Lessico


Socotra
e le sue fantomatiche galline

Socotra è l’antica Dioscoride citata nel Periplo del Mar Rosso del I sec. dC. Isola di 3.626 kmq, comprese alcune isole minori adiacenti e con circa 15.000 abitanti, del Mar Arabico, situata circa 250 km a ENE del Capo Guardafui (Somalia), politicamente appartenente alla Repubblica dello Yemen. È costituita da un altopiano calcareo alto in media 500 m, culminante al centro nel monte Hajir (1503 m) e inciso da numerosi uidian (i corsi d'acqua più importanti) ricchi d'acqua nel periodo delle piogge (novembre-febbraio). Per il resto dell'anno l'isola è estremamente arida. La popolazione, formata da discendenti di schiavi arabi e negri di religione islamica e da pastori beduini assai primitivi di razza camitica seguaci di culti animisti, è dedita all'agricoltura (datteri, aloe, gomma arabica, incenso), alla pastorizia, alla pesca (madreperla) e all'artigianato (tappeti e ceramiche).

Il centro principale è Hadibu (o Tamrida, 1500 ab.). Celeberrima nell'antichità come il favoloso paese dell'incenso e della mirra, Socotra ha ora scarsi contatti con il resto del mondo. L'antica Dioscoride fu molto probabilmente cristianizzata dal sec. VI al X, per divenire poi pericoloso covo di pirati fino all'avvento dei Portoghesi all'inizio del sec. XVI. Questi però l'abbandonarono ben presto e Socotra cadde sotto l'influenza dei sultanati dell'Arabia meridionale. L'intenzione italiana di farne una colonia di pena fu osteggiata dall'Inghilterra (1871), che vi stabilì una base nel 1876. Istituito il protettorato inglese di Aden, ne fece parte dal 1886 fino al 30 novembre 1967.

Socotra
Bovini al pascolo anche nel XXI secolo

Di Socotra ha scritto nel 1517 Andrea Corsali e il testo è contenuto in Giovanni Battista Ramusio Delle navigationi et viaggi (I volume, 1550)

Andrea Corsali fiorentino allo illustrissimo principe e signor il signor duca Lorenzo de' Medici, della navigazione del mar Rosso e sino Persico sino a Cochin, città nella India, scritta alli XVIII di settembre MDXVII. [...] Questa isola di Soquotora è in circuito quindeci leghe, e mi pare, quando Tolomeo compose la sua Geografia, che era incognita appresso de' naviganti, come molt'altre per decorso del tempo per questa navigazione novamente discoperta: il che non è di maraviglia, non essendo di costume a que' tempi discostarsi molto dalla terra. Questa è abitata da pastori cristiani, che vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia; il lor pane sono dattili. Nella medesima terra è alcuno riso, che d'altre parti si naviga. Sono di natura Etiopi, come i cristiani del re David, con il capello alquanto piú lungo, nero e riccio; vestono alla moresca, con un panno solamente atorno le parti vergognose, come costumano in India, Arabia ed Etiopia, massime la gente populare. Nell'isola non vi si trova nessun signor naturale: egli è vero che le ville vicine al mare sono signoreggiate da Mori di Arabia Felice, che, per il commerzio ch'essi tenevano coi detti cristiani, a poco a poco gli soggiogarono e impatronironsi. La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice; in essa vi sono montagne di maravigliosa grandezza, con infiniti rivi d'acqua dolce. Qui è molto sangue di drago, ch'è gomma d'un arbore il quale si genera in aperture di questi monti, non molto alto, ma grosso di gambo e di scorza delicata, e va continuamente diminuendo da basso in suso come ritonda piramide, in la punta della quale sono pochi rami, con foglie intagliate come di rovere. Di qui viene lo aloe soquoterino, dal nome dell'isola denominato. Nella costa del mare si trova molto ambracan; ancora gran quantità ne viene dell'Etiopia, da Cefala sino al capo di Guardafuni, e di questa isola dell'oceano.

Probabilmente queste notizie botaniche furono raccolte da Andrea Corsali in  un modo un po' farraginoso. Giustamente cita la presenza a Socotra del sangue di drago, una resina rossastra ottenuta dalla Dracaena cinnabari - l'albero del sangue di drago - che ha la caratteristica di possedere un fusto che termina in un'ampia ombrella sostenuta da un tronco regolarmente cilindrico. Ma ciò che egli afferma circa l'arbore del sangue di drago - grosso di gambo e di scorza delicata, e va continuamente diminuendo da basso in suso come ritonda piramide, in la punta della quale sono pochi rami - non si addice al fenotipo della Dracaena cinnabari, bensì a quello di due altre piante presenti a Socotra, ambedue dette alberi bottiglia per la foggia del tronco. È assai verosimile che egli si riferisse alla Dorstenia gigas, il fico di Socotra, meno verosimile ma possibile il riferimento all'Adenium obesum, la rosa del deserto.

Socotra con toponimi diversi
Zacotora e Çocotora
in due carte tratte dalla terza edizione del 1563
del I volume Delle navigationi et viaggi - 1550
di Giovanni Battista Ramusio

A Socotra non si mangiavano polli
perché forse
di polli non ce n'erano

Si premette che le galline di Socotra sono assenti in tutta quanta l'Historia animalium III (1555) di Conrad Gessner, ma, a dirla tutta, in questo trattato di ornitologia sono assenti anche le galline della Britannia di cui parla Giulio Cesare in Commentarii de bello Gallico V,12,6: Leporem et gallinam et anserem gustare fas non putant; haec tamen alunt animi voluptatisque causa. - Ritengono illecito cibarsi di lepre, gallina e oca; tuttavia allevano questi animali per puro diletto.

Di galline di Socotra parla invece Ulisse Aldrovandi a pagina 298 di Ornithologia II (1600): Hodie apud Indos quosdam in Socotera insula religio est Gallinam, aut quamlibet avem contingere, nedum gustare: et Britannis olim Iulius Caesar testatur, nefas fuisse leporem, et Gallinam, et Anserem gustare: haec tamen alere animi voluptatisque causa. - Oggi presso alcuni Indiani dell’Isola di Socotra esiste l’usanza religiosa di non assaggiare, né tanto meno mangiare la gallina o qualsivoglia uccello: e, un tempo, come testimonia Giulio Cesare, per i Britanni era vietato cibarsi di lepre, gallina e oca: le allevavano per puro diletto.

