Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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[348] CASTRATIO.

CASTRAZIONE

Apud antiquos Galli longe alio modo, quem nunc castrabantur. Novissimam enim alvi partem, aut lumbos, aut calcaria candenti ferro inurebant. Ita enim in primis scribit Aristoteles[1]. Castrantur Gallinacei parte novissima suae alvi, quae cum coeunt, concidit. Hanc enim si duobus, aut tribus ferramentis adusseris Capos facies. Varro vero, et Columella calcaria inuri solere tradunt. Gallos castrant, inquit Varro[2], ut sint Capi, cadenti ferro inurentes calcaria ad infima crura usque dum rumpantur, (ignea vi consumantur, Columella[3]) atque extet ulcus. Plinius[4] lumborum, atque imorum crurum meminit, inquiens: Desinunt canere castrati, quod duobus fit modis, lumbis adustis candente ferro, aut imis cruribus. Caeterum eiusmodi inflictum ulcus figulina creta, testibus Varrone, Columella, et Plinio oblinebant.

Presso gli antichi i galli venivano castrati in un modo di gran lunga diverso da quello attuale. Infatti cauterizzavano con un ferro incandescente l’estremità della pancia, o i lombi, o gli speroni. Infatti Aristotele è tra i primi a scrivere così: I galli vengono castrati nella parte estrema del loro addome, quella che si abbassa quando si accoppiano – vicino alla cloaca, al di sotto dell'uropigio. Quindi, se l’avrai cauterizzata con due o tre ferri, otterrai dei capponi. Ma Varrone e Columella riferiscono che abitualmente vengono cauterizzati gli speroni. Varrone dice: Castrano i galli affinché diventino dei capponi, cauterizzando con un ferro incandescente gli speroni nella parte più bassa delle zampe fino a quando non si staccano, (fino a quando non vengono distrutti dalla forza del fuoco, Columella) e non si forma un’ulcera. Plinio fa menzione dei lombi e delle parte più bassa delle zampe, dicendo: Smettono di cantare una volta che sono castrati, il che avviene in due modi, dopo che i lombi sono stati cauterizzati con un ferro incandescente, oppure sono state cauterizzate le  parti più basse delle zampe. Inoltre, come riferiscono Varrone, Columella e Plinio, spalmavano l’ulcera così prodotta con della creta da vasaio.

Nostrae vero villicae[5] testiculos evellunt per posteriora, modico vulnere cultro inflicto. Vulnus autem tantum fit, quantum digito superius ad lumbos sub septo, ubi testes adhaerent, immittendo, et singulis extrahendis sufficit: quibus extractis vulnus filo consuunt, et cinerem inspergunt, tum etiam cristam resecant, ut virilitatem omnem adimant. Sunt qui in cristae abscissae locum calcar e crure exectum inserant, idque {coalescente} <coalito> vulnere {re}crescere dicant{:}<.> Verum qui ex hisce castrationis modis praestet, ignoro, video tamen antiquam illam, cuius Varro, Aristoteles, Columella, Plinius, aliique meminere, non amplius observari: quare suspicandum multos ex inflicto illo vulnere cum ca<n>dente ferro interiisse, uti quandoque ex nostris moriuntur, si erratum aliquod in castratione contingat: quinim<m>o superiori anno 1597. Gallum observavi mox a castratione ita tumuisse, ut pellis pulsata digitis, tympani bellici instar sonum {a}ederet: quod erratum a male consuto vulnere evenerat. In eiuscemodi vero castratione omnino elaborandum est, ut uterque testiculus auferatur, nam si alter relinquatur, cucu<r>rit, canit, et coitum repetit, et minus pinguescit.

