Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Condimentum, quo Gallina, vel pullus farcitur. Iecur, et ventriculum e Gallina manu diligenter eximes, ita ne quid frangas. Haec minutatim concisa cum ovo permisce, et croceum [298] colorem adde, si placet: addes et olus viride contusum, vel uvas passas minores, his immissis pollinem aromaticum affundes, et ventre<m>[1] Gallinae religabis, eamque in olla coques eo genere, quod suffucationem vocant. Caeterum pro Gallina assanda, condimentum hoc in patella mixtum cum ovo subiges, et in ventrem immittes. Idem.

Condimento con cui si farcisce una gallina o un pollo. Facendo attenzione in modo da non rompere nulla con la mano toglierai dalla gallina il fegato e lo stomaco. Dopo averli tagliati a pezzettini mischiali con un uovo, e, se ti va, aggiungi un colorante color zafferano: aggiungerai anche del cavolo verde pestato, oppure dell’uvetta passa piccola; dopo avervi messo questi ingredienti vi spargerai della polvere aromatica e ricucirai il ventre della gallina e la farai cuocere in una pentola alla maniera che chiamano stufato. Inoltre, per fare una gallina arrosto, impasterai dentro a una padella questo condimento amalgamato con un uovo e glielo metterai nella pancia. Sempre Balthasar Staindl.

Aliqui Gallinam pullam in optimo vino albo {descoquunt} <discoquunt[2]>, et dissolutam coctione diutina exprimunt, colantque ius, et cum ovi vitello ad ignem miscent. Hac sorbitione prostratas aegrorum vires mirifice restaurari aiunt. Athenaeus[3] meminit porcelli dimidia parte assi, et dimidia elixi, fartique Turdis, ac ventriculis Gallinaceis. Prandia apud Gallos elixas Gallinas accipiunt, {coenae} <caenae> assatas. Proceres ganeae brumalibus diebus edendas iubent. Vulgus a mense Februario appellat Februarinas, quibus nullam aliam escam anteponit. Alii toto anno in cibatu eas apponunt. Verum et in his, ut in caeteris animantibus ratio temporis est habenda. Franciscus Alvarez[4] a {Praesbitero} <Presbytero> Iano narrat appositas Gallinas, quarum caro simul cum ossibus pelle exuta erat, et variis delicatis aromatibus impleta, et tanto artificio iterum concinnatas, ut nullibi rupturae locus, aut vestigium appareret.

Alcuni fanno cuocere per bene una gallina giovane in ottimo vino bianco, e la spremono dopo che si è disfatta con una cottura prolungata, e colano il brodo, e sul fuoco lo mescolano con un tuorlo d’uovo. Dicono che con questa bevanda vengono ripristinate in modo meraviglioso le energie prostrate dei malati. Ateneo cita il maialino per metà arrosto, per metà bollito e farcito con tordi e stomaci di pollo. Presso i Francesi a pranzo si accettano le galline lesse, a cena quelle arrosto. I capi tavernieri vogliono che vengano mangiate nei giorni invernali. La gente le chiama febbraiole dal mese di febbraio, alle quali non antepone alcun altro cibo. Altri le inseriscono nel menu durante tutto l’anno. In verità anche per questi come per gli altri animali bisogna tenere conto del periodo dell’anno. Francisco Álvares in Verdadeira informação do Preste João das Índias narra che le galline messe in tavola, la cui carne era stata spogliata della pelle nonché delle ossa e poi farcita di svariati aromi delicati, erano poi state sistemate con tanta abilità che in nessun punto traspariva un’area o una traccia di lacerazione.

Admonet Nicolaus Massa, ut in omnibus Gallinarum apparatibus modicum quid salis adhibeatur, quoniam ita sapidiores sint, et citius in ventriculum descendant. Illud etiam obiter admonitum velim nucem pullo inclusam illum longe celerius coqui facere, ut Corn. Agrippa memoriae prodidit: quod si verum est, (possit autem quispiam absque noxa ulla experiri) egregiam saepe in inopinato amicorum adventu utilitatem praestaret. Si vis, ut pullus saltet in disco: Accipe, inquit Albertus Magnus, argentum vivum, et pulverem calaminthae, et mitte in ampullam vitream sigillatam, et illam pone intra pullum calidum: cum enim argentum vivum incalescit, movet se, et faciet ipsum saltare.