Possiamo presumere che Aldrovandi abbia architettato di sana pianta questa notizia – relativa cioè al fatto che nel XVI secolo a Socotra per motivi religiosi non si mangiavano polli né qualsivoglia uccello – basandosi sulla lettera indirizzata da Andrea Corsali il 18 settembre 1517 a Lorenzo de' Medici e contenuta nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Giovanni Battista Ramusio.

Presumibilmente quest'opera mastodontica in 3 volumi di Ramusio è la stessa fonte usata da Aldrovandi a proposito dei polli squartati e farciti, ma apparentemente intatti, descritti sempre nel I volume da Francisco Álvares.

Da notare che per le galline della Britannia Aldrovandi cita la fonte a bordo pagina: Liber 5 de bello Gallico. Mentre per le galline di Socotra non dà alcuna referenza, ma è ovvio, così nessuno potrà contestarlo. Come al solito Aldrovandi ciurla nel manico, in quanto Corsali non afferma affatto in modo esplicito e inequivocabile - come invece fa Giulio Cesare per la Britannia - che a Socotra non si mangiavano polli. Corsali si limita a dire cosa mangiavano – per lo più – i pastori cristiani dell'isola: latte e burro, datteri al posto del pane, talora riso.

Corsali non specifica se i pastori cristiani di Socotra allevavano bovini, oppure pecore, oppure capre, oppure tutti e tre questi tipi di animali, tutti quanti in grado di fornire latte e burro, anche se oggi preferiamo ottenerlo da latte bovino. Pare comunque che i primi mammiferi furono introdotti sull'isola solo circa 2000 anni fa e si tratta soltanto di specie domestiche come capre, pecore, asini, cammelli e mucche.

Né Corsali si attarda a specificare che senz'altro anche la carne di questi animali affidati ai pastori serviva loro da alimento, ovviamente quando i soggetti erano giunti al termine della loro carriera produttiva di latte, prole e lana (e questa non certo impiegata per confezionare mantelli e maglie invernali), oppure quando i soggetti avevano un incidente e morivano o si era costretti a sopprimerli, come spesso accade.

E di animali al pascolo doveva essercene una caterva, visto che i pastori "vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia" Né Corsali specifica che per ridurre la carne in esubero, sia viva che macellata, magari i pastori la scambiavano con il riso che di tanto in tanto i marinai scaricavano sull'isola.
Tutto ciò che abbiamo testé specificato non sta scritto, ma può venir facilmente sottinteso in assoluto rispetto della ragionevolezza. Credo di poter affermare - anche se Corsali non lo dice - che i pastori, oltre a latte, burro, datteri e riso, mangiavano anche la carne dei loro quadrupedi, salvo doverla sotterrare o farne dono agli avvoltoi, magari al capovaccaio,
Neophron percnopterus, tuttora osservabile in gruppi sull'isola.

Infatti nutrirsi di carne di quadrupedi non era un'offesa a Dio, eccetto il venerdì, ammesso che i pastori cristiani di Socotra seguissero la regola dell'astinenza tanto cara alla Chiesa Cattolica. Poi, con grande disappunto dei pescivendoli, solo dal 17 febbraio 1966  la Costituzione Apostolica Paenitemini ha limitato l'astinenza dalle carni al mercoledì delle Ceneri, ai venerdì di Quaresima e al Venerdì Santo e ne ha consentito la sostituzione con opere di carità spirituale o corporale per gli altri venerdì dell'anno.

E veniamo finalmente al pollo di Socotra. In fin dei conti, questi pastori, avrebbero avuto la possibilità di allevare polli? In teoria sì, essendo il pollo onnivoro, tanto da trangugiare avidamente anche le feci umane, ma se al posto delle feci si volesse dare ai polli delle granaglie di cui sono altrettanto ghiotti, ecco che Corsali afferma "La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice". Per cui agli isolani conveniva fare i pastori anziché i coltivatori di granaglie. Non coltivavano neanche il frumento per farsi il pane, sostituito dai datteri.

E non dimentichiamo che Conrad Gessner a pagina 382 di Historia animalium III (1555), citando Strabone, a proposito delle Yemen - l'Arabia Felix per antonomasia e posta dirimpetto a Socotra - scrive: La parte dell’Arabia rivolta verso Austro – verso sud – e che si erge dirimpetto all’Etiopia, possiede in abbondanza uccelli di ogni tipo eccetto oche e galline, Strabone.
Quindi, se la fonte di Ulisse è stata la lettera di Corsali, Ulisse ha ciurlato per l'ennesima volta nel manico, e lo dimostra lo stralcio della lettera di Corsali che a noi interessa, chiudendo benevolmente un occhio sui suoi errori di botanica. Nello stralcio è oltremodo agevole accertare che i polli, contrariamente a quanto accade in Giulio Cesare, vi sono del tutto assenti.

Giovanni Battista Ramusio volume I Delle navigationi et viaggi (1550) -  Andrea Corsali fiorentino allo illustrissimo principe e signor il signor duca Lorenzo de' Medici, della navigazione del mar Rosso e sino Persico sino a Cochin, città nella India, scritta alli XVIII di settembre MDXVII.