In verità le nostre contadinelle strappano i testicoli attraverso la zona posteriore dopo aver provocato una piccola ferita con un coltello. Ma si pratica una ferita grande in modo tale da permettere l’immissione di un dito nella parte alta in direzione dei lombi al disotto del setto trasverso, dove i testicoli sono adesi, e da estrarli uno per volta: dopo averli estratti suturano la ferita con del filo e vi cospargono della cenere, e contemporaneamente tagliano via la cresta per far scomparire ogni traccia di virilità. Alcuni al posto della cresta che è stata rimossa con un taglio inseriscono uno sperone reciso dalla gamba, e affermano che si allunga quando la ferita si è rimarginata. In verità non so in quale modo derivi un vantaggio da queste modalità di castrazione, tuttavia mi sembra che quell’antica modalità di castrazione della quale hanno fatto menzione Varrone, Aristotele, Columella, Plinio e altri, non viene più praticata: per cui bisogna sospettare che parecchi soggetti morirono in seguito a quella ferita praticata con un ferro incandescente, così come talora muoiono dei nostri soggetti se accade qualcosa di errato durante la castrazione: che anzi, nell’anno passato, nel 1597, osservai un gallo che appena dopo la castrazione cominciò a gonfiare a tal punto che la pelle colpita con le dita emetteva un suono come di un tamburo da guerra: questo errore si era verificato in seguito a una sutura malfatta della ferita. In verità in questo tipo di castrazione bisogna procedere in modo assolutamente accurato cosicché ambedue i testicoli vengano asportati; infatti, se uno dei due viene lasciato, il soggetto fa chicchirichì, canta e cerca di accoppiarsi, e ingrassa di meno.

VICTUS. SAGINATIO.

ALIMENTAZIONE - INGRASSAMENTO

Quae de victu<s> Galli historia scripsimus, aeque Capo competunt, at quae de saginatione, huic, et Gallinis tantum, quas volucres saginare ligur<r>itores ipsi invenere, quo unctius, et lautius, ut Platinae verbis utar, devorarent. Pinguescunt Capi milii farina cum melle<,> praesertim{,} et turundis in cibo datis. Nam {Plinius} <Varro>[6] eo nomine vocat bucceas, quibus farcire, saginareque Gallinas, Anseres, et Capos solemus. Sunt apud Germanos, qui Capos saginant hoc modo: Includunt eos in loco angusto, et e farina milii turundos[7] faciunt, magnitudine fere, et longitudine articuli digiti mediocris: e quibus ab initio circiter denos eis in fauces inferunt, et per aliquot deinceps dies quotidie plures, paulatim aucto numero, qui postea minuitur etiam paulatim. Dandum est autem eis plus minus prout coquunt: concoctio tactu explorata ingluvie animadvertitur. Turundi mox inserendi prius in aquam, aut lac immittuntur, nam sic facilius descendunt, licet interim leniter digitis per collum premendo deduci debeant. In defectu milii furfur, et parum frumentaceae farinae, ex milii etiam parum in turundos redigitur. Sic fere viginti diebus obesantur, sed mero milio quatuordecim. Sunt qui Gallinas, et Capos brevi pinguescere scribant, si cerevisia loco aquae bibenda eis apponatur. De Gallina privatim farcienda in eius historia scripsimus[8]. Videtur autem ratio eadem farciendis Capis convenire. Quare eo lectorem ablegamus.

Ciò che abbiamo scritto nel resoconto sull’alimentazione del gallo si addice parimenti al cappone, ma ciò che abbiamo scritto a proposito dell’ingrasso si addice solo a lui e alle galline, e sono stati gli stessi ghiottoni a inventare l’ingrassamento di questi volatili, in modo da ingozzarsi, per usare le parole del Platina, in modo più prelibato e sontuoso. I capponi ingrassano usando farina di miglio con miele, soprattutto dando loro da mangiare anche dei pastoni. Infatti Varrone chiama con tale nome i bocconi coi quali siamo soliti farcire e ingrassare le galline, le oche e i capponi. Alcuni Tedeschi ingrassano i capponi in questo modo: li rinchiudono in uno spazio angusto e confezionano dei bocconcini quasi della grandezza e della lunghezza della falange di un dito di media grandezza: inizialmente gliene ficcano in bocca dieci per seduta, e successivamente per alcuni giorni gliene danno parecchi al giorno, aumentando poco a poco il numero, che poi viene pure diminuito gradualmente. Infatti bisogna dargliene più o meno a seconda di come li digeriscono: l’andamento della digestione viene rilevata con l’esplorazione tattile del gozzo. I bocconi che stanno per essere somministrati vanno prima messi in acqua o nel latte, infatti così scendono con maggiore facilità, anche se di tanto in tanto debbono essere aiutati a scendere premendo delicatamente con le dita lungo il collo. Se il miglio scarseggia si confeziona in bocconi della crusca e un po’ di farina di frumento e anche un pochino di farina di miglio. In questo modo diventano grassi nel giro di venti giorni, ma in quattordici con solo miglio. Alcuni scrivono che le galline e i capponi ingrassano in breve tempo se viene data loro da bere della birra al posto dell’acqua. Abbiamo scritto separatamente su come ingrassare una gallina quando abbiamo fatto la sua trattazione. In realtà sembra che lo stesso metodo si addica ai capponi da ingrassare. Per cui rimandiamo il lettore a quel capitolo.

