Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Idem alibi[1] iusculum {verzuzum} <verzusum>[2] describit, quod recipit [303] ovorum vitellos quatuor, sacchari uncias quatuor, succi mali {arancii} <aurantii> tantumdem, semunciam cinnami, aquae rosaceae uncias duas. Iubet autem eo modo coqui, quo iusculum croceum[3] coquitur, et quo magis placeat, etiam crocum addere. Hoc genus cibarii, inquit, aestate praecipue salubre habetur. Multum enim, ac bene alit: parum refrigerat, et bilem reprimit.

Sempre il Platina in un altro punto descrive il brodino verzusum, il quale richiede quattro tuorli d’uovo, quattro once [circa 100 g] di zucchero, altrettanto succo d’arancia, una semioncia [13,64 g] di cannella, due once di acqua di rose. Consiglia di cuocerlo allo stesso modo in cui si cuoce il brodino color zafferano, e affinché sia più gustoso di aggiungere anche dello zafferano. Dice che questo tipo di cibo viene ritenuto salutare soprattutto in estate. Infatti nutre molto e bene: smuove poco l’intestino e reprime l’ira.

Λεκιθίτης[4] placenta dicebatur, cui ut scribit Eustathius, ovi vitellus erat admixtus. Alhagie Andreae Bellunensi cibus est ex vitellis ovorum factus in sartagine ex ovis conquassatis, quem Veneti fritaleam appellant. Sed quem Veneti, et nos etiam fritaleam vocamus, simul cum vitellis albumina conquassata recipit: tardi, et nidorosi nutrimenti causa est[5]. Mutagenat, inquit Sylvaticus, id est, cibus, qui fit in aliquo vase cum lacte seminum communium[6] <(cucurbitarum generis)>, et iure Gallinae, et vitellis ovorum{,}<. Conditur autem> cum saccharo, et miscella aromatica e cin<n>amomo, spica, cubebis, calamo aromatico, et cari semine. Coquitur autem in igne, et apposita supra vas testa calida. Sed alia quoque innumera panum, placentarum, laganorum, eduliorumque diversorum genera ex ovis, aut ei<s> admixtis fiunt, vulgo cognita, quae omnia persequi infinitum foret. Sat fuerit ea quae authores de his tradiderunt, collegisse.

Veniva detta lekithítës una focaccia alla quale, come scrive Eustazio di Tessalonica, era mischiato del tuorlo d’uovo. Per Andrea Alpago alhagie - termine arabo che significa frittata - è un cibo preparato in padella con tuorli d’uovo ottenuti da uova rotte, che i Veneti chiamano frittata. Ma quel cibo che i Veneti e anche noi chiamiamo frittata richiede gli albumi sbattuti insieme ai tuorli: costituisce un cibo lento da digerire e che puzza di bruciato. Matteo Silvatico dice: mutagenat, cioè, un cibo che viene preparato in un vaso di terracotta con succo lattiginoso di semi comuni (del genere delle cucurbitacee), e con brodo di gallina, e tuorli d’uovo. Viene condito con zucchero e una miscela aromatica fatta di cannella, cervino, pepe cubebe, calamo aromatico e semi di cumino tedesco. Lo si fa cuocere sul fuoco e dopo aver collocato sopra al vaso un coperchio caldo di terracotta. Ma con le uova, oppure mischiandole, si confezionano anche altri innumerevoli tipi di pane, focacce, frittelle e cibi diversi, noti a tutti, e che non finiremmo più di descrivere.. È sufficiente aver raccolto ciò che i vari autori hanno tramandato al loro riguardo.

USUS IN VARIIS.

IMPIEGO IN SVARIATE CIRCOSTANZE

Germani milites ad praelium proficiscentes Gallinaceis Gallis utuntur vigilantiae causa, quod alias etiam nationes factitasse antea retulimus. Tarentinus[7] escam ad capiendos pisces magnos, marinaque omnia velut glaucos, orphos, et quaecunque sunt eiusmodi ex Gallorum testiculis cum nucibus pineis torrefactis, ac tritis ita committit, ut sint testiculorum drachmae octo, nucum pinearum drachmae sedecim: iubet autem omnia teri in farinae speciem, fierique collyria: et eiusmodi esca illectari pisces pollicetur. Ventriculi Gallinaceorum pelliculae coagulandi vim attribuunt: unde legimus apud Palladium[8]: Maio mense lac coagulabimus {syncero} <sincero> lacte, coagulis vel agni, vel hoedi, vel pellicula, quae solet pullorum (Gallinaceorum scilicet) ventribus adhaerere. Alii eandem coagulandi vim gutturi Gallinae attribuunt. Sunt qui fabas Gallorum sanguine[9] maceratas, antequam serantur, ab adversantibus herbis non infestari promittunt.