[...] Questa isola di Soquotora è in circuito quindeci leghe, e mi pare, quando Tolomeo compose la sua Geografia, che era incognita appresso de' naviganti, come molt'altre per decorso del tempo per questa navigazione novamente discoperta: il che non è di maraviglia, non essendo di costume a que' tempi discostarsi molto dalla terra. Questa è abitata da pastori cristiani, che vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia; il lor pane sono dattili. Nella medesima terra è alcuno riso, che d'altre parti si naviga. Sono di natura Etiopi, come i cristiani del re David, con il capello alquanto piú lungo, nero e riccio; vestono alla moresca, con un panno solamente atorno le parti vergognose, come costumano in India, Arabia ed Etiopia, massime la gente populare. Nell'isola non vi si trova nessun signor naturale: egli è vero che le ville vicine al mare sono signoreggiate da Mori di Arabia Felice, che, per il commerzio ch'essi tenevano coi detti cristiani, a poco a poco gli soggiogarono e impatronironsi. La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice; in essa vi sono montagne di maravigliosa grandezza, con infiniti rivi d'acqua dolce. Qui è molto sangue di drago, ch'è gomma d'un arbore il quale si genera in aperture di questi monti, non molto alto, ma grosso di gambo e di scorza delicata, e va continuamente diminuendo da basso in suso come ritonda piramide, in la punta della quale sono pochi rami, con foglie intagliate come di rovere. Di qui viene lo aloe soquoterino, dal nome dell'isola denominato. Nella costa del mare si trova molto ambracan; ancora gran quantità ne viene dell'Etiopia, da Cefala sino al capo di Guardafuni, e di questa isola dell'oceano.

Prima di procedere, vorrei sottolineare che neppure Lind (1963) è stato in grado di ipotizzare la fonte della fantasmagorica notizia sui polli di Socotra propinataci da Aldrovandi.

È d'uopo procedere in quanto ulteriori ricerche nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Ramusio mi hanno permesso innanzitutto di appurare 3 ulteriori toponimi di Socotra che vanno ad aggiungersi a Soquotora di Corsali: si tratta di Zacotora, Zocotera e Çocotora. Soprattutto ho potuto appurare che la mia affermazione sul fatto che i pastori mangiavano carne corrisponde pienamente al vero.

Ma in primis, ovviamente, ho potuto appurare che mai nessuno sia prima che nel XVI secolo parlò di polli di Socotra. Come vedrete, il fatto che mangiassero carne - e davano quindi agli avvoltoi solo gli scarti - lo afferma nel 1516 Duarte o Odoardo Barbosa (Lisbona ca. 1480 – Filippine 1521) che ebbe l'onore di morire come il suo capoccia Magellano: venne anch'egli assassinato pochi giorni dopo. Poi potrete leggere succinte notizie non alimentari relative a Zocotera tramandateci dal viaggiatore e mercante Nicolò dei Conti  (Chioggia ca. 1395 - Venezia 1469) che tra il 1414 e il 1439 visitò Damasco, la Persia e l'India.

Ma Nicolò dei Conti è l'unico a specificare che questi cristiani erano dei nestoriani – lui dice nestorini – cioè seguaci di Nestorio (fine IV secolo - 451), patriarca di Costantinopoli, condannato come eretico nel concilio di Efeso del 431. Nestorio rifiutò la dottrina dell'unità in Cristo della natura divina e della natura umana, sostenendo di fatto una distinzione tra il Figlio di Dio e il figlio di Maria, la quale non può essere pertanto definita Madre di Dio.

Libro di Odoardo Barbosa portoghese - Nel presente anno 1516 io diedi fine a scrivere il presente libro - Capo di Fartas e Zacotora isola. - In questo paese e regno è un capo detto il capo di Fartas, dove la costa torna a far la volta nel mar largo: e fra questa e quella di Guardafuni è la bocca dello stretto di Mecca, donde tutte le navi passano al mar Rosso. Fra queste due punte sono tre isole, due piccole e una grande, chiamata Zacotora: questa è isola con molte alte montagne, e abitata da gente olivastra, nominati cristiani; ma manca loro il battesimo e la dottrina cristiana, che non hanno se non il nome di cristiani, e mancò quivi la legge cristiana già molti anni, e avanti che vi navigassero Portoghesi. Dicono i Mori che questa fu già isola delle femine dette Amazoni, le quali poi per ispazio di tempo si mescolarono con gli uomini: il che in alcune cose si conosce, perciò che le donne ministrano le facultà e le governano, senza che i mariti se n'impaccino. Questi hanno linguaggio da per sé e vanno ignudi, solamente cuoprono le lor vergogne con panni di bambagio e con pelli. Hanno molte vacche e castrati e palme e dattili; le lor vettovaglie sono di carne, di latte e di dattili. In questa isola vi è molto sangue di drago e molto aloe zocoterino. In essa i Mori di Fartas fecero una fortezza, per poterla tener soggetta e far che gli abitanti di essa fossero suoi schiavi con le lor persone e con le lor facultà. Ma arrivandovi un'armata del re di Portogallo, pigliò detta fortezza dei Mori di Fartas per forza d'arme, combattendo con essi, i quali si difesero molto piú gagliardamente che gli altri di quelle parti, di sorte che non si volsero mai arrendere e moriron tutti in battaglia, che nessuno di loro scampò, perché sono molto valenti e arditi nella guerra. Il capitano della detta armata lasciò nella fortezza gente e artegliaria, per guardarla in nome del re di Portogallo. Appresso di questa isola di Zocotora sono due altre isole di uomini olivastri e negri come Canarii, senza legge e senza dottrina, e non hanno conversazione con alcuna altra gente. In queste due isole si trova molto buono ambracan e in quantità, e molte pietre dette niccoli, di quelle che vagliono e sono stimate in la Mecca, e molto sangue di drago e aloe zocotorino, ed evvi molto bestiame, vacche e castrati.

Viaggio di Nicolò di Conti veneziano, scritto per messer Poggio fiorentino. - Nicolò di Conti veneziano, essendo giovane e ritrovandosi nella città di Damasco di Soria, avendo imparato la lingua arabica, se n'andò colle sue mercanzie con una carovana di mercatanti, che erano da 600, con i quali passò per l'Arabia che si domanda Petrea, dove sono gran deserti, e poi per la provincia di Caldea, insino che giunse sopra il fiume Eufrate. - Dell'isola Zocotera, ove nasce l'aloe. - Di qui essendo ritornato di nuovo verso Calicut, se ne venne per mare ad una isola chiamata Zocotera, la quale, andando alla volta di ponente, è posta lontana da terra ferma cento miglia; ha di circuito 600 miglia. Dimorò in far questo viaggio da duo mesi. Nasce in detta isola eccellente aloe, chiamato cocotrino. La maggior parte di questa isola è abitata da cristiani nestorini. - Di due isole, in una delle quali separatamente vivono gli uomini, nell'altra le donne; e dell'effetto che causa l'indisposizione di quell'aere. - In fronte di questa isola, non piú di cinque miglia lontano, vi sono due isole, distanti l'una dall'altra trenta miglia, in una delle quali abitano solamente uomini, nell'altra donne. Alcuna volta vanno gli uomini all'isola delle donne, e similmente le donne a quella degli uomini, e sono stretti e necessitati, avanti che compino tre mesi, di partirsi e ciascuno tornare alla sua isola, perché, contrafacendo e stando piú del tempo determinato, la disposizione del cielo e dell'aere gli fa morire immediate.