Nicola Massa consiglia che venga impiegata una piccola quantità di sale in tutte le preparazioni delle galline, in quanto così sono più saporite e scendono più rapidamente lungo l’apparato digerente. Nel frattempo vorrei anche dare quel suggerimento secondo cui una noce inserita nel pollo lo fa cuocere molto più rapidamente, come ha tramandato Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim: se ciò è vero (in realtà chiunque potrebbe sperimentarlo senza danno alcuno) spesso tornerebbe estremamente utile in caso di arrivo inaspettato di amici. Alberto Magno dice: Se vuoi che un pollo si metta a danzare su un piatto prendi del mercurio e della polvere di calaminta e mettili in un’ampolla di vetro sigillata, e sistemala dentro al pollo quando è caldo: infatti quando il mercurio si riscalda, si muove, e lo farà saltare.

Hodie apud Indos quosdam in Socotera insula[5] religio est Gallinam, aut quamlibet avem contingere, nedum gustare: et Britannis olim Iulius Caesar[6] testatur, nefas fuisse leporem, et Gallinam, et Anserem gustare: haec tamen alere animi voluptatisque causa. Alex. ab Alexandro[7] vero et diis ea offerre lege vetitum ipsis fuisse scribit. Et Hippocrates[8] eos olim, qui morbo sacro laborabant, Galli carnibus abstinere memorat.

Oggi presso alcuni Indiani dell’Isola di Socotra esiste l’usanza religiosa di non assaggiare, né tanto meno mangiare la gallina o qualsivoglia uccello: e, un tempo, come testimonia Giulio Cesare, per i Britanni era vietato cibarsi di lepre, gallina e oca: le allevavano per puro diletto. E Alessandro Alessandri scrive che per legge era stato loro vietato di offrire tali animali anche agli dei. E Ippocrate rammenta che coloro che prima soffrivano di epilessia debbono astenersi dalle carni di gallo.

Sed tempestivum modo est etiam aliquid de ovis dicere, quae quot modis cibos[9] iuvent, nemini non notum est, adeo ut alibi Plinius dicat nullum alium cibum esse, qui in aegritudine alat, neque oneret, simulque vim potus (alii[10] legunt vini usum) et cibi habeat. Eligimus autem ad cibum ova Gallinarum potissimum. Haec enim quicquid dicant alii, caeteris omnibus praeferuntur, maxime si ea ex Gallo Gallinae conceperint. Nam Zephyria, teste Aristotele[11], minus sapiunt minora sunt, ac magis humida. Recentia veteribus plurimum praestant, quippe optima sunt recentissima, vetustissima autem pessima: quae vero in horum medio sunt, proportione recessus ab extremis bonitate, vel pravitate inter se differunt. Recentia a veteribus dignoscuntur facillime. Recentia plena sunt, vetusta ut plurimum circa partem latiorem inania. Vetustatis insuper signum est manifestissimum, si dum aperiuntur, vel refringuntur, {difflaant} <diffluant>, praesertim vitello: contra bonitatis, si aperto ovo vitellus integer manserit, et in medio eius gutta rubicunda, velut sanguinea apparuerit.