I soldati tedeschi quando vanno in battaglia si servono dei galli a scopo di vigilanza, cosa che d’altronde abbiamo in precedenza riferito essere stata abitualmente messa in atto anche da altre popolazioni. Tarantino - un geoponico - tramanda una ricetta di un’esca per catturare grandi pesci e ogni genere di animale marino, come le leccie bastarde, gli scorfani e qualsiasi animale siffatto, costituita da testicoli di gallo con pinoli tostati e tritati di modo che vi siano otto dracme [circa 25 g] di testicoli, sedici dracme di pinoli: prescrive che il tutto va reso farinoso e di farne delle pomate: e garantisce che un’esca siffatta seduce i pesci. Attribuiscono la capacità di far coagulare alla membrana di coilina dello stomaco muscolare - o ventriglio - dei gallinacei, per cui leggiamo in Palladio: Durante il mese di maggio faremo coagulare il formaggio con dei coaguli di latte puro o di pecora, o di capra, o con la membrana che abitualmente si trova adesa allo stomaco dei polli (cioè dei gallinacei). Altri attribuiscono la stessa capacità al gozzo di gallina. Vi sono alcuni che garantiscono che le fave macerate nel sangue dei galli prima della semina non vengono infestate da erbe nocive.

Sanguis nigrarum Gallinarum, attestante Rase, aufert maculas foetidas, et lentigines a facie, et huiusmodi, maxime, si misceatur ei lapis vaccinus tritus cum baurach rubeo. Ant. Mizaldus[10] vero albae Gallinae sanguinem in faciem lentiginosam effusum, ibique resiccatum, et detersum omnes eius maculas obliterare scribit ex quodam Italo. Fimus hîc quoque a nonnullis commendatur, maxime candidus servatus in oleo veteri cornea pyxide, ut Plinii[11] verbis utar: qui alibi[12] adipem etiam vel Gallinae, vel Anseris cutem in facie dixit custodire: quod ex Dioscoride videri potest descripsisse, qui ita[13] habet: Adeps Anseris, et Gallinaceus utilis est εἰς προςώπων ἐπιμέλειαν[14], id est, ad nitorem vultus, ut Marcellus {Vergilius} <Virgilius> vertit, ad {magonizandum} <mangonizandam>[15] faciem, ut Ruellius: etsi Ornithologus[16] cum Plinio potius malit vertere, Ad faciei custodiam, scilicet, adversus ventos, frigora, et solem. Sunt qui ad carnis pulchritudinem, ac iuventae florem conservandos aquam e Gallina arte chymica eliciant hoc modo: Gallinam accipiunt candidam, eam strangulant, unaque cum plumis, et ossibus contundunt, omnia in aqua fluviatili decoquunt una cum hordei cortice nudi manipulo uno, et dimidio, decoctam catino satis amplo imponunt, ova recentissima unius nempe diei simul cum testis suis rupta cum Gallina permiscent, et terebinthinae abietinae parum, ac pulveris Myrrhae mediam unciam adiiciunt, omniaque permista destillant in alembico, ac dein novem continuis diebus soli exponunt, postremo boracis, et saccari parum adiiciunt, ac utuntur.