I polli squartati e farciti
ma apparentemente intatti dell'Etiopia
descritti da Francisco Álvares

Ecco il testo relativo ai polli squartati e farciti, ma apparentemente intatti, descritti da Francisco Álvares e riferiti da Aldrovandi a pagina 298 di Ornithologia II (1600): Franciscus Alvarez a {Praesbitero} <Presbytero> Iano narrat appositas Gallinas, quarum caro simul cum ossibus pelle exuta erat, et variis delicatis aromatibus impleta, et tanto artificio iterum concinnatas, ut nullibi rupturae locus, aut vestigium appareret. - Francisco Álvares in Verdadeira informação do Preste João das Índias narra che le galline messe in tavola, la cui carne era stata spogliata della pelle nonché delle ossa e poi farcita di svariati aromi delicati, erano poi state sistemate con tanta abilità che in nessun punto traspariva un’area o una traccia di lacerazione.

Quanto riferito da Aldrovandi è contenuto nel capitolo 100 di Verdadeira informação do Preste João das Índias, o meglio, di Historiale description de l'Ethiopie contenant vraye relation des terres, & païs du grand Roy, & Empereur Prete Ian etc. edito ad Anversa nel 1558. Ecco la versione italiana contenuta nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Giovanni Battista Ramusio.

Viaggio in Etiopia di Francesco Alvarez (1540) Cap. C. – Della pratica che ebbe l'ambasciadore col Prete sopra li tappeti, e come il Prete gli fece un solenne convito che durò fino a mezzanotte. - Le vivande erano fatte di diverse carni variamente acconcie quasi al modo nostro, fra le quali erano galline intere grandi e grasse, parte lesse e parte arroste; e in altritanti piatti venivano altretante galline che parevano quelle medesime, ma erano sole le pelli, in questo modo, che eglino avevano cavata fuori la carne e tutte l'ossa con somma diligenza, di modo che la pelle non era rotta in alcuna parte ma era tutta intera, e poi tagliata la carne sottilmente e mescolata con alcune spezierie delicate, e l'avevano di novo ripiena con essa: la quale, come è detto, era tutta intera, né vi mancava altro che il collo e li piedi dalle ginocchia in giú, né mai potemmo considerare come potessero cavar fuori la carne e l'ossa, o vero scorticarli, che non vi si vedesse rottura alcuna. Di queste mangiamo molto bene a nostro piacere, perché erano molto delicate e buone.

Dracaena cinnabari
Albero del sangue di drago

Dracaena cinnabari, albero del sangue di drago, albero dell'ombrello rovesciato. Dracaena deriva dal greco drákaina, la femmina del drago. La pianta fu classificata dal botanico scozzese Isaac Bayley Balfour dopo la sua spedizione a Socotra nel 1880. Sono gli alberi più noti dell’isola, appartenenti alla famiglia delle agavi e diffusi in Africa venti milioni di anni fa. Crescono a un’altitudine di almeno 500 m. dal livello del mare e si ergono maestosi col tronco dritto e la chioma a ombrello rovesciato, composta da un intrico di rami carnosi e corti, che terminano con mazzetti di foglie lanceolate, verde scuro. Praticando incisioni sulla corteccia si ricava una resina rossastra chiamata appunto “sangue di drago”, impiegata per svariati usi.Una leggenda yemenita narra che la pianta sarebbe nata proprio dal sangue versato da un drago durante il combattimento con un gigantesco elefante. Fin dall’antichità il liquido purpureo è stato utilizzato come medicamento, per la cura di ustioni e dissenteria, ma anche come pigmento per colorare pietre preziose, vetro, marmo e persino il legno usato per la produzione dei violini italiani. Le popolazioni locali raccolgono ancora questa sostanza per curare disturbi intestinali, tingere la lana, incollare e decorare la ceramica, usarla come balsamo per le vie respiratorie e rossetto per le labbra.

Dorstenia gigas
Fico di Socotra

Adenium obesum
Rosa del deserto

Socotra

Socotra vista dal satellite

Socotra (in arabo Suqutra) è la principale isola di un piccolo arcipelago di quattro isole e isolette situate nell'Oceano Indiano, poco al largo del Corno d'Africa, a circa 300 km dalla costa somala e 350 km a sud della Repubblica dello Yemen che la amministra per il Banu Afrar Mahra Sultanato di Qishn e Socotra. Dal 2008 l'arcipelago è inserito tra i patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

Geografia e clima

Gli affascinanti racconti dei pochi viaggiatori approdati nel passato sulle isole parlano di una terra ricca di magie e di stregoni capaci addirittura di rendere l'isola invisibile. In effetti per sei mesi all'anno le isole sono pressoché irraggiungibili a causa delle tempeste monsoniche, la mancanza di approdi riparati le rende poco ospitali anche nei rimanenti sei mesi. Dopo la riunificazione dello Yemen ha iniziato ad approdare qualche nave ed è stata costruita una pista di atterraggio.

L'arcipelago è composto dall'isola principale di Socotra (3.625 kmq), tre isole minori; Abd Al Kuri, Samha, Darsa — e alcuni scogli disabitati. L'isola principale è costituita da una piccola piana costiera, altipiani calcarei di tipo carsico e i monti Haghier che arrivano ai 1.525 m slm. L'isola ha un'estensione da nord a sud di circa 30-35 km e da est a ovest di 130 km. Il clima è tropicale con piogge invernali di intensità moderata e più intense nella parte interna. Nel periodo dei monsoni vi sono forti venti e mare molto mosso.