USUS IN CIBO.

IMPIEGO COME CIBO

Capi quam sint in cibis grati nemo non novit, utpote qui remoto Veneris usu facti sint pinguiores, et salubrioris nutrimenti{:}<.> Unde Platina[9]: Omnium avium laudes, inquit, quantum ad obsonia pertine{n}t[10], una caro Gallinacea comprehendit. Quid enim popinis afferunt reliquae altiles quod non unus Capus in se habeat, sive elixum, sive assum velis? Huius avis patina stomachum iuvat, pectus lenit, vocem sonoram facit, corpus obesat. Haec ille{:}<.>

Tutti sanno quanto siano gustosi i capponi come cibo, in quanto avendo messo da parte il sesso sono diventati più paffuti e si sono trasformati in un nutrimento più salubre. Per cui il Platina dice: La sola carne di pollo racchiude in sé le lodi di tutti i volatili per quanto riguarda i cibi. Infatti che cosa forniscono alle osterie gli altri volatili d'allevamento che non lo possiede già un solo cappone, sia che tu lo voglia bollito oppure arrosto? Una portata di questo volatile giova allo stomaco, allevia lo spirito, rende la voce sonora, fa ingrassare il corpo. Queste le sue parole.


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[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Castrantur gallinacei parte novissima suae alvi, quae cum coeunt, concidit. hanc enim si duobus aut tribus ferramentis adusseris, capos facies, quod si perfectus est qui castratur, crista pallescit, et cucur<r>ire desinit, neque coitum venereum repetit. sed si adhuc pullus est, ne inchoari quidem ex iis quicquam potest, cum accrescit, Aristot. § Aristotele Historia animalium IX,50 – 631 b 25-30: Ἐκτέμνονται δ’οἱ μὲν ὄρνιθες κατὰ τὸ ὀρροπύγιον, καθ’ὅ συμπίπτουσιν ὀχεύοντες, ἐνταῦθα γὰρ ἂν ἐπικαύσῃ τις δυσὶν ἢ τρισὶ σιδηρίοις, ἐὰν μὲν ἤδη τέλειον ὄντα, τὸ τε κάλλαιον ἔξωχρον γίνεται καὶ οὐχέτι κοκκύζει οὐδ'ἐπιχειρεῖ ὀχεύειν, ἐὰν δ’ἔτι νεοττὸν ὄντα, οὐδὲ γίνεται τούτων οὐδὲν αὐξανομένου. § Birds are castrated at the rump at the part where the two sexes unite in copulation. If you burn this twice or thrice with hot irons, then, if the bird be full-grown, his crest grows sallow, he ceases to crow, and foregoes sexual passion; but if you cauterize the bird when young, none of these male attributes propensities will come to him as he grows up. (traduzione di D'Arcy Wentworth Thompson 1910, 1860-1948) § Da notare che ὄρνιθες viene tradotto da D'Arcy Thompson col più generico termine birds anziché roosters o cocks, sebbene tra gli uccelli il primato della castrazione - se non l'esclusiva - spettino al gallo, e nonostante solo il gallo sia dotato di una cresta che in greco e in Aristotele inequivocabilmente suona κάλλαιον, una cresta (e non un ciuffo di piume, λόφος) che dopo la castrazione da rossa si fa pallida, color ocra, ἔξωχρον. D'Arcy Thompson nel suo ineguagliabile A glossary of Greek birds (1895) esplicitamente afferma che κάλλαιον nel gallo identifica la cresta, e la definisce comb (essendo crest il ciuffo), mentre in questo passo traduce κάλλαιον con crest. Aristotele nella sua Historia animalium non parla assolutamente di uccelli castrati se non in questo passo, diversamente da quanto fa per i mammiferi, tra i quali possiamo ricordare toro, cervo, maiale. § Gessner non riferisce la fonte del suo esatto gallinacei, ma non si può escludere che abbia attinto