Ma adesso è ora di dire qualcosa anche sulle uova, delle quali nessuno ignora in quanti modi tornano utili per i cibi, tant’è che Plinio in un punto dice che non esiste alcun altro cibo in grado di nutrire durante una malattia, e che non appesantisce, e contemporaneamente è dotato dell’energia fornita da una bevanda (altri invece di vim leggono vini, impiego del vino) e da un alimento. Infatti abbiamo scelto come cibo soprattutto le uova di gallina. Infatti qualsiasi cosa dicano altre persone, esse sono preferite a tutte le altre, soprattutto se le galline le hanno concepite con un gallo. Infatti, come testimonia Aristotele, le zefirine - sterili, piene di vento - sono meno saporite e sono più piccole e più umide. Quelle fresche sono assai migliori di quelle vecchie, e in verità sono ottime quelle appena deposte, mentre quelle molto vecchie sono pessime: ma quelle che si trovano a metà strada differiscono tra loro per bontà o per disgustosità in proporzione alla distanza rispetto agli estremi. Quelle recenti si riconoscono molto facilmente da quelle vecchie. Quelle recenti sono piene, quanto più sono vecchie sono vuote in corrispondenza del polo ottuso. Inoltre esiste un segno evidentissimo di vecchiaia, se quando vengono aperte oppure rotte si spandono, specialmente a carico del tuorlo: invece è segno di bontà se aperto l’uovo il tuorlo rimarrà integro e al suo centro sarà visibile una goccia rossa come il sangue.

Platina sapidiora putat ova, quae ex Gallinis pinguibus, non macilentis sunt nata, et ex depastis triticum, hordeum, milium, panicum, potius quam herbas. Arabes praeferunt oblunga, parva, tenuia, ut Tragus citat. Idem ova recentia in plenilunio exclusa tanquam praestantiora, cum ad cibum ceu durabiliora, tum ut Gallinis supponantur, colligi iubet. {Elluchasim} <Elluchasem> ova probat, quae duos vitellos habent tanquam maiora[12], et subtiliora. Ova recentia nomen servant, vetusta vero antiquis requieta dicta sunt, nobis vulgo stantia, forte quoniam levitate sua aquis supernatent. Hac enim ratione tuto experiere, si plena sunt, et recentia, an e contrario.

Il Platina ritiene siano più saporite le uova che sono state deposte da galline grasse, non macilente, e che hanno mangiato grano, orzo, miglio, panico, anziché erba. Gli Arabi preferiscono quelle oblunghe, piccole, sottili, come cita Tragus - Hieronymus Bock. Egli consiglia di raccogliere le uova appena deposte durante il plenilunio essendo migliori, perché essendo più durature come cibo, altrettanto lo sono per essere messe a covare sotto le galline. Elluchasem Elimithar apprezza quelle uova che hanno due tuorli essendo più grandi e più delicate. Le uova recenti conservano il loro nome, invece quelle vecchie vengono dette requieta - riposate - dagli antichi, da noi vengono comunemente dette stantie, forse perché a causa della loro leggerezza galleggiano sull’acqua. Infatti con questa prova potrai controllare con certezza se sono piene e recenti oppure il contrario.

Insuper ne ad cibum inepta reddantur ova, sive ne requieta fiant, ubi eorum copia est, quae in futurum usum reservare velis, in lomento repones. In eo enim servare ova utilissimum Plinius[13] iudicat, vel ut alibi ait, {hyeme} <hieme> in paleis, aestate in furfuribus. Qui ova, inquit Varro[14], diutius servare volunt, perfricant sale minuto, aut muria: atque ita sinunt per tres, aut quatuor horas, eaque abluta condunt in furfures, {et} <aut> acus. Columella[15] refert, quosdam trito sale sex horis adoperire, deinde eluere, atque ita paleis, aut furfuribus obruere: nonnullos solida, multos etiam fresa faba coaggerare, alios salibus integris adoperire, alios muria tepefacta durare. Sed sal omnis quemadmodum non patitur putrescere, ita ova minuit, nec sinit plena permanere, quae res ementem deterret: itaque ne in muriam quidem qui dimittunt, integritatem ovorum conservant: quare Plinii placita super istac conservatione sequi placet. Sunt qui, Ornithologo teste, ova recentiora servari velint frumenti genere quod secale vocant, nostri segala, Germani roggen, vel cinere, ita ut acutior pars ovi inferior sit, tum rursus secale, aut cinerem super infundunt.