Storia

Mentre non è certa l'etimologia dell'arcipelago, forse da collegare al sanscrito Dvipa Sukhadhara o Dvipa sukhatara, vale a dire "Isola della Felicità" o "Isola felice", non c'è dubbio che Socotra sia la Panchaia citata da Virgilio, in qualche modo ricollegabile al mito della fenice. I Greci la collegavano a loro volta ai Dioscuri e da questo le sarebbe infatti venuto il nome di Dioskouridou con cui viene ricordata nell'anonima trattazione risalente al 40-70 dC, il Periplo del Mare Eritreo, vale a dire dell'Oceano Indiano fino alle coste occidentali del Golfo del Bengala, e di Dioscoridis Insula con cui la chiamavano i Romani.

Socotra è ricordata tra gli altri da Cosma Indicopleuste (mercante e viaggiatore egiziano del sec. VI nato forse ad Alessandria d'Egitto, verso il 522 si recò in Etiopia, in India e a Ceylon, scrisse la Topografia cristiana), Marco Polo, e dai geografi arabi Yaqut (m. 1229), al-Qazwini (m. 1283), al-Idrisi (XII sec.) e al-Hamdani (m. 1538). Malgrado la tradizione cristiana sostenga che i suoi abitanti sarebbero stati convertiti al Cristianesimo dall'apostolo Tommaso nel 52 dC, la popolazione di Socotra è oggi (2008) interamente musulmana, e ammonta a poco più di 20.000 persone fra Arabi, Somali, Indiani e discendenti di schiavi neri africani.

Sebbene alcune fonti attribuiscano all'esploratore Tristão da Cunha (Lisbona 1460 - ? ca. 1540) il merito di aver raggiunto Socotra nel XVI secolo per poi proclamarne l'annessione al Portogallo, l'impresa va invece ascritta ad Alfonso de Albuquerque (Alhandra, Lisbona, 1453 - Goa 1515) che nel 1507 mise per primo il piede sull'isola. A quel tempo il Cristianesimo era scomparso da Socotra, ma erano ancora visibili le croci di pietra che sarebbero state erette un tempo dagli abitanti. Nel 1542, durante la sua permanenza sull'isola, Francis Xavier (Francesco Saverio, santo, gesuita spagnolo, Javier, Navarra, 1506 - isola di Sancian, Canton, 1552) trovò un gruppo di persone che sosteneva di discendere dagli abitanti convertiti da San Tommaso. Il vescovo e umanista portoghese Jerónimo Osorio (Lisbona 1506-Tavira 1580) scrisse a tal proposito che i dioscoridi, abitanti di Dioscoride, erano tanto casti da non poter conoscere più di una donna nella vita.

Le isole passarono già nel 1511 sotto il controllo degli Imam di Masqat (Mascate) e dei sultani di Qishn, della regione del Mahra, che così aggiunsero alle loro titolature anche quella di sultano di Socotra. Occupata dalla Gran Bretagna nel 1834, in base a un accordo che prevedeva la permanenza nell'isola per solo un quinquennio, l'approdo a Socotra per il rifornimento del naviglio, indussero il governo delle Indie a trattarne l'acquisto, finché nel 1886 il Sultano accettò il protettorato della Corona britannica che così la annesse al suo Protettorato di Aden. Con l'indipendenza dello Yemen, Socotra passò allo Yemen meridionale, entrando poi a far parte dello Yemen unificato il 22 maggio 1990. Capitale di Socotra è Hadibu, luogo di residenza del sultano che governa con un suo vizir e capi delle comunità isolane.

Flora e fauna

Il 37% delle 825 specie di piante sono uniche al mondo. La stessa cosa si può dire per il 90% dei rettili e per il 95% dei serpenti di terra. La popolazione aviaria comprende 192 specie, 44 dei quali vivono sempre sull'isola, mentre 85 sono composte da uccelli migratori, alcune delle quali sono a rischio di estinzione. In mare si contano 253 specie di coralli che danno vita ad una barriera, 730 specie di pesci e 300 granchi, aragoste e gamberetti.

Patrimonio dell'umanità

Nel 2008 l'UNESCO ha inserito l'arcipelago di Socotra tra i patrimoni dell'umanità, a causa del suo valore naturalistico. Per la precisione l'iscrizione vuole sottolineare la biodiversità presente all'interno dell'arcipelago, sia dal punto di vista della flora che della fauna.

Socotra

Socotra or Soqotra (Arabic Suqutra) is a small archipelago of four islands and islets in the Indian Ocean off the coast of the Horn of Africa some 190 nautical miles (220 mi/350 km) south of the Arabian peninsula, belonging to the Republic of Yemen. It has long been a part of the 'Adan Governorate, but in 2004 became attached to the Hadhramaut Governorate, which is much closer to the island than 'Adan (although the closest governorate would be Al Mahrah).

Geography and climate

Socotra is one of the most isolated landforms on Earth of continental origin (i.e., not of volcanic origin). The archipelago was once part of the supercontinent of Gondwana and detached during the Middle Pliocene (ca 6 million years ago), in the same set of rifting events that opened the Gulf of Aden to its northwest. The archipelago consists of the main island of Socotra (3,625 km² or 1,400 sq mi), three smaller islands — Abd al Kuri, Samhah, Darsa — and small rock outcrops like Ka’l Fir’awn and Sabuniyah that are uninhabitable by humans but important for birds.

The main island has three geographical terrains: the narrow coastal plains, a limestone plateau permeated with carsick caves, and the Haghier Mountains. The mountains rise to 5,000 feet (1,525 m). The island is a little over 80 miles (130 km) long east to west and typically 18-22 miles (30-35 km) north to south.
The climate is generally tropical desert, with rainfall being light, seasonal (winter) and more abundant at the higher ground in the interior than along the coastal lowlands. The monsoon season brings strong winds and high seas
.

Flora and fauna

Socotra is considered the "jewel" of biodiversity in the Arabian sea. The long geological isolation of the Socotra archipelago and its fierce heat and drought have combined to create a unique and spectacular endemic flora (which may, therefore, be vulnerable to introduced species such as goats and to climate change). Surveys have revealed that more than a third of the 800 or so plant species of Socotra are found nowhere else. Botanists rank the flora of Socotra among the ten most endangered island flora in the world. The archipelago is a site of global importance for biodiversity conservation and a possible center for ecotourism.