dal De natura animalium (1498) di Teodoro Gaza, in quanto il brano di Gessner è identico a quello di Gaza, eccetto cucurire che in Gaza giustamente suona cucurrire. § Per amore della precisione dobbiamo aggiungere che ὄρνιθες si potrebbe tradurre anche con galline. Per cui con la castrazione di una gallina si otterrebbe una gallina spadonia, che in francese suona poularde. Ma ciò non collima coi tempi di Aristotele, in quanto abbiamo notizia che la castrazione delle galline veniva praticata - per esempio - da Michele Savonarola (1384-1468) che le chiamava caponissae, quindi in tempi ben più recenti rispetto a quelli dello Stagirita. Né si hanno tracce di castrazione di galline in epoca romana, come si può evincere dal paragrafo Culinarum artes desunto da Ornithologia Latina di Filippo Capponi (1979) e reperibile alla voce castrazione del lessico. Oltretutto la relazione di Capponi viene convalidata dall'affermazione di Isidoro (ca. 560-636) in Etymologiae XII,7: Gallus a castratione vocatus; inter ceteras enim aves huic solo testiculi adimuntur. Giulio Cesare Scaligero è più esplicito: traduce ὄρνιθες con galli – il che quadra coi tempi di Aristotele - e sottolinea che invece ai suoi tempi (1484-1558) si castravano anche le galline, una pratica da lui attribuita ai tavernieri: "Etiam sic castrantur hodie gallinae a ganeis, quae mirum in modum pinguescunt." (Aristotelis historia de animalibus, Tolosa, 1619, pag. 1173) § Illuc, unde abii, redeo (Orazio Satirae I, 1, 108): D'Arcy Wentworth Thompson commette chiaramente un errore traducendo ὄρνιθες con birds. Ma non solo lui è colpevole di questa svista, in quanto è vittima dello stesso lapsus anche Mario Vegetti che ha curato la traduzione italiana dell'Historia animalium (1971). Vegetti si associa ad altri studiosi nel mettere seriamente in dubbio l'autenticità aristotelica dei libri IX e X dell'Historia animalium, per cui ne fornisce non una traduzione, bensì un sommario. Ecco come suona la sintesi di IX,50: Gli animali cambiano forma e carattere in seguito alla castrazione. — Modi ed effetti della castrazione degli uccelli. Effetti della castrazione sugli uomini, per quanto riguarda la voce e la crescita dei peli. La voce di tutti i quadrupedi castrati diviene uguale a quella della femmina; se l’operazione è effettuata in gioventù, tutti gli animali a essa sottoposti diventano più grandi e più armoniosi. Tecnica di castrazione dei vitelli, che va effettuata a un anno. — Asportazione dell’utero delle scrofe perché ingrassino più rapidamente. Analoga operazione sulle cammelle per poterle utilizzare in guerra (certi Asiatici possiedono fino a tremila di questi animali). — Note sui ruminanti in generale. – Per cui anche Vegetti come D'Arcy Thompson ha tradotto ὄρνιθες con uccelli.

[2] Varrone non ha calcaria, che viene invece dedotto da Gessner. - Varrone Rerum rusticarum III,9,3: Gallos castrant, ut sint capi, candenti ferro inurentes ad infima crura, usque dum rumpatur, et quod exstat ulcus, oblinunt figlina creta. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Gallos castrant ut sint capi, candenti ferro inurentes calcaria ad infima crura, usque dum rumpantur (ignea vi consumantur, Columel.) atque extet ulcus, quod obliniunt figlina creta, (dum consanescant, Colum.) Varro.