Come attesta Razi, il sangue delle galline nere rimuove dalla faccia le pustole e le lentiggini e simili, soprattutto se gli viene mischiato un bezoàr di mucca triturato con del borace rossastro. Ma Antoine Mizauld scrive deducendolo da un Italiano che il sangue di gallina bianca cosparso su una faccia lentigginosa e lasciatovi seccare e quindi deterso fa svanire tutte le sue macchie. In questa situazione da alcuni viene anche raccomandato lo sterco, soprattutto bianco conservato in olio vecchio dentro a un vasetto di corno, per servirmi delle parole di Plinio: il quale in un altro punto ha detto che anche il grasso o di gallina o di oca protegge la pelle della faccia: e si può dedurre che ha fatto questa citazione traendola da Dioscoride. che si esprime così: Il grasso d’oca e di gallinaceo è utile eis prosøpøn epiméleian, cioè, per lo splendore dei visi, come traduce Marcellus Virgilius, per abbellire artificialmente il volto come traduce Jean Ruel: anche se l’Ornitologo preferirebbe piuttosto tradurre associandosi a Plinio con Per la protezione del viso, cioè, contro i venti, i freddi e il sole. Vi sono alcuni che per conservare la bellezza della carne e il fiore della gioventù ricavano chimicamente dell’acqua dalla gallina in questo modo: prendono una gallina candida, la strangolano, la pestano con piume e ossa, fanno cuocere a lungo il tutto in acqua di fiume unitamente a una manciata e mezza di orzo privo di pula, dopo che è stracotta la mettono in un catino abbastanza ampio, mescolano per bene con la gallina due uova rotte molto fresche, ovverosia di un giorno, insieme ai gusci, e vi aggiungono un po’ di resina di abete e mezza oncia [circa 14 g] di polvere di mirra, e dopo aver mischiato per bene tutto quanto lo distillano in un alambicco, e quindi espongono il distillato al sole per nove giorni di seguito, infine aggiungono un po’ di borace e di zucchero e lo usano.

Aliter ad faciem mangonizandam: Accipe Gallinam pinguem, a pennis mundam, contunde ubi interanea exemeris, sanguinem absterseris, ac in frusta parva conscideris: dein simul cum pulveris gummi<,[17]> {eleni} <helenii>[18], carabes[19] [?], {armoniaci} <ammoniaci>, myrrhae, bdellii, vernicis, thuris, boracis ana uncia in alembico destilla: destillationi moschi grana duo, aut tria adde, et camphorae octavam: hac aqua mulier faciem abluat, postquam prius aqua pluviali usa fuerit.

Per abbellire artificialmente il viso in un altro modo: Prendi una gallina grassa ripulita delle penne, pesta là dove hai estratto le interiora, ripulirai dal sangue e taglierai a pezzettini: quindi distilla in un alambicco insieme a un’oncia ciascuno [27,28 g] di polvere di gomma, di enula - forse quella egiziana, di carabes, di gomma ammoniaco, di mirra, di bdellio, di vernice - o sandracca, di incenso, di borace: aggiungi al distillato due o tre granelli di muschio, e un’ottava parte di canfora: la donna si lavi la faccia con quest’acqua dopo aver prima impiegato dell’acqua piovana.

Porro ad agros laetificandos Gallinacei fimi maximus usus est, praecipue apud nostros agricolas: etsi enim Varro[20] Turdorum fimo principatum tribuat, non est quod idcirco hunc sprevisse arbitremur. Quinimo Columella[21] primis partibus Columbario datis (id enim nostro aevo praestantissimum est, ac pretiosissimum) secundas mox Gallinaceo concedit. Eiusmodi stercus nos vulgo pul<l>inam dicimus, eoque non utimur duntaxat, sed pro Columbino nobis etiam ab adulterantibus id saepe obtruditur, tanquam eos non lateat f{a}elices quoque, atque uberes segetes facere: licet alioquin id vitii in se habeat, ut multas, ac inutiles herbas procreet. Mulieres Germanae, ut Ornithologus refert, stercus hocce commendant pro betonica altili, quae colitur in vasis, at non ad alia ob dictam causam.

Inoltre è enorme l’impiego di sterco di gallinaceo per fertilizzare i campi, specialmente da parte dei nostri contadini: infatti anche se Varrone attribuisce il primato allo sterco dei tordi, non c’è motivo per cui dobbiamo ritenere che egli lo abbia disprezzato. Ma anzi Columella dopo aver concesso il primato a quello di colombo (infatti ai nostri giorni è eccellente, e assai prezioso) subito dopo riconosce il secondo posto a quello di gallinaceo. Questo sterco comunemente lo chiamiamo pollina e non ci serviamo solo di esso, ma spesso ci viene appioppato come se fosse di colombo anche da parte dei sofisticatori, essendo ben consci che anch’esso è in grado di rendere fertili e produttivi i terreni: sebbene d’altra parte abbia in sé il difetto di far nascere numerose e inutili erbe. Come riferisce l’Ornitologo, le donne tedesche raccomandano questo sterco per l’erba betonica concimata, che viene coltivata in vasi, ma non per altre colture per il motivo anzidetto.