Inoltre affinché le uova non diventino inadatte come cibo, cioè affinché non diventino stantie, quando ce n’è in abbondanza e vuoi metterle da parte per un impiego futuro, le metterai in farina di fave. Infatti Plinio ritiene che è assai utile conservarvi le uova, così come dice in un passo - che è lo stesso passo del lomentum, la farina di fave -, in inverno nella paglia, in estate nella crusca. Varrone dice: coloro che vogliono conservare le uova più a lungo le sfregano con del sale fine oppure con della salamoia: e le lasciano così per tre o quattro ore e dopo averle lavate le dispongono nella crusca oppure nella pula. Columella riferisce che alcuni le ricoprono per sei ore con sale fine e che quindi le lavano e dopo questo trattamento le ricoprono con paglia o crusca: alcuni le ammonticchiano con fave intere, molti anche con fave macinate, altri le ricoprono con sale grosso, altri le fanno indurire con salamoia tiepida. Ma qualsiasi tipo di sale, così come non lascia imputridire le uova, allo stesso modo le riduce di peso e non permette che rimangano piene, e ciò allontana chi deve comprarle: pertanto neppure coloro che le mettono in salamoia conservano l’integrità delle uova. Per cui è opportuno seguire i suggerimenti di Plinio sul modo di conservarle. Come riferisce l’Ornitologo, vi sono alcuni che vorrebbero conservare le uova appena deposte in un tipo di frumento che chiamano segale, i nostri segala, i Tedeschi roggen, oppure nella cenere in modo che la parte più appuntita dell’uovo si trovi in basso, quindi vi versano sopra di nuovo della segale o della cenere.


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[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 390: [...] his immissis pollinem aromaticum affundes et ventrem gallinae religabis, [...].

[2] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 390: Aliqui gallinam pullam in optimo vino albo discoquunt, [...].

[3] Liber 9. (Aldrovandi) § Deipnosophistaí IX 19,376c-d.

[4] Quanto riferito da Aldrovandi è contenuto nel capitolo 100 di Verdadeira informação do Preste João das Índias, o meglio, di Historiale description de l'Ethiopie contenant vraye relation des terres, & païs du grand Roy, & Empereur Prete Ian etc. edito ad Anversa nel 1558. Le pagine relative a quanto citato da Aldrovandi sono presenti nel lessico alla voce Francisco Álvares, ma è stato tralasciato il frontespizio in quanto risulta quasi illeggibile. § Ecco la versione italiana contenuta nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Giovanni Battista Ramusio. - Viaggio in Etiopia di Francesco Alvarez (1540) Cap. C. – Della pratica che ebbe l'ambasciadore col Prete sopra li tappeti, e come il Prete gli fece un solenne convito che durò fino a mezzanotte. - Le vivande erano fatte di diverse carni variamente acconcie quasi al modo nostro, fra le quali erano galline intere grandi e grasse, parte lesse e parte arroste; e in altritanti piatti venivano altretante galline che parevano quelle medesime, ma erano sole le pelli, in questo modo, che eglino avevano cavata fuori la carne e tutte l'ossa con somma diligenza, di modo che la pelle non era rotta in alcuna parte ma era tutta intera, e poi tagliata la carne sottilmente e mescolata con alcune spezierie delicate, e l'avevano di novo ripiena con essa: la quale, come è detto, era tutta intera, né vi mancava altro che il collo e li piedi dalle ginocchia in giú, né mai potemmo considerare come potessero cavar fuori la carne e l'ossa, o vero scorticarli, che non vi si vedesse rottura alcuna. Di queste mangiamo molto bene a nostro piacere, perché erano molto delicate e buone.

