa i risultati, dato che in via di massima si hanno 50% di probabilità di avere alberi caprifichi e 50% fichi commestibili; la probabilità è complicata dalla presenza di altre caratteristiche indipendenti, come quella della caducità dei frutti non fecondati, ovvero della persistenza e maturazione anche senza fecondazione. L'elemento è importante dato che la possibilità di ottenere frutti trascurando i problemi legati alla fecondazione ha permesso la diffusione notevole di tipi a frutti persistenti, tale che la maggior parte delle varietà in coltivazione domestica sono di questo tipo. La riproduzione controllata per seme permette la produzione di nuove varietà.

La moltiplicazione è possibile per talea di ramo (di gran lunga la più usata), per innesto ad anello, corona e gemma. In natura il fico tende naturalmente a moltiplicarsi per propaggine, cioè per radicazione dei rami appoggiati al suolo e in contatto col terriccio, soprattutto se umido. La potatura si limita a interventi invernali di eliminazione di rami mal disposti o danneggiati.

Le Regioni italiane a maggior vocazione produttiva sono Puglia, Campania e Calabria; una produzione significativa proviene anche da Abruzzo, Sicilia e Lazio; la Puglia fornisce anche la maggior produzione di fichi secchi. La produttività del fico dipende dai fattori climatici, dall'umidità e dal suolo dove viene coltivato. Orientativamente si può stimare che in terreni sciolti, profondi e freschi si possa arrivare a produzioni di 4-5 q per albero, mentre in terreni rocciosi marginali solo a pochi chilogrammi per albero. La produzione comincia dal 5° anno di vita della pianta e aumenta progressivamente fino al 60° anno di età, quando decresce repentinamente e la pianta muore per necrosi del tessuto legnoso.

Il miglioramento della produzione, condizione necessaria per far fronte alla competitività dei mercati internazionali e italiani, prevede:

- la selezione di sempre nuove varietà con migliori caratteristiche del prodotto, più rispondenti alle richieste del mercato e all'abbattimento dei costi di produzione

- una lotta mirata alle malattie e ai parassiti

- una migliore presentazione del prodotto, con particolare riferimento al prodotto seccato.

Fico secco

Il fico secco è il siconio (pseudofrutto) raccolto in piena maturazione e fatto essiccare al sole con trattamenti chimici o fisici di disinfestazione.

In Italia la maggior parte della produzione viene dalle regioni meridionali, in special modo da Puglia, Calabria e Sicilia.

La raccolta avviene in più riprese, secondo la varietà e la stagione. Si preferiscono le varietà partenocarpiche per la polpa chiara, con acheni in minor numero e di consistenza più morbida rispetto alle varietà caprificate.

La produzione del fico secco prevede fasi successive di lavorazione, che si possono riassumere come segue:

- raccolta dei frutti asciutti con il peduncolo, completamente maturi e tutti allo stesso grado di maturazione, separando i fichi bianchi da quelli colorati

- sbiancatura dei fichi bianchi con un trattamento ai vapori di zolfo per una ventina di minuti

- esposizione dei fichi al sole su cannicci puliti, facendo attenzione che non vi sia contatto tra i frutti e che l'occhio del siconio sia posto verso l'alto fino alla completa coagulazione del succo interno

- rivoltare quotidianamente i fichi per un disseccamento omogeneo e graduale, eliminando quelli piccoli o macchiati e comprimendo quelli rigonfi per eliminare le sacche d'aria

- durante l'essiccamento proteggere i fichi dalle impurità e dalle ovodeposizioni delle femmine di Efestia (Ephestia cautella)

- a essiccamento avvenuto disinfestare i fichi secchi per due ore in autoclave sottovuoto usando bromuro di metilene; nelle produzioni artigianali si immergono i fichi in acqua di mare (o soluzione salina di cloruro di sodio) bollente, per circa due minuti

- per un essiccamento ottimale la perdita d'acqua deve raggiungere il 30-35%.
In Italia per la produzione di fichi secchi vengono usate le varietà: Dottato, Brogiotto, Pissalutto, Farà, etc.

In Turchia, uno dei maggiori produttori mondiali di fichi secchi, viene principalmente usata la varietà Fico di Smirne (città con1.763.000 abitanti della Turchia occidentale, capoluogo della provincia omonima, terza città del Paese per popolazione dopo Istanbul e Ankara, situata nella parte più interna dell'omonima insenatura del Mar Egeo).

Malattie e parassitosi

Insetti

Emitteri

Bianca rossa (Chrysomphalus dictyospermi): attacca in numerose colonie rami, frutti e foglie; insediandosi lungo le nervature della pagina inferiore delle foglie ne causa il disseccamento e la caduta.

Ceroplaste (Ceroplastes rusci): provoca gravi deperimenti di rametti e foglie con vistosi cali produttivi.

Cocciniglia a barchetta (Eulecanium persicae): infesta le parti meno soleggiate della chioma, disponendosi in lunghe file lungo i rami.

Cocciniglia ostreiforme (Quadraspidiotus ostraeformis) e la cocciniglia rossa (Aonidiella aurantii): attaccano i rami e il tronco.

Cocciniglia di San Josè (Quadraspidiotus perniciosus): infesta tutte le parti della pianta con una predilezione per frutti, rami e tronchi, che ricopre con una crosta fittissima di scudetti; le sue punture provocano macchioline rossastre sulla parte colpita, malformazioni nei frutti e un progressivo deperimento della pianta.

Cocciniglia a virgola rappresentata da due specie dello stesso genere, Mytilococcus conchiformis e Mytilococcus ficifoliae: la prima attacca i rametti, la seconda le foglie.

Psilla (Homotoma ficus): in primavera le larve attaccano le gemme, successivamente le foglie nella pagina inferiore vicino alle nervature; normalmente non provoca danni rilevanti.

Lepidotteri

Efestia (Ephestia cautella): temibilissima per la produzione di fichi seccati, le larve rodono l'interno del frutto riempiendolo di escrementi, la femmina depone le uova sui fichi che cominciano a seccare sull'albero o sui frutti esposti al sole per completare l'essiccamento.

Tignola (Simaethis nemorana): le larve neonate rodono le foglie lasciando intatte le sole nervatura, la seconda generazione di larve può attaccare anche i frutti.

Coleotteri

Bostrico (Sinoxylon sex-dentatum): le larve e gli adulti scavano gallerie dirette in tutti i sensi interessando l'intero spessore dei rametti che possono facilmente spezzarsi.

Carpofilo (Carpophilus hemipterus): erode e danneggia i frutti essiccati.

Esperofane cinerino (Hesperophanes cinereus): le larve per 2-3 anni scavano profonde gallerie nel legno, le femmine ovidepongono su rami malati o legno esposto.

Ipoboro (Hypoborus ficus): gli insetti adulti scavano gallerie trasversali nel legno e nel cambio (strato di cellule meristematiche, interposto fra legno e libro, che assolve la funzione di accrescimento e di sviluppo secondario del fusto e della radice), mentre le larve scavano profonde gallerie perpendicolari, arrivando con azione sinergica a interessare tutto il cilindro centrale con disseccamento e caduta della corteccia; vengono attaccati preferibilmente i rami deperiti o morti non tempestivamente eliminati con la potatura.

Pogonocero ispido (Pogonochaerus hispidus): la larva scava gallerie tortuose sotto la corteccia e nel legno, la femmina depone le uova sulla corteccia di rami vecchi e deperiti.

Ditteri
Mosca mediterranea (Ceratitis capitata): le larve attaccano la polpa del frutto distruggendola, successivamente il frutto marcisce e cade.

Funghi

Antracnosi (Ascochyta caricae): provoca sulle foglie tacche bruno-rossastre arrotondate o allungate lungo le nervature e al cui centro i tessuti disseccano e compaiono i picnidi.

Brusone fogliare (Phyllosticta sycophila): provoca sulle foglie attaccate delle tacche color ocra al centro, bruno-rossastre ai margini esterni; le macchie confluendo in larghe chiazze secche provocano lacerazioni, accartocciamento e caduta delle foglie.

Cancro del tronco (Phomopsis cinerascens): attacca in seguito a una ferita non disinfettata, soprattutto il tronco e le branche madri impiegando 2-3 anni per formare il cancro; l'alterazione inizia con una zona depressa che lentamente si allarga fino a circondare tutto il tronco.

Colletotricosi (Colletotrichum caricae): provoca la marcescenza e la caduta dei frutti immaturi, che dapprima mostrano tacche depresse e isolate confluenti successivamente in chiazze brune al centro, più chiare in periferia.

Marciume (Botrytis cinerea): provoca la mummificazione dei frutti e il disseccamento dei rametti; si conserva da un anno all'altro svernando sui frutti mummificati rimasti sulla pianta e sui rametti morti, non tempestivamente rimossi e distrutti.

Vaiolatura (Cercospora bolleana): provoca macchie olivacee sulle nervature delle foglie, macchie che confluiscono formando grandi chiazze brunastre con accartocciamento e caduta delle foglie.

Ruggine (Uredo fici): attacca le foglie provocando sulla pagina superiore delle macchie gialle e in corrispondenza sulla pagina inferiore i sori giallo-bruni; determina la caduta prematura delle foglie e ritardo della maturazione dei frutti.

Batteri

Mal secco (Bacterium fici): a seguito dell'infezione batterica il tronco diventa di colore bruno, i rami anneriscono, disseccano, emettendo a volte un liquido viscoso. D'estate colpisce anche le foglie che presentano in un primo momento macchie decolorate che diventano nerastre, con disseccamento e frantumazione dei tessuti.

Virus

Mosaico: il virus attacca foglie, frutti e rametti; le foglie presentano aree di varie dimensioni giallognole e decolorate; segue la necrosi delle aree internervali o solo delle nervature con evidenti malformazioni; i frutti colpiti presentano malformazioni e caduta precoce; il vettore principale del virus è l'eriofide Aceria ficus.