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[1] De honesta voluptate liber 7 cap. 29. (Aldrovandi).

[2] Anche questa volta il download da Gessner è totale, ma inaccurato. Infatti sia la ricerca in internet che un’edizione del 1499 del De honesta voluptate riportano abbondanza di verzusum, con assenza di verzuzum. Ecco il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Hucusque Platina. Idem cap. 29. septimi libri iusculum verzusum describit: quod recipit ovorum vitella quatuor, sacchari unc. quatuor, succi mali {arancii} <aurantii> tantundem, semunciam cinnami, aquae rosaceae unc. duas. Iubet autem eo modo coqui, quo iusculum croceum coquitur: et quo magis placeat, etiam crocum addere. Hoc genus cibarii (inquit) aestate praecipue salubre habetur. multum enim ac bene alit, parum refrigerat, et bilem reprimit. § L’edizione del De honesta voluptate a nostra disposizione – dove Platina inizia con la minuscola - è addirittura bolognese: Libellus platine de honesta voluptate ac valitudine, Bononiae, per Johannem Antonium Platonidem, 1499.

[3] Descritto a pagina 302.

[4] Lekithítës ártos  era un pane fatto di legumi.

[5] La fonte della considerazione gastronomica e medica non è Ulisse, bensì Antonio Brasavola. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Placentam quae ex ovis fit nos frictatam vocamus, quae et tardi et nidorosi nutrimenti causa est, Brasavolus.

[6] Aldrovandi – come dimostra cinamomo - prende il testo da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 440: Mutagenat, id est cibus qui fit in aliquo vase cum lacte seminum communium et iure gallinae et vitellis ovorum cum saccharo et miscella aromatica e cin<n>amomo, spica, cubebis, calamo aromatico et cari semine. coquitur autem in igne et apposita super vas testa calida, Sylvaticus. § Tanto vale emendare con il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 390, che si presenta più esplicativo: Mutagenat, est cibus qui fit in aliquo vase cum lacte seminum communium (cucurbitarum generis,) iure gallinae et vitellis ovorum. conditur autem saccharo et polline qui constat cinnamomo, spica, cubebis, calamo aromatico et cari semine. coquitur ad ignem, et apposita super vas testa calida, Sylvaticus.

[7] In Geop. Graec. (Aldrovandi)

[8] Opus Agriculturae VI,9 - De caseo faciendo - Hoc mense caseum coagulabimus sincero lacte coagulis vel agni vel haedi vel pellicula, quae solet pullorum ventribus adhaerere, vel agrestis cardui floribus vel lacte ficulno, cui serum debet omne deduci, ut et ponderibus urgeatur.

[9] Aldrovandi non dà la fonte di questa notizia. È assai verosimile che corrisponda a quella di Gessner, il quale tuttavia parla di sangue di cappone e non di gallo. Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 412: Fabae semina Graeci asserunt capi sanguine macerata adversantibus herbis liberari, Ruellius. Ego in Geoponicis adhuc nihil tale reperi.

[10] Memorabilium utilium ac jucondorum Centuriae etc. 3.23. (Aldrovandi)

[11] Naturalis historia XXX,121: Ad easdem vitiligines et muscas inlini iubent cum radice Eupatoriae, gallinarum fimi candidum servatum in oleo vetere cornea pyxide, [...]

[12] Naturalis historia XXX,29: Cutem in facie custodit adeps anseris vel gallinae.

[13] Libro II capitolo 94 di Jean Ruel (1549): Anserinus gallinaceusque conveniunt muliebribus malis, et ad labiorum rimas, et ad mangonizandam faciem, et contra aurium dolores.

[14] Il sostantivo femminile greco epiméleia significa cura, attenzione, sollecitudine.

[15] Il sostantivo neutro greco mágganon significa incantesimo, sortilegio, magia. Il verbo magganeúø significa fare magie o incantesimi, abbellire con artifizi, falsificare. Ne deriva il sostantivo maschile latino mango, che designa quel mercante che con mezzi artificiali abbellisce la sua merce o la falsifica, soprattutto se è rappresentata da pietre preziose, balsami o unguenti, vino, e anche da schiavi, in quanto il mango doveva eccellere nell’arte di renderne più attraenti volto e fattezze per nasconderne i difetti.