[5] Si premette che le galline di Socotra sono assenti in tutta quanta l'Historia animalium III (1555) di Conrad Gessner, ma, a dirla tutta, in questo trattato di ornitologia sono assenti anche le galline della Britannia di cui parla Giulio Cesare. § Possiamo presumere che Aldrovandi abbia architettato di sana pianta questa notizia – relativa cioè al fatto che nel XVI secolo a Socotra per motivi religiosi non si mangiavano polli né qualsivoglia uccello – basandosi sulla lettera indirizzata da Andrea Corsali il 18 settembre 1517 a Lorenzo de' Medici e contenuta nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Giovanni Battista Ramusio. Presumibilmente quest'opera mastodontica di Ramusio in 3 volumi è la stessa fonte usata da Aldrovandi a proposito dei polli squartati e farciti, ma apparentemente intatti, descritti sempre nel I volume da Francisco Álvares. Da notare che per le galline della Britannia Aldrovandi cita la fonte a bordo pagina: Liber 5 de bello Gallico. Mentre per le galline di Socotra non dà alcuna referenza, ma è ovvio, così nessuno potrà contestarlo. Come al solito Aldrovandi ciurla nel manico, in quanto Corsali non afferma affatto in modo esplicito e inequivocabile - come invece fa Giulio Cesare per la Britannia - che a Socotra non si mangiavano polli. Corsali si limita a dire cosa mangiavano – per lo più – i pastori cristiani dell'isola: latte e burro, datteri al posto del pane, talora riso. Corsali non specifica se i pastori cristiani di Socotra allevavano bovini, oppure pecore, oppure capre, oppure tutti e tre questi tipi di animali, tutti quanti in grado di fornire latte e burro, anche se oggi preferiamo ottenerlo da latte bovino. Pare comunque che i primi mammiferi furono introdotti sull'isola solo circa 2000 anni fa e si tratta soltanto di specie domestiche come capre, pecore, asini, cammelli e mucche. Né Corsali si attarda a specificare che senz'altro anche la carne di questi animali affidati ai pastori serviva loro da alimento, ovviamente quando i soggetti erano giunti al termine della loro carriera produttiva di latte, prole e lana (e questa non certo impiegata per confezionare mantelli e maglie invernali), oppure quando i soggetti avevano un incidente e morivano o si era costretti a sopprimerli, come spesso accade. E di animali al pascolo doveva essercene una caterva, visto che i pastori "vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia" Né Corsali specifica che per ridurre la carne in esubero, sia viva che macellata, magari i pastori la scambiavano con il riso che di tanto in tanto i marinai scaricavano sull'isola. Tutto ciò che abbiamo testé specificato non sta scritto, ma può venir facilmente sottinteso nell'assoluto rispetto della ragionevolezza. Credo di poter affermare - anche se Corsali non lo dice - che i pastori, oltre a latte, burro, datteri e riso, mangiavano anche la carne dei loro quadrupedi, salvo doverla sotterrare o farne dono agli avvoltoi, magari al capovaccaio, Neophron percnopterus, tuttora osservabile in gruppi sull'isola. Infatti nutrirsi di carne di quadrupedi non era un'offesa a Dio, eccetto il venerdì, ammesso che i pastori cristiani di Socotra seguissero la regola dell'astinenza tanto cara alla Chiesa Cattolica. Poi, con grande disappunto dei pescivendoli, solo dal 17 febbraio 1966  la Costituzione Apostolica Paenitemini ha limitato l'astinenza dalle carni al mercoledì delle Ceneri, ai venerdì di Quaresima e al Venerdì Santo e ne ha consentito la sostituzione con opere di carità spirituale o corporale per gli altri venerdì dell'anno. E veniamo finalmente al pollo di Socotra. In fin dei conti, questi pastori, avrebbero avuto la possibilità di allevare polli? In teoria sì, essendo il pollo onnivoro, tanto da trangugiare avidamente anche le feci umane, ma se al posto delle feci si volesse dare ai polli delle granaglie di cui sono altrettanto ghiotti, ecco che Corsali afferma "La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice". Per cui agli isolani conveniva fare i pastori anziché i coltivatori di granaglie. Non coltivavano neanche il frumento per farsi il pane, sostituito dai datteri. E