La cacciata dal Paradiso terrestre di Adamo ed Eva fa parte di un ciclo di affreschi realizzati da Masaccio (Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, San Giovanni Valdarno 1401-Roma 1428) e del suo collega - più che maestro - Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini, Panicale in Valdarno, Firenze 1383 ca.-1440 ca.) per la Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze (1427 ca.). Le foglie di fico furono aggiunte tre secoli più tardi, probabilmente su richiesta di Cosimo III de' Medici (Firenze 1642-1723) il quale cedette al clero tutti i poteri amministrativi, e ciò potrebbe spiegare l'avvento delle foglie su istigazione della Bibbia. Sovrano vanitoso, debole e insieme tirannico, Cosimo non seppe in alcun modo fronteggiare la grave decadenza economica e morale che la Toscana ebbe a conoscere sotto di lui, non certo per colpa del capolavoro di Masaccio e Masolino. Durante il restauro del dipinto, avvenuto negli anni del 1980, le foglie di fico furono rimosse, mettendo così a nudo l'aristofanesco fico di Adamo. Forse presagendo la decisione di Cosimo III, Eva già si copriva le tette con la destra e la fica con la sinistra.

Terzo millennio dopo Cristo
Amsterdam - Quartiere a luci rosse

Genesi 3 [1] Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". [2] Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, [3] ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". [4] Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! [5] Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". [6] Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. [7] Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. [8] Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. [9] Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?". [10] Rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto". [11] Riprese: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?". [12] Rispose l'uomo: "La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato". [13] Il Signore Dio disse alla donna: "Che hai fatto?". Rispose la donna: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato". [14] Allora il Signore Dio disse al serpente: "Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. [15] Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno". [16] Alla donna disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà". [17] All'uomo disse: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. [18] Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. [19] Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!". [20] L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. [21] Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e le vestì. [22] Il Signore Dio disse allora: "Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!". [23] Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. [24] Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita.


Incroci tra caprifico e fica

In seno al genere Ficus carica esistono alberi bisessuali, cioè con siconio recante fiori maschili e femminili (il caprifico o Ficus carica var. caprificus) e alberi unisessuali il cui siconio reca solo fiori femminili (Ficus carica var. domestica). La determinazione del sesso in Ficus carica non avviene secondo un procedimento cromosomico XX/XY come suggerito per muschio, cotone e salice. Secondo Condit (1969) il numero diploide di cromosomi della maggior parte degli appartenenti al genere Ficus è pari a 26 (2n = 2x13 = 26).

Anche Storey (1977) conferma questo numero per Ficus carica, dove la determinazione del sesso può essere controllata da due paia di alleli (GA/ga) che si trovano su un paio di cromosomi omologhi. Questa ipotesi è supportata dai dati scaturiti da esperimenti di incrocio. I geni in questione, associati - o concatenati – su cromosomi omologhi, sono i seguenti:

G = allele dominante che determina lo stilo breve dei fiori femminili caratteristico del caprifico

g = allele recessivo che determina lo stilo lungo dei fiori femminili del fico commestibile

A = allele dominante che determina la produzione di fiori maschili

a = allele recessivo che determina l'assenza di fiori maschili

Ne consegue che per essere un caprifico bisogna possedere un corredo genetico GA/GA (omozigote) oppure GA/ga (eterozigote). Per produrre siconi commestibili il corredo genetico deve essere ga/ga, quindi solamente omozigote per i due geni recessivi.

Ecco le varie possibilità di incrocio genetico, rese più comprensibili adottando il cosiddetto quadrato di Punnett.

Incroci tra caprifico e caprifico
e tra caprifico e fico femmina o fica

G = allele dominante per fiore femminile con stilo breve
g
= allele recessivo per fiore femminile con stilo lungo
A = allele dominante per la formazione dei fiori maschili
a = allele recessivo per l'assenza di fiori maschili
gli alleli si trovano su un paio di cromosomi omologhi

100% maschi omozigoti

Geni del polline
di caprifico omozigote

GA

GA

Geni dell'ovulo
di caprifico omozigote

GA

GA/GA

GA/GA

GA

GA/GA

GA/GA

50% maschi omozigoti
50% maschi eterozigoti

Geni del polline
di caprifico omozigote

GA

GA

Geni dell'ovulo
di caprifico eterozigote

GA

GA/GA

GA/GA

ga

GA/ga

GA/ga

100% maschi eterozigoti

Geni del polline
di caprifico omozigote

GA

GA

Geni dell'ovulo
di fico femmina o fica

ga

GA/ga

GA/ga

ga

GA/ga

GA/ga

50% maschi omozigoti
50% maschi eterozigoti

Geni del polline
di caprifico eterrozigote

GA

ga

Geni dell'ovulo
di caprifico omozigote

GA

GA/GA

GA/ga

GA

GA/GA

GA/ga

25% maschi omozigoti
50% maschi eterozigoti
25% femmine omozigoti

Geni del polline
di caprifico eterozigote

GA

ga

Geni dell'ovulo
di caprifico eterozigote

GA

GA/GA

GA/ga

ga

GA/ga

ga/ga

50% maschi eterozigoti
50% femmine omozigoti

Geni del polline
di caprifico eterozigote

GA

ga

Geni dell'ovulo
di fico femmina o fica

ga

GA/ga

ga/ga

ga

GA/ga

ga/ga

L'interessate monografia Sex Determination & Life Cycle Of Ficus carica dalla quale sono tratti i dati suesposti, e pubblicata da http://waynesword.palomar.edu, prosegue così:

Both long-style and short-style ovaries are fertile and occasionally "less-likely" seeds may develop inside the pollinated short-style ovaries of the caprifig (if there are no wasp larvae to consume the seed tissue inside). According to Rixford (1918) and Condit (1947), fertile seeds are commonly found in the mammoni crop, up to 75 seeds per syconium. According to Valdeyron and Lloyd (Evolution 33, 1979), caprifig syconia seldom contain more than 10 seeds. The seeds result from pollination by wasps from the profichi crop, and from ovaries in which the wasps failed to oviposit. A caprifig seed parent is the only way to obtain homozygous caprifig offspring (GA/GA). When crossed with female trees, homozygous caprifig pollen parents yield 100% heterozygous caprifig offspring (GA/ga).

Of all the 11 possible genotypic progeny, only two (1/4 ga/ga and 1/2 ga/ga) result in female trees. If you eliminate the "less likely" homozygous pollen parents (GA/GA) and the "less likely" caprifig seed parents (GA/GA and GA/ga), there would be a 50/50 ratio of zygotic combinations resulting in heterozygous caprifigs and homozygous female trees (1/2 GA/ga and 1/2 ga/ga). In wild populations of the Mediterranean region, caprifig and female trees occur in similar frequencies (Valdeyron and Lloyd, 1979).

According to Storey (Recent Advances in Fruit Breeding, 1975), all commercial caprifigs probably originated from common edible fig seeds (from female (ga/ga) trees) and, therefore, are heterozygous (GA/ga). According to Condit (1920), cuttings of Smyrna figs and caprifigs were introduced into California in 1882. The fruit from these trees all dropped because of the lack of caprification. In 1890 caprifig cuttings with wasp-bearing syconia were also introduced. It is impossible to be certain if any of these caprifigs were homozygous. Naturalized female trees that have been pollinated develop syconia that are conspicuously pinkish-red inside, with numerous drupelets (endocarps) containing viable seeds.


Sicomoro
Ficus sycomorus

Dal greco sykómoros, da sûkon, fico, e móron, mora, il frutto del rovo, Rubus fruticosus. Il sicomoro, Ficus sycomorus, è una pianta della famiglia Moracee propria dell'Africa orientale. È un grosso albero con tronchi eretti, dai cui rami scendono radici avventizie tabulari che servono di sostegno.

Le foglie sono palmate, i fiori piccoli, riuniti in caratteristiche infiorescenze che danno luogo a grosse infruttescenze eduli di color rosso scuro, molto apprezzate in Egitto. Il legno, durissimo, veniva usato dagli antichi Egizi per la fabbricazione dei sarcofagi.

Il sicomoro nella mitologia egizia

Secondo gli antichi Egizi, con l’arrivo della primavera l’Uovo cosmico plasmato da Ptah, e da lui deposto sulle rive del Nilo, si apriva e ne usciva Ra/Osiride, il Sole. Il fiume viveva in simbiosi col dio del sole: “Cresce, io cresco; vive, io vivo”, così recita il Libro dei Morti, celebrando il perpetuo rigenerarsi della vita, la resurrezione di tutte le cose caduche. Finalmente cessava il pianto di Iside, alla disperata ricerca del suo amato Osiride. Per festeggiare la fine del suo dolore, nel santuario di Abido si mettevano in scena gli episodi del mito di Osiride, culminanti nella resurrezione del dio, che avveniva quando dalle zolle alla base del sicomoro sacro iniziavano a spuntare i germogli di grano e orzo.

Albero cosmico assimilato alla fenice, era quindi considerato simbolo di immortalità, di vittoria sulla morte, di rinascita dalla distruzione. Era l’Albero della Vita. Il suo succo era prezioso perché si riteneva donasse poteri occulti: “il frutto e il succo (o linfa) dell'Albero della Vita procurano l'immortalità”; il suo legno era usato per la fabbricazione dei sarcofagi: seppellire un morto in una cassa di sicomoro significava reintrodurre la persona nel grembo della dea madre dell'albero, facilitando così il viaggio nell’aldilà. Nel Libro dei Morti, il sicomoro è l'albero che sta fuori dalla porta del Cielo, da cui ogni giorno sorge il dio sole Ra.