[16] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 396: Cutem in facie adeps anseris vel gallinae custodit, Plinius. Adeps anseris et gallinaceus utilis est ad nitorem vultus, εἰς προςώπων ἐπιμέλειαν, Dioscorides, ut Marcellus vertit: ad mangonizandam faciem, ut Ruellius. Ego cum Plinio potius verterim ad faciei custodiam, adversus ventos scilicet, frigora et Solem. Fissuras in facie sanat, et faciem reddit lucidam, Rasis.

[17] Per quanto è stato possibile appurare, non esiste una resina o una gomma ottenuta o ottenibile direttamente da Inula elenium, ammettendo che nella ricetta si usi l'enula e non l'helenium egiziano simile al serpillo. Il latino gummi, o cummi, o commi, che significa gomma oppure resina, è un vocabolo neutro indeclinabile e deriva dal greco kómmi, anch'esso neutro indeclinabile, a sua volta derivato dall'egiziano kmjt, che suona kom in copto. Per gomma nei tempi passati, quando quella artificiale non era possibile fabbricarla, si intendeva un prodotto caratterizzato da elevatissima elasticità di origine naturale che si può ottenere da numerose piante: se ne contano più di 300, tutte viventi nei territori tropicali situati fra il 15º parallelo N e il 15º parallelo S. § Che l'erroneo eleni di Aldrovandi corrisponda assai verosimilmente a helenii lo dimostra la traduzione di Lind (1963) che lo dà come elecampane, come è detta l'Inula helenium in inglese. Tuttavia Lind non si permette di porre una virgola dopo gummi, per cui traduce con gomma di enula: Then distill it with powder of gum elecampane, carabaccium, ammoniac gum, myrrh, bdellium, sandarac or juniper resin, incense, and borax [etc.]. § A nostro avviso questa virgola va posta, al fine di distinguere gomma da enula.

[18] Dioscoride parla dell'helenium nel libro I capitolo 27 del suo De materia medica, ma non cita alcuna formulazione sotto forma di gomma o resina. Anche Pierandrea Mattioli, nel suo commento a questo capitolo, non accenna a siffatte preparazioni. Attraverso Mattioli veniamo a conoscenza del fatto che l'uso cosmetico in campo femminile dell'helenium - ma di quello egiziano, forse simile al serpillo descritto da Teofrasto - viene citato da Plinio che ne riporta anche un effetto afrodisiaco, mentre l'impiego cosmetico è taciuto da Dioscoride, che ne indica l'uso della radice messa a mollo nel vino solo contro il morso dei serpenti. Per cui possiamo presumere che in questa ricetta di Aldrovandi, ricavata non si sa da chi, l'helenium sia quello egiziano, quindi probabilmente una pianta simile al serpillo o sermolino o Thymum serpyllum Corti 2008, strisciante a terra, assolutamente non eretto e imponente come l'Inula helenium. Mattioli nel commento a Dioscoride assembla così il testo di Plinio contenuto in Naturalis historia XXI 59 e 159: Meminit huius etiam Plinius libro XXI. cap. X. his verbis. Helenium e lacrymis Helenae dicitur natum: et ideo in Helena insula laudatissimum. Est autem frutex humi se spargens, dodrantalibus ramulis, favere creditur formae: cutem mulierum in facie, reliquoque corpore nutrire incorruptam. Praeterea putant usu eius quandam gratiam iis, veneremque conciliari. (trascrizione di Fernando Civardi) § Ed ecco la botanica resa difficile da Plinio: XXI,59 Etiamnum folio coronant Iovis flos, amaracum, hemerocalles, habrotonum, Helenium, sisymbrium, serpullum, omnia surculosa rosae modo. colore tantum placet Iovis flos, odor abest, sicut et illi, qui Graece phlox vocatur. et ramis autem et folio odorata sunt excepto serpullo. Helenium e lacrimis Helenae dicitur natum, et ideo in Helene insula laudatissimum; est autem frutex humi se spargens dodrantalibus ramulis, serpullo simili folio. -  XXI,159 Helenium ab Helena, ut diximus, natum favere creditur formae, cutem mulierum in face reliquoque corpore nutrire incorruptam. praeterea putant usu eius quandam vitae gratiam his veneremque conciliari. adtribuunt et hilaritatis effectum eidem potae in vino eumque, quem habuerit nepenthes illud praedicatum ab Homero, quod tristitia omnis aboleretur. est autem suci praedulcis. prodest et orthopnoicis radix eius in aqua ieiunis pota. est autem candida intus et dulcis. bibitur et contra serpentium ictus ex vino. mures quoque contrita dicitur necare.