One of the most striking of Socotra's plants is the dragon's blood tree (Dracaena cinnabari), which is a strange-looking, umbrella-shaped tree. Its red sap was the dragon's blood of the ancients, sought after as a medicine and a dye. Another unusual plant is Dorstenia gigas. The island group also has a fairly rich bird fauna, including a few types of endemic birds, such as the Socotra Starling Onychognathus frater, the Socotra Sunbird Nectarinia balfouri, Socotra Sparrow Passer insularis and Socotra Grosbeak Rhynchostruthus socotranus. As with many isolated island systems, bats are the only mammals native to Socotra. In contrast, the marine biodiversity around Socotra is rich, characterized by a unique mixture of species that have originated in farflung biogeographic regions: the western Indian Ocean, the Red Sea, Arabia, East Africa and the wider Indo-Pacific.

UNESCO recognition

The island was recognised by the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO)'s as a world natural heritage site in July 2008. The European Union has supported such a move, calling on both UNESCO and International Organization of Protecting Environment to classify the island archipelago among the environmental heritages.

People and economy

Almost all inhabitants of Socotra, numbered at 50,000, live on the main island. The principal city is Hadiboh (population 8,545 at the census of 2004). The inhabitants are of Indian, Arabian and Somali origins. They follow the Islamic faith, and speak Soqotri, an unwritten tongue that pre-dates Arabic. Their primary occupation has been fishing, livestock rearing and date cultivation. Recently tourism has also become a means of livelihood.

Traditionally, the archipelago has been inaccessible from June to September due to monsoon weather. However, in July 1999 a new airport opened Socotra to the outside year round, with Yemenia providing flights once a week to Aden and Sanaa. Socotra Island Airport is located about 12 km west of the main city, Hadiboh. Its ICAO code is OYSQ. Electricity is widely available in Socotra with installations of diesel generators, but in Hadiboh there is no electricity from 5am until 9am daily. There are two excellent paved roads: one along the north shore from Quelensiyah to Hadiboh and then to DiHamri area, and another from the north coast to the south coast through the Dixsam plateau. There is neither public transport nor taxis available on Socotra island, but rent-a-car service is available. The former capital is located to the east of Hadiboh. On the western end of Hadiboh lies a small Yemeni army barracks. The President of Yemen, Ali Abdullah Saleh, has a residence there as well.

The Semitic language Soqotri is spoken only in Socotra, although it is related to other Modern South Arabian languages on the Arabian mainland such as Mehri. The chief products of the island are dates, ghee, tobacco, and fish. Some residents also raise cattle and goats. At the end of the 1990s, a United Nations Development Program was launched with the aim of providing a close survey of the island of Socotra.

History

Socotra appears as Dioskouridou ("of the Dioscurides") in the Periplus of the Erythraean Sea, a 1st century A.D. Greek navigation aid. In the notes to his translation of the Periplus, G.W.B. Huntingford remarks that the name Socotra is not Greek in origin, but derives from the Sanskrit dvipa sukhadhara ("island of bliss"). A local tradition holds that the inhabitants were converted to Christianity by Thomas in AD 52. In the 10th century the Arab geographer Abu Mohammed Al-Hassan Al-Hamdani stated that in his time most of the inhabitants were Christians. Socotra is also mentioned in The Travels of Marco Polo according to which "the inhabitants are baptized Christians and have an archbishop" who, it is further explained, "has nothing to do with the Pope at Rome, but is subject to an archbishop who lives at Baghdad". They were Nestorians but they also practiced ancient magic rituals despite the warnings of their archbishop. In 1507, Portugal landed an occupying force at the then capital of Suq, to "liberate" the assumed friendly Christians from Arab Islamic rule. However they were not welcomed as enthusiastically as they had expected and abandoned the island four years later.

The islands passed under the control of the Mahra sultans in 1511. Later, in 1886 it became a British protectorate, along with the remainder of the Mahra State of Qishn and Socotra. For the British it was an important strategic stop-over. The P&O ship Aden sank after being wrecked on a reef near Socotra, in 1897, with the loss of 78 lives. In October 1967 the Mahra sultanate was abolished. On November 30th Socotra became part of the People's Republic of South Yemen (later to become the People's Democratic Republic of Yemen). Today it is part of the Republic of Yemen.

Periplo del Mar Rosso

Mappa delle rotte e delle località menzionate

Il Periplo del Mar Rosso (latino: Periplus Maris Erythraei) è un antico documento, risalente probabilmente al I secolo, che descrive le rotte di navigazione sul Mar Rosso e, in parte, l'Oceano Indiano e il Golfo Persico. Il documento è suddiviso in 66 capitoli, la maggior parte dei quali sono composti da un unico paragrafo. Vi sono descritte una quantità di località portuali del mondo antico; nella maggior parte dei casi facilmente identificabili sulle base delle informazioni fornite dal testo, ma la locazione di alcuni particolari luoghi menzionati dal testo è tuttora soggetta a dibattito. Sebbene il titolo dell'opera sia stato tradotto in italiano con Periplo del Mar Rosso, l'espressione originale Maris Erythraei (mare dell'Eritrea) aveva un significato certamente più ampio e includeva il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. L'opera cita infatti, tra l'altro, il fiume Gange e la Cina (chiamata Thina, e descritta come paese d'origine della seta). Anche i nomi delle merci commerciate, in alcuni casi, sono di difficile interpretazione.

L'originale del Periplus, andato perduto, era scritto in greco, probabilmente da un mercante egiziano di epoca romana. Sono state proposte diverse datazioni, comprese fra il I e il III secolo, ma l'ipotesi più accreditata è che la stesura originale risalga alla metà del I secolo. Il testo è pervenuto ai giorni nostri attraverso un manoscritto bizantino del X secolo, oggi conservato presso la biblioteca universitaria di Heidelberg. Una copia più recente, del XIV-XV secolo, è conservata al British Museum. La prima edizione a stampa fu realizzata nel 1553 da Sigismund Gelenius.