Era consacrato alla dea Hathor, nominata anche la "dea del sicomoro”. La dea Hathor appare sotto forme diverse. All'origine era probabilmente una dea del cielo, ritratta come una mucca dal pelame stellato. Spesso rappresentata in forma di giovenca, si trova anche in sembianze femminili con il capo sormontato da due corna, che la collegano alle forze iniziatiche e al risveglio di kundalini. Suo strumento sacro è il sistro, e il suo simulacro presiedeva ai banchetti: "vieni o Dorata, che gioisci delle canzoni , che desideri la danza nel tuo cuore, che sei risplendente durante le ore del piacere, che gioisci delle danze notturne..."; così canta un poeta, che prosegue poi glorificando la potenza universale della dea, il cui dominio è immenso.

Dea madre, feconda e nutrice, Hathor abita gli alberi ed è la "Signora del sicomoro del sud", a Menfi; ma è anche la "Signora dell'occidente", ossia la signora del regno dei morti.

Nel ciclo di Ra, Hathor appare come l'occhio del sole, che sotto forma di leonessa distrugge gli uomini. Diviene allora la Fiammeggiante, che divora con la forza del fuoco; ma più ancora essa è la "Fiamma d'oro", il fuoco divorante dell'amore, la dea della gioia e dei piaceri. È la "giovenca d'oro", l'amata di Horus, colei che Ra ama.

Per onorare la dea, nel tempio di Dendera si inscenava la liturgia di Hathor che partoriva il sole nuovo. Con tale atto ella diventava la madre della Luce, e dalla sua essenza si rinnovava ogni anno l’ordine del creato. A Eliopoli, la dea era venerata come Nut, l’entità preposta a reggere il Cielo e coordinare il moto degli astri. Nel suo nome la radice nu indica l’inizio, l’apertura, il passaggio attraverso cui la vita riprende a fluire feconda.

Sistro - Strumento musicale a suono indeterminato, già noto agli Egizi e ad altri popoli antichi (Sumeri, Ebrei, Greci, Romani). Di metallo (raramente di legno), era costituito da piccole aste curve, montate su un'armatura a ferro di cavallo: il suono era ottenuto agitando lo strumento. Il sistro moderno è invece a suono determinato ed è formato da una o due file di campanelli in bronzo o di lamine metalliche appesi a un sostegno e da percuotere con martelletti.

Distribuzione spontanea di Ficus sycomorus

Il sicomoro nel Vangelo

Il sicomoro è citato nel celebre episodio di Zaccheo (Luca 19,1-10).

[1] Entrato in Gerico, attraversava la città. [2] Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, [3] cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. [4] Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. [5] Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". [6] In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. [7] Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!". [8] Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". [9] Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; [10] il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

Entrato in Gerico, Gesù attraversava la città, circondato dalla folla. Un uomo, tale Zaccheo, ricco sovrintendente degli esattori del fisco e sfruttatore dei più poveri, cercava di vedere chi fosse Gesù, ma essendo piccolo di statura non ci riusciva. Corse dunque avanti e per poterlo vedere salì sopra un sicomoro, perché Gesù doveva passare di là.

Quando Gesù arrivò sul posto, alzò lo sguardo, e gli disse: Zaccheo, presto, scendi, perché oggi devo fermarmi a casa tua. Zaccheo discese in fretta e lo accolse con gioia in casa. E tutti, vedendo ciò, incominciarono a mormorare dicendo: È andato ad alloggiare in casa di un peccatore. Ma Zaccheo, fattosi avanti, disse al Signore: Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo. Disse allora Gesù a lui: Oggi in questa casa è entrata la salvezza. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Il sicomoro diventa così un simbolo di redenzione: su di esso ascende Zaccheo, e quella decisione si rivelerà salvifica.

Il sicomoro nella numerologia

Il sicomoro è legato al numero 9, il numero tre volte sacro (3x3=9), il numero dell'Amore Universale. Rappresenta l'immagine completa dei 3 mondi: materiale, psichico e animico. L'ultima e la più alta delle cifre elementari rappresenta le grandi realizzazioni mentali e spirituali e denota qualità "superiori". È simbolo di verità totale e completa (il 9 moltiplicato per qualsiasi altro numero dà un prodotto le cui cifre sommate tra loro danno ancora 9). Il 9 ha come attributi ampliamento, conoscenza, conclusione.

www.centrosicomoro.org

Vogliamo una riprova del valore del numero nove? La Chiesa Cattolica ha istituito il triduo in preparazione di una solennità dedicata a un santo o a una santa. Ma se vogliamo estorcere a un santo qualcosa che ci sta a cuore, conviene dedicargli una novena. L'uso di protrarre una devozione per nove giorni risale agli antichi Romani, presso i quali i Parentalia novemdialia - i Parentali novendiali - erano una pratica di nove giorni celebrata dal 13 al 21 febbraio in onore dei morti della famiglia, benché il suo modello sia talora identificato nel periodo di preghiera trascorso dai discepoli di Gesù prima della discesa dello Spirito Santo, come riporta anche la Catholic Encyclopedia.

Per finire: chi di noi non ha mai fatto la prova del nove per verificare l'esattezza delle sue operazioni matematiche? E chi di noi ha mai pensato che una normale gravidanza umana dura 9 mesi?

Noi del Classico siamo infatuati e tronfi di grecismi. Così, per parecchio tempo mi trascinai nell’erronea convinzione che per l’ennesima volta significasse per la nona volta. Visto che nel Vangelo si dice 70 volte 7 e visto che in greco 9 si dice ennèa, ennesima vorrà pur dire 9 volte! Invece no! Ennesima significa un numero n indeterminato, come quando si eleva un numero all’ennesima potenza. Quando scoprii la verità ci rimasi un po’ male, soprattutto perché le mie doti di etimologista furono messe in discussione, seppure a quattr’occhi, cioè con me stesso munito d’occhiali. In verità, ripetere una cosa nove volte è già segno di notevole insistenza. Ecco una scusante addotta dall’Io, che oppone subito le sue resistenze per impedire la disgregazione dell’immagine del Sé.

Ficus sycomorus
Sycamore fig or Fig-mulberry

Ficus sycomorus, called the sycamore fig or the fig-mulberry (due to the leaves' resemblance to those of the Mulberry), sycamore, or sycomore, is a fig species that has been cultivated since early times. (Note that the name sycamore has been used for a variety of plants.)

Ficus sycomorus is native to Africa south of the Sahel and north of the Tropic of Capricorn, also excluding the central-west rainforest areas. It also grows naturally in the southern Arabian Peninsula and in very localized areas in Madagascar, and has been naturalised in Israel and Egypt. In its native habitat, the tree is usually found in rich soils along rivers, but also in mixed woodlands.

Ficus sycomorus grows to 20 m tall and 6 m wide with a dense round crown of spreading branches. The leaves are heart-shaped with a round apex, 14 cm long by 10 cm wide, and arranged spirally around the twig. They are dark green above and lighter with prominent yellow veins below, and both surfaces are rough to the touch. The petiole is 0.5-3 cm long and pubescent. The fruit is a large edible fig, 2-3 cm in diameter, ripening from buff-green to yellow or red. They are borne in thick clusters on long branchlets or the leaf axil. Flowering and fruiting occurs year-round, peaking from July to December. The bark is green-yellow to orange and exfoliates in papery strips to reveal the yellow inner bark. Like all other figs, it contains a latex.

Ficus sycomorus is in the Near Orient a tree of great importance and very extensive use. It has wide-spreading branches and affords a delightful shade. The ancient Egyptians cultivated this species "almost exclusively", according to Zohary and Hopf. Remains of Ficus sycomorus begin to appear in predynastic levels, and in quantity from the start of the third millennium BC. Zohary and Hopf note that "the fruit and the timber, and sometimes even the twigs, are richly represented in the tombs of Early, Middle and Late Kingdoms. in numerous cases the parched sycons bear characteristic gashing marks indicating that this art, which induces ripening, was practice in Egypt in ancient times."

Although this species of fig requires the presence of the symbiotic wasp Ceratosolen arabicus to reproduce sexually, and this insect is extinct in Egypt, Zohay and Hopf have no doubt that Egypt was "the principal area of sycamore fig development." Some of the caskets of mummies in Egypt are made from the wood of this tree.

In the Bible, Amos 7:14 refers to the fruit of the sycamore, which is of an inferior character; so also probably Jeremiah 24:2. At Jericho, Zacchaeus climbed a sycamore-tree to see Jesus as he passed by (Luke 19:4).


Baniano o banyan
Ficus benghalensis

Banyan o baniano (termine riferibile anche al fico delle pagode, Ficus religiosa) è diventata la denominazione comune di una grande pianta arborea originaria dell'India, Ficus benghalensis, appartenente alla famiglia delle Moracee. Di particolare interesse sono le numerose radici avventizie che scendono dai rami e si impiantano nel terreno, fornendo alla pianta sostegno e una serie di fusti secondari che le permettono una larga espansione dell'ombrello. Con il passare degli anni il fusto originario muore e l'albero si suddivide in tante parti, quanti sono i fusti secondari.
Il banyan, che appartiene alla stesso genere del fico domestico, ha foglie cuoriformi ovate e intere, lunghe circa 15 cm, e produce frutti rossi, non più grandi di una ciliegia, che si dipartono appaiati dal punto di inserzione delle foglie. I semi, che raramente germinano nel terreno, preferiscono essere depositati dagli uccelli tra le foglie delle palme da dove, una volta germinati, lasciano scendere le radici avventizie con cui avvolgono la palma sino a provocarne la morte. Nel giardino botanico di Kolkata (già Calcutta) si trova un famoso banyan centenario, dal fusto principale di oltre 12 metri di diametro, circondato da 230 radici di sostegno, alte fino a 3 metri, e da più di 3000 fusti secondari.