[19] Innanzitutto dobbiamo segnalare che Aldrovandi non fornisce la fonte di quanto sta riferendo, non permettendoci così una verifica dei suoi errori. § In latino antico non esiste carabes, ma solamente carabus che significava gambero, derivato dal greco kárabos, oppure indicava una piccola barca a remi di legno o di vimini. Né in greco è possibile trovare un equivalente di carabes. Oggi con Carabus si intende un genere di Coleotteri appartenente alla famiglia dei Carabidae composta da circa 25.000 specie dalle dimensioni da piccole a grandi. I Carabidi hanno corpo allungato, munito di antenne filiformi, di occhi ben sviluppati e di mandibole assai robuste e taglienti; le zampe lunghe e sottili permettono all'animale di spostarsi sul terreno a grande velocità. Spesso i Carabidi sono carnivori e quindi importanti per l'agricoltura, in quanto distruggono insetti nocivi, ma esistono anche specie dannose che si nutrono di semi, di mais e di fragole. Per i Carabidi non sono descritti impieghi particolari in campo umano, come è invece il caso della cantaride, Lytta vesicatoria, coleottero della famiglia Meloidi, i quali producono secrezioni tossiche e irritanti, e la cantaride era usata un tempo, e tutt'oggi da qualche demente visti i gravi effetti collaterali, a scopo afrodisiaco. § Lind (1963) ha cercato una soluzione al busillis traducendo carabes con carabaccium in corsivo, forse per mettere in evidenza l'aleatorietà della sua traduzione, e il legno carabaccio - scusate il neologismo - ha un profumo che si avvicina a quello del chiodo di garofano. § Questi che seguono sono i dati contenuti anche in Encyclopédie méthodique, médecine, par une société de médecins (Paris, Panckoucke, 1792): Bois de carabacci – Lignum carabaccicum - Carabaccium, (Hist. nat. bot.) c'est le nom que l'on donne à un bois aromatique des Indes, dont l'odeur ressemble beaucoup à celle du clou de girofle, excepté qu'elle est plus douce & moins pénétrante; extérieurement il est brun, ou de la couleur de la cannelle: on lui attribue la qualité d'adoucir l'acrimonie de la lymphe, & d'être un excellent remède contre le scorbut; il fortifie l'estomac, & facilite la digestion. On le prend en décoction, ou infusé comme du thé & du caffé. Les droguistes n'ont encore pu se procurer de justes renseignements sur l'arbre qui le fournit. § Vista la dovizie di errori latini in questo succinto brano di Aldrovandi, carabes viene tradotto con il fantomatico aldrovandesco carabes.

[20] Rerum rusticarum I,38: Quae loca in agro stercoranda, videndum, et qui et quo genere potissimum facias: nam discrimina eius aliquot. Stercus optimum scribit esse Cassius volucrium praeter palustrium ac nantium. De hisce praestare columbinum, quod sit calidissimum ac fermentare possit terram. Id ut semen aspargi oportere in agro, non ut de pecore acervatim poni. Ego arbitror praestare ex aviariis turdorum ac merularum, quod non solum ad agrum utile, sed etiam ad cibum ita bubus ac subus, ut fiant pingues.

[21] De re rustica II,14(15): Tria igitur stercoris genera sunt praecipue, quod ex avibus, quod ex hominibus, quod ex pecudibus confit. Avium primum habetur, quod ex columbariis egeritur. Deinde quod gallinae ceteraeque volucres edunt: exceptis tamen palustribus ac nantibus, ut anatis et anseris; nam id noxium quoque est. Maxime tamen columbinum probamus, quod modice sparsum terram fermentare comperimus. Secundum deinde, quod homines faciunt, si et aliis villae purgamentis immisceatur, quoniam ferventioris naturae est, et idcirco terram perurit.