non dimentichiamo che Conrad Gessner a pagina 382 di Historia animalium III (1555), citando Strabone, a proposito dello Yemen - l'Arabia Felix per antonomasia e posta dirimpetto a Socotra - scrive: La parte dell’Arabia rivolta verso Austro – verso sud – e che si erge dirimpetto all’Etiopia, possiede in abbondanza uccelli di ogni tipo eccetto oche e galline, Strabone. Quindi, se la fonte di Ulisse è stata la lettera di Corsali, Ulisse ha ciurlato per l'ennesima volta nel manico, e lo dimostra lo stralcio della lettera di Corsali che a noi interessa, chiudendo benevolmente un occhio sui suoi errori di botanica. Nello stralcio è oltremodo agevole accertare che i polli, contrariamente a quanto accade in Giulio Cesare, vi sono del tutto assenti. § Giovanni Battista Ramusio volume I Delle navigationi et viaggi (1550) -  Andrea Corsali fiorentino allo illustrissimo principe e signor il signor duca Lorenzo de' Medici, della navigazione del mar Rosso e sino Persico sino a Cochin, città nella India, scritta alli XVIII di settembre MDXVII. [...] Questa isola di Soquotora è in circuito quindeci leghe, e mi pare, quando Tolomeo compose la sua Geografia, che era incognita appresso de' naviganti, come molt'altre per decorso del tempo per questa navigazione novamente discoperta: il che non è di maraviglia, non essendo di costume a que' tempi discostarsi molto dalla terra. Questa è abitata da pastori cristiani, che vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia; il lor pane sono dattili. Nella medesima terra è alcuno riso, che d'altre parti si naviga. Sono di natura Etiopi, come i cristiani del re David, con il capello alquanto piú lungo, nero e riccio; vestono alla moresca, con un panno solamente atorno le parti vergognose, come costumano in India, Arabia ed Etiopia, massime la gente populare. Nell'isola non vi si trova nessun signor naturale: egli è vero che le ville vicine al mare sono signoreggiate da Mori di Arabia Felice, che, per il commerzio ch'essi tenevano coi detti cristiani, a poco a poco gli soggiogarono e impatronironsi. La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice; in essa vi sono montagne di maravigliosa grandezza, con infiniti rivi d'acqua dolce. Qui è molto sangue di drago, ch'è gomma d'un arbore il quale si genera in aperture di questi monti, non molto alto, ma grosso di gambo e di scorza delicata, e va continuamente diminuendo da basso in suso come ritonda piramide, in la punta della quale sono pochi rami, con foglie intagliate come di rovere. Di qui viene lo aloe soquoterino, dal nome dell'isola denominato. Nella costa del mare si trova molto ambracan; ancora gran quantità ne viene dell'Etiopia, da Cefala sino al capo di Guardafuni, e di questa isola dell'oceano. § Prima di procedere, vorrei sottolineare che neppure Lind (1963) è stato in grado di ipotizzare la fonte della fantasmagorica notizia sui polli di Socotra propinataci da Aldrovandi. È d'uopo procedere in quanto ulteriori ricerche nel I volume Delle navigationi et viaggi (1550) di Ramusio mi hanno permesso innanzitutto di appurare 3 ulteriori toponimi di Socotra che vanno ad aggiungersi a Soquotora di Corsali: si tratta di Zacotora, Zocotera e Çocotora. Soprattutto ho potuto appurare che la mia affermazione sul fatto che i pastori mangiavano carne corrisponde pienamente al vero. Ma in primis, ovviamente, ho potuto appurare che mai nessuno sia prima che nel XVI secolo parlò di polli di Socotra. Come vedrete, il fatto che mangiassero carne - e davano quindi agli avvoltoi solo gli scarti - lo afferma nel 1516 Duarte o Odoardo Barbosa (Lisbona ca. 1480 – Filippine 1521) che ebbe l'onore di morire come il suo capoccia Magellano: venne anch'egli assassinato pochi giorni dopo. Poi potrete leggere succinte notizie non alimentari relative a Zocotera tramandateci dal viaggiatore e mercante Nicolò dei Conti  (Chioggia ca. 1395 - Venezia 1469) che tra il 1414 e il 1439 visitò Damasco, la Persia e l'India. Ma Nicolò dei Conti è l'unico a specificare che questi cristiani erano dei nestoriani – lui dice nestorini – cioè seguaci di Nestorio (fine IV secolo - 451), patriarca di