Ficus benghalensis - Moraceae - Banyan o baniano
Foresta pluviale di Wingham - Taree - Australia - NSW
 foto Elio Corti - 1995

Banyan

A banyan is a fig that starts its life as an epiphyte when its seeds germinate in the cracks and crevices on a host tree (or on structures like buildings and bridges). "Banyan" often refers specifically to the species Ficus benghalensis, though the term has been generalized to include all figs that share a unique life cycle. The seeds of banyans are dispersed by fruit-eating birds. The seeds germinate and send down roots towards the ground, and may envelope part of the host tree or building structure with their roots, giving them the casual name of "strangler fig". The "strangling" growth habit is found in a number of tropical forest species, particularly of the genus Ficus, that compete for light. Any Ficus species showing this habit may be termed a strangler fig.

Older banyan trees are characterized by their aerial prop roots which grow into thick woody trunks which, with age, can become indistinguishable from the main trunk. Old trees can spread out laterally using these prop roots to cover a wide area. The largest such tree is now found in Kolkata in India. One famous banyan tree was planted in 1873 in Lahaina's Courthouse Square in Hawai'i, and has grown to now cover two-thirds of an acre.

Like other Fig species (which includes the common edible fig Ficus carica var. domestica), banyans have unique fruit structures and are dependent on fig wasps for reproduction.

Etymology

The name was originally given to Ficus benghalensis and comes from India where early travellers observed that shade of the tree was frequented by banias or Indian traders.

In the Gujarati language, banyan means "merchant", not "tree". The Portuguese picked up the word to refer specifically to Hindu merchants and passed it along to the English as early as 1599 with the same meaning. By 1634, English writers began to tell of the banyan tree, a tree under which Hindu merchants would conduct their business. The tree provided a shaded place for a village meeting or for merchants to sell their goods. Eventually banyan came to mean the tree itself. Today, the banyan is considered sacred in India and Pakistan.

Classification

The proper noun Banyan refers specifically to the species Ficus benghalensis, which can grow into a giant tree covering several hectares. Over time, the name became generalized to all strangler figs. It appears that "banyan" is the more common term in Asia, Australia and Oceania, while "strangler fig" is more often used in the Americas and Africa. There are many banyan species, including:

Ficus microcarpa, which is native from Sri Lanka through New Caledonia and is a significant invasive species elsewhere.

The Central American Banyan (Ficus pertusa) is native to Central America and northern South America, from southern Mexico south to Paraguay.

The Shortleaf Fig (Ficus citrifolia) is native to southern Florida, the Caribbean Islands, Central America and South America south to Paraguay. One theory is that the Portuguese name for Ficus citrifolia, "Los Barbados", gave Barbados its name.

The Florida Strangler Fig (Ficus aurea) is also native to southern Florida and the Caribbean Islands, and distinguished from the above by its coarser leaf venation.

The Moreton Bay Fig (Ficus macrophylla) and Port Jackson Fig (Ficus rubiginosa) are other related species.

Ficus macrophylla
in Orto botanico di Palermo - Italy


Caprificazione
Un imenottero per avere frutti

La caprificazione è una pratica consistente nell'appendere un certo numero di infruttescenze di caprifico ai rami del fico comune al fine di favorirvi la fecondazione dei fiori femminili e ottenere siconi di migliore qualità organolettica.

Il fico è una specie rifiorente che può fornire da una a tre produzioni di frutti ogni anno. Affinché si abbia l'ingrossamento dei ricettacoli fiorali e la formazione dei gustosissimi frutti, in alcune cultivar è necessario che i fiori femminili vengano impollinati e conseguentemente fecondati.

L'impollinazione del fico domestico richiede il polline del caprifico e prende il nome di caprificazione. È inoltre necessario l'intervento di un insetto, l'imenottero Blastophaga psenes L., le cui femmine operano l'impollinazione involontariamente mentre visitano le infiorescenze del fico domestico allo scopo di deporvi le uova.

L'impollinazione del fico domestico da parte della blastofaga è dovuta alla contemporanea maturazione dei fòrniti del fico domestico e di quelli del caprifico e all'incapacità dell'insetto di distinguere tra i due.

Per tali motivi, parte delle femmine fecondate provenienti dai profichi del caprifico e imbrattate di polline, penetra erroneamente nei fòrniti del fico domestico; in questi l'insetto trova solo fiori femminili longistili in cui non sarà capace di deporre le uova, ma che riuscirà a fecondare col polline del caprifico di cui si è caricata.

In molte cultivar di fico domestico, come 'Smirne', 'Petrelli' e 'San Pietro', mentre per i fioroni non è necessaria la caprificazione, i fòrniti non riescono a evolvere in siconio se non vengono prima impollinati.

Per queste cultivar, dette caprificabili, bisognerà provvedere a garantire la presenza dell'insetto e del polline del caprifico all'interno del frutteto. A tale scopo si potrà impiantare un caprifico all'interno del frutteto, o semplicemente, nel periodo di fioritura dei fòrniti, bisognerà portare in campo delle collane di profichi che contengano femmine di blastofaga pronte per la sciamatura (metà giugno).
Esistono anche delle cultivar (es. 'Bourjassotte Grise') in cui i fòrniti riescono a evolvere in frutto anche senza che si abbia la fecondazione.

Queste cultivar vengono dette non caprificabili anche se la caprificazione è comunque possibile e porta alla formazione di un maggior numero di siconi, che si presentano anche più grandi, gustosi e dalla polpa più colorata.

www.giardinigiardini.com

Ed ecco come nel IV sec. dC la caprificazione viene proposta da Palladio nel suo Opus agriculturae IV, 10 de pomis, 23 de ficu: [28] In locis umectis ficus saporis obtusi est, cui circumcisis contra hoc radicibus aliquantus cinis debet adfundi. Aliqui inter ficarias caprifici arborem serunt, ut non sit necesse per singulas arbores pro remedio eadem poma suspendi. Mense iunio circa solstitium caprificandae sunt arbores fici, id est, suspendendi grossi ex caprifico, lino velut serta pertusi. Si hoc desit, abrotoni virga suspenditur: aut callum, quod in ulmeis foliis invenitur, aut arietina cornua circa radices arboris obruuntur: vel truncus arboris, quo loco turget, scarificandus est, ut possit umor effluere.


Figa

Come abbiamo già detto, siconio è il nome dello pseudofrutto prodotto da Ficus carica. Siconio deriva  dal greco neutro sûkon = fico, il frutto della sykéa, l'albero del fico, ma nella commedia di Aristofane La pace (421 aC) sûkon passa a significare il pene  nonché la vulva o la vagina. Si tratta forse del più antico esempio di ambivalenza siconio/organo sessuale femminile, un doppio senso che in italiano è riuscito a far mascolinizzare il falso frutto del Ficus carica in fico invece di lasciarlo al femminile fica.

In latino i frutti sono per lo più di genere neutro, ma un'eccezione è rappresentata da ficus/fici (II declinazione) e ficus/ficus (IV declinazione), sostantivi femminili, raramente maschili, che indicano sia l'albero del fico, o della fica che dir si voglia, sia il siconio. E non mancano certo gli esempi per avvalorare la tesi che per lo più in latino il siconio era di genere femminile, adeguandosi a passare al neutro ficum/fici solo nel V sec. dC con Celio Aureliano, per poi ridiventare femminile nel VI secolo con Sant'Isidoro di Siviglia.

In italiano i frutti sono per lo più di genere femminile, salvo alcune non rare eccezioni, come il mandarino (prodotto dal Citrus nobilis originario della Cina settentrionale e del Giappone), il caco (prodotto dal Diospyros kaki originario anch'esso della Cina e del Giappone), il mango, l'ananasso, il melone, tanto per rimanere nei frutti più noti.

Nel primo caso si dice mandarino forse per il colore che richiama quello dell'abito del funzionario cinese, il mandarino appunto, termine derivato dal sanscrito mantrin - tramite il portoghese mandarim - che significa ministro, vocabolo col quale gli occidentali designavano i funzionari civili e militari dell'Impero cinese.

Nel secondo caso, se ci richiamassimo al latino cacare, sarebbe assai disgustoso chiamare caca il caco o cachi, un frutto tanto buono detto kaki in giapponese e che ci viene fornito nientepopodimeno che dal Diospyros, cioè dal frumento divino (in greco pyrós = frumento e dîos = divino).

Il mango si è mascolinizzato per colpa dell'inglese. Mango deriva dal tamul mankay (al plurale manghi) ‘frutto (kay) dell'albero mango (man)’, Mangifera indica della famiglia Anacardiacee originaria della regione indo-malese. Mango è preso dal portoghese nella forma manga - femminile - e quindi diffuso nella forma inglese mango, diventando così maschile in italiano.

Un altro esempio di mascolinizzazione senza interferenze moralistiche è rappresentata dall'ananas o ananasso, in portoghese ananaz, dove la a- è l'articolo femminile singolare agglutinato dal guaranì naná, e la -s originariamente era quella del plurale. In italiano l'ananas o ananasso - maschile - è sia l'albero che il frutto dell'Ananas sativum (= Ananassa sativa = Bromelia ananas della famiglia Bromeliacee originaria dell'America tropicale). Oggi in portoghese il frutto dell'Ananas sativum è detto abacaxi, ed è maschile, e indica anche la punta rotante della sonda di una draga che aspira materiale aurifero dal fondo di un fiume, essendo questa punta assai simile a un ananas o, se vogliamo, a una pigna.