[3] De re rustica VIII,2,3: Sed ex his tribus generibus cohortales feminae proprie appellantur gallinae, mares autem galli, semimares capi, qui hoc nomine vocantur cum sint castrati libidinis abolendae causa. Nec tamen id patiuntur amissis genitalibus, sed ferro candente calcaribus inustis, quae cum ignea vi consumpta sunt, facta ulcera dum consanescant, figulari creta linuntur.

[4] Naturalis historia X,50: Desinunt canere castrati, quod duobus fit modis, lumbis adustis candente ferro aut imis cruribus, mox ulcere oblito figlina creta; facilius ita pinguescunt.

[5] Non si può certo escludere che a Bologna la castrazione dei galli avvenisse con una tecnica adottata in tutta Europa, anzi, è assai verosimile che a Bologna e a Zurigo i galli venissero castrati nello stesso modo. Ma stavolta Ulisse si dimentica di citare la fonte, cioè l'Ornitologo, il cui testo è stato un po' rimaneggiato. Infatti il testo di Ulisse corrisponde a quello di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Vulnus quidem tantum fit, quantum digito immittendo et testibus singulis extrahendis sufficit, quo testes lumbis superius adhaerentes inquiruntur sub intestinis galli supini, inventique digiti summitate revelluntur. iis extractis vulnus filo consuitur, et cinis infricatur, tum etiam crista resecatur, ut virilitas omnis absit. Sunt qui in cristae abscissae locum calcar e crure exectum inserant, quod coalito vulnere etiam crescere solet.

[6] In Plinio non ricorre la parola turunda, che viene invece impiegata da Varrone e che è già stata riportata a pagina 233. Infatti Varrone dice in Rerum rusticarum III,9,20: Ex iis evulsis ex alis pinnis et e cauda farciunt turundis hordeaceis partim admixtis farina lolleacia aut semine lini ex aqua dulci. § L’errore di Aldrovandi proviene da Grapaldus tramite Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Capos et gallinas saginare ligur<r>itores ipsi invenere, quo unctius ac lautius devorarent, Platina. Pinguescunt capi milii farina cum melle, praesertim et turundis in cibo datis. nam Plinius eo nomine vocat bucceas, quibus farcire saginareque gallinas, anseres et capones solemus, Grapaldus.

[7] Turunda femminile in Gessner si trasforma nel maschile turundus. Turundus ha il significato di tampone o batuffolo di garza, stuello, significato posseduto anche da turunda. Aldrovandi adotta il cambiamento di genere e riporta per intero il brano di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Sunt apud nos qui capos saginant hoc modo. includunt eos loco angusto, et e farina milii turundos faciunt, magnitudine fere et longitudine articuli digiti mediocris: e quibus ab initio circiter denos eis in fauces inserunt: et per aliquot deinceps dies quotidie plures paulatim aucto numero. qui postea minuitur etiam paulatim. dandum est autem eis plus minus pro concoctione, quae tactu explorata ingluvie animadvertitur. Debent autem turundi mox inserendi prius in aquam aut lac immitti ut facilius descendant, et leniter digitis per collum premendo deduci. In defectu milii, furfur cum pauca de frumento farina et milii etiam pauca, in turundos redigitur. Sic fere viginti diebus obesantur, mero quidem milio quatuordecim. Sunt qui gallinas et capones brevi pinguescere scribant, si cerevisia eis bibenda apponatur pro aqua. Capus gliscens, lo capone impastato, nutrito de pasta, Scoppa in Dictionario Latinoitalico. videtur autem pastae nomine turundos intelligere. De gallina farcienda privatim scribemus infra in Gallina E. Videtur autem ratio eadem farciendis utrisque convenire.

[8] A pagina 232.

[9] De honesta voluptate.

[10] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: Omnium avium laudes, quantum ad obsonia pertinet, una caro gallinacea comprehendit. Quid enim popinis afferunt reliquae altiles, quod non unus capus in se habeat, sive elixum, sive assum velis? Huius avis patina stomachum iuvat, pectus lenit, vocem sonoram facit, corpus obesat, Platina. Capi in cibis gratiores sunt, utpote remoto Veneris usu facti pinguiores, et salubrioris nutrimenti, Grapaldus.