Periplus of the Erythraean Sea

Names, routes and locations of the Periplus of the Erythraean Sea.

The Periplus of the Erythraean Sea (Periplus Maris Erythraei) is a Greek periplus, describing navigation and trading opportunities from Roman Egyptian ports like Berenice along the coast of the Red Sea, and others along Northeast Africa and India. The text has been ascribed to different dates between the 1st and 3rd centuries AD, but a mid-1st century date is now the most commonly accepted. Although the author is unknown, it is clearly a firsthand description by someone familiar with the area and is nearly unique in providing accurate insights into what the ancient world knew about the lands around the Indian Ocean. Although Erythraean Sea literally means "Red Sea", to the Greeks it included the Indian Ocean and the Persian Gulf.

Overview

The work consists of 66 chapters, most of them about the length of a long paragraph in English. For instance, the short Chapter 9 reads in its entirety:

"From Malao (Berbera) it is two courses to the mart of Moundou, where ships anchor more safely by an island lying very close to the land. The imports to this are as aforesaid [Chapter 8 mentions iron, gold, silver, drinking cups, etc.], and from it likewise are exported the same goods [Chapter 8 mentions myrrh, douaka, makeir, and slaves.], and fragrant gum called mokrotou. The inhabitants who trade here are more peaceful."

In many cases, the description of places is sufficiently accurate to identify their present locations; for others, there is considerable debate. For instance, a "Rhapta" is mentioned as the farthest market down the African coast of "Azania", but there at least five locations matching the description, ranging from Tanga south to the Rufiji River delta. The description of the Indian coast mentions the Ganges River clearly, yet after that is somewhat garbled, describing China as a "great inland city Thina" that is a source of raw silk. Another interesting feature of the Periplus is that some of the words describing trade goods are seen nowhere else in ancient literature, and so we can only guess as to what they might mean. The Periplus also describes how Hippalus first discovered the direct route from the Red Sea to southern India.

The text derives from a Byzantine 10th-century manuscript in minuscule hand, contained in the collections of the University Library of Heidelberg (CPG 398: 40v-54v), and a copy of it dating from the 14th or 15th century in the British Museum (B.M. Add 19391 9r-12r). In the 10th-century manuscript, the text is attributed to Arrian, probably for no deeper reason than that the manuscript was adjacent to the Periplus Pontus Euxini written by him. The Periplus was first published in a modern edition by Sigismund Gelenius in 1553.

Opone (Somalia)

Ras Hafun in northern Somalia is believed to be the location of the ancient trade center of Opone. Ancient Egyptian, Roman and Persian Gulf pottery has been recovered from the site by an archaeological team from the University of Michigan. Opone is in the thirteenth entry of the Periplus of the Erythraean Sea, which in part states:

"And then, after sailing four hundred stadia along a promontory, toward which place the current also draws you, there is another market-town called Opone, into which the same things are imported as those already mentioned, and in it the greatest quantity of cinnamon is produced, (the arebo and moto), and slaves of the better sort, which are brought to Egypt in increasing numbers; and a great quantity of tortoiseshell, better than that found elsewhere." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap.13

In ancient times, Opone operated as a port of call for merchants from Phoenicia, Egypt, Greece, Persia, Yemen, Nabataea, Azania, the Roman Empire and elsewhere, as it possessed a strategic location along the coastal route from Azania to the Red Sea. Merchants from as far afield as Indonesia and Malaysia passed through Opone, trading spices, silks and other goods, before departing south for Azania or north to Yemen or Egypt on the trade routes that spanned the length of the Indian Ocean's rim. As early as 50 AD, Opone was well-known as a center for the cinnamon trade, along with the trading of cloves and other spices, ivory, exotic animal skins and incense.

Malao (Somalia)

The ancient port city of Malao, situated in present-day Berbera in northwestern Somalia, is also mentioned in the Periplus:

"After Avalites there is another market-town, better than this, called Malao, distant a sail of about eight hundred stadia. The anchorage is an open roadstead, sheltered by a spit running out from the east. Here the natives are more peaceable. There are imported into this place the things already mentioned, and many tunics, cloaks from Arsinoe, dressed and dyed; drinking-cups, sheets of soft copper in small quantity, iron, and gold and silver coin, not much. There are exported from these places myrrh, a little frankincense, (that known as far-side), the harder cinnamon, duaca, Indian copal and macir, which are imported into Arabia; and slaves, but rarely." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap.8

Aksum (Ethiopia)

Aksum is mentioned in the Periplus as an important market place for ivory, which was exported throughout the ancient world:

"From that place to the city of the people called Auxumites there is a five days' journey more; to that place all the ivory is brought from the country beyond the Nile through the district called Cyeneum, and thence to Adulis." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap.4

According to the Periplus, the ruler of Aksum in the 1st century AD was Zoscales, who, besides ruling in Aksum also held under his sway two harbours on the Red Sea: Adulis (near Massawa) and Avalites (Assab). He is also said to have been familiar with Greek literature:

"These places, from the Calf-Eaters to the other Berber country, are governed by Zoscales; who is miserly in his ways and always striving for more, but otherwise upright, and acquainted with Greek literature." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap.5

Himyarite kingdom and Saba (Arabia)

Ships from Himyar regularly traveled the East African coast. The Periplus of the Erythraean Sea describes the trading empire of Himyar and Saba, regrouped under a single ruler Charibael (Karab Il Watar Yuhan'em II), who is said to have been on friendly terms with Rome:

"23. And after nine days more there is Saphar, the metropolis, in which lives Charibael, lawful king of two tribes, the Homerites and those living next to them, called the Sabaites; through continual embassies and gifts, he is a friend of the Emperors." — Periplus of the Erythraean Sea, Paragraph 23

Frankincense kingdom

The Frankincense kingdom is described further east along the southern coast of the Arabian Peninsula, with the harbour of Cana (South Arabic Qana, modern Bir Ali). The ruler of this kingdom is named Eleazus, or Eleazar, thought to correspond to King Iliazz Yalit I:

"27. After Eudaemon Arabia there is a continuous length of coast, and a bay extending two thousand stadia or more, along which there are Nomads and Fish-Eaters living in villages; just beyond the cape projecting from this bay there is another market-town by the shore, Cana, of the Kingdom of Eleazus, the Frankincense Country; and facing it there are two desert islands, one called Island of Birds, the other Dome Island, one hundred and twenty stadia from Cana. Inland from this place lies the metropolis Sabbatha, in which the King lives. All the frankincense produced in the country is brought by camels to that place to be stored, and to Cana on rafts held up by inflated skins after the manner of the country, and in boats. And this place has a trade also with the far-side ports, with Barygaza and Scythia and Ommana and the neighboring coast of Persia." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap 27

Barigaza (India)

Trade with the Indian harbour of Barigaza is described extensively in the Periplus. Nahapana, ruler of the Indo-Scythian Western Satraps is mentioned under the name Nambanus, as ruler of the area around Barigaza:

41. "Beyond the gulf of Baraca is that of Barygaza and the coast of the country of Ariaca, which is the beginning of the Kingdom of Nambanus and of all India. That part of it lying inland and adjoining Scythia is called Abiria, but the coast is called Syrastrene. It is a fertile country, yielding wheat and rice and sesame oil and clarified butter, cotton and the Indian cloths made therefrom, of the coarser sorts. Very many cattle are pastured there, and the men are of great stature and black in color. The metropolis of this country is Minnagara, from which much cotton cloth is brought down to Barygaza." — Periplus of the Erythraean Sea, Chap. 41

Under the Western Satraps, Barigaza was one of the main centers of Roman trade with India. The Periplus describes the many goods exchanged:

49. There are imported into this market-town (Barigaza), wine, Italian preferred, also Laodicean and Arabian; copper, tin, and lead; coral and topaz; thin clothing and inferior sorts of all kinds; bright-colored girdles a cubit wide; storax, sweet clover, flint glass, realgar, antimony, gold and silver coin, on which there is a profit when exchanged for the money of the country; and ointment, but not very costly and not much. And for the King there are brought into those places very costly vessels of silver, singing boys, beautiful maidens for the harem, fine wines, thin clothing of the finest weaves, and the choicest ointments. There are exported from these places spikenard, costus, bdellium, ivory, agate and carnelian, lycium, cotton cloth of all kinds, silk cloth, mallow cloth, yarn, long pepper and such other things as are brought here from the various market-towns. Those bound for this market-town from Egypt make the voyage favorably about the month of July, that is Epiphi." — Periplus of the Erythraean Sea, Chapter 49

Goods were also brought down in quantity from Ujjain, the capital of the Western Satraps:

48. Inland from this place and to the east, is the city called Ozene, formerly a royal capital; from this place are brought down all things needed for the welfare of the country about Barygaza, and many things for our trade : agate and carnelian, Indian muslins and mallow cloth, and much ordinary cloth. — Periplus of the Erythraean Sea, Chapter 48

Muziris (India)

Muziris is a lost port city in South India, which was a major center of trade, pepper and other spices, metal work and semiprecious stones, with the Roman Empire. The widely accepted theory states it to be the Musiri, upstream river Kaveri, near the ancient capital of Cheras, Karur in Tamil Nadu. Roman coins and amphorae are found in abundance along with Chera-Roman collaborative mint. Also noteworthy are the Beryls and other semi-precious stones and metal work in the region as described by the Periplus. Salem steel, antimony and lead in Egypt also confirms this to be an even more ancient port. The distance between Musiri and the sea is around 500 stadia as the Periplus accounts.

The second, controversial theory states from the hoards of coins and shards of amphorae found in the town of Pattanam, elicited recent archeological interest as a probable location of this mythical port city. Today this place is called Kodungalloor. According to the Periplus, numerous Greek seamen managed an intense trade with Muziris:

Then come Naura and Tyndis, the first markets of Damirica (Limyrike), and then Muziris and Nelcynda, which are now of leading importance. Tyndis is of the Kingdom of Cerobothra; it is a village in plain sight by the sea. Muziris, of the same Kingdom, Muziris, of the same kingdom, abounds in ships sent there with cargoes from Arabia, and by the Greeks; it is located on a river, distant from Tyndis by river and sea five hundred stadia, and up the river from the shore twenty stadia. — The Periplus of the Erythraean Sea, 53-54

Damirica or Limyrike is usually identified with tamilagam, "Tamil country". Further, this area served as a hub for trade with the interior, in the Gangetic plain:

Besides this there are ex-ported great quantities of fine pearls, ivory, silk cloth, spikenard from the Ganges, malabathrum from the places in the interior, transparent stones of all kinds, diamonds and sapphires, and tortoise-shell; that from Chryse Island, and that taken among the islands along the coast of Damirica (Limyrike). They make the voyage to this place in a favorable season who set out from Egypt about the month of July, that is Epiphi. — The Periplus of the Erythraean Sea, 56

Remains of the Indo-Greek kingdom

The Periplus explains that coins of the Indo-Greek king Menander I were current in Barigaza.The Periplus describes numerous Greek buildings and fortifications in Barigaza, although mistakenly attributing them to Alexander the Great, who never went this far south. If true, this account would relate to the remains of the southern expansion of the Indo-Greeks into Gujerat:

"The metropolis of this country is Minnagara, from which much cotton cloth is brought down to Barygaza. In these places there remain even to the present time signs of the expedition of Alexander, such as ancient shrines, walls of forts and great wells." — Periplus, Chap. 41

The Periplus further testifies to the circulation of Indo-Greek coinage in the region:

"To the present day ancient drachmae are current in Barygaza, coming from this country, bearing inscriptions in Greek letters, and the devices of those who reigned after Alexander, Apollodorus [sic] and Menander." — Periplus Chap. 47

The Greek city of Alexandria Bucephalous on the Jhelum River is mentioned in the Periplus, as well as in the Roman Peutinger Table:

"The country inland of Barigaza is inhabited by numerous tribes, such as the Arattii, the Arachosii, the Gandaraei and the people of Poclais, in which is Bucephalus Alexandria" — Periplus of the Erythraean Sea, 47.