Un altro esempio scevro da interferenze moralistiche è rappresentato da melone, che in italiano indica sia la pianta che il frutto di Cucumis melo della famiglia Cucurbitacee. La pianta è detta anche popone (pare anche il frutto) ed è originaria dell'Africa e dell'Asia tropicali, diffusamente coltivata nei Paesi temperato-caldi. Melo è una voce dotta maschile del latino tardo (sec. III, in autori di medicina) usata invece del pliniano melopepo (maschile) che ricalca il greco maschile mëlopépøn (mêlon, neutro, mela, e pépøn, maschile, popone =cotto dal sole, maturo), letteralmente ‘mela-popone’. “Plinio fa poi menzione d'una specie di tali cucumeres detti melopepones, che fanno in Campania e hanno la figura di mele cotogne. E questi hanno proprio a essere i meloni, i progenitori almeno dei nostri meloni o poponi, perché Plinio ne loda, oltre il colore e la figura, anche l'odore.” (Naturalis historia XIX, 67: Ecce cum maxime nova forma eorum in Campania provenit mali cotonei effigie. forte primo natum ita audio unum, mox semine ex illo genus factum, melopeponas vocant. Non pendent hi, sed humi rotundantur, colore aureo. Mirum in his praeter figuram coloremque et odorem, quod maturitatem adepti, quamquam non pendentes, statim a pediculo recedunt - Giovanni Pascoli, Il cocomero, Il Giornale d'Italia del 24 agosto 1909)

Eppure, dal momento che ospita solo fiori femminili, il siconio del Ficus carica var. domestica, mascolinizzato in fico, meriterebbe a pieni voti di essere detto fica, così come abbiamo accettato di chiamare al femminile mela, pera, nespola, albicocca, pesca, melagrana, mandorla, oliva, noce, giuggiola, nocciola, visciola, i frutti dei rispettivi alberi che suonano al maschile.

Ma è ovvio che si possa venir meno a questa regola. Infatti talora ci troviamo di fronte ad alberi o a piante maschili o femminili che producono frutti anch'essi maschili o femminili: la vite ci dà l'uva, il melone l'abbiamo già disquisito, la quercia dà la ghianda così come il rovere, poi viene la fragola, il lampone, la arachide, il mirtillo, l'amarena, il ribes, l'anguria.

E lo stesso vale per gli ortaggi. La zucca ci dà la zucca, la zucchina produce le zucchine (spesso mascolinizzate in zucchini forse per reminiscenze falliche), e poi vengono fava, melanzana, peperoni, fagioli, pomodori, piselli, ceci. Patate, carote, cipolle, aglio e porro sono sì ortaggi, ma dal punto di vista botanico non sono frutti.

E torniamo al siconio. Mi sa tanto che in origine in italiano si dicesse fica, confortato da Ercole Scerbo il quale riferisce che nella vecchia Roma il Vicolo del Fico risultava registrato nelle Taxae viarum del 1546 come Vicolo della Fica. Ma il termine fica indicava anche la vagina. E allora, sull'esempio di quanto è accaduto al fico d'Adamo del Masaccio,  l'imperante e pudica Chiesa Cattolica ha preteso di passare al maschile. Quest'ipotesi, visto ciò che fu perpetrato in Adamo, non mi pare strampalata. Infatti, riecheggiando gli antichi autori latini e Sant'Isidoro di Siviglia,  il siconio è detto figa in genovese, e in Puglia, perlomeno a Lecce, chi raccoglie dei fichi raccoglie delle fiche.

La motivazione del transfert sessuale in cui è incappato il siconio è molto semplice. Gli antichi, tra cui Aristofane, non sapevano certo che femmina e maschio di Blastophaga psenes vi consumassero i loro rapporti sessuali, né sapevano, come gran parte di noi, che il prelibato siconio del fico domestico contenesse solo fiori femminili.

Gli antichi, come noi moderni, vedevano che l'ostiolo del siconio era un forellino che col passare dei giorni andava progressivamente dilatandosi, attraverso il quale un organo cilindrico come il pene sarebbe transitato volentieri fino a ridurlo da ostiolo a una fessura quando il siconio fosse ultramaturo, o anche prima, vista la prestanza del pene in erezione, capace di far sanguinare l'imene di una vergine, verginità pubblicamente sventolata nel sud dell'Italia appendendo fuori casa il lenzuolo intriso di sangue il mattino dopo le nozze (è ovvio che oggi, in certi casi, pretenderemmo un esame del DNA su questo sangue ostentato come partenogenetico).

Una fica matura e una ultramatura
le foto dei due siconi sono di Elio Corti - agosto 2007

Fica tratta da Emanuelle in America
un film del 1976 diretto da Joe D'Amato

Terzo film della serie Emanuelle Nera - l'attrice indonesiana Laura Gemser - e secondo film con la regia di Joe D’Amato, Emanuelle in America è probabilmente il più efferato della serie, per via dello snuff movie mostrato alla metà del film a pezzetti e, intero, verso la fine. Nel gergo della pornografia, l'espressione snuff o snuff movie (dall'inglese spegnere lentamente) si riferisce a video amatoriali realizzati sotto compenso in cui vengono mostrate torture realmente messe in pratica durante la realizzazione del film culminanti con la morte della vittima.

A cavallo tra gli anni '80 e '90 del XX secolo, negli ambienti goliardici si era soliti mettere in difficoltà le matricole con domande assurde o particolari, così da testarne la vena umoristica o intellettiva. Una molto diffusa riguardava proprio la questione in esame e recitava:

Se il melo dà la mela
e il pero dà la pera,
perché il fico non dà la fica?
... Ma soprattutto,
perché il finocchio dà il culo?

Segnalazione di Alfredo Colella

Se dal punto di vista anatomico amiamo spremerci – ma non eccessivamente – nel voler giustificare  il doppio senso di fica facendo ricorso al progressivo tramutarsi dell'ostiolo del siconio in fessura, tale sforzo simbolico non è assolutamente necessario se siamo a conoscenza di come viene indicata la fica nel nordovest dell'Italia. A Valenza, in provincia di Alessandria, e non solo a Valenza dove sono nato e cresciuto, la vulva è detta brügna, con un doppio gn, in quanto il frutto di vari Prunus (domestica, persica, armeniaca etc) presenta due grandi labbra su un lato, che subito richiamano quelle oltremodo realistiche del pittore francese Gustave Courbet che nel 1866 le immortalò in un suo capolavoro intitolato L'origine del mondo.

Conviene precisare una volta per tutte che vulva deriva dal latino vulva, che a sua volta deriva dal latino valva, la porta con 2 battenti, come in effetti è la porta che dà ingesso della vagina.

Le ultime susine o prugne o brügne - Prunus domestica - dell'estate 2007
foto di Elio Corti

Aforisma valenzano

Al tira 'd pü in peij ad brügna
d'na cübia 'd bô
Tira di più un pelo di vulva
di una coppia di buoi

Da bambino avevo appreso una filastrocca che ogni tanto canterellavo con gli amici, ma solo più tardi mi resi conto che sanciva un rapporto sessuale, una scopata. Eccola.

Al biló al va 'n parsó
e la brügna i dà rasó.
Al du bali 'd sentinela.
Viva viva la capèla!

Il pene va in prigione
e la vulva gli dà ragione.
I due testicoli di sentinella.
Viva viva la cappella!

La vulva è una caratteristica abituale dei frutti appartenenti al genere Prunus, come lo dimostrano quelli che mangiamo assai volentieri: l’albicocca, la pesca, la ciliegia, l’amarena.

Albicocca – Prunus armeniaca

Pesca – Prunus persica

Ciliegia – Prunus avium

Amarena – Prunus cerasus

La linguistica vuole giustizia, in quanto viene spesso tarpata da foglie di fico come quelle volute da Cosimo III e senz'altro ispirate dalla Bibbia. Da notare, tuttavia, che nel parlare corrente ci è concesso dire sfiga, sfigato, termini creati nel XX secolo da s-+figa, variante settentrionale di fica, e che nel gergo giovanile - oggi adottato anche dai meno giovani e dai politici - significa sfortuna, scalogna, iella, forse perché, perdendo la figa di una donna, si è perso tutto.

La motivazione del transfert sessuale in cui è incappato il siconio per colpa dell'ostiolo, e di cui abbiamo appena disquisito, potrebbe essere una bella panzana. L'etimologia di fica potrebbe in effetti essere molto più semplice. Vediamo prima la collezione di sinonimi del pene - o verga - sia in inglese che in francese assemblata da Ercole Scerbo nel suo Il nome della cosa (1991): "Eccone alcune: staff (dall'anglosassone staef), “bastone”; pile-driver, “palo guidatore”; pilgrim's staff (XVIII secolo), “bastone dei pellegrino”, che corrisponde al francese bourdon, metafora attestata fin dal XIII secolo (B. De Maurice); staff of love, “bastone dell'amore”; pike-staff, “asta di picca”; hand-staff, “bastone maneggevole”; rod (dall'anglosassone ród), “bacchetta”; ramrod, “verga da conficcare - scovolo”; to ram calcare; pigiare; piantare – ram = ariete, montone, pistone (idraulica)"

In anatomia il membro maschile si dice indifferentemente pene o verga. Il verbo italiano ficcare deriva dal latino parlato figicare, iterativo di figere che significa far penetrare con forza, conficcare, come quando si conficca un palo nel terreno.

Stando così le cose, quando si è arrapati e non si vede l'ora di figere la verga in un buco, la figa ideale è quella vergine, in cui il maschio è costretto a introdurre con forza (figere) il suo palo. Ficcare non è lo stesso che chiavare, in quanto per fortuna nella serratura di casa non si conficca la chiave, ma la si introduce senza alcuna fatica.

Dopo questo excursus ci dedicheremo al finale di La pace di Aristofane e quindi a quanto proposto da Ercole Scerbo nel suo mirabolante Il nome della cosa (1991), e il titolo di questo suo capolavoro la dice tutta.

L'origine del mondo
Gustave Courbet - 1866

Quello qui riprodotto è forse il più celebre quadro mai dipinto sull'organo genitale femminile. Opera del pittore francese Gustave Courbet (Ornans, Franca Contea, 1819 - La Tour-de-Peilz, Vaud, 1877), è custodito al Museo d'Orsay di Parigi. È una pittura a olio su tela di 46 cm. di altezza per 55 cm di larghezza. Quadro destinato a essere nel tempo tanto discusso quanto ammirato, per la naturalezza e il realismo - crudo e al tempo stesso sincero - della raffigurazione, fu realizzato da Courbet nel 1866.