Costantinopoli, condannato come eretico nel concilio di Efeso del 431. Nestorio rifiutò la dottrina dell'unità in Cristo della natura divina e della natura umana, sostenendo di fatto una distinzione tra il Figlio di Dio e il figlio di Maria, la quale non può essere pertanto definita Madre di Dio. § Libro di Odoardo Barbosa portoghese - Nel presente anno 1516 io diedi fine a scrivere il presente libro - Capo di Fartas e Zacotora isola. - In questo paese e regno è un capo detto il capo di Fartas, dove la costa torna a far la volta nel mar largo: e fra questa e quella di Guardafuni è la bocca dello stretto di Mecca, donde tutte le navi passano al mar Rosso. Fra queste due punte sono tre isole, due piccole e una grande, chiamata Zacotora: questa è isola con molte alte montagne, e abitata da gente olivastra, nominati cristiani; ma manca loro il battesimo e la dottrina cristiana, che non hanno se non il nome di cristiani, e mancò quivi la legge cristiana già molti anni, e avanti che vi navigassero Portoghesi. Dicono i Mori che questa fu già isola delle femine dette Amazoni, le quali poi per ispazio di tempo si mescolarono con gli uomini: il che in alcune cose si conosce, perciò che le donne ministrano le facultà e le governano, senza che i mariti se n'impaccino. Questi hanno linguaggio da per sé e vanno ignudi, solamente cuoprono le lor vergogne con panni di bambagio e con pelli. Hanno molte vacche e castrati e palme e dattili; le lor vettovaglie sono di carne, di latte e di dattili. In questa isola vi è molto sangue di drago e molto aloe zocoterino. In essa i Mori di Fartas fecero una fortezza, per poterla tener soggetta e far che gli abitanti di essa fossero suoi schiavi con le lor persone e con le lor facultà. Ma arrivandovi un'armata del re di Portogallo, pigliò detta fortezza dei Mori di Fartas per forza d'arme, combattendo con essi, i quali si difesero molto piú gagliardamente che gli altri di quelle parti, di sorte che non si volsero mai arrendere e moriron tutti in battaglia, che nessuno di loro scampò, perché sono molto valenti e arditi nella guerra. Il capitano della detta armata lasciò nella fortezza gente e artegliaria, per guardarla in nome del re di Portogallo. Appresso di questa isola di Zocotora sono due altre isole di uomini olivastri e negri come Canarii, senza legge e senza dottrina, e non hanno conversazione con alcuna altra gente. In queste due isole si trova molto buono ambracan e in quantità, e molte pietre dette niccoli, di quelle che vagliono e sono stimate in la Mecca, e molto sangue di drago e aloe zocotorino, ed evvi molto bestiame, vacche e castrati. § Viaggio di Nicolò di Conti veneziano, scritto per messer Poggio fiorentino. - Nicolò di Conti veneziano, essendo giovane e ritrovandosi nella città di Damasco di Soria, avendo imparato la lingua arabica, se n'andò colle sue mercanzie con una carovana di mercatanti, che erano da 600, con i quali passò per l'Arabia che si domanda Petrea, dove sono gran deserti, e poi per la provincia di Caldea, insino che giunse sopra il fiume Eufrate. - Dell'isola Zocotera, ove nasce l'aloe. - Di qui essendo ritornato di nuovo verso Calicut, se ne venne per mare ad una isola chiamata Zocotera, la quale, andando alla volta di ponente, è posta lontana da terra ferma cento miglia; ha di circuito 600 miglia. Dimorò in far questo viaggio da duo mesi. Nasce in detta isola eccellente aloe, chiamato cocotrino. La maggior parte di questa isola è abitata da cristiani nestorini. - Di due isole, in una delle quali separatamente vivono gli uomini, nell'altra le donne; e dell'effetto che causa l'indisposizione di quell'aere. - In fronte di questa isola, non piú di cinque miglia lontano, vi sono due isole, distanti l'una dall'altra trenta miglia, in una delle quali abitano solamente uomini, nell'altra donne. Alcuna volta vanno gli uomini all'isola delle donne, e similmente le donne a quella degli uomini, e sono stretti e necessitati, avanti che compino tre mesi, di partirsi e ciascuno tornare alla sua isola, perché, contrafacendo e stando piú del tempo determinato, la disposizione del cielo e dell'aere gli fa morire immediate.