La pace

Aristofane – 421 aC

La pace è una commedia di Aristofane scritta nel 421 aC durante la Guerra del Peloponneso. Il titolo trae il nome dalla divinità Pace, Eirënë in greco, che equivale all'italiano Irene. L’umile vignaiolo Trigeo vola a cavallo di uno scarabeo da Atene fino alla dimora di Giove sull'Olimpo. Qui incontra Ermes che gli comunica che gli Dei se ne sono andati perché sdegnati con i Greci sempre in lotta fra loro. Gli dice anche che Pace è stata imprigionata da Pólemos (la Guerra) in una caverna. Trigeo la libera dalla prigionia disseppellendola dal mucchio di pietre che rappresenta metaforicamente il cumulo degli errori umani: miopi egoismi di partito, ricerca del profitto personale, inani velleità di potenza. Trigeo riconduce Pace in terra tra i Greci che costituiscono il coro e collaborano attivamente con il protagonista alla liberazione.

Battute finali di
La Pace

Prefinale - traduzione di Ettore Romagnoli

trigeo (A Pomona):
Moglie mia, vieni al podere:
pronto è il letto: bel vedere
ci farai, bella ragazza!
coro
Imen, oh Imeneo!
primo semicoro
Come è giusto che tal bazza
a goder l'abbia Trigeo!
coro
Imen, oh Imeneo,
Imen, oh Imeneo!
primo semicoro
Che facciamo alla sposina,
che facciamo alla sposina?
secondo semicoro
Una bella pigiatina,
una bella pigiatina!
primo semicoro
Lo sposino a braccia alziamo,
noi schierati in prima riga,
e alla sposa lo portiamo!

Finale - traduzione di Elio Corti
25 agosto 2007

Τρυγαῖος
οἰκήσετε γοῦν καλῶς
οὐ πράγματ᾽ ἔχοντες, ἀλλὰ  1345
συκολογοῦντες.
Ἡμιχόριον Β
Ὑμὴν Ὑμέναι᾽ ὦ,
Ἡμιχόριον Α
Ὑμὴν Ὑμέναι᾽ ὦ.
Ἡμιχόριον Β
τοῦ μὲν μέγα καὶ παχύ.
Ἡμιχόριον Α
τῆς δ᾽ ἡδὺ τὸ σῦκον.        
        1350
Τρυγαῖος
φήσεις γ᾽ ὅταν ἐσθίῃς
οἶνόν τε πίῃς πολύν.
Χορός
Ὑμὴν Ὑμέναι᾽ ὦ,
Ὑμὴν Ὑμέναι᾽ ὦ.
Τρυγαῖος
ὦ χαίρετε χαίρετ᾽ ἄνδρες,            1355
κἂν ξυνέπησθέ μοι
πλακοῦντας ἔδεσθε.

trigeo
Invero, abiterete bene
senza avere preoccupazioni, ma
cogliendo fichi.

secondo semicoro
Imene, oh Imeneo,

primo semicoro
Imene, oh Imeneo.

secondo semicoro
Quello di lui è grande e grosso.

primo semicoro
Il fico di lei è dolce.

trigeo
Lo dirai quando lo mangerai,
e berrai parecchio vino.

coro
Imene, oh Imeneo,
Imene, oh Imeneo.

trigeo
Oh uomini, rallegratevi, rallegratevi,
e se mi seguite
mangerete focacce.

Traduzione
di Ettore Romagnoli

Anonymous translator - 1912
edition for the Athenian Society

trigeo
Camperete da signori,
senza avere alcuna briga,
e cogliendo fichi fiori!
secondo semicoro
Imen, oh Imeneo,
Imen, oh Imeneo!
primo semicoro
Grosso, è il fico del marito!
secondo semicoro
Della sposa è saporito!
trigeo
Dillo, quando cioncherai,
quando il buzzo pieno avrai!
coro
Imen, oh Imeneo,
Imen, oh Imeneo!
trigeo
Oh salute, genti belle!
Chi mi segue fino a casa
mangerà buone ciambelle!

Trygaeus [singing]
You shall have a fine house, no cares and the finest of figs. Oh! Hymen! oh! Hymenaeus! Oh! Hymen! oh! Hymenaeus!

Leader of the chorus [singing]
The bridegroom's fig is great and thick; the bride's very soft and tender.

Trygaeus [singing]
While eating and drinking deep draughts of wine, continue to repeat: Oh! Hymen! oh! Hymenaeus! Oh! Hymen! oh! Hymenaeus, Hail, hail, my friends. All who come with me shall have cakes galore.

eBooks@Adelaide
2004

Imeneo o Imene – In greco Hyménaios o Hymën. Divinità greca che presiedeva agli sponsali: giovane e bellissimo, conquistò la fanciulla amata dopo averla liberata dalle mani dei pirati. Riguardo alla sua origine è considerato figlio di Apollo e di Afrodite, come personificazione dell'inno che si cantava negli sponsali; di Dioniso e di Afrodite, come divinità dell'amore.

Imene - Dal greco hymën = pellicola, membrana. In anatomia, membrana di tessuto connettivo elastico rivestita di mucosa che separa la vulva dalla vagina. Ha forma variabile (rotonda, semilunare, frangiata, ecc.) e al primo rapporto sessuale di solito si lacera, provocando una piccola emorragia. Nella donna che ha partorito, residuano piccole rilevatezze peduncolate dette caruncole imeneali o mirtiformi.

Ercole Scerbo

IL NOME DELLA COSA

Nomi e nomignoli degli organi sessuali

arnoldo mondadori editore

1991

Nel regno vegetale

I nomi di molti elementi appartenenti al regno vegetale costituiscono la base di altrettante metafore relative al genitale femminile. A parte la dendrantropia (dai greco dendron, “pianta” e anthropos, “‘uomo”) che è la personificazione delle piante e la dendrofilia (dai greco dendron e philìa, “amore”) che indica addirittura l’erotismo rivolto verso le piante, occorre ricordare che fin dall’antichità gli alberi erano considerati simboli di fecondità. In particolar modo l’albero dei fico, il cui frutto maturo aprendosi dà l’immagine della vulva. Infatti il nome di tale frutto, che popolarmente è stato femminilizzato e trasformato in “fica”, rappresenta tuttora la più diffusa metafora della natura della donna. Alla base della sua motivazione stanno molto probabilmente anche il colore, la mollezza e l’appiccicosità del frutto anzidetto. Nora Galli de’ Paratesi riferisce che si tratterebbe di un’antica metafora passata dal greco al latino come calco di sykon, ficus. Tale voce si è poi consolidata nella forma “fica”, che appare documentata fin dal XIV secolo. Abbondanti sono le attestazioni lasciateci dalla letteratura erotica:

Ed è tal’uom che trovasi elevato, ché, se non fosse stata monna fica, né consiglier, né doge sana stato.

Altri versi affermano:

Il fico già portò de’ frutti il vanto, per la qual cosa certe donne sagge, se ne nascosero per fin sotto il manto.

E Annibal Caro conferma:

Infelici color che ne son privi; perocché dove fica non si trova, non vi posson durar gli uomini vivi.

In un’opera erotica d’autore ignoto si parla dei Prodigi della mona:

Dalla fica son nati tanti eroi, regni, città, imperatori e regi, e tanti e tanti monumenti egregi.

Ricordiamo che nel 1751 fu scoperta a Vienna un’associazione lussuriosa denominata “Confraternita del fico” (Feigenbrudershaft).

Nel dialetto della val di Piene (Umbria) il genitale femminile si chiama fika; a Vigevano, a Milano e a Novi Ligure figa, con le varianti milanesi figazzon o fighazzon (Carlo Porta); in Calabria si chiama anche bifaru, voce che indica una qualità dei fico che matura dopo la raccolta. Fra le varianti esistenti nell’area italiana segnaliamo le voci figarotta, per alludere a una donna non più vergine, e figadoro, che allude invece a una donna che se la tiene cara oppure a una meretrice troppo esosa.

Nell’area francese e in quella anglo-americana si ripete la stessa immagine dato che vengono usate rispettivamente le voci allusive figue e fig.

Nella vecchia Roma il Vicolo del Fico risulta registrato nelle Taxae viarum del 1546 come Vicolo della Fica. Sergio Delli, nel suo libro su Le strade di Roma, commenta: «Se si pensa alle numerose cortigiane che vi abitarono, il nome potrebbe essere appropriato». Purtroppo non è così. Nel campo dei toponimi e degli antroponimi le denominazioni derivanti da significati osceni sono come le mosche bianche e quasi sempre le apparenze ingannano. Così, per esempio, i cognomi Fegarotti, Ficarrotta e Fecarotta riflettono tutti il toponimo rurale “ficarotta”, che è un piccolo appezzamento di terreno in cui sono concentrati molti alberi di fico. La ficarotta non è altro che un diminutivo di “ficara”. La voce medievale figaretus, diffusa in Liguria, corrisponde a “terreno messo a fichi”. Ne consegue che il Vicolo dei Fico (o della Fica) non sembra che possa contenere alcuna allusione di carattere sessuale. Comunque, il comune di Ficano (Massa Carrara) nel 1927, a scanso di equivoci, chiese e ottenne il cambiamento di nome in Poggio San Vicino, ma rimangono ancora in provincia di Palermo i comuni di Ficarazzi e Ficuzza, e in provincia di Rovigo il comune di Ficarolo. Tali toponimi hanno tutti la stessa base di carattere agreste.

Gianfranco Lotti, nel suo Dizionario degli insulti (Milano, 1984), definisce figona una «donna di notevole capienza anatomica e, perciò, sessualmente non appagante».


Blastophaga psenes

ordine Hymenoptera
superfamiglia Chalcidoidea
famiglia Agaonidae
sottofamiglia Agaoninae

Ecco l'etimologia di del nome scientifico di questo insetto: mangiatrice di blastós = gemma/frutto e psën/psënós = cinipe, insetto che secondo antichi autori greci vive nei frutti della palma e del fico selvatico.

Cinipe deriva dal latino tardo sciniphe(n), derivato dal greco sknîphes, plurale di skníps ‘insetto roditore’, a sua volta derivato da skníptein ‘pungere, pizzicare’ (di etimologia incerta). Più o meno equivalente a skníps - e che forse più chiaramente ha dato luogo a cinipe - è kníps, usato nel senso di formica oppure di bruco che infesta le piante; kníps pare possa derivare da knáø = grattugiare, raschiare, grattare, solleticare. Aristotele in Historia animalium VIII,3 593a usa sia σκνιποφάφα per gli animali che mangiano σκνίπας, sia κνιπολόγος per indicare un uccello raccoglitore di formiche, o bruchi che siano. Basta così!!! Dimenticavo: etimologicamente parlando la y di Cynipidae andrebbe tramutata in i.

I Cynipidae costituiscono una famiglia di Insetti Imenotteri i cui membri, fitofagi, provocano a carico delle piante la formazione di cecidi o galle, escrescenze ben localizzate e determinate, costituite da tessuti di natura ipertrofica o iperplastica, che si sviluppano in un organo vegetale come reazione patologica allo stimolo esercitatovi da un elemento parassita, il quale se ne serve come dimora durante il periodo di sviluppo, traendone anche alimento.

Tra tutte le piante, le querce sono quelle di gran lunga più frequentemente attaccate dai Cinipedi; ben noto è l'elevato contenuto in acido gallico e tannico delle galle, tale da giustificare lo sfruttamento di tali formazioni nella fabbricazione dell'inchiostro e nella concia delle pelli. Il genere principale è Cynips e la specie più nota è il cinipe di Kollar (Cynips/Andricus kollari).

Torniamo alla Blastophaga psenes (Linnaeus, 1758) che ci ha indotti a divagare a causa dell'etimologia di psenes = cinipe, e che non appartiene alla famiglia dei Cynipidae. Infatti la Blastophaga psenes è un imenottero della famiglia Agaonidae, appartenente a sua volta alla superfamiglia Chalcidoidea. La famiglia degli Agaonidae riconosce 757 specie ripartite in 76 generi e 6 sottofamiglie: Agaoninae (357 specie descritte), Epichrysomallinae (40 specie), Otitesellinae (79 specie), Sycoecinae (67 specie), Sycophaginae (59 specie), Sycoryctinae (151 specie), 3 specie non catalogate.

La Blastophaga psenes è probabilmente la specie più conosciuta della sottofamiglia Agaoninae (sono note 27 specie di Blastophaga) e deve la sua notorietà al fatto di essere l'imenottero impollinatore del Ficus carica (ma anche del Ficus palmata).

Analogamente agli altri Agaonidae, la Blastophaga psenes è caratterizzata da un marcato dimorfismo sessuale: la femmina è dotata di ali mentre il maschio ne è privo.

La femmina depone uova dotate di un lungo filamento a un'estremità. Da esse fuoriesce la larva, traslucente e suddivisa in tredici segmenti. La larva matura è accentuatamente curva e i segmenti meso- e metatoracico mostrano un paio di protuberanze ventro-laterali rotondeggianti.

Le femmine vengono fecondate da maschi della medesima generazione. I maschi, usciti dalle galle prima delle femmine, perforano le galle in cui le femmine già mature e in attesa del maschio se ne stanno raggomitolate; dopo aver introdotto l'organo copulatore le fecondano e quindi muoiono all'interno del siconio senza vedere la luce del sole. Le femmine, uscendo dall'ostiolo dei fioroni, si caricano di polline, con il quale in seguito fecondano i fiori dei fòrniti estivi, dove penetrano a forza - tanto da perdere ali e antenne - al fine di deporvi le uova.

Interessante è un estratto dello studio di Guido Grandi intitolato Gli insetti dei caprifichi (1923) disponibile in formato PDF (159 KB), nel quale i particolari biologici succintamente testé riferiti vengono esposti con dovizie e chiarezza.

Di seguito si riporta la relazione sugli Agaonidae del Natural History Museum (UK) e un esauriente studio sugli Agaonidae stilato in portoghese in quanto è merito dei Brasiliani. Non lasciamoci deprimere dalle insicurezze classificative, che rimangono un problema per gli specialisti in materia.

Per pura curiosità riportiamo quanto è disponibile nel web circa i generi e le specie della sottofamiglia Agaoninae.

Sous famille Agaoninae Walker 1846 (23 genres, 357 espèces)

Agaon Dalman 1818 (11 espèces)
Alfonsiella Waterston 1920 (7 espèces)
Allotriozoon Grandi 1916 (3 espèces)
Blastophaga Gravenhorst 1829 (27 espèces)
Ceratosolen Mayr 1885 (68 espèces)
Courtella Kieffer 1912 (13 espèces)
Deilagaon Wiebes 1977 (4 espèces)
Dolichoris Hill 1967 (10 espèces)
Elisabethiella Grandi 1928 (14 espèces)
Eupristina Saunders 1882 (18 espèces)
Kradibia Saunders 1883 (25 espèces)
Liporrhopalum Waterston 1920 (18 espèces)
Nigeriella Wiebes 1974 (4 espèces)
Paragaon Joseph 1959 (2 espèces)
Pegoscapus Cameron 1906 (46 espèces)
Platyscapa Motschulsky 1863 (19 espèces)
Pleistodontes Saunders 1882 (22 espèces)
Sycobiomorphella Abdurahiman & Joseph 1967 (1 espèce)
Sycophilodes Joseph 1961 (1 espèce)
Sycophilomorpha Joseph & Abdurahiman 1969 (1 espèce)
Tetrapus Mayr 1885 (5 espèces)
Waterstoniella Grandi 1921 (20 espèces)
Wiebesia Boucek 1988 (18 espèces)

Agaonidae
Natural History Museum - UK

N.B. Recent work using molecular sequences of the 28S rRNA gene indicate that the family as recognised here is probably polyphyletic (see Rasplus, et al. 1998). This work suggests that only the Agaoninae (ie fig pollinators) should be regarded as belonging to the Agaonidae (s.s.) whilst the Sycoecninae, Otitesellinae and Sycoryctinae should be included in the Pteromalidae. Placement of the Sycophaginae and Epichrysomallinae remains uncertain.

Main diagnostic characters

1. Fore wing with marginal vein at right angles to anterior wing margin or nearly so (80%)

2. Associated with figs (Ficus spp.) (100%)

3. Mid legs with femora and tibiae clearly much more slender than those of fore and hind legs (85%)

4. Females with a clearly exserted, sometimes immensely long ovipositor (99%)

5. Males with wings very reduced or absent, and mandibles enlarged for fighting (95%)

Included taxa

The family currently includes 76 genera and 757 species placed in 6 subfamilies as follows: Agaoninae (20/358), Epichrysomallinae (14/40), Otitesellinae (15/79), Sycoecinae (6/67), Sycophaginae (7/59), Sycoryctinae (11/151), unplaced (3/3).

Biology

Species of Agaonidae are always associated with figs; many act as pollinators of various Ficus spp. (Agaoninae), whereas others are probably parasitoids of the pollinators or gall-formers of other parts of the fig.

Figs and their associated species of agaonine pollinators are totally dependent on one another, since fig flowers can be pollinated only by the appropriate species of wasp, and no wasp can produce progeny outside the appropriate fig (Ramirez, 1970; Wiebes, 1982a). The relationship is therefore very close, both groups probably being descendents of a common ancestor-fig and its pollinator-wasp (Wiebes 1982a,b).

Female agaonine fig-wasps normally enter the fig via the narrow ostiole, in the process losing their wings and often also parts of their antennae and legs (Wiebes 1982a, Valentine & Walker 1983). These females carry pollen from other figs, thus pollinating the flowers within the fig they enter and in which they will die. Pollen is transported in pollen "pockets" on the thorax (Wiebes, 1976) in "corbicula" on each foreleg (Ramirez, 1969), folds of the intersegmental membrane of the gaster, on the anntennae and also in the digestive tract (see Boucek, 1988). The female wasps oviposit in the female fig flowers. The larvae of the pollinator wasp develop and pupate within the ovaries of these flowers. The wingless males emerge first and mate with the females whilst still inside the galled flowers. These males normally bore a hole in the wall of the fig which allows the female wasp to emerge from the galled flowers. A few species of agaonines lay eggs without pollinating the fig flowers, and act as cuckoos (Wiebes, 1979).

The immature stages have been described in detail only for Blastophaga psenes (Linnaeus) (Agaoninae) (Grandi, 1929; Buscalioni & Grandi, 1938). The deposited egg is oval with a long filament at one end. The first-instar larva is simple, translucent and thirteen-segmented. The mature larva is strongly curved, and the meso- and metathoracic segments each have a pair of slightly raised, rounded, ventrolateral protuberances.

Blastophaga psenes is probably the best known of all the fig-wasps since it is the sole pollinating agent of the edible fig, Ficus carica. This species of fig is gynandioecious, i.e. the female flowers occur only on one plant and the male and gall-flowers (non-reproductive) female flowers with a relatively short style on another. Wasps that emerge from a fig, may fly to either a male or female plant. The well-known commercial edible seed-fig will be produced only if the wasps entering a female fig have emerged from a male fig, thus pollinating the flowers within the female fig. The use of Blastophaga psenes in producing figs commercially in North America has been summarised by Sisson (1970).

At least some species of the subfamily Epichrysomallinae also gall the flowers of figs and in some instances may act as pollinators.