[6] Liber 5 de bello Gallico. (Aldrovandi) - Commentarii de bello Gallico V,12,6: Leporem et gallinam et anserem gustare fas non putant; haec tamen alunt animi voluptatisque causa.

[7] L.3 c. 12. § Questa è la concisa referenza di Aldrovandi che non specifica di quale opera trattasi. Infatti l’Alessandri scrisse: Genialium dierum libri sex; Dissertationes quatuor de rebus admirandis, quae in Italia nuper contigere; Miraculum tritonum & nereidum.

[8] De morbo sacro. (Aldrovandi) § Traduzione di Janus Cornarius (1546): Ex volucribus autem, a gallo et turture ac otide. Insuperque ab iis quae robustissimae esse censentur.

[9] Naturalis historia XXIX,48: Cibo quot modis iuvent [ova], notum est, cum transmeent faucium tumorem calfactuque obiter foveant. Nullus est alius cibus, qui in aegritudine alat neque oneret simulque vim potus et cibi habeat. § Stavolta il download da Gessner che riporta cibos invece del pliniano cibo è grammaticalmente corretto, in quanto il verbo iuvo regge l'accusativo. Ovviamente è quasi impossibile sapere se Plinio scrisse – o dettò – cibo invece di cibos. Fatto sta che nelle mie due fonti a disposizione, tra cui l'edizione curata da Jean Handouin e pubblicata a Parigi nel 1685, troviamo cibo. § Facciamo i nostri complimenti a Gessner e indirettamente a Ulisse. Ecco il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 436: Cibos quot modis iuvent ova, notum est. Nullus est alius cibus qui in aegritudine alat neque oneret, simulque vim potus (quidam legunt vini usum) et cibi habeat, Plin.

[10] Il download da Gessner stavolta non è speculare. Infatti Aldrovandi cambia il gessneriano quidam in alii. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 436: Nullus est alius cibus qui in aegritudine alat neque oneret, simulque vim potus (quidam legunt vini usum) et cibi habeat, Plin.

[11] Vedi a pagina 207.

[12] Gessner riporta tutt’altro che maiora: magis nutriunt. Forse ha ragione Gessner, in quanto è ovvio che le uova con doppio tuorlo sono di dimensioni maggiori, e due tuorli offrono più nutrimento di uno solo, e due tuorli attenuano il sapore dell’albume che a taluni non piace. Bisognerebbe disporre del testo originale di Elluchasem Elimithar per porre fine alla diatriba. Accontentiamoci di quello della controparte, Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 438: Magis nutriunt et subtiliora sunt ova, quae duos vitellos habent, Elluchasem.

[13] Naturalis historia X,167: Ova aceto macerata in tantum emolliuntur, ut per anulos transeant. Servari ea in lomento aut hieme in paleis, aestate in furfuribus utilissimum. Sale exinaniri creduntur.

[14] Rerum rusticarum III,9,12: Qui haec volunt diutius servare, perfricant sale minuto aut muria tres aut quattuor horas eaque abluta condunt in furfures aut acus.

[15] De re rustica VIII,6,1-2: Ovorum quoque longioris temporis custodia non aliena est huic curae; quae commode servantur per hiemem, si paleis obruas, aestate, si furfuribus. Quidam prius trito sale sex horis adoperiunt, deinde eluunt, atque ita paleis ac furfuribus obruunt. Nonnulli solida, multi etiam fresa faba coaggerant, alii salibus integris adoperiunt, alii muria tepefacta durant. [2] Sed omnis sal, quemadmodum non patitur putrescere, ita minuit ova, nec sinit plena permanere, quae res ementem deterret. Itaque ne in muriam quidem qui demittunt, integritatem ovorum conservant.