Species belonging to the subfamilies Sycoecinae, Sycophaginae and Otitesellinae may be gall formers in the non-reproductive parts of the fig or parasitoids of gall-formers.

Agaonidae

Taxonomia e Sistemática

A classificação de Agaonidae é considerada tanto complicada quanto confusa (Grissell & Schauff, 1997), em parte porque existem duas definições para a família:

Agaonidae sensu lato, que segue a classificação de Boucek (1988a) e

Agaonidae sensu strictu, que corresponde aos Agaoninae da classificação anterior.

Agaonidae s.l. inclui 6 subfamílias que totalizam 757 espécies em 76 gêneros (Noyes, 2003): Agaoninae, Epichrysomallinae, Otitesellinae, Sycoecinae, Sycophaginae (=Idarninae) e Sycorictinae.

Com exceção de Agaoninae, os outros grupos têm posições variáveis:

- Sycophaginae já foi posicionado em Torymidae (ver observações para Epichrysomallinae);
- Otitesellinae já foi posicionado em Torymidae e atualmente alguns autores têm colocado em Pteromalidae;
- Epichrysomallinae tem sido colocado em Pteromalidae, mas possui caracteres diagnósticos de Torymidae (só está em Agaonidae devido à morfologia do sistema reprodutor, representado em Copland et al., 1973 e comparado a Copland & King, 1972b);
- Sycoecinae já foi incluído em Torymidae e mas também apresentado sem família definida;
- Sycoryctinae não raro aparece sem família também.

Boucek (1988a) coloca em Agaonidae todos os grupos associados a figos que possuem a ponte pós-genal mas não têm carena occipital; isto distingue a maioria dos Agaonidae s.l. de Torymidae (mas não alguns Epichrysomallinae, que possuem essa carena). No mesmo trabalho, separa-se Agaonidae s.l. de Pteromalidae com base na forma da metapleura (alargada para além da asa em Agaonidae e angulada em Pteromalidae). Riek (1970) afirmou que os Agaonidae s.s. são os únicos Hymenoptera sem esporão protibial e Boucek (in Gibson et al., 1997) listou mais 4 sinapomorfias para Agaonidae s.s. (Agaoninae) , as três primeiras relativas às fêmeas:

Apêndice mandibular;
Terceiro antenômero denteado;
Canal na cabeça;
Macho com metassoma telescopado projetado para a frente.

Ramírez (1974, 1976, 1978, 1987, 1991) desenvolveu uma teoria sobre a possível origem de Agaonidae a partir de Chalcidoidea galhadores que visitassem as inflorescências abertas de algum ancestral de Ficus para se alimentar de pólen e que tivessem passado a ovipositar ali, porque a maioria dos Agaonidae não apresentam estruturas especializadas para carregar pólen e são encontrados grãos no tubo digestivo das vespas quando elas deixam o sicônio. Já Boucek (1988) supõe que o ancestral de Agaonidae se alimentasse das sementes dos ancestrais dos figos, sendo, portanto, a fitofagia mais primitiva que a indução da galha (e sugerindo que Agaoninae fosse mais apical numa linhagem de Sycophaginae ou Sycoecinae). Existe uma congruência, de fato, entre filogenias de Agaoninae e Ficus (Wiebes, 1982a; Herre et al., 1996. Van Noort & Compton (1996) encontraram correlação entre o tamanho do ovipositor de Agaoninae e Sycoecinae e o tamanho do estilete da flor de Ficus, bem como da estrutura da cabeça das fêmeas e o tamanho do figo e de seu ostíolo e discutiram possibilidades de que estas características sejam resultado de evolução convergente. Da mesma forma, características do macho como redução das pernas, olhos e peças bucais podem ser convergentes e relacionadas à redução das asas e ao microambiente do interior dos figos (Hill, 1967a e Ramírez, 1987 apud Gibson et al., 1999).

O resumo de Gibson (1993) apresenta diagnoses comparadas das 6 subfamílias e Gibson et al. (1999) discutem as possíveis relações entre elas e grupos próximos. Permanece o problema dos limites e as subfamílias Otitesellinae, Epichrysomallinae e Sycoryctinae, que não tiveram apomorfias reconhecidas. Com base em dados de biologia molecular, Rasplus et al. (1998) afirmaram que Agaonidae não era monofilética a menos que fosse restringida apenas ao grupo que antes era tratado como Agaoninae, ou seja, as espécies galhadoras polinizadoras, que a partir daí passou a ser tratada como Agaonidae s.s., passando as demais subfamílias para Pteromalidae. Dentro de Agaonidae s.s., podem ser consideradas duas subfamílias no padrão geral: Agaoninae, gondwânica, e Blastophaginae, laurásica (Wiebes, 1982b).

A maioria dos estudos de biologia molecular (Herre et al., 1996; Machado et al., 1996, Rasplus et al., 1998) colocam Agaoninae basal às demais subfamílias de Agaonidae s.l.. Segundo Burks (in Krombein et al., 1979), Agaonidae deveria estar em Torymidae. Gibson et al. (1999) discutem as últimas classificações propostas, as sinapomorfias e concluem que qualquer estudo mais rigoroso que seja feito para definir a polarização dos caracteres deve incluir Agaonidae s.l., Torymidae e também Pteromalidae.

Biologia e Coleta

Historicamente, Agaonidae é definido como um grupo de vespas polinizadoras de Ficus. No entanto, apenas Agaonidae s.s. é polinizador; os outros grupos incluídos na família são galhadores ou inquilinos que estão associados a Ficus mas não são polinizadores.

O figo forma inflorescências globulares do tipo sicônio, em que muitas flores ficam no interior de um receptáculo côncavo carnoso que originará uma infrutescência. O sicônio possui um ostíolo estreito através do qual a fêmea com pólen penetra para alcançar as flores. Ao passar pelo ostíolo, geralmente ela perde parte das antenas e suas asas. Como nesta fase há apenas flores femininas abertas, todas elas são polinizadas e ovorre oviposição nas mais expostas; para isso, a fêmea introduz o ovipositor através do estilete e coloca o ovo no óvilo da flor. O ovário dessas flores incha (a flor fica morfologicamente alterada), mas o saco embrionário e o endosperma continuam seu desenvolvimento normalmente e servirão de alimento para a larva. A fêmea-mãe, então, morre dentro do sicônio. Quando as vespas adultas emergem das flores, o figo está com as flores masculinas abertas. Os machos das vespas emergem antes e copulam com as fêmeas antes mesmo delas saírem das galhas; após a cópula, eles utilizam suas mandíbulas para fazer uma abertura na parede do sicônio e podem cair no solo, onde eles morrem. Com a abertura do sicônio, há a renovação da atmosfera interna da infrutescência e isso estimula tanto a sua maturação quanto a emergência das fêmeas, que se carregam de pólen e ao deixarem o sicônio são atraídas por outros sicônios, que estarão com flores femininas abertas, reiniciando o ciclo. O fruto cai e dispersa suas sementes. Os machos que não saíram do fruto morrem ali, quando ele amadurece e cai. Hanson & Ramirez (in Hanson & Gauld, 1995) resumiram de forma bastante didática a relação entre oas fases do desenvolvimento do fruto e a polinização. Cook & Rasplus (2003) revisaram esses aspectos e relacionaram com a filogenia do grupo. Em relação aos dois gêneros presentes nos neotrópicos, Pegoscapus apresenta corbículas especializadas "bolsos" onde carrega o pólen e poliniza as flores femininas ativamente ao entrar no sicônio, enquanto Tetrapus não possui essas estruturas, mas carrega o pólen em seu tubo digestivo (Ramirez, 1969).

Ciclo de vida de Agaonidae, conforme descrito no texto. Fonte: biodidac.

Fêmea de Agaonidae com ovipositor inserido no estilete da flor.
Fonte: Hanson & Ramirez, 1995.

As vespas não-polinizadoras também são fitófagas e se alimentam do endosperma no ovário das plantas, seja como galhadoras, seja como inquilinas. Estas espécies não penetram no sicônio pelo ostíolo e sim ovipositam através da sua parede. Nestas subfamílias, o grau de especificidade com a planta hospedeira é variável.

Para a obtenção dos indivíduos, pode-se manter as galhas em laboratório para emergência de indivíduos. Grissell & Schauff (1997) relatam, também, que os Agaonidae são um dos únicos grupos de Hymenoptera que é atraído por armadilhas de luz negra.

De acordo com Noyes (2003), há apenas a descrição de imaturos de Blastophaga psenes (L.), polinizadora do figo comestível. O ovo possui um filamento longo numa das extremidades e oval, e a larva de primeiro ínstar é himenopteriforme, comum. A larva madura é fortemente curvada e apresenta um par de protuberâncias ventrolaterais nos segmentos meso e metatorácicos (Noyes, 2003).

Diversas hipóteses de evolução foram propostas em relação a Agaonidae, buscando explicar o mecanismo complexo da polinização e o alto grau de dependência entre as vespas e plantas envolvidas (Wiebes, 1979). Ramirez (1974, 1976, 1978, 1987, 1991) propôs cenários evolutivos para o hábito polinizador/galhador; Wiebes (1982a, 1986) estudou a biologia do grupo e propôs relações de coevolução e van Noort & Compton (1996) encontraram correlações entre características das vespas (estrutura da cabeça, tamanho do ovipositor) e das espécies de Ficus polinizadas por elas (tamanho do figo e ostíolo e tamanho do estilete da flor, respectivamente) (ver taxonomia, filogenia e sistemática). A associação das vespas entre si e com a planta é um modelo de estudo clássico da interação inseto-planta, inquilinismo e co-evolução (vide Janzen, 1979; Wiebes, 1979; Bronstein, 1991; Weiblen & Bush, 2002; Weiblen, 2002; Weiblen, 2004).

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